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Pascoli giovanissimo detective e “La cavalla storna”   1 comment





POST VARI ARTE E NON CLASSIFIC,



La letteratura e la criminalità, almeno in Italia, non hanno avuto molti e frequenti rapporti tra loro a parte l’omicidio di Pasolini e, ovviamente la letteratura gialla e “noir”.

Ma c’è stato un episodio, circa 150 anni fa, che ha visto un futuro grande poeta coinvolto in una triste vicenda familiare.



POST VARI ARTE E NON CLASSIFIC,



Parlo di Pascoli, dell’omicidio di suo padre da parte di sconosciuti e della mitica poesia “La cavalla storna”, i cui mitici e dolorosi versi abbiamo studiato a scuola.

Ebbene pochi sanno dell’intensa attività di indagine del giovane Giovanni, assieme a suo fratello Raffaele, alla ricerca dei colpevoli dell’omicidio del padre data l’evidente difficoltà o incapacità di scoprire gli autori da parte degli organi di polizia.



POST VARI ARTE E NON CLASSIFIC,




L’omicidio del padre non solo creò uno sconquasso anche economico nella sua famiglia, prima agiata e serena, ma fu anche l’inizio di vari altri lutti.

Il poeta fu presago di questo.

Si racconta infatti che dicesse continuamente “Niente sarà più come prima” dopo la morte del padre Ruggero.

Seguirà infatti ben presto un crollo economico, e poi la morte della madre e di alcuni fratelli.



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Il padre, la madre ed alcuni figli (a destra il piccolo Pascoli)





CHI ERA IL PADRE?


Persona di severi principi morali e di grandi valori aveva però un carattere spigoloso che non lo rendeva amato nella sua comunità benché avesse raggiunto un importante e ben retribuito incarico di amministratore di una importante tenuta.
Anzi prendere il suo posto, può essere stato uno dei possibili moventi insieme a beghe politiche (aveva lasciato il partito repubblicano per quello librale) e altre invidie varie.



POST VARI ARTE E NON CLASSIFIC,
Pascoli da giovane





LE INDAGINI ED I PROCESSI


I silenzi omertosi dei concittadini, di cui parlerà lo stesso Pascoli, non consentirono, insieme ad una certa acquiescenza delle Autorità, la scoperta dei colpevoli benché si siano svolti anche dei processi, caduti però nel vuoto.

Dobbiamo considerare che l’Italia era da poco unita ma era ancora molto povera e sbandata ed in tantissime zone la violenza la faceva ancora da padrone e così anche in Romagna dove si aggiungevano anche contrasti politici.



POST VARI ARTE E NON CLASSIFIC,




LE INDAGINI DEL POETA


Benché giovanissimo il futuro poeta fu subito consapevole della fitta nebbia calata sulla morte del padre ed iniziò, insieme al fratello, serrate indagini facendo domande in giro, ricerche etc.

Raggiunse forse anche la certezza su chi fossero mandante ed esecutori materiali dell’omicidio, come lascia intendere il finale della “Cavalla storna”, ma non ebbe mai prove concrete.

In questo contesto omertoso le indagini dei fratelli Pascoli non solo non furono appoggiate dalla popolazione ma anzi la sua famiglia subì delle minacce e forse fu anche la causa anche della morte di un fratello, tra l’altro quello economicamente più valido, forse ucciso con il veleno.

Questo convinse il poeta alla fine a rinunciar a continuare le indagini ma la morte del padre fu sempre presente nel suo animo come appare in alcuni scritti privati ed ogni tanto fu evocata anche nelle sue poesie.



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Pascoli con le sorelle



LA MITICA POESIA: LA CAVALLA STORNA


Ma ora veniamo all’indimenticabile poesia in cui il delitto è liricamente narrato.



