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Nostalgia di un abbraccio mai avvenuto – Bello.. emozionante ma doloroso racconto d’amore filiale   2 comments


 
 
 
 
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Propongo la lettura di questo racconto che,
pur riguardando un rapporto filiale, 
è rappresentativo di realtà diverse
rispetto al nostro classico immaginario collettivo.


Esso, per la sua bellezza ed intima sofferta verità, 
ci fa esser vicini alla sua autrice e forse a tante ed a tanti, 
più di quanti possiamo pensare,
che possono in esso riconoscersi.
 



 
 
 
 
 
 
 
 



L’ABBRACCIO 
OVVERO 
NOSTALGIA DI UN ABBRACCIO MAI AVVENUTO

 
 
Racconto triste ma dolcissimo e poetico
 
 
 





 
 
 
 
  
 
 
L’ABBRACCIO
GERMANA GALMAZZI
 
 
 

Mi chiedo se sia possibile avere nostalgia di qualcosa che non si è avuto, sapendo che comunque non lo si potrà avere mai.
Parlo di un abbraccio, io ho nostalgia di un abbraccio che avrei voluto e che mia madre non mi ha dato.
Non in un giorno o una situazione particolari, non per una caduta dolorosa o un amore finito. Io parlo dell’Abbraccio, quello che ti senti ancora dentro dopo che lei è morta, quello che ti senti ancora fuori quando ti rannicchi, chiudi gli occhi e ti lasci avvolgere dal ricordo.
Ho provato a cercarlo ovunque, mi sono detta “due braccia che ti stringono è un abbraccio”.
Ma non è così semplice.
Nell’abbraccio di un uomo ho trovato tenerezza, protezione, ma basta un niente perché si trasformi in passione.
Anche nell’abbraccio di un figlio ho trovato tenerezza e protezione, ma basta un niente e si trasforma in un “Grazie, ora sto bene”, anche se non è vero che stai bene.
Perché non ricordo alcun abbraccio di mia madre? Eppure deve avermene dati.
Guardo le fotografie dove lei mi tiene in braccio. Perché non lo ricordo?
Ho avuto il coraggio di chiederglielo. Ero grande e continuavo ad avere questo desiderio, questa nostalgia.
Le ho scritto un biglietto: c’era Snoopy che ballava e io ballavo con lui, per avere trovato il coraggio di dire quello che per tanti anni avevo tenuto dentro: amore, bisogno, parole.
Non una risposta a quel biglietto, nè una battuta ironica, nè una frase commossa, o – come dire – un accenno di rammarico per quello che non ha saputo darmi.
Il silenzio. Peggio di uno schiaffo, peggio di un rifiuto, il peggio di tutto quello che una madre ti può dare.
L’ho cercato fino alla fine, questo abbraccio, fino alla fine di lei.
E quando stava morendo io, quasi approfittando della sua malattia, della sua debolezza, la lavavo, la pettinavo, le massaggiavo tutto il corpo, quel corpo che non ero riuscita a sentire vicino in un abbraccio;
quando stava morendo e ormai parlava con i suoi morti, a un tratto mi chiese:
– Mi vuoi bene?
La rabbia salì dal cuore fino alla gola. Avrei voluto urlarle:
– Che cosa mi stai chiedendo? E’ tutta la vita che ti voglio bene.
Tutta la mia stronza vita, l’ho vissuta per dimostrarti che ti voglio bene.
E tu, un fottutissimo “ti voglio bene”, me lo vuoi dire? Una sola volta, me lo vuoi dire?
Ma l’abbracciai io, l’abbracciai e le dissi:
– Certo che ti voglio bene.
E dolcemente la poggiai di nuovo sul letto dove poco dopo sarebbe morta lasciandomi sola, non più di come mi aveva lasciato quando era viva, ma senza più la speranza di poter avere da lei un abbraccio nel quale entrare per farmi consolare.

 







 
 
 
Ciao da Tony Kospan




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La forchetta – Un raccontino sublime che ci dona una… speranza   Leave a comment





UN SEMPLICISSIMO… MA NEL CONTEMPO…

SIMPATICISSIMO RACCONTO MORALE









LA FORCHETTA




Una giovane donna ha appena saputo di avere una malattia terribile e che le restano solo tre mesi di vita.

