Parlare di Leopardi è per me come parlare di un proprio Padre spirituale.
Penso però che questa possa essere la sensazione che vivono tutti coloro che sentono di far parte davvero della grande e comune famiglia della Poesia.
GIACOMO LEOPARDI
(Recanati 29.6.1798 – Napoli, 14.6.1837)
Per questo, per la sua immensa grandezza, la sua intramontabile notorietà e per la geniale profondità dei suoi versi e delle sue opere in genere, qualunque cosa io possa scrivere sembrerebbe (e sarebbe) vecchia e banale.
La sua infatti è certamente una delle più grandi figure di tutti tempi nell’ambito della letteratura mondiale.
Mi astengo dunque dal parlare della sua poetica e della sua biografia e mi limiterò a condividere con te, lettore amante della poesia, alcune tra le sue più note e stupende liriche.
Aggiungo solo che da ragazzo mi sentivo tanto profondamente vicino a lui ed al suo animo da giungere a scrivere sulla copertina di un mio diario questi miei modestissimi versi (eravamo nell’epoca della contestazione giovanile e delle battaglie per il divorzio etc…)
Qui la sensibil alma
di colui che singolar vita visse
nel borghese mondo
che la bestia umana crear seppe
per ritener valori
che pur già morti
vissero ancora a rovinar le genti
la fraterna dolorosa psiche
dell’amico Leopardi ammirando
all’ignara pagina
tutta si svelò…
Ma torniamo al Sommo Conte Giacomo, che non era, come sembrerebbe, solo dedito a profondissimi pensieri ma aveva passioncelle umanissime come ad es. il piacere di viaggiare, lo star in bella compagnia, l’amore per i dolci (che gli rovinarono i denti) ed una finissima, e come sempre geniale, autoironia.
Ah, signora!
Quello che lei crede una gobba
è l’astuccio delle mie ali!
Giacomo Leopardi
Immagine dal film a lui dedicato “Il giovane favoloso”
Ma veniamo alle sue mitiche liriche.
Quelle che ho scelto e che possiamo leggere qui di seguito sono tra quelle che considero più belle e comunque, anche se note, sempre belle da rileggere.
Se vi va, potete aggiungere o indicare le sue poesie che amate di più.
LA SERA DEL DI’ DI FESTA
Dolce e chiara è la notte e senza vento,
E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Posa la luna, e di lontan rivela
Serena ogni montagna. O donna mia,
Già tace ogni sentiero, e pei balconi
Rara traluce la notturna lampa:
Tu dormi, che t’accolse agevol sonno
Nelle tue chete stanze; e non ti morde
Cura nessuna; e già non sai nè pensi
Quanta piaga m’apristi in mezzo al petto.
Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
Appare in vista, a salutar m’affaccio,
E l’antica natura onnipossente,
Che mi fece all’affanno. A te la speme
Nego, mi disse, anche la speme; e d’altro
Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.
Questo dì fu solenne: or da’ trastulli
Prendi riposo; e forse ti rimembra
In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
Piacquero a te: non io, non già, ch’io speri,
Al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo
Quanto a viver mi resti, e qui per terra
Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi
In così verde etate! Ahi, per la via
Odo non lunge il solitario canto
Dell’artigian, che riede a tarda notte,
Dopo i sollazzi, al suo povero ostello;
E fieramente mi si stringe il core,
A pensar come tutto al mondo passa,
E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito
Il dì festivo, ed al festivo il giorno
Volgar succede, e se ne porta il tempo
Ogni umano accidente. Or dov’è il suono
Di que’ popoli antichi? or dov’è il grido
De’ nostri avi famosi, e il grande impero
Di quella Roma, e l’armi, e il fragorio
Che n’andò per la terra e l’oceano?
Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
Il mondo, e più di lor non si ragiona.
Nella mia prima età, quando s’aspetta
Bramosamente il dì festivo, or poscia
Ch’egli era spento, io doloroso, in veglia,
Premea le piume; ed alla tarda notte
Un canto che s’udia per li sentieri
Lontanando morire a poco a poco,
Già similmente mi stringeva il core.
.
.
A SILVIA
Silvia, rimembri ancora
Quel tempo della tua vita mortale,
Quando beltà splendea
Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
E tu, lieta e pensosa, il limitare
Di gioventù salivi?
Sonavan le quiete
Stanze, e le vie dintorno,
Al tuo perpetuo canto,
Allor che all’opre femminili intenta
Sedevi, assai contenta
Di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
Così menare il giorno.
Io gli studi leggiadri
Talor lasciando e le sudate carte,
Ove il tempo mio primo
E di me si spendea la miglior parte,
D’in su i veroni del paterno ostello
Porgea gli orecchi al suon della tua voce,
Ed alla man veloce
Che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
Le vie dorate e gli orti,
E quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
Quel ch’io sentiva in seno.
Che pensieri soavi,
Che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
La vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
Un affetto mi preme
Acerbo e sconsolato,
E tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
Perchè non rendi poi
Quel che prometti allor perchè di tanto
Inganni i figli tuoi?
Tu pria che l’erbe inaridisse il verno,
Da chiuso morbo combattuta e vinta,
Perivi, o tenerella. E non vedevi
Il fior degli anni tuoi;
Non ti molceva il core
La dolce lode or delle negre chiome,
Or degli sguardi innamorati e schivi;
Nè teco le compagne ai dì festivi
Ragionavan d’amore.
Anche peria fra poco
La speranza mia dolce: agli anni miei
Anche negaro i fati
La giovanezza. Ahi come,
Come passata sei,
Cara compagna dell’età mia nova,
Mia lacrimata speme!