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Nella Torre il silenzio era già alto.
Sussurravano i pioppi del Rio Salto.
I cavalli normanni alle lor poste
frangean la biada con rumor di croste.
Là in fondo la cavalla era, selvaggia,
nata tra i pini su la salsa spiaggia;
che nelle froge avea del mar gli spruzzi
ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.
Con su la greppia un gomito, da essa
era mia madre; e le dicea sommessa:
« O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
tu capivi il suo cenno ed il suo detto!
Egli ha lasciato un figlio giovinetto;
il primo d’otto tra miei figli e figlie;
e la sua mano non toccò mai briglie.
Tu che ti senti ai fianchi l’uragano,
tu dai retta alla sua piccola mano.
Tu c’hai nel cuore la marina brulla,
tu dai retta alla sua voce fanciulla».
La cavalla volgea la scarna testa
verso mia madre, che dicea più mesta:
«O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
lo so, lo so, che tu l’amavi forte!
Con lui c’eri tu sola e la sua morte
O nata in selve tra l’ondate e il vento,
tu tenesti nel cuore il tuo spavento;
sentendo lasso nella bocca il morso,
nel cuor veloce tu premesti il corso:
adagio seguitasti la tua via,
perché facesse in pace l’agonia. . . »
La scarna lunga testa era daccanto
al dolce viso di mia madre in pianto.
«O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
oh! due parole egli dove’ pur dire!
E tu capisci, ma non sai ridire.
Tu con le briglie sciolte tra le zampe,
con dentro gli occhi il fuoco delle vampe,
con negli orecchi l’eco degli scoppi,
seguitasti la via tra gli alti pioppi:
lo riportavi tra il morir del sole,
perché udissimo noi le sue parole».
Stava attenta la lunga testa fiera.
Mia madre l’abbracciò su la criniera.
«O cavallina, cavallina storna,
portavi a casa sua chi non ritorna!
a me, chi non ritornerà più mai!
Tu fosti buona. . . Ma parlar non sai!
Tu non sai, poverina; altri non osa.
Oh! ma tu devi dirmi una una cosa!
Tu l’hai veduto l’uomo che l’uccise:
esso t’è qui nelle pupille fise.
Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.
E tu fa cenno. Dio t’insegni, come».
Ora, i cavalli non frangean la biada:
dormian sognando il bianco della strada.
La paglia non battean con l’unghie vuote:
dormian sognando il rullo delle ruote.
Mia madre alzò nel gran silenzio un dito:
disse un nome. . .  Sonò alto un nitrito.



POST VARI ARTE E NON CLASSIFIC,
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F I N E

Copyright Tony Kospan – Vietata la copia integrale senza indicare autore e blog


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FARI FARI FARI – Il loro fascino in immagini bellissime.. video e slide show.. ed in una mia poesia   Leave a comment







Siamo in molti a subire il tremendo e nel contempo sognante…
fascino dei fari.

Questo post è tutto dedicato a loro.

 
 
 
 
 
 
 
 

FARI.. FARI.. FARI..
IMMAGINI AFFASCINANTI..
VIDEO… ED UNA MIA POESIA..

 
 
 
 
 
 
 
 Il video che segue, con una mia poesia, mi fu regalato
da una delle mie primissime amiche virtuali
a cui sarò sempre grato…

 
 
 
 
 
 
 
 

Ciò avvenne a seguito di un mio post,
corredato da una mia poesia  in suo onore ed in onore dei suoi gruppi
(le sempre rimpiante Com. di Msn)
ed i cui simboli erano proprio i fari (ed i gabbiani).

 
 
 
 
fre bia pouce POESIA VIDEO (Tony Kospan)
    
 
 
 
 
Ora un altro bellissimo video sempre in tema…
 
 
 
 
 
 
fre bia pouce   VIDEO
  
 
 
 
 
Ed infine un mio modesto video – slide show
dedicato sempre al fascino dei fari…
 
 
 
 
fre bia pouceVIDEO – SLIDE SHOW

 
 
 
 
Beh per chi ama i fari penso che questa sia stata proprio una bella scorpacciata






Ciao da Tony Kospan
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FARI – La lunghissima storia (in breve) dall’antichità a oggi   Leave a comment

 
 
 

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IL FARO


NASCITA STORIA ED EVOLUZIONE

 
 
 
 
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L’ORIGINE DEI FARI
 
 
 

Un tempo le coste di notte erano oscure e raramente si poteva scorgere qualche flebile lumicino su di esse, indicazione di presenza umana a terra. 

Era facile allora segnalare ai naviganti la presenza di pericoli o la strada da seguire per arrivare in porto semplicemente accendendo un bel falò in una posizione conosciuta.

La cosa si prestava comunque anche alla pirateria, dal momento che bastava falsare la posizione dell’indicazione per far andare in secca i vascelli da depredare, come accadde spesso lungo le coste del Mare del Nord nei secoli passati. 

Niente di più logico quindi che si pensasse a un opportuno e sicuro segnalamento marittimo per dirigere i naviganti in sicurezza.

Nell’antichità i fari erano collocati all’entrata di porti importanti per agevolare l’approdo di notte.

Erano funzionanti saltuariamente e solo quando era necessario, data la difficoltà di alimentare le fiamme con legna e pece.

 

 

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Il Faro di Alessandria

 
 
 
 

IL FARO NELL’ANTICHITA’
 
 
 
Di essi si ricordano quello famoso di Alessandria d’Egitto (si ritiene che la prima vera e propria torre-faro, quella che ha dato a tutte le altre il nome e il modello, sia stata proprio questa).

Venne costruita nel III secolo a.C. un’alta torre sulla quale un enorme braciere veniva acceso risultando visibile da molto lontano.