Chiama il parroco per le sue ultime volontà.

Sceglie gli abiti che indosserà, la musica, le parole e le canzoni.

 Quando il parroco sta  per andarsene lo trattiene per un braccio.

– “C’è un’altra cosa …”

– “Dica”

– “Questo è importante. Voglio che mi si sotterrino con una forchetta nella mano destra!” 

Il parroco è molto sorpreso…

– “La cosa la meraviglia, vero?”

– “Per essere sincero sono piuttosto perplesso dalla sua richiesta”

– “Dunque! Mia nonna mi ha raccontato questa storia ed io ho sempre provato a trasmettere questo messaggio a tutti quelli che amo ed hanno bisogno di incoraggiamento.

” In tutti i miei anni di partecipazione ad eventi sociali e pranzi ricordo che sempre c’era qualcuno che piegandosi verso di me diceva – tenga la sua forchetta! – ed era il momento che preferivo perché sapevo che qualcosa di meglio sarebbe arrivato, come una torta, una mousse al cioccolato od una torta di mele. Qualcosa di meraviglioso e di sostanza.”

Quando la gente mi vedrà nella cassa da morto con una forchetta nella mano, voglio che si chiedano:

– Perché quella forchetta? – ed allora lei potrà rispondere:

– Tenete sempre la vostra forchetta perché il meglio deve ancora arrivare! -”

Il parroco, con le lacrime agli occhi, stringe forte la giovane donna per darle l’arrivederci.

Sa che non la rivedrà mai più viva.

E sa che quella donna aveva un’idea del paradiso molto migliore sia della sua che di tanta altra gente.

Lei SAPEVA che qualcosa di meglio sarebbe successo.

Ai funerali la gente sfilava davanti alla cassa della giovane donna e vedevano sia il suo bel vestito che la forchetta nella mano destra.

Tutt’a un tratto il parroco sentì l’attesa domanda:

– “Perché la forchetta?” e sorrise.

Durante la predica, il parroco raccontò la conversazione avuta con la giovane donna alla vigilia della sua morte e raccontò loro la storia della forchetta dicendo che non riusciva a smettere di pensarci e che da allora in poi anche loro, ogni volta che avessero avuto nella mano una forchetta, avrebbero dovuto permetterle di ricordar loro che il meglio doveva ancora avvenire.









TESTO DAL WEB – IMPAG. T.K.








SPERIAMO CHE DAVVERO…
IL MEGLIO CI SARA’ RISERVATO
DOPO LA NOSTRA… DIPARTITA.


CIAO DA TONY KOSPAN





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Frecce (174)







Signora scriverebbe una poesia per me? – Racconto d’autore suggestivo… poetico ed emozionante   Leave a comment


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Questo mi appare uno dei racconti più belli
che ho avuto la fortuna di leggere.
 
Debbo dire che mi emoziona sempre nel rileggerlo.
 
Qui emozioni, poesia, amore ed amore filiale
s’intrecciano in modo davvero sublime
e non esito a definirlo… poetico.
 
Consiglio di leggerlo anche
perché penso faccia bene al nostro animo.
 
 

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SIGNORA SCRIVEREBBE UNA POESIA PER ME?
Margaret E. Sangster


 
Se ci va possiamo leggerlo ascoltando
Face of love
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fre bia pouce    musicAnimata
 
 



Molte persone che hanno una storia da raccontare sono capaci di metterla sulla carta, quasi tutti coloro che vorrebbero scrivere una poesia non riescono a trovare le rime o a scrivere versi che scorrano.
Ecco perché una volta redassi per una rivista una rubrica che intitolai : Una poesia vostra e mia.
A tutti coloro che avevano in mente una poesia, chiedevo di comunicarmi l’idea e promettevo che avrei pubblicato la loro lettera e scritto la poesia secondo le loro richieste. 
Ricevetti migliaia di lettere da persone che avevano un poema nel cuore.
Ce ne fu una che ricorderò sempre.
Era di una ragazza, una certa Mary. 
Non ne ho mai saputo il cognome.
Un giorno, in un cestino colmo di posta, trovai una lettera espresso contenente un foglio di carta rigata da poco prezzo e, in mezzo al foglio, un consunto biglietto da un dollaro.
Leggendo la lettera, mi sembrava quasi di sentire la voce di Mary.

