Frugare tra le tante pieghe della Storia ci consente spesso di capire un’epoca e le atmosfere vissute dai popoli meglio di date e battaglie.
Qui parleremo di 2 personaggi molto diversi, che non ebbero nulla in comune e che non si incontrarono mai.
Tuttavia rappresentarono, nello stesso periodo, 2 mondi opposti che convissero nei primi anni dell’800 anche se poi uno, il Conte Monaldo, rimase ancorato alla sua terra e l’altro invece sconvolse tutta l’Europa.
Napoleone, amatissimo o odiatissimo, era l’incontrastato dominatore dell’Europa nella quale, oltre alle guerre aveva diffuso elementi moderni e principi nuovi (non tutti) della Rivoluzione francese, mentre l’altro era un tranquillo aristocratico, amante del gioco d’azzardo (e per questo controllato a vista dalla severissima moglie) ma con la passione dello scrivere e soprattutto convintissimo reazionario voglioso di ricostruire il passato e che considerava l’Imperatore un Anticristo.
(Recanati 16 agosto 1776 – Recanati, 30 aprile 1847)
Monaldo Leopardi, Gonfaloniere di Recanati, quindi mentre Napoleone attraversava trionfalmente e velocemente l’Italia centrale, fece sbarrare porte e finestre del suo palazzo e si vestì a lutto che portò poi per tutta la gravidanza della moglie, incinta del mitico Giacomo.
Ma non era il solo.
Infatti all’epoca, per reazione ai trionfi ed ai provvedimenti napoleonici, nascevano nel Centro Italia dei gruppi armati in difesa soprattutto del… passato.
Eppure però, quando il Bonaparte fece chiudere i conventi, il nostro (forse contro il volere dell’avara moglie) non ebbe problemi ad approfittare della situazione ed a comprare, a peso, i tesori delle loro biblioteche (circa 14.000 volumi).
Adelaide Antici – Moglie di Monaldo e madre di Giacomo Leopardi
In tal modo, e questo gli fa onore più delle velleità letterarie, poté creare una delle più importanti biblioteche private del Centro Italia e nella quale il giovanissimo Giacomo passò «sette anni di studio matto e disperatissimo» rovinandosi la salute.
La biblioteca, per decisione del Monaldo, fu aperta anche a parenti, amici ed ai cittadini recanatesi (Filiis amicis civibus) e fu poi ampliata dal figlio Pierfrancesco.
La Biblioteca della famiglia Leopardi (una parte)
Fu però il grande Giacomo nel 1815 con la sua “Orazione agli Italiani“, alla morte di Napoleone ed in occasione della liberazione delle zone natie, a salutar l’Imperatore sì con formale giubilo ma soprattutto affermando il contrasto tra la POTENZA imperiale e la BELLEZZA del paesaggio italiano.
Una bella notizia per i “Leopardiani” arrivò l’agosto del 2020!
Finalmente anche le stanze private del Leopardi venivano aperte al pubblico.
Dopo circa 200 anni finalmente potevamo entrare nel cosiddetto “piano nobile” di Casa Leopardi.
Non saremmo stati così costretti a visitare solo la sua grande biblioteca, il museo, fare il percorso multimediale e recarci alla casa di Silvia come si poteva fare fino ad allora.
Potevamo quindi visitare anche le stanze private del palazzo di Recanati, il salone di rappresentanza, la galleria d’arte con tanti dipinti, i giardini che gli suggerirono nel 1829 i suggestivi versi delle “Ricordanze“, la cucina, il salottino in cui i fratellini giocavano e, questa è la cosa più bella, anche la sua camera da letto dalla quale ammirava i dintorni della casa, il cielo, la luna e le stelle.
LE RICORDANZE (Incipit)
Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea
Tornare ancor per uso a contemplarvi
Sul paterno giardino scintillanti,
E ragionar con voi dalle finestre
Di questo albergo ove abitai fanciullo,
E delle gioie mie vidi la fine. …
Il nuovo percorso s’intitola “Ove abitai fanciullo” ed è un venire a contatto con la storia della sua famiglia, con i suoi libri, conoscere gli oggetti, le collezioni d’arte e tante altre splendide curiosità tra le quali, e con le quali, visse.
In tal modo possiamo immergerci nel suo mondo infantile e giovanile e “sentire” quasi le dolci prime emozioni d’amore per Silvia e Nerina.
Quando anni fa andai a Recanati tutto questo non era possibile e sinceramente ci rimasi male.
So per certo che entrare nell’intimità del mondo del grande poeta recanatese era il sogno dell’immenso stuolo di ammiratori e adoratori dei suoi versi (tra cui il sottoscritto).
Ora tutto questo è stato invece reso possibile quasi ogni giorno grazie alla Contessa Olimpia Leopardi che merita i nostri ringraziamenti.
Il percorso “Ove abitai fanciullo” può essere visitato dal martedì alla domenica previa prenotazione (salvo modifiche).
Parlare di Leopardi è per me come parlare di un proprio Padre spirituale.
