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PIOGGIA DI ROSE – Antonia Arslan con questo racconto ci parla dei ricordi della bambina di un tempo   Leave a comment








PIOGGIA DI ROSE
di Antonia Arslan *



Avevo appena imparato a leggere, dopo aver imbrogliato per molti mesi nonni e zii, facendo finta di capire la prima pagina di un numero del “Corriere dei Piccoli” che amavo moltissimo, e che sapevo a memoria.
Allora stavamo al Dolo, sulla Riviera del Brenta. 
E dopo pochi giorni di scuola, scoprii la cartolibreria di fronte al canale. 
Sul davanti, era un negozio come tanti altri; ma dietro, c’era un retrobottega odoroso di legno e di libri, il profumo della felicità. 
Mi arrampicavo sulla vecchia scaletta di legno con i gradini scricchiolanti (e dal tipo di rumore il vecchio signir Arrigom il proprietario, sapeva su quale scalino ero arrampicata, e a volte veniva a tirarmi giù: 
“No la xe par ti, sta roba”, diceva con autorità).




Dipinto di Cafiero Filippelli




Ma un giorno trovai Pioggia di Rose, una raccolta di novelle di Ferenc Herczeg, edizione Corticelli.
Mi innamorai di ogni storia di quel libro. 
Mi piaceva ogni cosa: la copertina un po’ rigida, le illustrazioni dal segno netto, senza sfumature, le pagine dalla stampa ben spaziata, che si leggeva facilmente; e soprattutto il titolo.
E lo lessi tutto, seduta sulla scaletta, finché un pomeriggio trovai il coraggio di chiedere al signor Arrigo se mi permetteva di portarmelo a casa.
“Certo” rispose “ma prima, sai, devi pagarmelo. Ricordati che chi legge, paga.”



(Racconto breve tratto da “Il cortile dei girasoli parlanti” e rinvenuto nel web)





Antonia Arslan



*Antonia Arslan è una scrittrice, traduttrice e accademica italiana di origini armene. 
Laureata in archeologia, ha insegnato per molti anni Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Padova.




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Passi nella neve – Amore e mistero in questo racconto bello e suggestivo   Leave a comment

 

 

Davvero un racconto bello e suggestivo

pieno di fascino… mistero e… amore.

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PASSI NELLA NEVE

Paola Mastrorilli

 

 RACCONTO DEL MISTERO

 
 
 
La neve cadeva soffice, a coprire ogni cosa col suo manto di zucchero a velo ed io camminavo da sola lungo il selciato, seguendo le orme che io stessa avevo lasciato il giorno prima quando, in preda ai capricci di un dolore antico, avevo preso a camminare senza meta lungo i sentieri dei ricordi.
Il freddo era pungente e il dolore sferzante; chiudevo i pensieri in granelli di luce e li cospargevo per terra, come a voler concimare con essi il terreno.
 Infagottata in un cappotto asfittico non smettevo di ricordare noi, i tuoi baci lievi sulle mie labbra turgide, le tue mani sfrenate a cercare nuovi angoli del corpo da far fremere, la tua voglia di danzare e danzare… assieme, io e te, da soli, al centro della foresta incantata, dalla neve sfiorata.

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E la neve cadeva soffice a rivestire gli alberi con pennellate di morbida ovatta.
Ed io passeggiavo da sola, ricalcando con la mente i nostri giorni assieme, schiudendo il lucchetto alla gioia dei sorrisi lanciati a briglia sciolte verso l’orizzonte e raccogliendo i granelli di dolore sparsi per terra per trasformarli in sogni nuovi.
Nutrivo la speranza di un domani diverso, tra le braccia di chi potesse amarmi, con l’assoluta certezza che sarei arrivata alla fine del sentiero, senza nemmeno accorgermene.
E lì, lo sapevo, avrei trovato un nuovo sole, al di là delle fronde, ad aspettarmi per farcire di tepore i pensieri e per cullare via  le mie ore stanche.
Poi la neve smise di cadere e, tramutandosi in una pioggia catartica, si adagiò sui miei capelli bruni bagnandoli di essenza fresca e dolciastra; un tenue soffio di calore mi travolse, facendomi cadere lievemente sul terreno spugnoso e persi i sensi, per un istante solo.
Fu allora che mi voltai indietro e sentii il fiato mancare per un lungo scroscio di tempo.
Una mano eterea aveva sospinto via i pensieri e la mente, svuotata e solitaria, aveva soltanto smesso di correre lontano.









Lottando contro la luce che accecava la vista scorsi ciò che la mia mente non avrebbe mai osato nemmeno immaginare e mi parve di udire il cuore che si frantumava in mille frammenti: accanto alle mie impronte  impresse sulla neve candida ve n’erano altre, eteree e appena tracciate sul manto di malinconica bambagia.
Sensualmente mi avvicinai e le sfiorai con le labbra assetate.
Con gesti antichi affondai il volto dipinto di lacrime sul terreno umido e freddo ed egli, vorace, le bevve via fino all’ultima, asciugando il pianto e riscaldando il cuore.
Poi alzai la testa verso la volta immensa che dominava dall’alto ogni mia singola emozione e ringraziai il cielo grigio, affidandogli preghiere tacite e parole d’amore sommesse.
Guardai per terra e vidi l’impronta delle orme amiche sbiadire piano, come se fosse bastato il mio dolore a colmarne il fondo.
Ma un alito di vento gelido soffiò sui miei pensieri e una voce remota ed impalpabile riecheggiò con forza estrema lungo i corridoi del cuore, svelandomi l’arcano: tu avevi camminato accanto a me per tutto il tempo, fino alla fine del sentiero e accanto a me saresti rimasto, lungo tutto il cammino della vita.

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DAL WEB – IMPAG. T.K.
 









CIAO DA TONY KOSPAN






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Frecce (174)

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“Vedere entrambi i lati” – Un sorprendente e suggestivo racconto della scrittrice giapponese Banana Yoshimoto   Leave a comment

 

 

Penso possa esser interessante conoscere

questa scrittrice giapponese,

i cui libri sono tradotti in tutto il mondo,

attraverso questo suo racconto che ci mostra

una narrazione per noi davvero inconsueta

ma certamente affascinante.