La torre si ergeva con i suoi 120 metri proprio all’ingresso del porto su un’isoletta, il cui nome era (ed è tuttora) Pharos (da cui il nome Faro).

Architetto ne fu Sostrato di Cnido, figlio di Dexifane, il quale lavorò sotto i primi due Tolomei. 

La costruzione del Faro iniziò probabilmente nel 297 a.C., sebbene in epoca più tarda il cronista Eusebio, vescovo di Cesarea, che era stato prigioniero in Egitto, citi nella sua Cronaca la costruzione del faro nell’anno 283 o 282 a.C.

L’inaugurazione ebbe luogo sotto il secondo Tolomeo, Filadelfo, tra il 280 e il 279 a.C.

Il Faro era stato consacrato a favore dei navigatori agli dei salvatori, come diceva l’epigrafe dedicatoria, che poteva facilmente essere scorta da chiunque entrasse o uscisse dal porto.

La fiamma del Faro, vista isolata e alta sull’orizzonte, come una stella, sembrava ad essi l’apparizione della divinità protettrice.

Assai presto si diffuse nel mondo antico la fama della torre luminosa sorta sulla spiaggia dell’Egitto, torre che in verità era annoverata tra le più colossali costruzioni dei re greci.

La torre di Alessandria non fu la sola nell’antichità a rappresentare il primo sistema nautico inventato dall’uomo per la sicurezza sul mare. 

Altra analoga realizzazione fu per esempio il cosiddetto “Colosso di Rodi”, enorme costruzione di forma umana all’ingresso del porto dell’ “isola delle rose”, annoverata fra le sette meraviglie dell’antichità.
 
 
 
 

Il colosso di Rodi


 

 

Particolare curioso del faro originale antico era la capacità del sistema di emettere anche suoni, quasi fosse un antenato dei moderni “fog horn” (corni da nebbia). 

Infatti un ingegnoso sistema di contenitore con acqua, riscaldata dal braciere, consentiva la fuoriuscita di getti vapore che funzionavano né più né meno come le attuali sirene delle navi. 

Un altro faro di grandi dimensioni, di cui ancor a metà del ’700 esistevano imponenti rovine, fu costruito sulla Manica a Boulogne dall’imperatore Caligola.

I romani ne costruirono anche nell’Adriatico, uno p.es. a Brindisi, un altro in prossimità della foce del Po, di cui esiste ancor oggi il basamento di metri 7 x 7 posto su pali, un altro ad Ancona, etc. 




Colonna Traiana (partic.)




Certamente esistevano fari anche in Dalmazia se sulla colonna Traiana è riprodotto uno in prossimità dell’approdo, dove scese l’imperatore Traiano nel suo viaggio verso l’Oriente.

I porti importanti erano dotati di lanterne prossime al centro abitato che quando erano in funzione bruciavano – come nell’antichità – legna e pece. 

Nel Medio Evo non si costruivano fari isolati lungo le coste, non potendosene garantire permanentemente la sicurezza.

 

 


L’EVOLUZIONE DEI FARI



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I segnali emessi erano in origine esclusivamente luminosi, e stabili.

L’applicazione di uno specchio (e poi di una lente) alla fonte luminosa, in modo da estendere la portata luminosa del manufatto, fu per lungo tempo la sua unica evoluzione sostanziale.

Si aggiunsero poi meccanismi di rotazione, lenti per la colorazione della luce e così via. Il salto tecnologico si ebbe con l’aggiungersi, ai fari luminosi, di altri “ausili alla navigazione“, in particolare dei c.d. “ausili radioelettrici” – radiofari e risponditori radar.

I fari italiani costituiscono una risorsa storica e culturale per il nostro patrimonio architettonico ma anche per il paesaggio costiero regionale.

Ogni faro è univoco nel contesto della sua posizione geografica, sono progettati per durare nei secoli e segnare i caratteri del luogo esaltandone i valori ambientali e naturali attraverso il loro stile e la loro natura architettonica.

Un patrimonio poco conosciuto, studiato in maniera specialistica da pochi.

 
 
 
 
 

 

 

  

  CIAO DA TONY KOSPAN

 

 

 

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 ll Faro di Alessandria




 

VERMOUTH – Ecco tutta la sua “inebriante” storia   Leave a comment








Dopo una necessaria premessa storica conosceremo la nascita di questo particolare vino liquoroso, poi l’origine del suo strano nome ed infine il museo dove si potrà ripercorrere da vicino tutta la sua storia.






PREMESSA STORICA


La Francia già nel ‘700 era una grandissima produttrice di vini ma pochi sanno che invece la Nazione che ne consumava di più era l’Inghilterra.

Durante la famosa guerra dei 100 anni gli Inglesi, per non favorire la casse francesi, cercarono vini da altre parti come il Portogallo, l’Italia etc.