 
 
 
Gianni Strino

 

 
 
“Voi dite, signora, che scriverete una poesia per chi desidera averne una scritta e pubblicata nella rivista. Io vorrei che me ne scriveste una e me la mandaste invece di pubblicarla.
Ecco perché accludo un dollaro.
Non voglio che vi disturbiate senza compenso.
Credo che vorrete sapere qualcosa di me.
Fui lasciata sui gradini di un orfanotrofio quand’ero in fasce, e nessuno mi adottò perché non ero bella né molto intelligente. 
Perciò rimasi all’orfanotrofio finché non ebbi l’età d’andarmene e allora mi trovarono un lavoro in una fabbrica. 
Lavoravo sei giorni la settimana perché eravamo in tempo di guerra e in fabbrica c’era molto da fare, ma la domenica ero libera e andavo a passeggiare nel parco. 
Una domenica un soldato mi rivolse la parola; mi chiese se ero sola, io risposi di si, ed egli disse che anche lui era solo. 
Aggiunse che non era di quella città e che sperava di poter passeggiare un po’ con me. 
Era un giovane in uniforme e mi parve che non ci fosse niente di male. 
Cosi, passeggiando e discorrendo, mi disse che era d’una regione rurale e che era in una caserma dall’altra parte del fiume. 
Mi disse che al suo paese abitava con la madre e che era figlio unico; non era sposato, e non aveva nemmeno l’innamorata, perché se la madre avesse saputo che s’interessava a qualche ragazza avrebbe fatto il diavolo a quattro. 
Quindi mi chiese se quella sera volevo cenare con lui e poi andare al cinema.” Fu cosi che Mary conobbe Ross, il soldato, e fu al cinema che senti la mano di lui cercare la sua… 
E capì, senza ombra di dubbio, d’essere innamorata. 
Passò un mese, e un’altra domenica, mentre erano al parco, si misero a sedere su una panchina e parlarono dell’avvenire. 
“Non avevo mai avuto un avvenire fino a quella domenica, perché fu allora che Ross mi disse che mi amava e che voleva sposarmi. 
Naturalmente gli risposi di si, e poi Ross si rannuvolò in viso e spiegò che non osava dirlo alla madre, perciò non avrebbe potuto far assegnare a me la quota della paga destinata alla persona a carico, ne farmi beneficiaria della sua assicurazione. 
Ma a me non importava. Volevo soltanto lui e il suo amore. Volevo soltanto qualcuno che m’appartenesse. 
Quando glielo dissi, il viso gli si rischiarò.” Cosi Mary e Ross si sposarono, e appena Ross aveva un permesso andava nella camera ammobiliata di Mary.
Le comprò il primo vestito di seta della sua vita, le scarpe con il tacco alto e una vestaglia. 
Ma il regalo più importante fu l’anello nuziale. 
E quando Ross fu mandato oltremare, Mary gli scrisse tutte le sere ed egli ogni volta che poteva. 
Passò il tempo, e poi un giorno Mary svenne mentre era in fabbrica. Il medico della Società le disse che avrebbe avuto un bambino. 
Fu proprio mentre scriveva a Ross la più bella notizia del mondo che la sorte volle colpirla in modo crudele. 
Ricevette un telegramma dalle autorità militari. “Ne fui sconvolta, signora” mi scrisse Mary “Mio marito era morto. 
Non avrei più sentito le sue labbra sulle mie, ma avevo una consolazione. Non ero più sola come prima. 
Sebbene Ross non fosse più mio, m’aveva lasciato qualcosa che sarebbe stata mia per sempre. 
Mary lavorò fin quando poté e risparmiò ogni centesimo (non aveva l’assicurazione di Ross, ricordate?). 
Sulla polizza c’era il nome della madre. Non scrisse alla madre di Ross perché, come mi disse nella sua lettera, non le avrebbe creduto. 
La bambina di Mary nacque nel reparto maternità d’un ospedale e quando Mary ne usci, si trovò a dover affrontare un problema. 
Adesso doveva guadagnare da vivere non soltanto per sé, ma anche per la sua creatura. 
E cosi decise di mettere la bimba in un nido per l’infanzia, non in uno gratuito, ma in uno di cui i suoi mezzi le permettessero di pagare la retta. 
“Tutte le mattine portavo la piccola al nido, e tutte le sere, dopo il lavoro, andavo a prenderla e la portavo a casa. 
La vedevo sveglia di rado, tranne la domenica. 
Siccome tutto quello che guadagnavo serviva per il vitto, per la pigione e per il nido, la piccola non aveva belle vestine o giocattoli. 
Gli abitini che portava durante il giorno appartenevano al nido, e cosi i giocattoli. Io avevo soltanto il cesto di vimini nel quale dormiva, le coperte e un sonaglio di celluloide. 
Ma ero felice perché, mentre lavoravo, sapevo che l’avrei portata a casa la sera e l’avrei tenuta tra le braccia finché si fosse addormentata. 
Un pomeriggio mi telefonarono dal nido e mi dissero di accorrere subito… ma non arrivai in tempo.”