 

 

Banana Yoshimoto  – Tokio 24.7.1964 – Scrittrice Giapponese


 




VEDERE ENTRAMBI I LATI

Banana Yoshimoto
  
 
 
 


 
 
 
 Io cerco dei vestiti che siano perfetti per me, ma non li trovo da nessuna parte forme, tessuti e colori capaci di esprimere tutto quello che ho dentro vestiti che dicano che sono viva qui, in questo momento provo a mettere insieme tutte le immagini che conosco, ma non funziona in questo paese, oggi, nemmeno i miei genitori riescono a trovarli.


 
 
Come una bambola kokeshi
come un uovo sodo senza il guscio
come un feto in attesa di venire alla luce
aspetto qualcosa come un pulcino appena nato ancora bagnato
ho il presentimento delle cose lieti
e delle cose tristi che stanno per accadere
neanche questo riesco a esprimere in parole, non ancora
ma mi batte il cuore, sono viva. 


 


In questo paese, indipendentemente da dove si nasce siamo pressati, incalzati, costretti in una forma anche nella più remota campagna, è un susseguirsi di stradoni diritti e anonimi ed enormi negozi di cattivo gusto ma se guardo il verde delle montagne fitte di alberi mi vengono le lacrime agli occhi una piccola cascata che mi sembra un giocattolo il colore grigio del mare tranquillo come un lago amo questa natura delicata che c’è solo qui da noi.
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Sono tempi in cui può accadere di tutto si organizzano con grande impegno convegni in difesa degli uccellini mentre i bambini uccidono i gatti la gente partecipa con gioia a un’antica festa popolare portando a spalle il palanchino sacro, e intanto qualcuno mette il veleno nel cibo di tutti molti dicono che non sanno più in cosa credere.
Forse non c’entra molto, ma c’è la madre di una mia amica che ha sempre le unghie perfettamente in ordine la sua cucina, che non viene mai usata, è tutta scintillante da loro si mangiano solo cibi comprati già pronti in raffinati negozi di gastronomia e pane francese che si fanno recapitare a casa appena sfornato ma la mia amica è amata.
Mia madre è di famiglia contadina, la mia cucina è sempre schizzata di grasso lei fa da mangiare riso bianco, tempura e verdure in salamoia, 챔 una cuoca fantastica anch’io sono amata. Più che gli aspetti negativi delle differenze conta la possibilità di coltivare l’amore e di capirsi l’uno con l’altro la possibilità di crescere in quest’epoca che si muove vertiginosamente, non faccio che vedere gente, tante persone tutte diverse e posso incontrarle senza paura, da qualunque posto vengano, qualunque sia il loro aspetto seguendo l’istinto, abbandonando i pregiudizi la nostra anima diventa sempre più meravigliosa.

 
 
Mi piace mangiare,
prendermela comoda,
stare in salute,
essere approvata dagli altri, il denaro,
evitare di vedere le cose brutte,
ma non è per questo che vivo.
Per fare quello che mi interessa davvero
posso anche non mangiare, avere guai,
ammalarmi,
essere criticata, restare senza un soldo,
vedere un sacco di cose brutte
fa lo stesso.


 


Sono fiera di questa mia convinzione, per infantile che sia vivere è vedere entrambi i lati delle cose non è mica roba da poco vorrei che tv e giornali smettessero di raccontare solo cose tristi in questo mio nuovo viaggio che è ancora appena all’inizio.

 
 

 
 
 

Banana Yoshimoto (dal libro Bambole Kokeshi)




F I N E


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L’UOMO CHE NON CREDEVA NELL’AMORE – Mi pare molto bello questo racconto.. ma voi cosa ne pensate?   3 comments








Perdete qualche minuto a leggere questa storia, è molto bella e mi piacerebbe sapere cosa ne pensate.

Posso dire solo che mi piace molto…. e che mi appare molto meno banale di quanto sembra.

Leggetelo fino alla fine, perché è lì, alla fine, la seconda chiave del racconto.








L’UOMO CHE NON CREDEVA NELL’AMORE
Miguel Ruiz



Voglio raccontarvi una storia molto antica su un uomo che non credeva nell’amore.
Si trattava di un uomo comune, proprio come voi e me, ma ciò che lo rendeva speciale era il suo modo di pensare: 
era convinto che l’amore non esistesse.
Naturalmente l’aveva cercato a lungo, aveva osservato le persone intorno a sé, trascorrendo gran parte della vita in cerca d’amore, solo per scoprire che l’amore non esisteva.
Dovunque andasse, diceva a tutti che l’amore è soltanto un’invenzione dei poeti e delle religioni, usata per manipolare la debole mente umana, per controllare le persone. Diceva che l’amore non è reale, e per questo è impossibile trovarlo quando lo si cerca.
Era un uomo molto intelligente e riusciva ad essere convincente. 
Lesse una quantità di libri, frequentò le migliori università e diventò un rinomato studioso. 
Poteva parlare ovunque, davanti a qualunque pubblico, e la sua logica era inoppugnabile. Diceva che l’amore è come una droga: ti fa sentire bene, ma crea una dipendenza.
E cosa succede se una persona diventa dipendente dall’amore, e poi non riceve la sua dose quotidiana? 
Quell’uomo diceva che la maggior parte dei rapporti d’amore è come il rapporto che c’è tra un tossicodipendente e il suo spacciatore.
Quello dei due che ha il bisogno maggiore è il drogato, e l’altro assume il ruolo dello spacciatore. 
Quest’ultimo è quello che controlla il rapporto.
è una dinamica facilmente osservabile, perché in ogni relazione di solito c’è uno che ama di più e un altro che si limita a ricevere, ad approfittare di chi gli ha donato il suo cuore. è facile vedere come si manipolano a vicenda, tramite le loro azioni e reazioni, proprio come un drogato e uno spacciatore.
Il tossicodipendente, quello che ha il bisogno maggiore, vive con il timore costante di non ricevere la prossima dose d’amore.
Pensa: “Cosa farò se mi lascia?”. 
E tale paura lo rende possessivo. Diventa geloso ed esigente. 
Lo spacciatore comunque può sempre manipolarlo, dandogli dosi maggiori o minori, oppure negandogliele del tutto. 
La persona con il bisogno maggiore si arrende ed accetta di fare qualunque cosa pur di non essere abbandonata.
L’uomo della nostra storia continuava a spiegare a tutti perché l’amore non esiste.
“Ciò che gli uomini chiamano amore è solo una relazione basata sul controllo e sulla paura. 
Dov’è il rispetto? Dov’è l’amore che dichiariamo di provare? Non esiste.”
Le giovani coppie, davanti a un simulacro di Dio, e davanti alle loro famiglie e agli amici, si scambiano una quantità di promesse: di vivere insieme per sempre, di amarsi e rispettarsi l’un l’altro, di restare uniti nella salute e nella malattia. 
Promettono di amare e onorare l’altro… promesse e ancora promesse.
La cosa stupefacente è che credono davvero in ciò che promettono.
Ma dopo il matrimonio, dopo una settimana, un mese o alcuni mesi, le promesse vengono infrante una dopo l’altra.
Scoppia una guerra di potere, di manipolazione, per stabilire chi è il drogato e chi lo spacciatore. 
Pochi mesi dopo le nozze, il rispetto che avevano giurato di mantenere l’uno per l’altra è scomparso. 
Resta il risentimento, il veleno, il modo in cui si fanno male a vicenda, finché ad un certo punto, senza che se ne rendano conto, l’amore finisce.
I due restano insieme perché hanno paura di restare soli, temono i giudizi degli altri e anche i propri. 
Ma dov’è l’amore?
Quell’uomo sosteneva di conoscere molte coppie anziane che avevano vissuto insieme per trenta o quarant’anni, e ne erano molto fiere.
Ma quando parlavano del loro rapporto dicevano: “Siamo sopravvissuti al matrimonio”. 
Ciò significava che uno dei due a un certo punto si era arreso all’altro. 
La persona con la volontà più forte aveva vinto la guerra. Ma dov’era la fiamma che chiamavano amore? 
Si trattavano come una proprietà, l’uno dell’altro. “Lui è mio”. “Lei è mia”.
L’uomo spiegava senza fine tutte le ragioni per cui non credeva nell’esistenza dell’amore, e diceva: “Io ho già vissuto situazioni del genere e non permetterò più a nessuno di manipolare la mia mente, di controllare la mia vita in nome dell’amore”.
Le sue argomentazioni erano logiche e convincevano molte persone.