Molti altri Paesi europei producevano vino, ma non erano affatto in grado di esportarlo ed imbottigliarlo proponendo un prodotto di qualità. 

Un ricordo ancora attuale della passione inglese per il vino sono le… bottiglie… che erano già allora stranamente di 75 cl. cosa del tutto inconsueta nell’Europa continentale abituata ai litri.







Questo formato bizzarro era dovuto alla misurazione inglese in galloni e precisamente 75 cl sono un sesto di un gallone.

In questo frangente gli inglesi si innamorarono anche dei vini dolci e liquorosi come il Porto e la loro domanda di questo genere di vini divenne molto forte anche perché contenendo più zucchero si conservavano e si trasportavano più facilmente.

Fu in questa epoca che nacque quello che chiamiamo vermouth.







LA NASCITA DEL VERMOUTH


In Piemonte, per rispondere alla forte domanda di vini dolci e liquorosi si mescolarono vini senz’altro modesti, un po’ di grappa, un po’ di zucchero e vari aromi e profumi per nascondere la non brillantezza del vino originario.

Fu però a Torino, nel 1786, che Antonio Benedetto Carpano, miscelando vino moscato con erbe aromatiche e spezie creò la formula definitiva e precisa per ottenere un vero vermouth.







Il successo di questo liquore fu ben presto grande anche perché piacque subito al Re Vittorio Amedeo III che lo fece entrare nelle mense e negli usi della famiglia reale.

La piccola bottega del Carpano divenne frequentatissima e nel 1820, grazie al nipote, nacque la “Fabbrica di liquori e Vermouth Carpano” che ancor di più diffuse nel mondo questo vino liquoroso che ebbe tra i grandi estimatori personaggi come Cavour, Giuseppe Verdi e Massimo D’Azeglio.








PERCHE’ SI CHIAMA VERMOUTH UN LIQUORE TUTTO ITALIANO?


Fu sempre l’anzidetto Antonio Benedetto Carpano a chiamarlo così dandogli un che di internazionale e di lusso.

Egli non fece altro che utilizzare, adattandolo, il nome poco noto di un componente della bevanda e cioè dell’artemisia maggiore che in tedesco si chiama Wermut (Assenzio).







IL MUSEO DEL VERMOUTH


Se poi vogliamo conoscere da vicino la dolce ed inebriante storia del vermouth vedendo, ma forse anche sentendo, le varie erbe aromatiche utilizzate, 
possiamo visitare a Torino il Museo Carpano che è situato all’interno del centro enogastronomico Eataly.

La visita consente, attraversando gli antichi ambienti, di seguire tutto il percorso della sua creazione dal 1786 in poi e conoscere gli strumenti utilizzati per la lavorazione e vedere le modalità della conservazione.

Tony Kospan












SEDICI ANNI – La bella canzone del 1961 oggi ingiustamente dimenticata e l’atmosfera di quell’anno   Leave a comment

 

 

 

 

 

 

  

 La canzone di cui parlerò, in questa libera antologia

delle canzoni della nostra memoria, 

è di Nunzio Gallo 

 
 
 
 
 
Nunzio Gallo 
 
 
 
 
 
SEDICI ANNI
ATMOSFERE E NOTE… DI UN TEMPO
a cura di Tony Kospan
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Una canzone che all’epoca (1961/1962)
 
vendette oltre un milione di copie, ma che ora,
 
per una strano negativo influsso,
 
sembra scomparsa quasi del tutto, perfino dal web.
 
 
 
 
 
Dico questo perché non m’aspettavo proprio
 
di dover “faticare” tanto per trovar notizie e musica.


 
(c’è anche un’altra del tutto diversa canzone del 1951 
con lo stesso titolo… cantata da Achille Togliani ). 
 
 
 
 
 
Karol Bak 
 
 
 
 
 
 
 
Qualcosa però son riuscito a recuperare e dunque spero,
 
nel mio piccolo, di poter, anche se solo in minima parte,
 
colmare la grave lacuna. 
 
 
 
Sì perché la canzone, a mio parere, è delicata e dolce
 
sia come testo che come musica e l’interpretazione di Nunzio Gallo,
 
decisamente elegante e raffinata.
 
 
 
 
 

 

Nunzio Gallo.

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Dicevo che la canzone è del 1961, scritta da Aurelio Fierro,

e, per confermare la grandezza del suo successo,

vinse pure la Canzonissima di quell’anno 

e fu anche la più gettonata nei mitici juke box (li ricordate?). 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  Prima di passare all’ascolto della canzone
 
immergiamoci per un attimo nell’atmosfera di quell’anno.
 