Penso però che questa possa essere la sensazione che vivono tutti coloro che sentono di far parte davvero della grande e comune famiglia della Poesia.
GIACOMO LEOPARDI
(Recanati 29.6.1798 – Napoli, 14.6.1837)
Per questo, per la sua immensa grandezza, la sua intramontabile notorietà e per la geniale profondità dei suoi versi e delle sue opere in genere, qualunque cosa io possa scrivere sembrerebbe (e sarebbe) vecchia e banale.
La sua infatti è certamente una delle più grandi figure di tutti tempi nell’ambito della letteratura mondiale.
Mi astengo dunque dal parlare della sua poetica e della sua biografia e mi limiterò a condividere con te, lettore amante della poesia, alcune tra le sue più note e stupende liriche.
Aggiungo solo che da ragazzo mi sentivo tanto profondamente vicino a lui ed al suo animo da giungere a scrivere sulla copertina di un mio diario questi miei modestissimi versi (eravamo nell’epoca della contestazione giovanile e delle battaglie per il divorzio etc…)
Qui la sensibil alma
di colui che singolar vita visse
nel borghese mondo
che la bestia umana crear seppe
per ritener valori
che pur già morti
vissero ancora a rovinar le genti
la fraterna dolorosa psiche
dell’amico Leopardi ammirando
all’ignara pagina
tutta si svelò…
Ma torniamo al Sommo Conte Giacomo, che non era, come sembrerebbe, solo dedito a profondissimi pensieri ma aveva passioncelle umanissime come ad es. il piacere di viaggiare, lo star in bella compagnia, l’amore per i dolci (che gli rovinarono i denti) ed una finissima, e come sempre geniale, autoironia.
Ah, signora!
Quello che lei crede una gobba
è l’astuccio delle mie ali!
Giacomo Leopardi
Immagine dal film a lui dedicato “Il giovane favoloso”
Ma veniamo alle sue mitiche liriche.
Quelle che ho scelto e che possiamo leggere qui di seguito sono tra quelle che considero più belle e comunque, anche se note, sempre belle da rileggere.
Se vi va, potete aggiungere o indicare le sue poesie che amate di più.
LA SERA DEL DI’ DI FESTA
Dolce e chiara è la notte e senza vento,
E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Posa la luna, e di lontan rivela
Serena ogni montagna. O donna mia,
Già tace ogni sentiero, e pei balconi
Rara traluce la notturna lampa:
Tu dormi, che t’accolse agevol sonno
Nelle tue chete stanze; e non ti morde
Cura nessuna; e già non sai nè pensi
Quanta piaga m’apristi in mezzo al petto.
Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
Appare in vista, a salutar m’affaccio,
E l’antica natura onnipossente,
Che mi fece all’affanno. A te la speme
Nego, mi disse, anche la speme; e d’altro
Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.
Questo dì fu solenne: or da’ trastulli
Prendi riposo; e forse ti rimembra
In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
Piacquero a te: non io, non già, ch’io speri,
Al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo
Quanto a viver mi resti, e qui per terra
Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi
In così verde etate! Ahi, per la via
Odo non lunge il solitario canto
Dell’artigian, che riede a tarda notte,
Dopo i sollazzi, al suo povero ostello;
E fieramente mi si stringe il core,
A pensar come tutto al mondo passa,
E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito
Il dì festivo, ed al festivo il giorno
Volgar succede, e se ne porta il tempo
Ogni umano accidente. Or dov’è il suono
Di que’ popoli antichi? or dov’è il grido
De’ nostri avi famosi, e il grande impero
Di quella Roma, e l’armi, e il fragorio
Che n’andò per la terra e l’oceano?
Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
Il mondo, e più di lor non si ragiona.
Nella mia prima età, quando s’aspetta
Bramosamente il dì festivo, or poscia
Ch’egli era spento, io doloroso, in veglia,
Premea le piume; ed alla tarda notte
Un canto che s’udia per li sentieri
Lontanando morire a poco a poco,
Già similmente mi stringeva il core.
.
.
A SILVIA
Silvia, rimembri ancora
Quel tempo della tua vita mortale,
Quando beltà splendea
Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
E tu, lieta e pensosa, il limitare
Di gioventù salivi?
Sonavan le quiete
Stanze, e le vie dintorno,
Al tuo perpetuo canto,
Allor che all’opre femminili intenta
Sedevi, assai contenta
Di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
Così menare il giorno.
Io gli studi leggiadri
Talor lasciando e le sudate carte,
Ove il tempo mio primo
E di me si spendea la miglior parte,
D’in su i veroni del paterno ostello
Porgea gli orecchi al suon della tua voce,
Ed alla man veloce
Che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
Le vie dorate e gli orti,
E quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
Quel ch’io sentiva in seno.
Che pensieri soavi,
Che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
La vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
Un affetto mi preme
Acerbo e sconsolato,
E tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
Perchè non rendi poi
Quel che prometti allor perchè di tanto
Inganni i figli tuoi?