Poi un giorno, mentre quell’uomo camminava in un parco, vide una bella donna in lacrime seduta su una panchina. 
Si incuriosì e avvicinatosi le chiese se poteva aiutarla.
Potete immaginare la sua sorpresa quando lei rispose che piangeva perché aveva scoperto che l’amore non esiste.
L’uomo disse: “Stupefacente. Una donna che non crede nell’esistenza dell’amore”.
Naturalmente volle subito sapere qualcosa di più.
“Perché dici che l’amore non esiste?” chiese.
“E’ una lunga storia” rispose lei. “Mi sono sposata molto giovane, piena di amore e di illusioni. 
Credevo che avrei condiviso tutta la vita con mio marito. 
Ci giurammo reciprocamente fedeltà e rispetto e creammo una famiglia. 
Ma presto tutto cambiò. Io ero la moglie devota che si occupava della casa e dei bambini. 
Mio marito continuò a seguire la sua carriera. Il suo successo e la sua immagine esteriore per lui erano più importanti della famiglia. 
Smise di rispettarmi e io smisi di rispettare lui. 
Ci facemmo del male a vicenda e un giorno scoprii che non lo amavo più e che neppure lui mi amava. 
Ma i bambini avevano bisogno di un padre e quella fu la scusa che adottai per non lasciarlo, facendo anzi di tutto per sostenerlo.
Ora i bambini sono diventati adulti e se ne sono andati. 
Non ho più scuse per restare con lui. Tra noi non c’è rispetto né gentilezza. 
So anche che se trovassi un altro sarebbe la stessa cosa, perché l’amore non esiste. 
Non ha senso cercare ciò che non esiste e per questo piango”.
L’uomo la comprendeva benissimo. 
L’abbracciò e disse: “Hai ragione, l’amore non esiste. 
Lo cerchiamo, apriamo il nostro cuore, ci rendiamo vulnerabili e troviamo solo egoismo. 
Questo ci fa del male anche quando pensiamo di esserne usciti indenni. 
Non importa quante volte ci proviamo, accade sempre la stessa cosa. 
Perché allora continuare a cercare l’amore?”.
Erano così simili che diventarono grandi amici.
Il loro era un rapporto meraviglioso. Si rispettavano e nessuno dei due cercava di prevalere sull’altro. 
Ogni passo che facevano assieme li rendeva felici. Tra loro non c’era invidia né gelosia, non c’era controllo né possesso.
La relazione continuava a crescere. Amavano stare insieme, perché si divertivano molto. 
Quando erano soli ciascuno sentiva la mancanza dell’altro.
Un giorno, mentre l’uomo era fuori città, gli venne un’idea assurda.
“Forse ciò che sento per lei è amore”, pensò.








“Ma è così diverso da ciò che ho provato in passato. 
Non è ciò che dicono i poeti, o la religione, perché io non mi sento responsabile per lei. 
Non le chiedo nulla e non ho bisogno che si occupi di me. Non sento la necessità di incolparla dei miei problemi. Insieme stiamo bene e ci divertiamo. Io rispetto il suo modo di pensare e lei non mi mette mai in imbarazzo. 
Non mi sento geloso quando è con altri e non invidio i suoi successi. 
Forse l’amore esiste davvero, alla fine, ma non è ciò che tutti credono che sia”.
Non vedeva l’ora di tornare a casa e parlare con la donna, per raccontarle dei suoi strani pensieri. 
Appena cominciarono a parlare, lei disse: “So esattamente a cosa ti riferisci. 
Forse dopotutto l’amore esiste, ma non è ciò che pensavamo che fosse”.
I due decisero di diventare amanti e di vivere insieme, e sorprendentemente le cose tra loro non cambiarono. 
Continuavano a rispettarsi e a sostenersi e l’amore cresceva sempre di più.
Anche le cose più semplici li facevano gioire, perché si amavano ed erano felici. 
Il cuore dell’uomo era così pieno d’amore che una notte accadde un grande miracolo. 
Era intento a guardare le stelle e ne vide una bellissima. Il suo amore era così forte che la stella scese dal cielo e finì nelle sue mani. Quindi accadde un altro miracolo e la sua anima si fuse con la stella.
La sua felicità era intensa, e andò subito dalla donna per mettere la stella nelle sue mani. 
Non appena lo fece, lei ebbe un momento di dubbio: quell’amore era troppo forte. 
Non appena quel pensiero le attraversò la mente, la stella le cadde di mano e si ruppe in un milione di pezzi.
Ora c’è un vecchio che gira per il mondo giurando che l’amore non esiste.
E in una casa c’è una donna anziana che aspetta un uomo, versando lacrime amare per il paradiso che aveva tenuto tra le mani, perdendolo in un momento di dubbio.
Questa è la storia dell’uomo che non credeva nell’amore.
Di chi fu l’errore? Cosa non funzionò?