  
 
Siamo nel 1961
 
l’anno del primo uomo nello spazio… Jurij Gagarin.
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
  dei successi di Classius Clay nella boxe
 
 
 
 
 
 
 
 

Cassius Clay

 

  

 

ed anche del centenario dell’unità d’Italia che viene ricordato
 
con varie manifestazioni,
 
soprattutto a Torino, ed a cui partecipai.
 
 
 
 
 
 
 

 

 

 

jukebox

 

 

 

 

 

 
Foto di gruppo dei partecipanti al Festival di Sanremo del 1961. 
 
 
 
 
 
Ma torniamo alla canzone.

 
E’ giunto il momento di ascoltarla o riascoltarla in questo video. 
 

 

 
 
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CIAO DA TONY KOSPAN

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Charles Baudelaire e la lettera “superappassionata” a Jeanne Duval suo grande ed incontenibile amore   1 comment








Quella che ora leggeremo è una bellissima ed appassionata lettera d’amore
 inviata dal mitico poeta “maledetto” Baudelaire all’amata Jeanne Duval.

Il loro fu un amore tormentato, ma grandissimo e passionale, se il poeta, 
che l’amò per circa 20 anni (con interruzioni) fin dal suo arrivo a Parigi,
le dedicò ben 18 liriche.







La Duval, nativa di Haiti e che vediamo qui, sia in alcuni dipinti che in foto, 
era nota all’epoca come ballerina ed attrice 
ma anche per esser la donna del grande poeta francese dell’800.

Le origini esotiche, un fascino diabolico e misterioso ed una grande sensualità 
stregarono completamente il poeta che di lei cantò ogni aspetto 
soffermandosi spesso sul profumo del suo corpo e del suo seno.



Jeanne è qui in una rara foto e in un dipinto di Manet



“Quando, a occhi chiusi, una calda sera d’autunno,
respiro il profumo del tuo seno ardente,
vedo scorrere rive felici che abbagliano
i fuochi di un sole monotono;
una pigra isola in cui la natura
esprime alberi bizzarri e frutti saporosi…”



Questo amore così totalizzante 
portò il poeta a confliggere con la madre 
che non vedeva di buon occhio questo legame 
che per lui però era l’amore della vita.








Il suo era un sentimento sovrumano 
e lo cantò senza posa nelle sue poesie 
definendo l’amata, per le dolcissime curve e la sua sensualità, 
perfino come “serpente che danza”
come possiamo leggere in questi altri versi.


“Quando cammini con quella cadenza,
bella d`abbandono,
fai pensare a un serpente che danza
in cima ad un bastone”

Ma veniamo alla lettera, tratta da “Un emisfero nella tua chioma
in cui il sentimento del poeta appare scoperto, senza limiti e senza remore.








DA BAUDELAIRE A JEANNE DUVAL


Lasciami respirare a lungo, a lungo, l’odore dei tuoi capelli, affondarvi tutta la faccia, come un assetato nell’acqua di una sorgente, e agitarli con la mano come un fazzoletto odoroso, er scuotere dei ricordi nell’aria.
Se tu sapessi tutto quello che vedo!
tutto quello che sento!
tutto quello che intendo nei tuoi capelli!
La mia anima viaggia sul profumo come l’anima degli altri viaggia sulla musica.
I tuoi capelli contengono tutto un sogno, pieno di vele e di alberature:
contengono grandi mari, i cui monsoni mi portano verso climi incantevoli, dove lo spazio è più bello e più profondo, dove l’atmosfera è profumata dai frutti. dalle foglie e dalla pelle umana.
Nell’oceano della tua capigliatura, intravedo un porto brulicante di canti malinconici, di uomini vigorosi di ogni nazione e di navi di ogni forma, che intagliano le loro architetture fini e complicate su un cielo immenso dove si abbandona il calore eterno.
Nelle carezze della tua capigliatura, io ritrovo i languori delle lunghe ore passate su un divano, nella camera di una bella nave, cullate dal rullio impercettibile del porto, tra i vasi da fiori e gli orcioli che rinfrescano.
Nell’ardente focolare della tua capigliatura, respiro l’odore del tabacco:
confuso nella notte della tua capigliatura, vedo risplendere l’infinito dell’azzurro tropicale;
sulle rive lanuginose della tua capigliatura, mi inebrio degli odori combinati del catrame, del muschio e dell’olio di cocco.
Lasciami mordere a lungo le tue trecce pesanti e nere.
Quando mordicchio i tuoi capelli elastici e ribelli, mi sembra di mangiare dei ricordi.
Charles Baudelaire




Jeanne qui è disegnata dallo stesso Baudelaire



Pochi anni dopo la scomparsa di Baudelaire anche Jeanne si eclissò
e, benché la storiografia ufficiale la ritiene morta prima di Baudelaire,
il suo vecchio amante (prima di conoscere il poeta) e noto fotografo Nadar
racconta di averla incontrata nel 1870 mentre camminava per strada
trascinandosi con le stampelle.