E cosi Mary si ritrovò sola come prima : una giovane donna non molto bella, non molto intelligente, una donna che aveva soltanto la gran dote di amare e di dare.
La sua lettera finiva cosi : “Siccome la mia piccola non aveva bei vestiti o giocattoli, o nessuna delle cose che i bimbi di solito hanno, io non avrò nulla di lei da conservare. 
E temo che, con il passare degli anni, il suo ricordo svanirà, e chiudendo gli occhi non riuscirò più a vederne il viso.
Ecco perché voglio che scriviate una poesia su di lei, una poesia bella come era lei, una poesia che me la riporti vicina ogni volta che la leggerò, che mi faccia sentire ch’è ancora accanto a me, non tra le mie braccia, ma nel mio cuore.
Vi prego spedite la poesia a Mary, Fermo Posta, e io passerò all’ufficio postale tutti i giorni finché arriverà.“

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Scrivere quella poesia fu uno dei compiti più difficili che abbia mai avuto e, per quanto sembri un paradosso, uno dei più facili.
Non ne ho tenuto una copia perché temevo che, prima o poi, potessi essere tentata di pubblicarla, e allora la poesia non avrebbe più appartenuto soltanto a Mary.
Quando misi la poesia nella busta, fui sul punto di mettervi anche il biglietto da un dollaro, ma poi mi resi conto che sarebbe stata una crudeltà.
Mi resi conto che Mary comprava un ultimo regalo per la sua creatura.
Sì, cercai di rintracciare Mary, ma non fu possibile; aveva ritirato la lettera, e poi era scomparsa.
Sebbene questo sia accaduto parecchio tempo fa, conservo ancora il dollaro, nella speranza che un giorno, non so dove, mi capiti d’incontrare Mary.
Se m’avverrà d’incontrarla, le darò il dollaro e le spiegherò che un ricordo non si può comprare.
Deve essere sempre un dono.

 
 
 
 
 

Suhair Sibai – Introvert – 2011 

 

 
 
 
 

(dal Reader’s Digest – Impaginazione Orso Tony)




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IL CONTO – Raccontino di Bruno Ferrero saggio.. carinissimo ed utile per l’educazione dei ragazzi   Leave a comment

 

 


Un bellissimo raccontino

che consiglio alle madri (ed ai padri)

di far leggere ai ragazzi di oggi.

 

 

 


 

 

 

MADRE E FIGLIO

– BEL RACCONTINO DI SAGGEZZA –

 

 

 

 

 

 

IL CONTO
– Bruno Ferrero –


Una sera, mentre la mamma preparava la cena, il figlio undicenne si presentò in cucina con un foglietto in mano.
 
