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“5 Maggio”.. Ei fu. – La famosa poesia del Manzoni.. la sua storia e la morte di Napoleone   Leave a comment





Non possiamo,  noi che amiamo la poesia,
nel giorno in cui morì Napoleone,
non ricordare la più grande e la più bella poesia,
benché dubbiosa, scritta dal Manzoni per lui
e che ha per titolo proprio questa giornata.





(Ajaccio 15.8.1769 – Longwood – Sant’Elena 5.5.1821)




Questa poesia, oltre ad esser nota a tutti
perché ce la fanno studiare a scuola,
ha anche una notevole valenza storica
oltre ad esser densa di significati spirituali.




Alessandro Manzoni (Milano 7.3.1785 – Milano 22.5.1873)




Il Manzoni la scrisse quasi di getto (4 o 5 gg)
dopo aver saputo che Napoleone era morto
ma soprattutto perché commosso dal fatto
che si era convertito poco prima di morire.








Il poeta, quando il Bonaparte dominava l’Europa
non era stato tra i suoi ammiratori, anzi,
per cui appare chiaro che questa poesia
in cui ne riconosce comunque la grandezza
(all’epoca – e forse ancor oggi – Napoleone era amatissimo o odiatissimo)
non poteva certo portar alcun vantaggio allo scrittore milanese.




Questo il foglio su cui fu scritta




In realtà egli si astiene da un preciso giudizio storico
limitandosi a dire, con i mitici versi 31-32,
“Fu vera Gloria?
Ai posteri l’ardua sentenza”
frase poi entrata a far parte anche del nostro comune dire.








La poesia fu censurata dalle Autorità Austriache
che governavano all’epoca la Lombardia ma, 
grazie a Goethe, che la fece pubblicare su una rivista tedesca,
ebbe un’eco immediata in tutta Europa. 

Ma ora leggiamola… rileggiamola.








IL CINQUE MAGGIO
Alessandro Manzoni 
 
 Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all’ultima
ora dell’uom fatale;
né sa quando una simile
orma di pie’ mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sònito
mista la sua non ha:
vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al sùbito
sparir di tanto raggio;
e scioglie all’urna un cantico
che forse non morrà.
Dall’Alpi alle Piramidi,
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai,
dall’uno all’altro mar.
Fu vera gloria? Ai posteri
l’ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito
più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
gioia d’un gran disegno,
l’ansia d’un cor che indocile
serve, pensando al regno;
e il giunge, e tiene un premio
ch’era follia sperar;
tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il periglio,
la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio;
due volte nella polvere,
due volte sull’altar.
Ei si nomò: due secoli,
l’un contro l’altro armato,
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe’ silenzio, ed arbitro
s’assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dì nell’ozio
chiuse in sì breve sponda,
segno d’immensa invidia
e di pietà profonda,
d’inestinguibil odio
e d’indomato amor.
Come sul capo al naufrago
l’onda s’avvolve e pesa,
l’onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere
prode remote invan;
tal su quell’alma il cumulo
delle memorie scese.
Oh quante volte ai posteri
narrar se stesso imprese,
e sull’eterne pagine
cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
morir d’un giorno inerte,
chinati i rai fulminei,
le braccia al sen conserte,
stette, e dei dì che furono
l’assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
tende, e i percossi valli,
e il lampo de’ manipoli,
e l’onda dei cavalli,
e il concitato imperio
e il celere ubbidir.
Ahi! forse a tanto strazio
cadde lo spirto anelo,
e disperò; ma valida
venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere
pietosa il trasportò;
e l’avvïò, pei floridi
sentier della speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri avanza,
dov’è silenzio e tenebre
la gloria che passò.
Bella Immortal! benefica
Fede ai trïonfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
ché più superba altezza
al disonor del Gòlgota
giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
sperdi ogni ria parola:
il Dio che atterra e suscita,
che affanna e che consola,
sulla deserta coltrice
accanto a lui posò.







Tony Kospan




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La speranza di pure rivederti – Famosa ma criptica poesia di Montale che ci parla di un dubbioso ricordo d’amore   Leave a comment

 

 

 

 

 

Piccola, criptica, ma famosissima e davvero sublime

è questa poesia del grande Montale.


L’autore anche qui utilizza una forma scarna ed essenziale

per manifestare con forza quel fondo di angoscia verso la vita

che lo caratterizza apparendogli essa sempre nemica ed oscura.