Ormai non era più quella che 
anche quando cammina si direbbe che danzi





Tony Kospan



FINE



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Walter Rosenblum.. mito della fotografia come umanità e arte – Biografia e capolavori   Leave a comment

 






QUANDO LA FOTOGRAFIA E’ ARTE
UMANITA’ E DOCUMENTAZIONE STORICA


Walter Rosenblum per oltre mezzo secolo
è stato un punto di riferimento per l’arte fotografica,
sia negli Stati Uniti che nel mondo.

 
 
 
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WALTER ROSENBLUM
ARTE FOTOGRAFICA… E TESTIMONIANZA SOCIALE
 
 
 
 
 
Walter Rosenblum (New York, 1 ottobre 1919 – 23 gennaio 2006)




DIAMO PRIMA UN’OCCHIATA AD ALCUNE TRA LE SUE FOTO PIU’ FAMOSE





 
 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 

BREVE BIOGRAFIA
 
 
 
 

Walter Rosenblum fu testimone attivo di alcuni dei più significativi eventi dell’età moderna e sperimentò personalmente, durante gli anni giovanili, le condizioni degli immigrati in America; visse la grande Depressione, la seconda Guerra Mondiale e la repressione del maccartismo.
 
In tempi più recenti poté osservare il mutarsi delle condizioni di vita delle minoranze di New York e la crescita di una consapevolezza politica ed estetica nel Terzo Mondo. Rosenblum usò occhi e apparecchio fotografico per cercare di capire il corso delle vicende umane e celebrare i sentimenti egli uomini.

All’età di diciassette anni entrò a far parte della Photo League di New York dove incontrò Lewis Hine e studiò con Paul Strand, che contribuirono in modo fondamentale alla formazione della sua visione sull’arte e sulla vita.
 
 
 
 
  
 
 
 
 

In particolare egli condivise con Hine la convinzione che con la fotografia fosse possibile dimostrare che la dignità è un sentimento universale, che non si possono fare differenze fra gli uomini in base alla razza, alle religioni, alla nazionalità o alle condizioni economiche.

 
 
 
 

 

 

Fotografo dell’esercito nel corso della seconda guerra mondiale, sbarcò il D Day in Normandia, dove, per la morte di un cineoperatore nel corso dello sbarco, ne dovette prendere il posto per tutto il conflitto attraversando così la Francia, la Germania,l’Austria e realizzando il primo film sul campo di concentramento di Dachau appena liberato.

Per le coraggiose azioni svolte durante il combattimento fu anche insignito della “Silver Star”, della “Bronze Star”, del “Purple Heart” e la Unit Citation presidenziale, divenendo uno dei fotografi più decorati della Seconda Guerra Mondiale.

 

 

Sbarco in Normandia

 

 

 

Prigionieri tedeschi



Ma Rosenblum nel suo percorso professionale non mancò di fotografare i quartieri dove vivevano gli immigrati di New York e del South Bronx con gli insediamenti della nuova immigrazione, e in seguito spingendosi anche ad Haiti, Francia, Italia, Cuba, Cina, nell’ Unione Sovietica e in Brasile.

 
Da quest’immensa ricchezza di esperienze e dal prolungato rapporto con le diverse culture la visione fotografica di Rosenblum divenne testimone della condizione umana come di una comunità globale in cui i bisogni fondamentali, i valori e le aspirazioni esistenziali sono universalmente condivisi.
 

 

 




 

 

Rosenblum cercò così di sottolineare la dignità dell’essere umano, con i suoi soggetti mai semplici vittime, ma persone integre e complesse, la cui umanità sopravvive intatta malgrado le circostanze avverse.

La sua macchina fotografica fu strumento affinché gli uomini si potessero riconoscere nelle loro azioni e comportamenti, nella speranza che la comprensione delle dinamiche interpersonali, potesse estinguere ignoranza e paura e le principali cause di tante ingiustizie sociali.

 
 
 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
Le opere di Walter Rosenblum sono conservate in prestigiose collezioni, quali il J.Paul Getty Museum di Malibù, alla Library of Congress di Washington, al MoMA, al Metropolitan Museum of Art e all’ICP di New York, alla Bibliotheque Nazionale de France di Parigi ed altri ancora.

 
 
 
FINE
 
 
 
Testi ed immagini dal Web coordinati da T.K.
 
 
 
 
TONY KOSPAN


 
 
 
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FARI FARI FARI – Il loro fascino in immagini bellissime.. anche video e slide show.. ed in una mia poesia   Leave a comment







Siamo in molti a subire il tremendo e nel contempo sognante…
fascino dei fari.

Questo post è tutto dedicato a loro.

 
 
 
 
 
 
 
 

FARI.. FARI.. FARI..
IMMAGINI AFFASCINANTI..
VIDEO… ED UNA MIA POESIA..