Con aria stranamente ufficiale il bambino porse il pezzo di carta alla mamma, che si asciugò le mani con il grembiule e lesse quanto vi era scritto:

Per aver strappato le erbacce dal vialetto: 1 EURO.

Per aver ordinato la mia cameretta: 1,50 EURO.

Per essere andato a comprare il latte: 0,50 EURO.

Per aver badato alla sorellina (tre pomeriggi): 3 EURO.

Per aver preso due volte “ottimo” a scuola: 2 EURO.

Per aver portato fuori l’ immondizia tutte le sere: 1 EURO.

Totale: 9 EURO

La mamma fissò il figlio negli occhi, teneramente. 





La sua mente si affollò di ricordi.

Prese una biro e, sul retro del foglietto, scrisse:
 

 Per averti portato in grembo per 9 mesi: 0 EURO.
Per tutte le notti passate a vegliarti quando eri ammalato: 0 EURO.
Per tutte le volte che ti ho cullato quando eri triste: 0 EURO.
Per tutte le volte che ho asciugato le tue lacrime: 0 EURO.
Per tutto quello che ti ho insegnato, giorno dopo giorno: 0 EURO.
Per tutte le colazioni, i pranzi, le merende, le cene e i panini che ti ho preparato: 0 EURO.
Per la vita che ti dò ogni giorno: 0 EURO.
 
 

Quando ebbe terminato, sorridendo la mamma diede il foglietto al figlio.

Quando il bambino ebbe finito di leggere ciò che la mamma aveva scritto, due LACRIMONI fecero capolino nei suoi occhi.

Girò il foglio e sul suo conto scrisse: “PAGATO”.

Poi saltò al collo della madre e la sommerse di baci.

Quando nei rapporti personali e familiari si cominciano a fare i conti, è tutto finito.

L’amore, o è gratuito o non è amore.

 



 

 



dal web – impaginazione T. K.

 
 
 
 
CIAO DA TONY KOSPAN









 
 
 

La scatola e la bambina – Un raccontino simpatico.. dolce ed emozionante   1 comment

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Un racconto davvero dolcissimo…
che trovai tempo fa nel web.
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E’ di autore anonimo ma davvero bellissimo.
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Penso che qualcuno si commuoverà.








LA SCATOLA E LA BAMBINA




La bambina stava preparando un suo pacco di Natale.
Avvolgeva una scatola con costosissima carta dorata.
Impiegava una quantità sproporzionata di carta e fiocchi e nastro colorato.
“Cosa fai?” – la rimproverò aspramente il padre. “Stai sprecando tutta la carta! Hai idea di quanto costi?”.
La bambina con le lacrime agli occhi si rifugiò in un angolo stringendo al cuore la sua scatola.
La sera della vigilia di Natale, con i suoi passettini da uccellino, si avvicinò al papà ancora seduto a tavola e gli pose la scatola avvolta con la preziosa carta da regalo.
“E’ per te, papi” – mormorò.
Il padre si intenerì. Forse era stato troppo duro. Dopo tutto quel dono era per lui.
Sciolse lentamente il nastro, sgrovigliò con pazienza la carta dorata e aprì pian piano la scatola. Era vuota!
La sorpresa sgradita riacutizzò la sua irritazione ed esplose:
“E tu hai sprecato tutta questa carta e tutto questo nastro per avvolgere una scatola vuota!?”.
Mentre le lacrime tornavano a far capolino nei suoi grandi occhi, la bambina disse:
“Ma non è vuota, papà! Ci ho messo dentro un milione di bacini!”.
Per questo, oggi c’è un uomo che in ufficio tiene sulla scrivania una scatola da scarpe.
“Ma è vuota” – dicono tutti.
“No. E’ piena dell’amore della mia bambina” – risponde lui.                      











dal web – impaginazione T. K.



IL BAMBINO CHE SCRIVEVA SULLA SABBIA – Breve.. dolce e suggestivo racconto d’autore   Leave a comment



Un dolcissimo raccontino che ci farà bene al cuore…









IL BAMBINO CHE SCRIVEVA SULLA SABBIA



Un bambino, tutti i giorni, si recava in spiaggia e scriveva sulla sabbia: ”Mamma ti amo”; 
poi guardava il mare cancellare la scritta e correva via sorridendo.