Tu pria che l’erbe inaridisse il verno,
Da chiuso morbo combattuta e vinta,
Perivi, o tenerella. E non vedevi
Il fior degli anni tuoi;
Non ti molceva il core
La dolce lode or delle negre chiome,
Or degli sguardi innamorati e schivi;
Nè teco le compagne ai dì festivi
Ragionavan d’amore.
Anche peria fra poco
La speranza mia dolce: agli anni miei
Anche negaro i fati
La giovanezza. Ahi come,
Come passata sei,
Cara compagna dell’età mia nova,
Mia lacrimata speme!
Questo è quel mondo? questi
I diletti, l’amor, l’opre, gli eventi
Onde cotanto ragionammo insieme?
Questa la sorte dell’umane genti?
All’apparir del vero
Tu, misera, cadesti: e con la mano
La fredda morte ed una tomba ignuda
Mostravi di lontano.
L’INFINITO
.
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo mare.
ALLA LUNA
.
O graziosa luna, io mi rammento
Che, or volge l’anno, sovra questo colle
Io venia pien d’angoscia a rimirarti:
E tu pendevi allor su quella selva
Siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
Il tuo volto apparia, che travagliosa
Era mia vita: ed è, nè cangia stile
O mia diletta luna. E pur mi giova
La ricordanza, e il noverar l’etate
Del mio dolore. Oh come grato occorre
Nel tempo giovanil, quando ancor lungo
La speme e breve ha la memoria il corso
Il rimembrar delle passate cose,
Ancor che triste, e che l’affanno duri!
Passiamo ora a 2 video davvero belli
dedicati ad altre 2 bellissime sue opere.
Il primo… è “LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA” letta da Vittorio Gassman
.
.
.
.
.
e l’altro il “CANTO NOTTURNO DI UN PASTORE ERRANTE DELL’ASIA” letto da Arnoldo Foà
Parlare di Leopardi è per me come parlare di un proprio Padre spirituale.
Penso però che questa possa essere la sensazione che vivono tutti coloro che sentono di far parte davvero della grande e comune famiglia della Poesia.
GIACOMO LEOPARDI
(Recanati 29.6.1798 – Napoli, 14.6.1837)
Per questo, per la sua immensa grandezza, la sua intramontabile notorietà e per la geniale profondità dei suoi versi e delle sue opere in genere, qualunque cosa io possa scrivere sembrerebbe (e sarebbe) vecchia e banale.
La sua infatti è certamente una delle più grandi figure di tutti tempi nell’ambito della letteratura mondiale.
Mi astengo dunque dal parlare della sua poetica e della sua biografia e mi limiterò a condividere con te, lettore amante della poesia, alcune tra le sue più note e stupende liriche.
Aggiungo solo che da ragazzo mi sentivo tanto profondamente vicino a lui ed al suo animo da giungere a scrivere sulla copertina di un mio diario questi miei modestissimi versi (eravamo nell’epoca della contestazione giovanile e delle battaglie per il divorzio etc…)
Qui la sensibil alma
di colui che singolar vita visse
nel borghese mondo
che la bestia umana crear seppe
per ritener valori
che pur già morti
vissero ancora a rovinar le genti
la fraterna dolorosa psiche
dell’amico Leopardi ammirando
all’ignara pagina
tutta si svelò…
Ma torniamo al Sommo Conte Giacomo, che non era, come sembrerebbe, solo dedito a profondissimi pensieri ma aveva passioncelle umanissime come ad es. il piacere di viaggiare, lo star in bella compagnia, l’amore per i dolci (che gli rovinarono i denti) ed una finissima, e come sempre geniale, autoironia.
Ah, signora!
Quello che lei crede una gobba
è l’astuccio delle mie ali!
Giacomo Leopardi
Immagine dal film a lui dedicato “Il giovane favoloso”
Ma veniamo alle sue mitiche liriche.
Quelle che ho scelto e che possiamo leggere qui di seguito sono tra quelle che considero più belle e comunque, anche se note, sempre belle da rileggere.
Se vi va, potete aggiungere o indicare le sue poesie che amate di più.
LA SERA DEL DI’ DI FESTA
Dolce e chiara è la notte e senza vento,
E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Posa la luna, e di lontan rivela
Serena ogni montagna. O donna mia,
Già tace ogni sentiero, e pei balconi
Rara traluce la notturna lampa:
Tu dormi, che t’accolse agevol sonno
Nelle tue chete stanze; e non ti morde
Cura nessuna; e già non sai nè pensi
Quanta piaga m’apristi in mezzo al petto.
Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
Appare in vista, a salutar m’affaccio,
E l’antica natura onnipossente,
Che mi fece all’affanno. A te la speme
Nego, mi disse, anche la speme; e d’altro
Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.