 

 

Eugenio Montale – Genova 12.10.1896 – Milano 12.9.1981

 

 


LA SPERANZA DI PURE RIVEDERTI

POESIA SUBLIME DI EUGENIO MONTALE


 
 
 
 

 
 
 

Poesia dunque non facile ma profonda,
del mitico Eugenio
nonché poi però leggibile ed interpretabile in vari modi.




Sembra, se ci fate caso,
esserci una voluta mescolanza di soggetti e predicati,
così come di concetti.
 
 
 
 



Ma preferisco rimanere nell’ambito

delle mie prime ed immediate sensazioni

chiedendo a voi aiuto nel caso abbiate colto invece

significati ed aspetti diversi.





Le mie sensazioni sono che il poeta

parli di un amore passato

e del conflitto che in lui esiste

tra desiderio e paura di riviverne qualche momento.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
Avrebbe il poeta una qualche voglia di riveder quella persona
ma sente in sé una chiusura nella quale non sa
se predomina il senso della fine o quello dei ricordi
quasi come se davanti a lui ci fosse uno schermo
con uno scintillio (barbaglio) distorto ed evanescente.
 
Il destino (il servo gallonato) poi porta dove vuole lui…
trascinandoli chissà dove… i 2 amanti o possibili amanti… di una volta. 

 

Ma ora leggiamola.

 

 


 

  

LA SPERANZA DI PURE RIVEDERTI

Eugenio Montale (da “Le Occasioni”)

  

La speranza di pure rivederti
 
m’abbandonava;

 e mi chiesi se questo che mi chiude

ogni senso di te, schermo d’immagini,

ha i segni della morte o dal passato

è in esso, ma distorto e fatto labile,

un tuo barbaglio:

 (a Modena, tra i portici,

un servo gallonato trascinava

due sciacalli al guinzaglio).

 

 

Magritte – La memoria

 

 

Spero di legger anche un vostro parere.




  Ciao da Tony Kospan




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DEI SEPOLCRI – La mitica poesia del Foscolo oggi non può proprio mancare…   Leave a comment

 

 

 

Il Parnaso – Mengs (La poesia vince il silenzio del tempo e perpetua il ricordo delle grandi imprese)

 

 

 

Quale delle mitiche poesie che abbiamo studiato a scuola

è oggi la più indicata?

 

Penso che sia senz’altro questa e debbo dire che,

per quel che mi riguarda e nonostante il tema,

era tra le poche che allora mi piaceva

sia per la vivacità dell’autore che per l’interessante idea

insita nei versi.

 

 

 

 

 

 

Tra i classici infatti il Foscolo, esponente del romanticismo,

ci appariva, ed appare, tra i meno pomposi… i meno paludati.

 

 

 

 

 

 


Inutile dire che, oltre alla sua bellezza,

questa poesia vola nella romantica consapevolezza

che l’antico sistema di usare le chiese 

per seppellire i morti era assurdo 

proponendo una soluzione tutta… naturale.







Dunque ora rileggiamola… 

ascoltando una delicata e dolce musica

in questo bel video.

 

 

 

 

 

 

Ciao da Tony Kospan

 

 

 

 

 

 

“5 Maggio”.. la famosa poesia di Alessandro Manzoni.. la sua storia e la morte di Napoleone   1 comment





Non possiamo,  noi che amiamo la poesia,
nel giorno in cui morì Napoleone,
non ricordare la più grande e la più bella poesia,
benché dubbiosa, scritta dal Manzoni per lui
e che ha per titolo proprio questa giornata.





(Ajaccio 15.8.1769 – Longwood – Sant'Elena 5.5.1821)




Questa poesia, oltre ad esser nota a tutti
perché ce la fanno studiare a scuola,
ha anche una notevole valenza storica
oltre ad esser densa di significati spirituali.




Alessandro Manzoni (Milano 7.3.1785 – Milano 22.5.1873)




Il Manzoni la scrisse quasi di getto (4 o 5 gg)
dopo aver saputo che Napoleone era morto
ma soprattutto perché commosso dal fatto
che si era convertito poco prima di morire.








Il poeta, quando il Bonaparte dominava l'Europa
non era stato tra i suoi ammiratori, anzi,
per cui appare chiaro che questa poesia
in cui ne riconosce comunque la grandezza
(all'epoca – e forse ancor oggi – Napoleone era amatissimo o odiatissimo)
non poteva certo portar alcun vantaggio allo scrittore milanese.




Questo il foglio su cui fu scritta




In realtà egli si astiene da un preciso giudizio storico
limitandosi a dire, con i mitici versi 31-32,
“Fu vera Gloria?
Ai posteri l'ardua sentenza”
frase poi entrata a far parte anche del nostro comune dire.