Un vecchio triste passeggiava tutti i giorni su quel litorale, e lo vedeva giorno dopo giorno scrivere la stessa frase, e guardare felice il mare portagliela via. 

Fra sé e sé pensava: “Questi bambini sono così stupidi ed effimeri!”









Un giorno si decise ad avvicinare il bambino, non avrà avuto più di dieci anni e gli chiese: 
“Ma che senso ha che tu scriva sulla sabbia che poi il mare te la porta via? Diglielo tu che le vuoi bene.”

Il bambino si alzò, e guardando l’ennesima scritta cancellata dall’acqua salata, disse al vecchio: 
“Io non ce l’ho la mamma! Me l’ha portata via Dio come fa il mare con le mie scritte. 
Eppure torno qui, ogni giorno, a ricordare alla mamma e a Dio che non si può cancellare l’amore di un figlio per la propria madre”.










Il vecchio s’inginocchiò, e con le lacrime agli occhi scrisse: 
“Nora. Ti amo!”, era il nome della moglie appena morta.

Poi, prese il bimbo per mano e assieme guardarono la scritta sparire.


Alessandro Bon






Le mani giunte (Il cacciatore e la scimmia) – Poetico ed emozionante racconto giapponese d’autore   2 comments

 
 
 
 
  
    


Questo bellissimo e dolcissimo raccontino giapponese
è, a mio parere ma non solo,
 un un vero e proprio sublime brano di prosa poetica,
che ci parla d’un cacciatore di scimmie e
del suo incontro con una scimmia ed il suo piccolo.
 
 
 Merita proprio d’esser letto…
e penso anche che ci faccia davvero bene al cuore.


 
 
 
 
 
 
 

 
LE MANI GIUNTE 
Kikuo Takano
 
Quando la scimmia col suo piccolo in braccio
corre sconvolta ma non fa in tempo
a fuggire, né trova il suo rifugio,
verso chi le punta il fucile
giunge le mani e implora
di lasciarla andare, di salvarla,
piangendo disperata, strofinandosi
le mani con tutte le forze:
Il suo gesto nel chiedere pietà al cacciatore,
è come quello dell’uomo.
 
Per quanto esperto, il cacciatore di scimmie
non se la sente allora di sparare.
“Su, fuggi, fa presto!” Chiusi gli occhi
scoppia a piangere – così ci racconta.
 
Sebbene non ricordi più il nome
del vecchio che mi ha raccontato
con amarezza quel suo lugubre lavoro
dicendomi di non volere mai più affrontare,
né in campagna né sui monti,
la tragedia del cacciatore di scimmie,
non posso scordare le mani giunte
della scimmia, quel tremolio di mani
che ad altre somigliano.
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(KIKUO TAKANO, da Nel cielo alto, Oscar Mondadori, 2003)
 
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CIAO DA TONY KOSPAN

 

 


 
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PIOGGIA DI ROSE – Antonia Arslan con questo racconto ci parla dei ricordi della bambina di un tempo   Leave a comment








PIOGGIA DI ROSE
di Antonia Arslan *



Avevo appena imparato a leggere, dopo aver imbrogliato per molti mesi nonni e zii, facendo finta di capire la prima pagina di un numero del “Corriere dei Piccoli” che amavo moltissimo, e che sapevo a memoria.
Allora stavamo al Dolo, sulla Riviera del Brenta. 
E dopo pochi giorni di scuola, scoprii la cartolibreria di fronte al canale. 
Sul davanti, era un negozio come tanti altri; ma dietro, c’era un retrobottega odoroso di legno e di libri, il profumo della felicità. 
Mi arrampicavo sulla vecchia scaletta di legno con i gradini scricchiolanti (e dal tipo di rumore il vecchio signir Arrigom il proprietario, sapeva su quale scalino ero arrampicata, e a volte veniva a tirarmi giù: 
“No la xe par ti, sta roba”, diceva con autorità).




