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IL SOLSTIZIO D’INVERNO – RITI… MITI… RIFLESSIONI… MUSICHE… POESIE…   1 comment

 
 
 
 
 
21 DICEMBRE 2012
ALLE ORE 11,11
SOLSTIZIO D'INVERNO
 
 
 
 
 
 
 
 

IL SOLSTIZIO D'INVERNO

RITI… MITI… RIFLESSIONI… MUSICHE… POESIE…

 
 
 
Che la luce del nuovo sole possa illuminare
il cammino di tutti voi.
Felice Alban Arthuan
 
 
 
 
Yule sparge i semi che sbocceranno in primavera

 
 
 
 
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Il solstizio, che può essere d'estate e d'inverno, è ciascuno dei due punti dell'orbita terrestre in cui il Sole è alla massima distanza angolare rispetto al piano dell'equatore terrestre.

La parola “solstizio” significa “Sole stazionario”, ed indica il suo non alzarsi né abbassarsi rispetto all'equatore celeste. è in questo momento che la nostra stella si trova alla massima altezza sull'orizzonte dell'emisfero boreale (cioé quello nord, dove si trova l'Italia), mentre a sud la situazione è capovolta.

 

 

 

 

 

  A partire dal 22 giugno le ore di luce diminuiranno gradualmente, fino a raggiungere il minimo durante il solstizio d'inverno del 21 dicembre.

Fin dall'antichità l'uomo si è reso conto del cammino ciclico che il Sole descrive nel cielo, traendone così spunto per regolare la propria vita ed arricchire di leggende la mitologia.

Per i greci il solstizio d'estate coincideva con la “Porta degli uomini“, cioé il momento in cui le anime uscivano dalla caverna cosmica.

 

 

 

 

 

 

In Perù la divinità associata al Sole ed all'imperatore, Inti, riceveva sacrifici di animali ed offerte, affinché i raccolti estivi fossero abbondanti.Il cristianesimo sovrappose alle celebrazioni pagane la festività dedicata a San Giovanni Battista. 

Secondo le tradizioni italiane nella notte di San Giovanni le streghe si levavano in volo e raggiungevano il “Grande Noce di Benevento“, l'albero sul quale una dea lunare avrebbe sconfitto il diavolo, rimandandolo negli inferi.

Fino al 1872 a Roma, dopo l'Ave Maria veniva sparato un colpo di cannone che dava inizio ai festeggiamenti. Il popolo si ritrovava nelle osterie per banchettare con le lumache, considerate in grado di scacciare i litigi ed il pericolo di essere traditi dai propri amati. Ma a partire dal quell'anno la festa venne soppressa dal governo italiano.

 

 

 

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Il Solstizio d’Inverno cade in un giorno variabile dal 20 al 24 dicembre.
 
E’ detto il giorno più breve dell’anno o la notte più lunga dell’anno.
 
In questo giorno il sole compie il suo giro più breve attraverso il cielo, riducendo così le ore di luce del giorno.Dopo questa data le giornate iniziano nuovamente ad allungarsi.
 
Nell’antichità era un’importante festività dei popoli pagani e a qualsiasi tradizione ci si riferisca il Solstizio d’Inverno celebra sempre la morte del Dio Sole, la sua trasformazione e la sua rinascita nel ventre della Dea.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Altri termini usati per indicare il Solstizio sono Yule, che sembra derivare dalla parola anglosassone “Yula” o quella scandinava “Jul” o “Iul” che significa “ruota”, la Ruota dell’Anno, infatti per le popolazioni anglosassoni proprio il solstizio marcava l’inizio del nuovo anno; oppure Alban Arthuan che è un termine di origine druidica che indica la rinascita del dio Sole in questo giorno. Qualcuno traduce Alban Arthuan con “Luce di Artù” in quanto si diceva che Re Artù fosse nato proprio il giorno del Solstizio d’Inverno. Artù viene qui associato al Re del Mondo e una leggenda racconta che egli dorme in una grotta nell’attesa che il suo popolo abbia nuovamente bisogno della sua presenza, giunto quel momento egli si sveglierà e tornerà a regnare.
 