La poesia fu censurata dalle Autorità Austriache
che governavano all'epoca la Lombardia ma, 
grazie a Goethe, che la fece pubblicare su una rivista tedesca,
ebbe un'eco immediata in tutta Europa. 

Ma ora leggiamola… rileggiamola.








IL CINQUE MAGGIO
Alessandro Manzoni 
 
 Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all'ultima
ora dell'uom fatale;
né sa quando una simile
orma di pie' mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sònito
mista la sua non ha:
vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al sùbito
sparir di tanto raggio;
e scioglie all'urna un cantico
che forse non morrà.
Dall'Alpi alle Piramidi,
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai,
dall'uno all'altro mar.
Fu vera gloria? Ai posteri
l'ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito
più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
gioia d'un gran disegno,
l'ansia d'un cor che indocile
serve, pensando al regno;
e il giunge, e tiene un premio
ch'era follia sperar;
tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il periglio,
la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio;
due volte nella polvere,
due volte sull'altar.
Ei si nomò: due secoli,
l'un contro l'altro armato,
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe' silenzio, ed arbitro
s'assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dì nell'ozio
chiuse in sì breve sponda,
segno d'immensa invidia
e di pietà profonda,
d'inestinguibil odio
e d'indomato amor.
Come sul capo al naufrago
l'onda s'avvolve e pesa,
l'onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere
prode remote invan;
tal su quell'alma il cumulo
delle memorie scese.
Oh quante volte ai posteri
narrar se stesso imprese,
e sull'eterne pagine
cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
morir d'un giorno inerte,
chinati i rai fulminei,
le braccia al sen conserte,
stette, e dei dì che furono
l'assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
tende, e i percossi valli,
e il lampo de' manipoli,
e l'onda dei cavalli,
e il concitato imperio
e il celere ubbidir.
Ahi! forse a tanto strazio
cadde lo spirto anelo,
e disperò; ma valida
venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere
pietosa il trasportò;
e l'avvïò, pei floridi
sentier della speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri avanza,
dov'è silenzio e tenebre
la gloria che passò.
Bella Immortal! benefica
Fede ai trïonfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
ché più superba altezza
al disonor del Gòlgota
giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
sperdi ogni ria parola:
il Dio che atterra e suscita,
che affanna e che consola,
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La speranza di pure rivederti – La nota ma criptica poesia di Montale ci parla di un dubbioso ricordo d’amore   Leave a comment

 

 

 

 

 

Piccola, criptica, ma famosissima e davvero sublime

è questa poesia del grande Montale.


L’autore anche qui utilizza una forma scarna ed essenziale

per manifestare con forza quel fondo di angoscia verso la vita

che lo caratterizza apparendogli essa sempre nemica ed oscura.


 

 

Eugenio Montale – Genova 12.10.1896 – Milano 12.9.1981

 

 


LA SPERANZA DI PURE RIVEDERTI

POESIA SUBLIME DI EUGENIO MONTALE


 
 
 
 

 
 
 

Poesia dunque non facile ma profonda,
del mitico Eugenio
nonché poi però leggibile ed interpretabile in vari modi.




Sembra, se ci fate caso,
esserci una voluta mescolanza di soggetti e predicati,
così come di concetti.
 
 
 
 



Ma preferisco rimanere nell’ambito

delle mie prime ed immediate sensazioni

chiedendo a voi aiuto nel caso abbiate colto invece

significati ed aspetti diversi.





Le mie sensazioni sono che il poeta

parli di un amore passato

e del conflitto che in lui esiste

tra desiderio e paura di riviverne qualche momento.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
Avrebbe il poeta una qualche voglia di riveder quella persona
ma sente in sé una chiusura nella quale non sa
se predomina il senso della fine o quello dei ricordi
quasi come se davanti a lui ci fosse uno schermo
con uno scintillio (barbaglio) distorto ed evanescente.
 
Il destino (il servo gallonato) poi porta dove vuole lui…
trascinandoli chissà dove… i 2 amanti o possibili amanti… di una volta. 

 

Ma ora leggiamola.

 

 


 

  

LA SPERANZA DI PURE RIVEDERTI

Eugenio Montale (da “Le Occasioni”)

  

La speranza di pure rivederti
 
m’abbandonava;

 e mi chiesi se questo che mi chiude

ogni senso di te, schermo d’immagini,

ha i segni della morte o dal passato

è in esso, ma distorto e fatto labile,

un tuo barbaglio:

 (a Modena, tra i portici,

un servo gallonato trascinava

due sciacalli al guinzaglio).