Fu l’uomo a sbagliare, pensando di poter dare alla donna la sua felicità.
La sua felicità era la stella e l’errore fu quello di mettere la stella nelle mani della donna.
La felicità non viene mai dal di fuori.
L’uomo era felice per tutto l’amore che proveniva da se stesso.
La donna era felice per tutto l’amore che proveniva da lei.
Ma appena lui la rese responsabile della propria felicità, lei ruppe la stella, perché non poteva farsi carico della felicità di un altro essere.
Indipendentemente da quanto lo amasse, non avrebbe potuto renderlo felice, perché non poteva sapere ciò che lui aveva in mente, non poteva conoscere le sue aspettative, i suoi sogni.
Se prendete la vostra felicità e la mettete nelle mani di un’altra persona, prima o poi quella persona la distruggerà.
Se la felicità invece vive dentro di voi, siete voi ad esserne responsabili.
Non possiamo rendere nessuno responsabile della nostra felicità, ma quando andiamo in chiesa e ci sposiamo, la prima cosa che facciamo è quella di scambiarci gli anelli.
Mettiamo la nostra stella nelle mani dell’altro, sperando che ci renda felici e che noi renderemo felici lui, o lei.
Ma indipendentemente da quanto amate un’altra persona, non sarete mai ciò che quella persona vuole che siate.
Questo è l’errore che quasi tutti facciamo fin dall’inizio.
Basiamo la nostra felicità sul partner.
Trovate la vostra stella e tenetela nel cuore… sarà la sua luce a trasmettere l’amore… perché…

L’AMORE ESISTE!







Miguel Ruiz dal libro “La padronanza dell’amore”




Ciao da Tony Kospan





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L’ALBERO ED IL BAMBINO – Simpatico e famoso racconto che ci parla dell’amore della natura per noi   Leave a comment




Un bellissimo racconto
che ci parla dell’amore della natura per noi…
(che purtroppo la maltrattiamo).







L’ALBERO ED IL BAMBINO

Shel Silverstein








C’era una volta un albero che amava un bambino.
Il bambino veniva a visitarlo tutti i giorni.
Raccoglieva le sue foglie con le quali intrecciava delle corone per giocare al re della foresta. Si arrampicava sul suo tronco e dondolava attaccato ai suoi rami.
Mangiava i suoi frutti e poi, insieme, giocavano a nascondino.
Quando era stanco, il bambino si addormentava all’ombra dell’albero, mentre le fronde gli cantavano la ninna-nanna.
Il bambino amava l’albero con tutto il suo piccolo cuore. L’albero era felice.
Ma il tempo passò e il bambino crebbe.
Ora che il bambino era grande, l’albero rimaneva spesso solo.
Un giorno il bambino venne a vedere l’albero e l’albero gli disse: “Avvicinati, bambino mio, arrampicati sul mio tronco e fai l’altalena con i miei rami, mangia i miei frutti, gioca alla mia ombra e sii felice”.
Voglio dei soldi
“Sono troppo grande per arrampicarmi sugli alberi e per giocare”, disse il bambino.
“Io voglio comprarmi delle cose e divertirmi. Voglio dei soldi. Puoi darmi dei soldi?”
“Mi dispiace”, rispose l’albero, “ma io non ho dei soldi. Ho solo foglie e frutti. Prendi i miei frutti, bambino mio, va a venderli in citta’. Cosi’ avrai dei soldi e sarai felice”.
Allora il bambino si arrampico’ sull’albero, raccolse tutti i frutti e li portò via.
E l’albero fu felice.
Voglio una casa
Ma il bambino rimase molto tempo senza ritornare…. E l’albero divenne triste.
Poi un giorno il bambino torno’; l’albero tremo’ di gioia e disse:
“Avvicinati bambino mio, arrampicati sul mio tronco e fai l’altalena con i miei rami e sii felice”.
“Ho troppo da fare e non ho tempo di arrampicarmi sugli alberi”, rispose il bambino, “Voglio una casa che mi ripari”, continuo’ “Voglio una moglie e voglio dei bambini, ho dunque bisogno di una casa. Puoi darmi una casa?”.
“Io non ho una casa”, disse l’albero: “La mia casa e’ il bosco, ma tu puoi tagliare i miei rami e costruirti una casa. Allora sarai felice”.
Il bambino taglio tutti i rami e li porto’ via per costruirsi una casa.
E l’albero fu felice.
Voglio una barca per fuggire
Per molto tempo il bambino non venne. Quando torno’, l’albero era cosi’ felice che riusciva a mala pena a parlare.
“Avvicinati, bambino mio”, mormoro’, “vieni a giocare”.
“Sono troppo vecchio e troppo triste per giocare” disse il bambino.
“Voglio una barca per fuggire lontano di qui. Tu puoi darmi una barca?”.
“Taglia il mio tronco e fatti una barca”, disse l’albero: “Cosi’ potrai andartene ed essere felice”. Allora il bambino taglio’ il tronco e si fece una barca per fuggire.
E l’albero fu felice….ma non del tutto.
Voglio riposare
Molto tempo dopo, il bambino tornò ancora.
“Mi dispiace, bambino mio”, disse l’albero “ma non resta piu’ niente da donarti… Non ho piu’ frutti”. “I miei denti sono troppo deboli per dei frutti”, disse il bambino. “Non ho piu’ rami”, continuo’ l’albero “non puoi piu’ dondolarti”..
“Sono troppo vecchio per dondolarmi sui rami”, disse il bambino. “Non ho piu’ tronco”, disse l’albero. “Non puoi piu’ arrampicarti”. “Sono troppo stanco per arrampicarmi”, disse il bambino. “Sono desolato”, sospiro’ l’albero. “Vorrei tanto donarti qualcosa….ma non ho piu’ niente. Sono solo un vecchio ceppo. Mi rincresce tanto….”.
“Non ho piu’ bisogno di molto, ormai”, disse il bambino. “Solo un posticino tranquillo per sedermi e riposarmi. Mi sento molto stanco”.
“Ebbene”, disse l’albero, raddrizzandosi quanto poteva “ebbene, un vecchio ceppo e quel che ci vuole per sedersi e riposarsi. Avvicinati, bambino mio, siediti, Siediti e riposati”.

Così fece il bambino.
E l’albero fu felice.