Dipinto di Cafiero Filippelli




Ma un giorno trovai Pioggia di Rose, una raccolta di novelle di Ferenc Herczeg, edizione Corticelli.
Mi innamorai di ogni storia di quel libro. 
Mi piaceva ogni cosa: la copertina un po’ rigida, le illustrazioni dal segno netto, senza sfumature, le pagine dalla stampa ben spaziata, che si leggeva facilmente; e soprattutto il titolo.
E lo lessi tutto, seduta sulla scaletta, finché un pomeriggio trovai il coraggio di chiedere al signor Arrigo se mi permetteva di portarmelo a casa.
“Certo” rispose “ma prima, sai, devi pagarmelo. Ricordati che chi legge, paga.”



(Racconto breve tratto da “Il cortile dei girasoli parlanti” e rinvenuto nel web)





Antonia Arslan



*Antonia Arslan è una scrittrice, traduttrice e accademica italiana di origini armene. 
Laureata in archeologia, ha insegnato per molti anni Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Padova.




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L’amore.. anche familiare.. fa bene a chi lo offre ed a chi lo riceve – Brano significativo ed illuminante   1 comment

 
 
 
 
 
 
 


Questo bellissimo dolce-malinconico racconto,
oltre ad esser una lettura che ti penetra nell’animo,
può esser spunto di riflessione sulle nostre rigidità emotive
e sulla necessità di aprirci a chi vogliamo bene
ed a chi ci vuol bene.




  



L’AMORE GUARISCE 
SIA CHI LO OFFRE,
SIA CHI LO RICEVE
Harold H. Bloomfield
 
 
 
 
 


 
 
 
 
 
La pelle di mio padre era itterica mentre lui era a letto collegato a monitor e fleboclisi nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale.
Normalmente uomo di robusta costituzione, aveva perso oltre quindici chili.
L’infermità di mio padre era stata diagnosticata come cancro al pancreas, una delle forme più maligne della malattia.
I medici facevano quello che potevano, ma ci dissero che gli restavano appena dai tre a sei mesi di vita.
Il cancro al pancreas non si presta alla radioterapia né alla chemioterapia, per cui i medici potevano offrire poche speranze.
Alcuni giorni più tardi, quando mio padre era seduto a letto, mi avvicinai a lui e gli dissi:
“Papà, provo un sentimento profondo per ciò che ti è successo. Mi ha aiutato a guardare il modo in cui mi sono sempre tenuto lontano e a sentire quanto io ti voglia bene davvero.”
Mi chinai su di lui per abbracciarlo, ma le spalle e le braccia gli si irrigidirono.
“Su, papà, davvero voglio abbracciarti.”
Per un momento apparve sconvolto.
Dimostrare affetto non era il nostro modo consueto di trattarci.
Gli chiesi di tirarsi ancora un po’ più su per poter passare le braccia attorno a lui.
Questa volta, però, era ancora più teso.
Sentivo accumularsi l’antico risentimento, e cominciai a pensare: 
“Questo non serve a niente. Se vuoi morire e lasciarmi con la stessa freddezza di sempre, fai come vuoi.”
Per anni avevo sfruttato ogni esempio delle resistenza e della rigidità di mio padre per incolparlo, per provare risentimento verso di lui, e per dire a me stesso: “Vedi non gli interessa.”