 

 

Magritte – La memoria

 

 

Spero di legger anche un vostro parere.




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DEI SEPOLCRI – Oggi non può proprio mancare questa mitica poesia del Foscolo   1 comment

 

 

 

Il Parnaso – Mengs (La poesia vince il silenzio del tempo e perpetua il ricordo delle grandi imprese)

 

 

 

Quale delle mitiche poesie che abbiamo studiato a scuola

è oggi la più indicata?

 

Penso che sia senz’altro questa e debbo dire che,

per quel che mi riguarda e nonostante il tema,

era tra le poche che allora mi piaceva

sia per la vivacità dell’autore che per l’interessante idea

insita nei versi.

 

 

 

 

 

 

Tra i classici infatti il Foscolo, esponente del romanticismo,

ci appariva, ed appare, tra i meno pomposi… i meno paludati.

 

 

 

 

 

 


Inutile dire che, oltre alla sua bellezza,

questa poesia vola nella romantica consapevolezza

che l’antico sistema di usare le chiese 

per seppellire i morti era assurdo 

proponendo una soluzione tutta… naturale.







Dunque ora rileggiamola… 

ascoltando una delicata e dolce musica

in questo bel video.

 

 

 

 

 

 

Ciao da Tony Kospan

 

 

 

 

 

 

“5 Maggio” – La più nota poesia di Alessandro Manzoni… e la sua storia   Leave a comment





Non possiamo,  noi che amiamo la poesia,
nel giorno in cui morì Napoleone,
non ricordare la più grande e la più bella poesia,
benché dubbiosa, scritta dal Manzoni per lui
e che ha per titolo proprio questa giornata.





(Ajaccio 15.8.1769 – Longwood – Sant’Elena 5.5.1821)




Questa poesia, oltre ad esser nota a tutti
perché ce la fanno studiare a scuola,
ha anche una notevole valenza storica
oltre ad esser densa di significati spirituali.




Alessandro Manzoni (Milano 7.3.1785 – Milano 22.5.1873)




Il Manzoni la scrisse quasi di getto (4 o 5 gg)
dopo aver saputo che Napoleone era morto
ma soprattutto perché commosso dal fatto
che si era convertito poco prima di morire.








Il poeta, quando il Bonaparte dominava l’Europa
non era stato tra i suoi ammiratori, anzi,
per cui appare chiaro che questa poesia
in cui ne riconosce comunque la grandezza
(all’epoca – e forse ancor oggi – Napoleone era amatissimo o odiatissimo)
non poteva certo portar alcun vantaggio allo scrittore milanese.




Questo il foglio su cui fu scritta




In realtà egli si astiene da un preciso giudizio storico
limitandosi a dire, con i mitici versi 31-32,
“Fu vera Gloria?
Ai posteri l’ardua sentenza”
frase poi entrata a far parte anche del nostro comune dire.








La poesia fu censurata dalle Autorità Austriache
che governavano all’epoca la Lombardia ma, 
grazie a Goethe, che la fece pubblicare su una rivista tedesca,
ebbe un’eco immediata in tutta Europa. 

Ma ora leggiamola… rileggiamola.








IL CINQUE MAGGIO
Alessandro Manzoni 
 
 Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all’ultima
ora dell’uom fatale;
né sa quando una simile
orma di pie’ mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sònito
mista la sua non ha:
vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al sùbito
sparir di tanto raggio;
e scioglie all’urna un cantico
che forse non morrà.
Dall’Alpi alle Piramidi,
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai,
dall’uno all’altro mar.
Fu vera gloria? Ai posteri
l’ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito
più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
gioia d’un gran disegno,
l’ansia d’un cor che indocile
serve, pensando al regno;
e il giunge, e tiene un premio
ch’era follia sperar;
tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il periglio,
la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio;
due volte nella polvere,
due volte sull’altar.
Ei si nomò: due secoli,
l’un contro l’altro armato,
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe’ silenzio, ed arbitro
s’assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dì nell’ozio
chiuse in sì breve sponda,
segno d’immensa invidia
e di pietà profonda,
d’inestinguibil odio
e d’indomato amor.
Come sul capo al naufrago
l’onda s’avvolve e pesa,
l’onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere
prode remote invan;
tal su quell’alma il cumulo
delle memorie scese.
Oh quante volte ai posteri
narrar se stesso imprese,
e sull’eterne pagine
cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
morir d’un giorno inerte,
chinati i rai fulminei,
le braccia al sen conserte,
stette, e dei dì che furono
l’assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
tende, e i percossi valli,
e il lampo de’ manipoli,
e l’onda dei cavalli,
e il concitato imperio
e il celere ubbidir.
Ahi! forse a tanto strazio
cadde lo spirto anelo,
e disperò; ma valida
venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere
pietosa il trasportò;
e l’avvïò, pei floridi
sentier della speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri avanza,
dov’è silenzio e tenebre
la gloria che passò.
Bella Immortal! benefica
Fede ai trïonfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
ché più superba altezza
al disonor del Gòlgota
giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
sperdi ogni ria parola:
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che affanna e che consola,
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Manzoni – Breve ricordo del grande scrittore anche con la poesia “Il 5 Maggio” ed alcuni aforismi   Leave a comment