Questo dì fu solenne: or da’ trastulli
Prendi riposo; e forse ti rimembra
In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
Piacquero a te: non io, non già, ch’io speri,
Al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo
Quanto a viver mi resti, e qui per terra
Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi
In così verde etate! Ahi, per la via
Odo non lunge il solitario canto
Dell’artigian, che riede a tarda notte,
Dopo i sollazzi, al suo povero ostello;
E fieramente mi si stringe il core,
A pensar come tutto al mondo passa,
E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito
Il dì festivo, ed al festivo il giorno
Volgar succede, e se ne porta il tempo
Ogni umano accidente. Or dov’è il suono
Di que’ popoli antichi? or dov’è il grido
De’ nostri avi famosi, e il grande impero
Di quella Roma, e l’armi, e il fragorio
Che n’andò per la terra e l’oceano?
Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
Il mondo, e più di lor non si ragiona.
Nella mia prima età, quando s’aspetta
Bramosamente il dì festivo, or poscia
Ch’egli era spento, io doloroso, in veglia,
Premea le piume; ed alla tarda notte
Un canto che s’udia per li sentieri
Lontanando morire a poco a poco,
Già similmente mi stringeva il core.
.
.
A SILVIA
Silvia, rimembri ancora
Quel tempo della tua vita mortale,
Quando beltà splendea
Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
E tu, lieta e pensosa, il limitare
Di gioventù salivi?
Sonavan le quiete
Stanze, e le vie dintorno,
Al tuo perpetuo canto,
Allor che all’opre femminili intenta
Sedevi, assai contenta
Di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
Così menare il giorno.
Io gli studi leggiadri
Talor lasciando e le sudate carte,
Ove il tempo mio primo
E di me si spendea la miglior parte,
D’in su i veroni del paterno ostello
Porgea gli orecchi al suon della tua voce,
Ed alla man veloce
Che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
Le vie dorate e gli orti,
E quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
Quel ch’io sentiva in seno.
Che pensieri soavi,
Che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
La vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
Un affetto mi preme
Acerbo e sconsolato,
E tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
Perchè non rendi poi
Quel che prometti allor perchè di tanto
Inganni i figli tuoi?
Tu pria che l’erbe inaridisse il verno,
Da chiuso morbo combattuta e vinta,
Perivi, o tenerella. E non vedevi
Il fior degli anni tuoi;
Non ti molceva il core
La dolce lode or delle negre chiome,
Or degli sguardi innamorati e schivi;
Nè teco le compagne ai dì festivi
Ragionavan d’amore.
Anche peria fra poco
La speranza mia dolce: agli anni miei
Anche negaro i fati
La giovanezza. Ahi come,
Come passata sei,
Cara compagna dell’età mia nova,
Mia lacrimata speme!
Questo è quel mondo? questi
I diletti, l’amor, l’opre, gli eventi
Onde cotanto ragionammo insieme?
Questa la sorte dell’umane genti?
All’apparir del vero
Tu, misera, cadesti: e con la mano
La fredda morte ed una tomba ignuda
Mostravi di lontano.
L’INFINITO
.
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo mare.
ALLA LUNA
.
O graziosa luna, io mi rammento
Che, or volge l’anno, sovra questo colle
Io venia pien d’angoscia a rimirarti:
E tu pendevi allor su quella selva
Siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
Il tuo volto apparia, che travagliosa
Era mia vita: ed è, nè cangia stile
O mia diletta luna. E pur mi giova
La ricordanza, e il noverar l’etate
Del mio dolore. Oh come grato occorre
Nel tempo giovanil, quando ancor lungo
La speme e breve ha la memoria il corso
Il rimembrar delle passate cose,
Ancor che triste, e che l’affanno duri!
Passiamo ora a 2 video davvero belli
dedicati ad altre 2 bellissime sue opere.
Il primo… è “LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA” letta da Vittorio Gassman
.
.
.
.
.
e l’altro il “CANTO NOTTURNO DI UN PASTORE ERRANTE DELL’ASIA” letto da Arnoldo Foà
Frugare tra le tante pieghe della Storia ci consente spesso di capire un’epoca e le atmosfere vissute dai popoli meglio di date e battaglie.
Qui parleremo di 2 personaggi molto diversi, che non ebbero nulla un comune e che non si incontrarono mai.
Tuttavia rappresentarono, nello stesso periodo, 2 mondi opposti che convissero nei primi anni dell’800 anche se poi uno, il Conte Monaldo, rimase ancorato alla sua terra e l’altro invece sconvolse tutta l’Europa.
Napoleone, amatissimo o odiatissimo, era l’incontrastato dominatore dell’Europa nella quale, oltre alle guerre aveva diffuso elementi moderni e principi nuovi (non tutti) della Rivoluzione francese, mentre l’altro era un tranquillo aristocratico, amante del gioco d’azzardo (e per questo controllato a vista dalla severissima moglie) ma con la passione dello scrivere e soprattutto convintissimo reazionario voglioso di ricostruire il passato e che considerava l’Imperatore un Anticristo.
(Recanati 16 agosto 1776 – Recanati, 30 aprile 1847)
Monaldo Leopardi, Gonfaloniere di Recanati, quindi mentre Napoleone attraversava trionfalmente e velocemente l’Italia centrale, fece sbarrare porte e finestre del suo palazzo e si vestì a lutto che portò poi per tutta la gravidanza della moglie, incinta del mitico Giacomo.