Questa volta, però ci pensai meglio e capii che l’abbraccio andava a vantaggio mio oltre che suo.
Volevo esprimere quanto mi importasse di lui, per quanto difficile fosse per lui lasciarmelo fare.
Mio padre era sempre stato molto germanico e incline al dovere; nella sua infanzia i suoi genitori devono avergli insegnato a tenere dentro di sé i suoi sentimenti, per diventare uomo.
Lasciando perdere il mio vecchio desiderio di incolparlo della nostra lontananza, effettivamente guardavo con impazienza alla sfida di offrirgli più amore.
Dissi: “Su papà, mettimi le braccia attorno.”
Mi inchinai vicino a lui sul bordo del letto con le sue braccia attorno a me.
“Adesso stringi. Ecco. Di nuovo, stringi. Benissimo!”
In un certo senso stavo insegnando a mio padre come abbracciare, e mentre mi stringeva accadde qualcosa.
Per un attimo traboccò un sentimento di “ti voglio  bene”.
Per anni il nostro saluto era stato una stretta di mano fredda, formale che voleva dire: “Ciao, come stai?”
Adesso sia io che lui aspettavamo che quella vicinanza momentanea si ripetesse.
Eppure, proprio nel momento in cui cominciava ad assaporare il sentimento di amore, qualcosa gli si stringeva nella parte superiore del dorso e il nostro abbraccio diventava goffo e strano.
Ci vollero mesi perché la sua rigidità cedesse e lui fosse in grado di lasciare che le emozioni del suo intimo passassero attraverso le braccia e mi avvolgessero.
Toccò a me essere la fonte di tanti abbracci prima che mio padre desse inizio e un abbraccio di sua volontà.
Non lo stavo incolpando, ma sostenendo; dopo tutto stava modificando le abitudini di una vita intera, e questo richiede tempo.
Sapevo che ci stava riuscendo perché sempre più la nostra relazione si basava sull’affetto.
Verso il duecentesimo abbraccio disse spontaneamente ad alta voce, per la prima volta da quando potessi ricordarmi:
“Ti voglio bene”.
  




 

 

Ciao da Tony Kospan




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La Rosa e la mendicante – Raccontino ispirato a R. M. Rilke.. poeta delle rose.. e alcune sue poesie   Leave a comment

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Un bel raccontino poetico e delicato,

direi di più… da brividi per il cuore,

che ha come protagonista il… 

Poeta delle rose“…

Rainer Maria Rilke 




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L A    R O S A

 


George Dunlop

 
 
 
 
Il poeta tedesco Rilke abitò per un certo periodo a Parigi.
Per andare all’Università percorreva ogni giorno, in compagnia di una sua amica francese, una strada molto frequentata.
Un angolo di questa via era perennemente occupato da una mendicante che chiedeva l’elemosina ai passanti.
La donna sedeva sempre allo stesso posto, immobile come una statua, con la mano tesa e gli occhi fissi al suolo.
Rilke non le dava mai nulla, mentre la sua compagna le donava spesso qualche moneta.
Un giorno la giovane francese, meravigliata domandò al poeta:
– Ma perché non dai mai nulla a quella poveretta? –
– Dovremmo regalare qualcosa al suo cuore, non alle sue mani – rispose il poeta.
Il giorno dopo, Rilke arrivò con una splendida rosa appena sbocciata, la depose nella mano della mendicante e fece l’atto di andarsene.
Allora accadde qualcosa d’inatteso:
la mendicante alzò gli occhi, guardò il poeta, si sollevò a stento da terra, prese la mano dell’uomo e la baciò.
Poi se ne andò stringendo la rosa al seno.
Per un’intera settimana nessuno la vide più.
Ma otto giorni dopo,la mendicante era di nuovo seduta nel solito angolo della via.
Silenziosa e immobile come sempre.
– Di che cosa avrà vissuto in tutti questi giorni in cui non ha ricevuto nulla? – chiese la giovane francese.
– Della rosa – rispose il poeta.
 

Testo senza il nome dell’autore presente in vari siti web.

 
 
 
 
 

J. W. Waterhouse

 



La rosa, di cui parla Rilke nelle sue poesie, forse però non è solo un fiore,
come mi segnalava un lettore del blog in una precedente versione del post,
ma anche e forse soprattutto l’allegoria del mistero della natura… della vita.



“Rosa, oh, contraddizione pura!

Delizia d’essere il sonno di nessuno sotto tante palpebre”


 

Questo è infatti l’epitaffio autografo voluto dal poeta sulla sua tomba.

  

 


Praga 4.12.1875 – Montreux 29.12.1926

 

 

Se ci fa piacere ecco ora in questo video

alcune sue poesie dedicate dal poeta alla rosa

 

 

 

 

 

 

F I N E

 

 

Racconto e video dal Web – Presentazione ed impaginazione T.K




Frecce (174)









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