 
 
 
 
 
 
 
 Il video che segue, con una mia poesia, mi fu regalato
da una delle mie primissime amiche virtuali
a cui sarò sempre grato…

 
 
 
 
 
 
 
 

Ciò avvenne a seguito di un mio post,
corredato da una mia poesia  in suo onore ed in onore dei suoi gruppi
(le sempre rimpiante Com. di Msn)
ed i cui simboli erano proprio i fari (ed i gabbiani).

 
 
 
 
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Ora un altro bellissimo video sempre in tema…
 
 
 
 
 
 
fre bia pouce   VIDEO
  
 
 
 
 
Ed infine un mio modesto video – slide show
dedicato sempre al fascino dei fari…
 
 
 
 
fre bia pouceVIDEO – SLIDE SHOW

 
 
 
 
Beh per chi ama i fari penso che questa sia stata proprio una bella scorpacciata






Ciao da Tony Kospan
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La lunga storia (in breve) dei fari dall’antichità a oggi   Leave a comment

 
 
 

POST VARI ARTE E NON CLASSIFIC,
 
 
 
 

IL FARO


NASCITA STORIA ED EVOLUZIONE

 
 
 
 
POST VARI ARTE E NON CLASSIFIC,

 
 


L’ORIGINE DEI FARI
 
 
 

Un tempo le coste di notte erano oscure e raramente si poteva scorgere qualche flebile lumicino su di esse, indicazione di presenza umana a terra. 

Era facile allora segnalare ai naviganti la presenza di pericoli o la strada da seguire per arrivare in porto semplicemente accendendo un bel falò in una posizione conosciuta.

La cosa si prestava comunque anche alla pirateria, dal momento che bastava falsare la posizione dell’indicazione per far andare in secca i vascelli da depredare, come accadde spesso lungo le coste del Mare del Nord nei secoli passati. 

Niente di più logico quindi che si pensasse a un opportuno e sicuro segnalamento marittimo per dirigere i naviganti in sicurezza.

Nell’antichità i fari erano collocati all’entrata di porti importanti per agevolare l’approdo di notte.

Erano funzionanti saltuariamente e solo quando era necessario, data la difficoltà di alimentare le fiamme con legna e pece.

 

 

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Il Faro di Alessandria

 
 
 
 

IL FARO NELL’ANTICHITA’
 
 
 
Di essi si ricordano quello famoso di Alessandria d’Egitto (si ritiene che la prima vera e propria torre-faro, quella che ha dato a tutte le altre il nome e il modello, sia stata proprio questa).

Venne costruita nel III secolo a.C. un’alta torre sulla quale un enorme braciere veniva acceso risultando visibile da molto lontano.

La torre si ergeva con i suoi 120 metri proprio all’ingresso del porto su un’isoletta, il cui nome era (ed è tuttora) Pharos (da cui il nome Faro).

Architetto ne fu Sostrato di Cnido, figlio di Dexifane, il quale lavorò sotto i primi due Tolomei. 

La costruzione del Faro iniziò probabilmente nel 297 a.C., sebbene in epoca più tarda il cronista Eusebio, vescovo di Cesarea, che era stato prigioniero in Egitto, citi nella sua Cronaca la costruzione del faro nell’anno 283 o 282 a.C.

L’inaugurazione ebbe luogo sotto il secondo Tolomeo, Filadelfo, tra il 280 e il 279 a.C.

Il Faro era stato consacrato a favore dei navigatori agli dei salvatori, come diceva l’epigrafe dedicatoria, che poteva facilmente essere scorta da chiunque entrasse o uscisse dal porto.

La fiamma del Faro, vista isolata e alta sull’orizzonte, come una stella, sembrava ad essi l’apparizione della divinità protettrice.

Assai presto si diffuse nel mondo antico la fama della torre luminosa sorta sulla spiaggia dell’Egitto, torre che in verità era annoverata tra le più colossali costruzioni dei re greci.

La torre di Alessandria non fu la sola nell’antichità a rappresentare il primo sistema nautico inventato dall’uomo per la sicurezza sul mare. 

Altra analoga realizzazione fu per esempio il cosiddetto “Colosso di Rodi”, enorme costruzione di forma umana all’ingresso del porto dell’ “isola delle rose”, annoverata fra le sette meraviglie dell’antichità.
 
 
 
 

Il colosso di Rodi


 

 

Particolare curioso del faro originale antico era la capacità del sistema di emettere anche suoni, quasi fosse un antenato dei moderni “fog horn” (corni da nebbia). 

Infatti un ingegnoso sistema di contenitore con acqua, riscaldata dal braciere, consentiva la fuoriuscita di getti vapore che funzionavano né più né meno come le attuali sirene delle navi. 