Ma non era il solo.
Infatti all’epoca, per reazione ai trionfi ed ai provvedimenti napoleonici, nascevano nel Centro Italia dei gruppi armati in difesa soprattutto del… passato.
Eppure però, quando il Bonaparte fece chiudere i conventi, il nostro (forse contro il volere dell’avara moglie) non ebbe problemi ad approfittare della situazione ed a comprare, a peso, i tesori delle loro biblioteche (circa 14.000 volumi).
Adelaide Antici – Moglie di Monaldo e madre di Giacomo Leopardi
In tal modo, e questo gli fa onore più delle velleità letterarie, poté creare una delle più importanti biblioteche private del Centro Italia e nella quale il giovanissimo Giacomo passò «sette anni di studio matto e disperatissimo» rovinandosi la salute.
La biblioteca, per decisione del Monaldo, fu aperta anche a parenti, amici ed ai cittadini recanatesi (Filiis amicis civibus) e fu poi ampliata dal figlio Pierfrancesco.
La Biblioteca della famiglia Leopardi (una parte)
Fu però il grande Giacomo nel 1815 con la sua “Orazione agli Italiani“, alla morte di Napoleone ed in occasione della liberazione delle zone natie, a salutar l’Imperatore sì con formale giubilo ma soprattutto affermando il contrasto tra la POTENZA imperiale e la BELLEZZA del paesaggio italiano.
Una bella notizia per i “Leopardiani” arrivò l’agosto del 2020!
Finalmente anche le stanze private del Leopardi venivano aperte al pubblico.
Dopo circa 200 anni finalmente potevamo entrare nel cosiddetto “piano nobile” di Casa Leopardi.
Non saremmo stati così costretti a visitare solo la sua grande biblioteca, il museo, fare il percorso multimediale e recarci alla casa di Silvia.
Potevamo quindi visitare anche le stanze private del palazzo di Recanati, il salone di rappresentanza, la galleria d’arte con tanti dipinti, i giardini che gli suggerirono nel 1829 i suggestivi versi delle “Ricordanze“, la cucina, il salottino in cui i fratellini giocavano e, questa è la cosa più bella, anche la sua camera da letto dalla quale ammirava i dintorni della casa, il cielo, la luna e le stelle.
LE RICORDANZE (Incipit)
Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea
Tornare ancor per uso a contemplarvi
Sul paterno giardino scintillanti,
E ragionar con voi dalle finestre
Di questo albergo ove abitai fanciullo,
E delle gioie mie vidi la fine. …
Il nuovo percorso s’intitola “Ove abitai fanciullo” ed è un venire a contatto con la storia della sua famiglia, con i suoi libri, conoscere gli oggetti, le collezioni d’arte e tante altre splendide curiosità tra le quali, e con le quali, visse.
In tal modo possiamo immergerci nel suo mondo infantile e giovanile e “sentire” quasi le dolci prime emozioni d’amore per Silvia e Nerina.
Quando anni fa andai a Recanati tutto questo non era possibile e sinceramente ci rimasi male.
So per certo che entrare nell’intimità del mondo del grande poeta recanatese era il sogno dell’immenso stuolo di ammiratori e adoratori dei suoi versi (tra cui il sottoscritto).
Ora tutto questo è stato invece reso possibile quasi ogni giorno grazie alla Contessa Olimpia Leopardi che merita i nostri ringraziamenti.
Il percorso “Ove abitai fanciullo” può essere visitato dal martedì alla domenica previa prenotazione (salvo modifiche).
Una bella notizia per i “Leopardiani” arrivò l’agosto del 2020!
Finalmente anche le stanze private del Leopardi venivano aperte al pubblico.
Dopo circa 200 anni finalmente potevamo entrare nel cosiddetto “piano nobile” di Casa Leopardi.
Non saremmo stati così costretti a visitare solo la sua grande biblioteca, il museo, fare il percorso multimediale e recarci alla casa di Silvia.
Potevamo quindi visitare anche le stanze private del palazzo di Recanati, il salone di rappresentanza, la galleria d’arte con tanti dipinti, i giardini che gli suggerirono nel 1829 i suggestivi versi delle “Ricordanze“, la cucina, il salottino in cui i fratellini giocavano e, questa è la cosa più bella, anche la sua camera da letto dalla quale ammirava i dintorni della casa, il cielo, la luna e le stelle.
LE RICORDANZE (Incipit)
Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea
Tornare ancor per uso a contemplarvi
Sul paterno giardino scintillanti,
E ragionar con voi dalle finestre
Di questo albergo ove abitai fanciullo,
E delle gioie mie vidi la fine. …
Il nuovo percorso s’intitola “Ove abitai fanciullo” ed è un venire a contatto con la storia della sua famiglia, con i suoi libri, conoscere gli oggetti, le collezioni d’arte e tante altre splendide curiosità tra le quali, e con le quali, visse.