 
 
 

 
 
 
A Roma, nel giorno del Solstizio Invernale, si celebrava la rinascita del Sole, il “Dies Natalis Soli Invicti” (il giorno di rinascita del Sole Invitto) dopo l’introduzione, sotto l’imperatore Aureliano, del culto del dio indo-iraniano Mithra nelle tradizioni religiose romane, che era icluso all’interno di un più vasto ciclo di festività che i Romani chiamavano Saturnalia, festività dedicata al dio Saturno.
In seguito fu Giulio I nel 325 d.C. circa a trasformare questa festività come ricorrenza per ricordare la nascita di Gesù Cristo, creando una celebrazione alternativa alla più popolare festa pagana di quei tempi.
 
 
 
 
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Anche appendere l’agrifoglio in casa è un’usanza che persiste da tempi più antichi.
Fin dai tempi più remoti esso è simbolo di protezione e difesa dalle negatività. Inoltre rappresenta il Vecchio Dio del Cielo, il Re Agrifoglio che negli antichi miti nordici simboleggia l’anno morente che soccombe al nuovo anno nella simbolica battaglia contro il giovane Re Quercia.
 
 
 

 SOLSTIZIO D'INVERNO

Parxifal

 

Come è limpida questa notte
cosi vicina al sole,
eppure cosi immensamente bella,
raccolgo il sorriso delle stelle,
questo meraviglioso dono
del solstizio d'inverno.
Chissà se lontano oltre gli spazi
dell'incommensurabile,
Musetta guarda la luna
che gira intorno al cuore,
che si fa stella,
fiore,
sogno.

 
 
 
 
La figura di Babbo Natale, strettamente legata a questa festività, è una raffigurazione fantasiosa di santi che durante questo periodo sono dispensatori di doni (come San Nicola o Santa Lucia),  funzione simpaticamente ricoperta nell'antichità da Saturno.
 
 
 
 

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Dalle celebrazioni pagane del solstizio d’inverno e dal desiderio di luce e di festa che per contrasto ne derivano sono infatti nate la figura di Lucia (nel suo significato di portatrice di luce) di bianco vestita e con candele sulla testa e quella di Babbo Natale.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

Il Solstizio d’Inverno è occasione per guardare dentro sé stessi per cercare e riconoscere le proprie paure i propri dubbi.
 
E’ tempo di affrontare, sconfiggere e lasciar andare via tutto ciò che limita e frena la nostra nuova crescita.
 
E’ tempo di liberarsi dal peso delle insicurezze e dei timori che gravando sulla nostra anima allontanandoci da un nuovo inizio, da una nuova rinascita.
 
Con la crisi attuale vieppiù è importante questo messaggio (N.T.K.)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
FELICE SOLSTIZIO A TUTTI…
 
 
 
FINE
 
 
 
 
 
 
 
CIAO DA TONY KOSPAN
 
 
TESTO WEB – COORDIN. RIELABORAZ. E IMPAG. T.K.
 
 
 
 
 
 
 
IL SALOTTO CULTURALE DI FB

 

LA STORIA DELL’EVOLUZIONE DEI SIMBOLI NATALIZI DAL PAGANESIMO AL CRISTIANESIMO   Leave a comment

 

 

 

 

I SIMBOLI DEL NATALE

DAL PAGANESIMO AL CRISTIANESIMO

 

 

 

 

La Storia come la Natura non…

“Facit saltum”…

 

 

 

 

Ecco come si dispiegano dal Paganesimo al Cristianesimo

i simboli del Natale.

 

 

 

 

 

 

L'articolo che riporto di seguito è dell'Avvenire,

giornale cattolico.

 

 

 
 
 
 

Le feste natalizie, sono costellate di cerimonie ed usanze di cui non tutti conoscono il significato profondo, l'origine e l'evoluzione.

Alcune di esse derivano da tradizioni pagane cristianizzate.

Questa commistione di usanze di ispirazione evangelica con altre precristiane, è dovuta alla collocazione calendariale del Natale che, diversamente dalla Pasqua, è errata storicamente.