Questo è quel mondo? questi
I diletti, l’amor, l’opre, gli eventi
Onde cotanto ragionammo insieme?
Questa la sorte dell’umane genti?
All’apparir del vero
Tu, misera, cadesti: e con la mano
La fredda morte ed una tomba ignuda
Mostravi di lontano.
L’INFINITO
.
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo mare.
ALLA LUNA
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O graziosa luna, io mi rammento
Che, or volge l’anno, sovra questo colle
Io venia pien d’angoscia a rimirarti:
E tu pendevi allor su quella selva
Siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
Il tuo volto apparia, che travagliosa
Era mia vita: ed è, nè cangia stile
O mia diletta luna. E pur mi giova
La ricordanza, e il noverar l’etate
Del mio dolore. Oh come grato occorre
Nel tempo giovanil, quando ancor lungo
La speme e breve ha la memoria il corso
Il rimembrar delle passate cose,
Ancor che triste, e che l’affanno duri!
Passiamo ora a 2 video davvero belli
dedicati ad altre 2 bellissime sue opere.
Il primo… è “LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA” letta da Vittorio Gassman
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e l’altro il “CANTO NOTTURNO DI UN PASTORE ERRANTE DELL’ASIA” letto da Arnoldo Foà
molto impegnata anche nella divulgazione scientifica
ma si è anche distinta per una strenua difesa
dei diritti civili sia delle persone che degli animali.
Una sua immagine da giovane quando si è anche distinta nello sport
E’ stata fino alla fine una figura prestigiosa e limpida
del mondo scientifico italiano,
ma anche, da sincera democratica, sempre in prima fila
per i diritti delle donne e per la laicità dello Stato..
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Bella anche la sua storia d’amore con il marito
che è durata tutta la vita
Ora alcune sue note ed interessanti riflessioni
Nella nostra galassia ci sono 400 miliardi di stelle,
e nell’universo ci sono più di cento miliardi di galassie.
Pensare di essere unici è molto improbabile.
Tutta la materia di cui siamo fatti noi
l’hanno costruita le stelle,
tutti gli elementi dall’idrogeno all’uranio
sono stati fatti nelle reazioni nucleari
che avvengono nelle supernove,
cioè queste stelle molto più grosse del Sole
che alla fine della loro vita esplodono
e sparpagliano nello spazio
il risultano di tutte le reazioni nucleari
avvenute al loro interno.
Per cui noi siamo veramente figli delle stelle.
Quando vedo un animale,
quando vedo il suo comportamento,
soprattutto dal punto di vista affettivo e istintivo,
mi riconosco.
Son tanto simili a noi.
Cerchiamo di vivere in pace,
qualunque sia la nostra origine,
la nostra fede,
il colore della nostra pelle,
la nostra lingua e le nostre tradizioni.
Impariamo a tollerare e ad apprezzare le differenze.
Rigettiamo con forza ogni forma di violenza,
di sopraffazione, la peggiore delle quali è la guerra.
In questo video omaggio, tratto da una intervista televisiva,
possiamo ora rivederla ed ascoltarla
MI fa piacere ricordarla ed omaggiarla
con quella che forse era la sua canzone preferita…
Elizabeth Barret nacque in una ricca famiglia che però poi ebbe grossi problemi economici.
Ben presto iniziò a scrivere e pubblicare con successo poesie e traduzioni dal greco.
A 32 anni incappò in una grave malattia che le creò gravi difficoltà di deambulazione ma nello stesso periodo s'innamorò del poeta Robert Browning dopo una intensa corrispondenza.
Robert Browning
A causa dell'opposizione paterna lo sposò di nascosto e con lui scappò in Italia.
A circa 43 anni a sua salute migliorò e divenne madre di un bimbo.
Visse sempre a Firenze.
Firenze nell'800
Fu anche una sostenitrice del nostro Risorgimento ed in particolare di Camillo Benso di Cavour.
La sua opera più ampia è il lungo poema Aurora Leigh, del 1857, in cui esalta in modo poetico la necessità dell'emancipazione femminile.
Morì a 54 anni ed è sepolta nel Cimitero degli Inglesi.
2 SUE POESIE SUBLIMI
Tornando alle poesie esse sono un inno sincero e profondo al suo amore per Robert.
I suoi versi, come sempre accade quando una poesia è davvero sublime, ci inoltrano, con parole semplici ma precise e suggestive, in una dimensione assoluta e ultraterrena in cui il sentimento più bello che c’è… brilla d'immensità.
Il Vero Amore, ci dice Elizabeth,non può esser legato a fattori esterni o concreti o a nostre comodità… o interessi… ma si nutre di assoluta interiorità… al di là di ogni contingenza… ed in tal modo esso potrà non aver mai fine…
John Everett Millais
Ma ora leggiamole…
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SE DEVI AMARMI
Se devi amarmi,
per null’altro sia che per amore.
Mai non dire:
“L’amo per il sorriso, per lo sguardo,
la gentilezza del parlare,
il modo di pensare così conforme al mio,
che mi rese sereno un giorno”.
Queste son tutte cose che posson mutare.
Amore mio, in sé stesso o per te,
un amore così nato potrebbe poi morire.
E non amarmi per pietà di lacrime
che bagnino il mio volto.
Può scordare il pianto
chi ebbe a lungo il tuo conforto,
e perderti.
Soltanto per amore amami
per sempre e per l’eternità.
John Everett Millais
COME TI AMO?
Come ti amo? – Come ti amo?
Lascia che ti annoveri i modi.
Ti amo fino agli estremi di profondità,
di altura e di estensione che l’anima mia
può raggiungere, quando al di là del corporeo
tocco i confini dell’Essere e della Grazia Ideale.