In tal modo possiamo immergerci nel suo mondo infantile e giovanile e “sentire” quasi le dolci prime emozioni d’amore per Silvia e Nerina.
Quando anni fa andai a Recanati tutto questo non era possibile e sinceramente ci rimasi male.
So per certo che entrare nell’intimità del mondo del grande poeta recanatese era il sogno dell’immenso stuolo di ammiratori e adoratori dei suoi versi (tra cui il sottoscritto).
Ora tutto questo è stato invece reso possibile quasi ogni giorno grazie alla Contessa Olimpia Leopardi che merita i nostri ringraziamenti.
Il percorso “Ove abitai fanciullo” può essere visitato dal martedì alla domenica previa prenotazione (salvo modifiche).
Parlare di Leopardi è per me come parlare di un proprio Padre spirituale.
Penso però che questa possa essere la sensazione che vivono tutti coloro che sentono di far parte davvero della grande e comune famiglia della Poesia.
GIACOMO LEOPARDI
(Recanati 29.6.1798 – Napoli, 14.6.1837)
Per questo, per la sua immensa grandezza, la sua intramontabile notorietà e per la geniale profondità dei suoi versi e delle sue opere in genere, qualunque cosa io possa scrivere sembrerebbe (e sarebbe) vecchia e banale.
La sua infatti è certamente una delle più grandi figure di tutti tempi nell’ambito della letteratura mondiale.
Mi astengo dunque dal parlare della sua poetica e della sua biografia e mi limiterò a condividere con te, lettore amante della poesia, alcune tra le sue più note e stupende liriche.
Aggiungo solo che da ragazzo mi sentivo tanto profondamente vicino a lui ed al suo animo da giungere a scrivere sulla copertina di un mio diario questi miei modestissimi versi (eravamo nell’epoca della contestazione giovanile e delle battaglie per il divorzio etc…)
Qui la sensibil alma
di colui che singolar vita visse
nel borghese mondo
che la bestia umana crear seppe
per ritener valori
che pur già morti
vissero ancora a rovinar le genti
la fraterna dolorosa psiche
dell’amico Leopardi ammirando
all’ignara pagina
tutta si svelò…
Ma torniamo al Sommo Conte Giacomo, che non era, come sembrerebbe, solo dedito a profondissimi pensieri ma aveva passioncelle umanissime come ad es. il piacere di viaggiare, lo star in bella compagnia, l’amore per i dolci (che gli rovinarono i denti) ed una finissima, e come sempre geniale, autoironia.
Ah, signora!
Quello che lei crede una gobba
è l’astuccio delle mie ali!
Giacomo Leopardi
Immagine dal film a lui dedicato “Il giovane favoloso”
Ma veniamo alle sue mitiche liriche.
Quelle che ho scelto e che possiamo leggere qui di seguito sono tra quelle che considero più belle e comunque, anche se note, sempre belle da rileggere.
Se vi va, potete aggiungere o indicare le sue poesie che amate di più.
LA SERA DEL DI’ DI FESTA
Dolce e chiara è la notte e senza vento,
E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Posa la luna, e di lontan rivela
Serena ogni montagna. O donna mia,
Già tace ogni sentiero, e pei balconi
Rara traluce la notturna lampa:
Tu dormi, che t’accolse agevol sonno
Nelle tue chete stanze; e non ti morde
Cura nessuna; e già non sai nè pensi
Quanta piaga m’apristi in mezzo al petto.
Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
Appare in vista, a salutar m’affaccio,
E l’antica natura onnipossente,
Che mi fece all’affanno. A te la speme
Nego, mi disse, anche la speme; e d’altro
Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.
Questo dì fu solenne: or da’ trastulli
Prendi riposo; e forse ti rimembra
In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
Piacquero a te: non io, non già, ch’io speri,
Al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo
Quanto a viver mi resti, e qui per terra
Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi
In così verde etate! Ahi, per la via
Odo non lunge il solitario canto
Dell’artigian, che riede a tarda notte,
Dopo i sollazzi, al suo povero ostello;
E fieramente mi si stringe il core,
A pensar come tutto al mondo passa,
E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito
Il dì festivo, ed al festivo il giorno
Volgar succede, e se ne porta il tempo
Ogni umano accidente. Or dov’è il suono
Di que’ popoli antichi? or dov’è il grido
De’ nostri avi famosi, e il grande impero
Di quella Roma, e l’armi, e il fragorio
Che n’andò per la terra e l’oceano?
Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
Il mondo, e più di lor non si ragiona.
Nella mia prima età, quando s’aspetta
Bramosamente il dì festivo, or poscia
Ch’egli era spento, io doloroso, in veglia,
Premea le piume; ed alla tarda notte
Un canto che s’udia per li sentieri
Lontanando morire a poco a poco,
Già similmente mi stringeva il core.
.
.
A SILVIA
Silvia, rimembri ancora
Quel tempo della tua vita mortale,
Quando beltà splendea
Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
E tu, lieta e pensosa, il limitare
Di gioventù salivi?