Ciao da Tony Kospan





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PIOGGIA DI ROSE – Un bel Racconto di Antonia Arslan con i ricordi della bambina di un tempo   Leave a comment








PIOGGIA DI ROSE
di Antonia Arslan *



Avevo appena imparato a leggere, dopo aver imbrogliato per molti mesi nonni e zii, facendo finta di capire la prima pagina di un numero del “Corriere dei Piccoli” che amavo moltissimo, e che sapevo a memoria.
Allora stavamo al Dolo, sulla Riviera del Brenta. 
E dopo pochi giorni di scuola, scoprii la cartolibreria di fronte al canale. 
Sul davanti, era un negozio come tanti altri; ma dietro, c’era un retrobottega odoroso di legno e di libri, il profumo della felicità. 
Mi arrampicavo sulla vecchia scaletta di legno con i gradini scricchiolanti (e dal tipo di rumore il vecchio signir Arrigom il proprietario, sapeva su quale scalino ero arrampicata, e a volte veniva a tirarmi giù: 
“No la xe par ti, sta roba”, diceva con autorità).




Dipinto di Cafiero Filippelli




Ma un giorno trovai Pioggia di Rose, una raccolta di novelle di Ferenc Herczeg, edizione Corticelli.
Mi innamorai di ogni storia di quel libro. 
Mi piaceva ogni cosa: la copertina un po’ rigida, le illustrazioni dal segno netto, senza sfumature, le pagine dalla stampa ben spaziata, che si leggeva facilmente; e soprattutto il titolo.
E lo lessi tutto, seduta sulla scaletta, finché un pomeriggio trovai il coraggio di chiedere al signor Arrigo se mi permetteva di portarmelo a casa.
“Certo” rispose “ma prima, sai, devi pagarmelo. Ricordati che chi legge, paga.”



(Racconto breve tratto da “Il cortile dei girasoli parlanti” e rinvenuto nel web)





Antonia Arslan



*Antonia Arslan è una scrittrice, traduttrice e accademica italiana di origini armene. 
Laureata in archeologia, ha insegnato per molti anni Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Padova.




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Passi nella neve – Un racconto bello e suggestivo.. d’amore e di mistero   1 comment

 

 

Davvero un racconto bello e suggestivo

pieno di fascino… mistero e… amore.

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PASSI NELLA NEVE

Paola Mastrorilli

 

 RACCONTO DEL MISTERO

 
 
 
La neve cadeva soffice, a coprire ogni cosa col suo manto di zucchero a velo ed io camminavo da sola lungo il selciato, seguendo le orme che io stessa avevo lasciato il giorno prima quando, in preda ai capricci di un dolore antico, avevo preso a camminare senza meta lungo i sentieri dei ricordi.
Il freddo era pungente e il dolore sferzante; chiudevo i pensieri in granelli di luce e li cospargevo per terra, come a voler concimare con essi il terreno.
 Infagottata in un cappotto asfittico non smettevo di ricordare noi, i tuoi baci lievi sulle mie labbra turgide, le tue mani sfrenate a cercare nuovi angoli del corpo da far fremere, la tua voglia di danzare e danzare… assieme, io e te, da soli, al centro della foresta incantata, dalla neve sfiorata.

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E la neve cadeva soffice a rivestire gli alberi con pennellate di morbida ovatta.
Ed io passeggiavo da sola, ricalcando con la mente i nostri giorni assieme, schiudendo il lucchetto alla gioia dei sorrisi lanciati a briglia sciolte verso l’orizzonte e raccogliendo i granelli di dolore sparsi per terra per trasformarli in sogni nuovi.
Nutrivo la speranza di un domani diverso, tra le braccia di chi potesse amarmi, con l’assoluta certezza che sarei arrivata alla fine del sentiero, senza nemmeno accorgermene.
E lì, lo sapevo, avrei trovato un nuovo sole, al di là delle fronde, ad aspettarmi per farcire di tepore i pensieri e per cullare via  le mie ore stanche.
Poi la neve smise di cadere e, tramutandosi in una pioggia catartica, si adagiò sui miei capelli bruni bagnandoli di essenza fresca e dolciastra; un tenue soffio di calore mi travolse, facendomi cadere lievemente sul terreno spugnoso e persi i sensi, per un istante solo.
Fu allora che mi voltai indietro e sentii il fiato mancare per un lungo scroscio di tempo.
Una mano eterea aveva sospinto via i pensieri e la mente, svuotata e solitaria, aveva soltanto smesso di correre lontano.









Lottando contro la luce che accecava la vista scorsi ciò che la mia mente non avrebbe mai osato nemmeno immaginare e mi parve di udire il cuore che si frantumava in mille frammenti: accanto alle mie impronte  impresse sulla neve candida ve n’erano altre, eteree e appena tracciate sul manto di malinconica bambagia.
Sensualmente mi avvicinai e le sfiorai con le labbra assetate.
Con gesti antichi affondai il volto dipinto di lacrime sul terreno umido e freddo ed egli, vorace, le bevve via fino all’ultima, asciugando il pianto e riscaldando il cuore.
Poi alzai la testa verso la volta immensa che dominava dall’alto ogni mia singola emozione e ringraziai il cielo grigio, affidandogli preghiere tacite e parole d’amore sommesse.
Guardai per terra e vidi l’impronta delle orme amiche sbiadire piano, come se fosse bastato il mio dolore a colmarne il fondo.
Ma un alito di vento gelido soffiò sui miei pensieri e una voce remota ed impalpabile riecheggiò con forza estrema lungo i corridoi del cuore, svelandomi l’arcano: tu avevi camminato accanto a me per tutto il tempo, fino alla fine del sentiero e accanto a me saresti rimasto, lungo tutto il cammino della vita.

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DAL WEB – IMPAG. T.K.
 









CIAO DA TONY KOSPAN






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Frecce (174)

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“Vedere entrambi i lati” – L’originale e suggestivo racconto della scrittrice giapponese Banana Yoshimoto   Leave a comment

 

 

Penso possa esser interessante conoscere

questa scrittrice giapponese,

i cui libri sono tradotti in tutto il mondo,

attraverso questo suo racconto che ci mostra

una narrazione per noi davvero inconsueta

ma certamente affascinante.