 

 

 

 

Nel vangelo di Luca, si narra soltanto che nel periodo in cui nacque Gesù, c'erano a Betlemme dei pastori che vegliavano di notte, facendo la guardia al gregge. Siccome sappiamo che i pastori ebrei partivano per i pascoli all'inizio della primavera, in occasione della loro Pasqua, e tornavano in autunno, è evidente che il Cristo nacque tra la fine di marzo e il primo autunno; tant'è vero che fino alla fine del III secolo il Natale, era festeggiato, secondo i luoghi, in date differenti: il 28 marzo, il 18 aprile o il 29 maggio.

 

 

 

 

Nella seconda metà del secolo III si affermò nella Roma pagana il culto del sole, di cui l'astro non era, se non una manifestazione sensibile. In suo onore l'imperatore Aureliano aveva istituito una festa al 25 dicembre, il Natalis Solis Invicti, il Natale del Sole Invitto, durante il quale si celebrava il nuovo sole “rinato” dopo il solstizio invernale. Molti cristiani erano attirati da quelle cerimonie spettacolari; sicché la Chiesa romana, preoccupata per la nuova religione che poteva ostacolare la diffusione del cristianesimo più delle persecuzioni, pensò bene di celebrare nello stesso giorno il Natale di Cristo.

La festa, già documentata a Roma nei primi decenni del IV secolo, si estese a poco a poco al resto della cristianità.

 

 

Sol Invictus

 

 

La coincidenza con il solstizio d'inverno, fece sì che molte usanze solstiziali, non incompatibili con il cristianesimo, venissero recepite nella tradizione popolare.

D'altronde non si trattava di una sovrapposizione infondata, perché fin dall'Antico Testamento, Gesù era preannunciato dai profeti come Luce e Sole. Malachia lo chiamava addirittura “Sole di giustizia”.

 

 

 

 

Per questi motivi, già nei primi secoli, l'accostamento del sole al Cristo, era abituale, come testimonia Tertulliano:

Altri ritengono che il Dio cristiano sia il sole perché è un fatto notorio che noi preghiamo orientati verso il sole che sorge e nel giorno del sole ci diamo alla gioia, a dire il vero per un motivo del tutto diverso dall'adorazione del sole“.

 

 

 

 

Collegata a questo simbolismo di luce, è l'usanza di adornare l'uscio di casa con piantine come il pungitopo o l'agrifoglio dalle bacche rosse, mentre quella del vischio è una tradizione celtica cristianizzata. Si considerava, come una pianta donata dagli dei, poiché non aveva radici e cresceva come parassita sul ramo di un'altra. Si favoleggiava che spuntasse là dov'era caduta una folgore: simbolo di una discesa della divinità, e dunque d’immortalità e di rigenerazione.

La natura celeste del vischio, la sua nascita dal Cielo e il legame con i solstizi, non potevano, non ispirare successivamente ai cristiani, il simbolo di Cristo: come la pianticella è ospite di un albero, così il Cristo, si dice, è ospite dell'umanità, un albero che non fu generato nello stesso modo con cui si generano gli uomini.

 

 

 

 

Alla luce delle antiche feste solstiziali, si seguivano alcune usanze, come ad esempio quella di accendere fuochi e falò, che hanno, si dice, la funzione simbolica di “bruciare” le disgrazie ed i peccati dell'anno morente, di purificare, ma anche di ricevere dal sole, composto di fuoco, nuova energia, fertilità e fecondità: sole che altro non è, se non il simbolo di Cristo, come si è già detto.

 

 

 

 

Ma torniamo alla notte di Natale quando, una volta e ancora adesso in qualche famiglia toscana o emiliana, si accendeva dopo la cena di magro un ceppo, che rappresenta simbolicamente l'Albero della Vita, il Cristo, dicendo: “Si rallegri il ceppo, domani è il giorno del pane; ogni grazia di Dio entri in questa casa, le donne facciano figlioli, le capre capretti, le pecore agnelletti, abbondino il grano e la farina e si riempia la conca di vino” – “Il giorno del pane”, lo chiamavano: per questo motivo si mangiavano, come oggi d'altronde, dolci a base di farina, che hanno nomi diversi secondo le regioni: pangiallo, pane certosino, pandolce, panforte, pampepato e panettone.

 

 

 

 

Perché mai il pan dolce?