Sonavan le quiete
Stanze, e le vie dintorno,
Al tuo perpetuo canto,
Allor che all’opre femminili intenta
Sedevi, assai contenta
Di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
Così menare il giorno.
Io gli studi leggiadri
Talor lasciando e le sudate carte,
Ove il tempo mio primo
E di me si spendea la miglior parte,
D’in su i veroni del paterno ostello
Porgea gli orecchi al suon della tua voce,
Ed alla man veloce
Che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
Le vie dorate e gli orti,
E quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
Quel ch’io sentiva in seno.
Che pensieri soavi,
Che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
La vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
Un affetto mi preme
Acerbo e sconsolato,
E tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
Perchè non rendi poi
Quel che prometti allor perchè di tanto
Inganni i figli tuoi?
Tu pria che l’erbe inaridisse il verno,
Da chiuso morbo combattuta e vinta,
Perivi, o tenerella. E non vedevi
Il fior degli anni tuoi;
Non ti molceva il core
La dolce lode or delle negre chiome,
Or degli sguardi innamorati e schivi;
Nè teco le compagne ai dì festivi
Ragionavan d’amore.
Anche peria fra poco
La speranza mia dolce: agli anni miei
Anche negaro i fati
La giovanezza. Ahi come,
Come passata sei,
Cara compagna dell’età mia nova,
Mia lacrimata speme!
Questo è quel mondo? questi
I diletti, l’amor, l’opre, gli eventi
Onde cotanto ragionammo insieme?
Questa la sorte dell’umane genti?
All’apparir del vero
Tu, misera, cadesti: e con la mano
La fredda morte ed una tomba ignuda
Mostravi di lontano.
L’INFINITO
.
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo mare.
ALLA LUNA
.
O graziosa luna, io mi rammento
Che, or volge l’anno, sovra questo colle
Io venia pien d’angoscia a rimirarti:
E tu pendevi allor su quella selva
Siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
Il tuo volto apparia, che travagliosa
Era mia vita: ed è, nè cangia stile
O mia diletta luna. E pur mi giova
La ricordanza, e il noverar l’etate
Del mio dolore. Oh come grato occorre
Nel tempo giovanil, quando ancor lungo
La speme e breve ha la memoria il corso
Il rimembrar delle passate cose,
Ancor che triste, e che l’affanno duri!
Passiamo ora a 2 video davvero belli
dedicati ad altre 2 bellissime sue opere.
Il primo… è “LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA” letta da Vittorio Gassman
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e l’altro il “CANTO NOTTURNO DI UN PASTORE ERRANTE DELL’ASIA” letto da Arnoldo Foà
Parlare di Leopardi è per me come parlare di un proprio Padre spirituale…
Penso però che questa sia la sensazione che vivono tutti coloro che sentono di far parte davvero della grande e comune famiglia della Poesia.
GIACOMO LEOPARDI
(Recanati 29.6.1798 – Napoli, 14.6.1837)
Per questo… per la sua immensa grandezza… la sua intramontabile notorietà… e per la geniale profondità dei suoi versi… e delle sue opere in genere, qualunque cosa io possa scrivere sembrerebbe (e sarebbe) vecchia e banale…
La sua infatti è una delle più grandi figure di tutti tempi nell’ambito della letteratura mondiale…
Mi astengo dunque dal parlare della sua poetica e della sua biografia… e mi limiterò a condividere con te, lettore amante della poesia, alcune tra le sue più note e stupende liriche…
Aggiungo solo che da ragazzo mi sentivo tanto profondamente vicino a lui ed al suo animo da giungere a scrivere sulla copertina di un mio diario… questi miei modestissimi versi… (eravamo nell’epoca della contestazione giovanile e delle battaglie per il divorzio etc…)
Qui la sensibil alma
di colui che singolar vita visse
nel borghese mondo
che la bestia umana crear seppe
per ritener valori
che pur già morti
vissero ancora a rovinar le genti
la fraterna dolorosa psiche
dell’amico Leopardi ammirando
all’ignara pagina
tutta si svelò…
Ma torniamo al Sommo Conte Giacomo… che non era, come sembrerebbe, solo dedito a profondissimi pensieri ma aveva passioncelle umanissime come ad es. il piacere di viaggiare, lo star in bella compagnia, l’amore per i dolci… (che gli rovinarono i denti) ed una finissima e come sempre geniale… autoironia.
Ah, signora!
Quello che lei crede una gobba è l’astuccio delle mie ali! Giacomo Leopardi
Immagine dal film a lui dedicato “Il giovane favoloso”
Ma veniamo alle sue mitiche liriche…
Quelle che ho scelto e che possiamo leggere qui di seguito sono tra quelle che considero più belle.