 

 

Banana Yoshimoto  – Tokio 24.7.1964 – Scrittrice Giapponese


 




VEDERE ENTRAMBI I LATI

Banana Yoshimoto
  
 
 
 


 
 
 
 Io cerco dei vestiti che siano perfetti per me, ma non li trovo da nessuna parte forme, tessuti e colori capaci di esprimere tutto quello che ho dentro vestiti che dicano che sono viva qui, in questo momento provo a mettere insieme tutte le immagini che conosco, ma non funziona in questo paese, oggi, nemmeno i miei genitori riescono a trovarli.


 
 
Come una bambola kokeshi
come un uovo sodo senza il guscio
come un feto in attesa di venire alla luce
aspetto qualcosa come un pulcino appena nato ancora bagnato
ho il presentimento delle cose lieti
e delle cose tristi che stanno per accadere
neanche questo riesco a esprimere in parole, non ancora
ma mi batte il cuore, sono viva. 


 


In questo paese, indipendentemente da dove si nasce siamo pressati, incalzati, costretti in una forma anche nella più remota campagna, è un susseguirsi di stradoni diritti e anonimi ed enormi negozi di cattivo gusto ma se guardo il verde delle montagne fitte di alberi mi vengono le lacrime agli occhi una piccola cascata che mi sembra un giocattolo il colore grigio del mare tranquillo come un lago amo questa natura delicata che c’è solo qui da noi.
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Sono tempi in cui può accadere di tutto si organizzano con grande impegno convegni in difesa degli uccellini mentre i bambini uccidono i gatti la gente partecipa con gioia a un’antica festa popolare portando a spalle il palanchino sacro, e intanto qualcuno mette il veleno nel cibo di tutti molti dicono che non sanno più in cosa credere.
Forse non c’entra molto, ma c’è la madre di una mia amica che ha sempre le unghie perfettamente in ordine la sua cucina, che non viene mai usata, è tutta scintillante da loro si mangiano solo cibi comprati già pronti in raffinati negozi di gastronomia e pane francese che si fanno recapitare a casa appena sfornato ma la mia amica è amata.
Mia madre è di famiglia contadina, la mia cucina è sempre schizzata di grasso lei fa da mangiare riso bianco, tempura e verdure in salamoia, 챔 una cuoca fantastica anch’io sono amata. Più che gli aspetti negativi delle differenze conta la possibilità di coltivare l’amore e di capirsi l’uno con l’altro la possibilità di crescere in quest’epoca che si muove vertiginosamente, non faccio che vedere gente, tante persone tutte diverse e posso incontrarle senza paura, da qualunque posto vengano, qualunque sia il loro aspetto seguendo l’istinto, abbandonando i pregiudizi la nostra anima diventa sempre più meravigliosa.

 
 
Mi piace mangiare,
prendermela comoda,
stare in salute,
essere approvata dagli altri, il denaro,
evitare di vedere le cose brutte,
ma non è per questo che vivo.
Per fare quello che mi interessa davvero
posso anche non mangiare, avere guai,
ammalarmi,
essere criticata, restare senza un soldo,
vedere un sacco di cose brutte
fa lo stesso.


 


Sono fiera di questa mia convinzione, per infantile che sia vivere è vedere entrambi i lati delle cose non è mica roba da poco vorrei che tv e giornali smettessero di raccontare solo cose tristi in questo mio nuovo viaggio che è ancora appena all’inizio.

 
 

 
 
 

Banana Yoshimoto (dal libro Bambole Kokeshi)



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L’UOMO CHE NON CREDEVA NELL’AMORE – Davvero molto bello questo racconto di M. Ruiz – Cosa ne pensate?   Leave a comment








Perdete qualche minuto a leggere questa storia, è molto bella e mi piacerebbe sapere cosa ne pensate.

Posso dire solo che mi piace molto…. e che mi appare molto meno banale di quanto sembra.

Leggetelo fino alla fine, perché è lì, alla fine, la seconda chiave del racconto.








L’UOMO CHE NON CREDEVA NELL’AMORE
Miguel Ruiz



Voglio raccontarvi una storia molto antica su un uomo che non credeva nell’amore.
Si trattava di un uomo comune, proprio come voi e me, ma ciò che lo rendeva speciale era il suo modo di pensare: 
era convinto che l’amore non esistesse.
Naturalmente l’aveva cercato a lungo, aveva osservato le persone intorno a sé, trascorrendo gran parte della vita in cerca d’amore, solo per scoprire che l’amore non esisteva.
Dovunque andasse, diceva a tutti che l’amore è soltanto un’invenzione dei poeti e delle religioni, usata per manipolare la debole mente umana, per controllare le persone. Diceva che l’amore non è reale, e per questo è impossibile trovarlo quando lo si cerca.
Era un uomo molto intelligente e riusciva ad essere convincente. 
Lesse una quantità di libri, frequentò le migliori università e diventò un rinomato studioso. 
Poteva parlare ovunque, davanti a qualunque pubblico, e la sua logica era inoppugnabile. Diceva che l’amore è come una droga: ti fa sentire bene, ma crea una dipendenza.
E cosa succede se una persona diventa dipendente dall’amore, e poi non riceve la sua dose quotidiana? 
Quell’uomo diceva che la maggior parte dei rapporti d’amore è come il rapporto che c’è tra un tossicodipendente e il suo spacciatore.
Quello dei due che ha il bisogno maggiore è il drogato, e l’altro assume il ruolo dello spacciatore. 
Quest’ultimo è quello che controlla il rapporto.
è una dinamica facilmente osservabile, perché in ogni relazione di solito c’è uno che ama di più e un altro che si limita a ricevere, ad approfittare di chi gli ha donato il suo cuore. è facile vedere come si manipolano a vicenda, tramite le loro azioni e reazioni, proprio come un drogato e uno spacciatore.
Il tossicodipendente, quello che ha il bisogno maggiore, vive con il timore costante di non ricevere la prossima dose d’amore.
Pensa: “Cosa farò se mi lascia?”. 
E tale paura lo rende possessivo. Diventa geloso ed esigente. 
Lo spacciatore comunque può sempre manipolarlo, dandogli dosi maggiori o minori, oppure negandogliele del tutto. 
La persona con il bisogno maggiore si arrende ed accetta di fare qualunque cosa pur di non essere abbandonata.
L’uomo della nostra storia continuava a spiegare a tutti perché l’amore non esiste.
“Ciò che gli uomini chiamano amore è solo una relazione basata sul controllo e sulla paura. 
Dov’è il rispetto? Dov’è l’amore che dichiariamo di provare? Non esiste.”
Le giovani coppie, davanti a un simulacro di Dio, e davanti alle loro famiglie e agli amici, si scambiano una quantità di promesse: di vivere insieme per sempre, di amarsi e rispettarsi l’un l’altro, di restare uniti nella salute e nella malattia. 
Promettono di amare e onorare l’altro… promesse e ancora promesse.
La cosa stupefacente è che credono davvero in ciò che promettono.
Ma dopo il matrimonio, dopo una settimana, un mese o alcuni mesi, le promesse vengono infrante una dopo l’altra.
Scoppia una guerra di potere, di manipolazione, per stabilire chi è il drogato e chi lo spacciatore. 
Pochi mesi dopo le nozze, il rispetto che avevano giurato di mantenere l’uno per l’altra è scomparso. 
Resta il risentimento, il veleno, il modo in cui si fanno male a vicenda, finché ad un certo punto, senza che se ne rendano conto, l’amore finisce.
I due restano insieme perché hanno paura di restare soli, temono i giudizi degli altri e anche i propri. 
Ma dov’è l’amore?
Quell’uomo sosteneva di conoscere molte coppie anziane che avevano vissuto insieme per trenta o quarant’anni, e ne erano molto fiere.
Ma quando parlavano del loro rapporto dicevano: “Siamo sopravvissuti al matrimonio”. 
Ciò significava che uno dei due a un certo punto si era arreso all’altro. 
La persona con la volontà più forte aveva vinto la guerra. Ma dov’era la fiamma che chiamavano amore? 
Si trattavano come una proprietà, l’uno dell’altro. “Lui è mio”. “Lei è mia”.
L’uomo spiegava senza fine tutte le ragioni per cui non credeva nell’esistenza dell’amore, e diceva: “Io ho già vissuto situazioni del genere e non permetterò più a nessuno di manipolare la mia mente, di controllare la mia vita in nome dell’amore”.
Le sue argomentazioni erano logiche e convincevano molte persone.