Un altro faro di grandi dimensioni, di cui ancor a metà del ’700 esistevano imponenti rovine, fu costruito sulla Manica a Boulogne dall’imperatore Caligola.

I romani ne costruirono anche nell’Adriatico, uno p.es. a Brindisi, un altro in prossimità della foce del Po, di cui esiste ancor oggi il basamento di metri 7 x 7 posto su pali, un altro ad Ancona, etc. 




Colonna Traiana (partic.)




Certamente esistevano fari anche in Dalmazia se sulla colonna Traiana è riprodotto uno in prossimità dell’approdo, dove scese l’imperatore Traiano nel suo viaggio verso l’Oriente.

I porti importanti erano dotati di lanterne prossime al centro abitato che quando erano in funzione bruciavano – come nell’antichità – legna e pece. 

Nel Medio Evo non si costruivano fari isolati lungo le coste, non potendosene garantire permanentemente la sicurezza.

 

 


L’EVOLUZIONE DEI FARI



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I segnali emessi erano in origine esclusivamente luminosi, e stabili.

L’applicazione di uno specchio (e poi di una lente) alla fonte luminosa, in modo da estendere la portata luminosa del manufatto, fu per lungo tempo la sua unica evoluzione sostanziale.

Si aggiunsero poi meccanismi di rotazione, lenti per la colorazione della luce e così via. Il salto tecnologico si ebbe con l’aggiungersi, ai fari luminosi, di altri “ausili alla navigazione“, in particolare dei c.d. “ausili radioelettrici” – radiofari e risponditori radar.

I fari italiani costituiscono una risorsa storica e culturale per il nostro patrimonio architettonico ma anche per il paesaggio costiero regionale.

Ogni faro è univoco nel contesto della sua posizione geografica, sono progettati per durare nei secoli e segnare i caratteri del luogo esaltandone i valori ambientali e naturali attraverso il loro stile e la loro natura architettonica.

Un patrimonio poco conosciuto, studiato in maniera specialistica da pochi.

 
 
 
 
 

 

 

  

  CIAO DA TONY KOSPAN

 

 

 

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 ll Faro di Alessandria




 

SEDICI ANNI – Una dolce e bella canzone del 1961 oggi ingiustamente dimenticata e l’atmosfera di quell’anno   Leave a comment

 

 

 

 

 

 

  

 La canzone di cui parlerò, in questa libera antologia

delle canzoni della nostra memoria, 

è di Nunzio Gallo 

 
 
 
 
 
Nunzio Gallo 
 
 
 
 
 
SEDICI ANNI
ATMOSFERE E NOTE… DI UN TEMPO
a cura di Tony Kospan
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Una canzone che all’epoca (1961/1962)
 
vendette oltre un milione di copie, ma che ora,
 
per una strano negativo influsso,
 
sembra scomparsa quasi del tutto, perfino dal web.
 
 
 
 
 
Dico questo perché non m’aspettavo proprio
 
di dover “faticare” tanto per trovar notizie e musica.


 
(c’è anche un’altra del tutto diversa canzone del 1951 
con lo stesso titolo… cantata da Achille Togliani ). 
 
 
 
 
 
Karol Bak 
 
 
 
 
 
 
 
Qualcosa però son riuscito a recuperare e dunque spero,
 
nel mio piccolo, di poter, anche se solo in minima parte,
 
colmare la grave lacuna. 
 
 
 
Sì perché la canzone, a mio parere, è delicata e dolce
 
sia come testo che come musica e l’interpretazione di Nunzio Gallo,
 
decisamente elegante e raffinata.
 
 
 
 
 

 

Nunzio Gallo.

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Dicevo che la canzone è del 1961, scritta da Aurelio Fierro,

e, per confermare la grandezza del suo successo,

vinse pure la Canzonissima di quell’anno 

e fu anche la più gettonata nei mitici juke box (li ricordate?). 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  Prima di passare all’ascolto della canzone
 
immergiamoci per un attimo nell’atmosfera di quell’anno.
 
  
 
Siamo nel 1961
 
l’anno del primo uomo nello spazio… Jurij Gagarin.
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
  dei successi di Classius Clay nella boxe
 
 
 
 
 
 
 
 

Cassius Clay

 

  

 

ed anche del centenario dell’unità d’Italia che viene ricordato
 
con varie manifestazioni,
 
soprattutto a Torino, ed a cui partecipai.
 
 
 
 
 
 
 

 

 

 

jukebox

 

 

 

 

 

 
Foto di gruppo dei partecipanti al Festival di Sanremo del 1961. 
 
 
 
 
 
Ma torniamo alla canzone.

 
E’ giunto il momento di ascoltarla o riascoltarla in questo video. 
 

 

 
 
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CIAO DA TONY KOSPAN

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