Se vi va, potete aggiungere o indicare le sue poesie che amate di più…
LA SERA DEL DI’ DI FESTA
Dolce e chiara è la notte e senza vento, E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti Posa la luna, e di lontan rivela Serena ogni montagna. O donna mia, Già tace ogni sentiero, e pei balconi Rara traluce la notturna lampa: Tu dormi, che t’accolse agevol sonno Nelle tue chete stanze; e non ti morde Cura nessuna; e già non sai nè pensi Quanta piaga m’apristi in mezzo al petto. Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno Appare in vista, a salutar m’affaccio, E l’antica natura onnipossente, Che mi fece all’affanno. A te la speme Nego, mi disse, anche la speme; e d’altro Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto. Questo dì fu solenne: or da’ trastulli Prendi riposo; e forse ti rimembra In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti Piacquero a te: non io, non già, ch’io speri, Al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo Quanto a viver mi resti, e qui per terra Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi In così verde etate! Ahi, per la via Odo non lunge il solitario canto Dell’artigian, che riede a tarda notte, Dopo i sollazzi, al suo povero ostello; E fieramente mi si stringe il core, A pensar come tutto al mondo passa, E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito Il dì festivo, ed al festivo il giorno Volgar succede, e se ne porta il tempo Ogni umano accidente. Or dov’è il suono Di que’ popoli antichi? or dov’è il grido De’ nostri avi famosi, e il grande impero Di quella Roma, e l’armi, e il fragorio Che n’andò per la terra e l’oceano? Tutto è pace e silenzio, e tutto posa Il mondo, e più di lor non si ragiona. Nella mia prima età, quando s’aspetta Bramosamente il dì festivo, or poscia Ch’egli era spento, io doloroso, in veglia, Premea le piume; ed alla tarda notte Un canto che s’udia per li sentieri Lontanando morire a poco a poco, Già similmente mi stringeva il core.
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A SILVIA
Silvia, rimembri ancora Quel tempo della tua vita mortale, Quando beltà splendea Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi, E tu, lieta e pensosa, il limitare Di gioventù salivi? Sonavan le quiete Stanze, e le vie dintorno, Al tuo perpetuo canto, Allor che all’opre femminili intenta Sedevi, assai contenta Di quel vago avvenir che in mente avevi. Era il maggio odoroso: e tu solevi Così menare il giorno. Io gli studi leggiadri Talor lasciando e le sudate carte, Ove il tempo mio primo E di me si spendea la miglior parte, D’in su i veroni del paterno ostello Porgea gli orecchi al suon della tua voce, Ed alla man veloce Che percorrea la faticosa tela. Mirava il ciel sereno, Le vie dorate e gli orti, E quinci il mar da lungi, e quindi il monte. Lingua mortal non dice Quel ch’io sentiva in seno. Che pensieri soavi, Che speranze, che cori, o Silvia mia! Quale allor ci apparia La vita umana e il fato! Quando sovviemmi di cotanta speme, Un affetto mi preme Acerbo e sconsolato, E tornami a doler di mia sventura. O natura, o natura, Perchè non rendi poi Quel che prometti allor perchè di tanto Inganni i figli tuoi? Tu pria che l’erbe inaridisse il verno, Da chiuso morbo combattuta e vinta, Perivi, o tenerella. E non vedevi Il fior degli anni tuoi; Non ti molceva il core La dolce lode or delle negre chiome, Or degli sguardi innamorati e schivi; Nè teco le compagne ai dì festivi Ragionavan d’amore. Anche peria fra poco La speranza mia dolce: agli anni miei Anche negaro i fati La giovanezza. Ahi come, Come passata sei, Cara compagna dell’età mia nova, Mia lacrimata speme! Questo è quel mondo? questi I diletti, l’amor, l’opre, gli eventi Onde cotanto ragionammo insieme? Questa la sorte dell’umane genti? All’apparir del vero Tu, misera, cadesti: e con la mano La fredda morte ed una tomba ignuda Mostravi di lontano.
L’INFINITO
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Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati Spazi di là da quella, e sovrumani Silenzi, e profondissima quiete Io nel pensier mi fingo; ove per poco Il cor non si spaura. E come il vento Odo stormir tra queste piante, io quello Infinito silenzio a questa voce Vo comparando: e mi sovvien l’eterno, E le morte stagioni, e la presente E viva, e il suon di lei. Così tra questa Immensità s’annega il pensier mio: E il naufragar m’è dolce in questo mare.
ALLA LUNA
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O graziosa luna, io mi rammento
Che, or volge l’anno, sovra questo colle Io venia pien d’angoscia a rimirarti: E tu pendevi allor su quella selva Siccome or fai, che tutta la rischiari. Ma nebuloso e tremulo dal pianto Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci Il tuo volto apparia, che travagliosa Era mia vita: ed è, nè cangia stile O mia diletta luna. E pur mi giova La ricordanza, e il noverar l’etate Del mio dolore. Oh come grato occorre Nel tempo giovanil, quando ancor lungo La speme e breve ha la memoria il corso Il rimembrar delle passate cose, Ancor che triste, e che l’affanno duri!
Passiamo ora a 2 video davvero belli
dedicati ad altre 2 bellissime sue opere.
Il primo… è “LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA” letta da Vittorio Gassman
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e l’altro il “CANTO NOTTURNO DI UN PASTORE ERRANTE DELL’ASIA”