Poi un giorno, mentre quell’uomo camminava in un parco, vide una bella donna in lacrime seduta su una panchina. 
Si incuriosì e avvicinatosi le chiese se poteva aiutarla.
Potete immaginare la sua sorpresa quando lei rispose che piangeva perché aveva scoperto che l’amore non esiste.
L’uomo disse: “Stupefacente. Una donna che non crede nell’esistenza dell’amore”.
Naturalmente volle subito sapere qualcosa di più.
“Perché dici che l’amore non esiste?” chiese.
“E’ una lunga storia” rispose lei. “Mi sono sposata molto giovane, piena di amore e di illusioni. 
Credevo che avrei condiviso tutta la vita con mio marito. 
Ci giurammo reciprocamente fedeltà e rispetto e creammo una famiglia. 
Ma presto tutto cambiò. Io ero la moglie devota che si occupava della casa e dei bambini. 
Mio marito continuò a seguire la sua carriera. Il suo successo e la sua immagine esteriore per lui erano più importanti della famiglia. 
Smise di rispettarmi e io smisi di rispettare lui. 
Ci facemmo del male a vicenda e un giorno scoprii che non lo amavo più e che neppure lui mi amava. 
Ma i bambini avevano bisogno di un padre e quella fu la scusa che adottai per non lasciarlo, facendo anzi di tutto per sostenerlo.
Ora i bambini sono diventati adulti e se ne sono andati. 
Non ho più scuse per restare con lui. Tra noi non c’è rispetto né gentilezza. 
So anche che se trovassi un altro sarebbe la stessa cosa, perché l’amore non esiste. 
Non ha senso cercare ciò che non esiste e per questo piango”.
L’uomo la comprendeva benissimo. 
L’abbracciò e disse: “Hai ragione, l’amore non esiste. 
Lo cerchiamo, apriamo il nostro cuore, ci rendiamo vulnerabili e troviamo solo egoismo. 
Questo ci fa del male anche quando pensiamo di esserne usciti indenni. 
Non importa quante volte ci proviamo, accade sempre la stessa cosa. 
Perché allora continuare a cercare l’amore?”.
Erano così simili che diventarono grandi amici.
Il loro era un rapporto meraviglioso. Si rispettavano e nessuno dei due cercava di prevalere sull’altro. 
Ogni passo che facevano assieme li rendeva felici. Tra loro non c’era invidia né gelosia, non c’era controllo né possesso.
La relazione continuava a crescere. Amavano stare insieme, perché si divertivano molto. 
Quando erano soli ciascuno sentiva la mancanza dell’altro.
Un giorno, mentre l’uomo era fuori città, gli venne un’idea assurda.
“Forse ciò che sento per lei è amore”, pensò.








“Ma è così diverso da ciò che ho provato in passato. 
Non è ciò che dicono i poeti, o la religione, perché io non mi sento responsabile per lei. 
Non le chiedo nulla e non ho bisogno che si occupi di me. Non sento la necessità di incolparla dei miei problemi. Insieme stiamo bene e ci divertiamo. Io rispetto il suo modo di pensare e lei non mi mette mai in imbarazzo. 
Non mi sento geloso quando è con altri e non invidio i suoi successi. 
Forse l’amore esiste davvero, alla fine, ma non è ciò che tutti credono che sia”.
Non vedeva l’ora di tornare a casa e parlare con la donna, per raccontarle dei suoi strani pensieri. 
Appena cominciarono a parlare, lei disse: “So esattamente a cosa ti riferisci. 
Forse dopotutto l’amore esiste, ma non è ciò che pensavamo che fosse”.
I due decisero di diventare amanti e di vivere insieme, e sorprendentemente le cose tra loro non cambiarono. 
Continuavano a rispettarsi e a sostenersi e l’amore cresceva sempre di più.
Anche le cose più semplici li facevano gioire, perché si amavano ed erano felici. 
Il cuore dell’uomo era così pieno d’amore che una notte accadde un grande miracolo. 
Era intento a guardare le stelle e ne vide una bellissima. Il suo amore era così forte che la stella scese dal cielo e finì nelle sue mani. Quindi accadde un altro miracolo e la sua anima si fuse con la stella.
La sua felicità era intensa, e andò subito dalla donna per mettere la stella nelle sue mani. 
Non appena lo fece, lei ebbe un momento di dubbio: quell’amore era troppo forte. 
Non appena quel pensiero le attraversò la mente, la stella le cadde di mano e si ruppe in un milione di pezzi.
Ora c’è un vecchio che gira per il mondo giurando che l’amore non esiste.
E in una casa c’è una donna anziana che aspetta un uomo, versando lacrime amare per il paradiso che aveva tenuto tra le mani, perdendolo in un momento di dubbio.
Questa è la storia dell’uomo che non credeva nell’amore.
Di chi fu l’errore? Cosa non funzionò?