L'usanza di consumare quest’alimento nei periodi solstiziali potrebbe risalire agli antichi Romani, perché Plinio il Vecchio, riferisce che alla festa del Natalis Solis Invicti si confezionavano le sacre e antiche frittelle natalizie di farinata.

Con l'avvento del cristianesimo si modificò l'interpretazione riferendosi alle parole di Gesù: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete; io sono il pane della vita”.

Il Pane della Vita s'incarnò proprio a Betlemme, che nell'ebraico Bet Lehem significava Casa del Pane, nome dovuto probabilmente al fatto, che proprio in quella cittadina vi era un immenso granaio, essendo circondata da campi di frumento.

 

 

 

 

Quanto al ceppo, non è il solo simbolo arboreo natalizio: lo è anche l'abete che fin dall'epoca arcaica tu considerato un albero cosmico, che si erge al centro dell'universo e lo nutre.

Fu facile ai cristiani del nord assumerlo come simbolo del Cristo.

Nei paesi latini l'usanza si diffuse molto tardi, a partire dal 1840, quando la principessa Elena di Maclenburg, che aveva sposato il duca di Orléans, figlio di Luigi Filippo, lo introdusse alle Tuileries, suscitando la sorpresa generale della corte.

Persino i suoi addobbi sono stati interpretati cristianamente: i lumini simboleggiano la Luce che Gesù dispensa all'umanità, i frutti dorati insieme con i regalini e i dolciumi appesi ai suoi rami o raccolti ai suoi piedi, sono rispettivamente il simbolo della Vita spirituale e dell'Amore che Egli ci offre.

 

 

 

 

Anche l'usanza della tombola, nel pomeriggio del Natale, ha una derivazione pagana:

durante i Saturnali, che precedevano il solstizio e sui quali regnava Saturno, il mitico dio dell'Età dell'Oro, si permetteva eccezionalmente il gioco d'azzardo, proibito nel resto dell'anno: esso era in stretta connessione con la funzione rinnovatrice di Saturno, il quale distribuiva le sorti agli uomini per il nuovo anno; sicché la fortuna del giocatore, non era dovuta al caso, ma al volere della divinità.

 

 

 

 

Nella Roma antica, in occasione dell'inizio dell'anno, si usava anche donare delle strenae che arcaicamente erano rametti di una pianta propizia, che si staccavano da un boschetto sulla via Sacra, consacrato a una dea di origine sabina, Strenia, apportatrice di fortuna e felicità. Poi a poco a poco si chiamarono strenae anche doni di vario genere, come succede ancora oggi.
 
 
 

 

 

É invece soltanto cristiana l'usanza del Presepe.

Il primo, vivente, con il bue e l'asino nella mangiatoia, risale al 1223 a Greccio, un paese vicino a Rieti: lo ideò san Francesco d'Assisi ispirandosi a una tradizione liturgica sorta nel secolo IX, quando in molti Paesi europei, si formarono dall'ufficio quotidiano delle ore, i cosiddetti uffici drammatici a rievocare le principali scene evangeliche con brevi dialoghi. Successivamente quei primi esperimenti si ampliarono in strutture più vaste e complesse, sicché il tema della Natività, ispirò nel monastero di Benedikburen un vero e proprio dramma, al cui centro campeggiava quella del presepe.

 

 

 

 

Ispirandosi a quelle sacre rappresentazioni, Francesco volle rievocare la scena della Natività, con un bue e un asino in carne ed ossa. “L'uomo di Dio”, scrisse san Bonaventura da Bagnoregio, “stava davanti alla mangiatoia, ricolmo di pietà, cosparso di lacrime, traboccante di gioia”. Ancora oggi a Greccio, si celebra il presepe vivente da cui sono derivati quelli inanimati. La mangiatoia era vuota ma il cavaliere Giovanni di Greccio, molto legato a Francesco, affermò di avere veduto un bellissimo fanciullino addormentato, che il beato Francesco, stringendolo con entrambe le braccia, sembrava destare dal sonno.

 

Alfredo Cattabiani

 

 

 
Tratto da Avvenire del 2 marzo 2003 – Impaginazione T.K.
 
 
 
 
 

 

A TUTTI

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