Fu l’uomo a sbagliare, pensando di poter dare alla donna la sua felicità.
La sua felicità era la stella e l’errore fu quello di mettere la stella nelle mani della donna.
La felicità non viene mai dal di fuori.
L’uomo era felice per tutto l’amore che proveniva da se stesso.
La donna era felice per tutto l’amore che proveniva da lei.
Ma appena lui la rese responsabile della propria felicità, lei ruppe la stella, perché non poteva farsi carico della felicità di un altro essere.
Indipendentemente da quanto lo amasse, non avrebbe potuto renderlo felice, perché non poteva sapere ciò che lui aveva in mente, non poteva conoscere le sue aspettative, i suoi sogni.
Se prendete la vostra felicità e la mettete nelle mani di un’altra persona, prima o poi quella persona la distruggerà.
Se la felicità invece vive dentro di voi, siete voi ad esserne responsabili.
Non possiamo rendere nessuno responsabile della nostra felicità, ma quando andiamo in chiesa e ci sposiamo, la prima cosa che facciamo è quella di scambiarci gli anelli.
Mettiamo la nostra stella nelle mani dell’altro, sperando che ci renda felici e che noi renderemo felici lui, o lei.
Ma indipendentemente da quanto amate un’altra persona, non sarete mai ciò che quella persona vuole che siate.
Questo è l’errore che quasi tutti facciamo fin dall’inizio.
Basiamo la nostra felicità sul partner.
Trovate la vostra stella e tenetela nel cuore… sarà la sua luce a trasmettere l’amore… perché…

L’AMORE ESISTE!







Miguel Ruiz dal libro “La padronanza dell’amore”




Ciao da Tony Kospan





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L’ALBERO ED IL BAMBINO – Questo simpatico e noto racconto ci parla dell’amore della natura per noi   Leave a comment




Un bellissimo racconto
che ci parla dell’amore della natura per noi…
(che purtroppo la maltrattiamo).







L’ALBERO ED IL BAMBINO

Shel Silverstein








C’era una volta un albero che amava un bambino.
Il bambino veniva a visitarlo tutti i giorni.
Raccoglieva le sue foglie con le quali intrecciava delle corone per giocare al re della foresta. Si arrampicava sul suo tronco e dondolava attaccato ai suoi rami.
Mangiava i suoi frutti e poi, insieme, giocavano a nascondino.
Quando era stanco, il bambino si addormentava all’ombra dell’albero, mentre le fronde gli cantavano la ninna-nanna.
Il bambino amava l’albero con tutto il suo piccolo cuore. L’albero era felice.
Ma il tempo passò e il bambino crebbe.
Ora che il bambino era grande, l’albero rimaneva spesso solo.
Un giorno il bambino venne a vedere l’albero e l’albero gli disse: “Avvicinati, bambino mio, arrampicati sul mio tronco e fai l’altalena con i miei rami, mangia i miei frutti, gioca alla mia ombra e sii felice”.
Voglio dei soldi
“Sono troppo grande per arrampicarmi sugli alberi e per giocare”, disse il bambino.
“Io voglio comprarmi delle cose e divertirmi. Voglio dei soldi. Puoi darmi dei soldi?”
“Mi dispiace”, rispose l’albero, “ma io non ho dei soldi. Ho solo foglie e frutti. Prendi i miei frutti, bambino mio, va a venderli in citta’. Cosi’ avrai dei soldi e sarai felice”.
Allora il bambino si arrampico’ sull’albero, raccolse tutti i frutti e li portò via.
E l’albero fu felice.
Voglio una casa
Ma il bambino rimase molto tempo senza ritornare…. E l’albero divenne triste.
Poi un giorno il bambino torno’; l’albero tremo’ di gioia e disse:
“Avvicinati bambino mio, arrampicati sul mio tronco e fai l’altalena con i miei rami e sii felice”.
“Ho troppo da fare e non ho tempo di arrampicarmi sugli alberi”, rispose il bambino, “Voglio una casa che mi ripari”, continuo’ “Voglio una moglie e voglio dei bambini, ho dunque bisogno di una casa. Puoi darmi una casa?”.
“Io non ho una casa”, disse l’albero: “La mia casa e’ il bosco, ma tu puoi tagliare i miei rami e costruirti una casa. Allora sarai felice”.
Il bambino taglio tutti i rami e li porto’ via per costruirsi una casa.
E l’albero fu felice.
Voglio una barca per fuggire
Per molto tempo il bambino non venne. Quando torno’, l’albero era cosi’ felice che riusciva a mala pena a parlare.
“Avvicinati, bambino mio”, mormoro’, “vieni a giocare”.
“Sono troppo vecchio e troppo triste per giocare” disse il bambino.
“Voglio una barca per fuggire lontano di qui. Tu puoi darmi una barca?”.
“Taglia il mio tronco e fatti una barca”, disse l’albero: “Cosi’ potrai andartene ed essere felice”. Allora il bambino taglio’ il tronco e si fece una barca per fuggire.
E l’albero fu felice….ma non del tutto.
Voglio riposare
Molto tempo dopo, il bambino tornò ancora.
“Mi dispiace, bambino mio”, disse l’albero “ma non resta piu’ niente da donarti… Non ho piu’ frutti”. “I miei denti sono troppo deboli per dei frutti”, disse il bambino. “Non ho piu’ rami”, continuo’ l’albero “non puoi piu’ dondolarti”..
“Sono troppo vecchio per dondolarmi sui rami”, disse il bambino. “Non ho piu’ tronco”, disse l’albero. “Non puoi piu’ arrampicarti”. “Sono troppo stanco per arrampicarmi”, disse il bambino. “Sono desolato”, sospiro’ l’albero. “Vorrei tanto donarti qualcosa….ma non ho piu’ niente. Sono solo un vecchio ceppo. Mi rincresce tanto….”.
“Non ho piu’ bisogno di molto, ormai”, disse il bambino. “Solo un posticino tranquillo per sedermi e riposarmi. Mi sento molto stanco”.
“Ebbene”, disse l’albero, raddrizzandosi quanto poteva “ebbene, un vecchio ceppo e quel che ci vuole per sedersi e riposarsi. Avvicinati, bambino mio, siediti, Siediti e riposati”.

Così fece il bambino.
E l’albero fu felice.






Ciao da Tony Kospan





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