 

Breve ricordo di Alessandro Manzoni,

il più grande scrittore italiano dell'800,

autore dei mitici “Promessi sposi”, ma non solo.



.

.


Lo ricorderò brevemente anche con alcuni suoi aforismi

e con un suo mitico e poetico brano… dalla sua opera più famosa

.

.

A F O R I S M I

.

.

Immagine giovanile



Il vero male non è quello che si soffre, ma quello che si fa.

La vita non deve essere una festa per alcuni e un peso per altri,

ma dev'essere un impegno per tutti.

Non sempre quello che viene dopo è progresso.

La ragione e il torto non si dividono mai con un taglio così netto

che ogni parte abbia soltanto dell'uno e dell'altra.

É men male l'agitarsi nel dubbio, che il riposar nell'errore.

Bisogna sempre dire francamente e chiaramente le cose al proprio avvocato:

sarà lui ad imbrogliarle.

Uno dei benefici dell'amicizia è di sapere a chi confidare un segreto.



Altra mmagine giovanile




ADDIO AI MONTI




 
 
 
Il brano, posto alla fine dell'ottavo capitolo dei Promessi Sposi,
è la descrizione del paesaggio del lago di Como e dei pensieri di Lucia
mentre abbandona in barca, con Renzo, il paese natio
per sfuggire alle losche manovre di Don Rodrigo.
 
 
 
 

 
 
 
Il passo è il momento letterariamente più alto di tutto il romanzo.

Viene infatti da moltissimi critici ritenuto vera poesia in prosa.

 
 
 


 
 
 
Il tema centrale è quello del difficile e doloroso abbandono 
della terra natìa verso un futuro incerto 
e dei pensieri di una giovane, dall'animo dolce e delicato, come Lucia
sulla quale aleggia, nera, la figura di Don Rodrigo.


 
 
 

 
 
L'ambientazione, il lago di notte ed il paesaggio in cui è immerso,
fa da sublime contorno ai sofferenti pensieri di Lucia…
 
 Ma ora leggiamolo…  o rileggiamolo…
 
 
 
 
 
 
 

IL TESTO

  
 Addio, monti sorgenti dall’acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l’aspetto de’ suoi più familiari; torrenti, de’ quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore pascenti; addio! Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana! Alla fantasia di quello stesso che se ne parte volontariamente, tratto dalla speranza di fare altrove fortuna, si disabbelliscono, in quel momento, i sogni della ricchezza; egli si maraviglia d’essersi potuto risolvere, e tornerebbe allora indietro, se non pensasse che, un giorno, tornerà dovizioso. Quanto più si avanza nel piano, il suo occhio si ritira, disgustato e stanco, da quell’ampiezza uniforme; l’aria gli par gravosa e morta; s’inoltra mesto e disattento nelle città tumultuose; le case aggiunte a case, le strade che sboccano nelle strade, pare che gli levino il respiro; e davanti agli edifizi ammirati dallo straniero, pensa, con desiderio inquieto, al campicello del suo paese, alla casuccia a cui ha già messo gli occhi addosso, da gran tempo, e che comprerà, tornando ricco a’ suoi monti.









Ma chi non aveva mai spinto al di là di quelli neppure un desiderio fuggitivo, chi aveva composti in essi tutti i disegni dell’avvenire, e n’è sbalzato lontano, da una forza perversa! Chi, staccato a un tempo dalle più care abitudini, e disturbato nelle più care speranze, lascia que’ monti, per avviarsi in traccia di sconosciuti che non ha mai desiderato di conoscere, e non può con l’immaginazione arrivare a un momento stabilito per il ritorno! Addio, casa natìa, dove, sedendo, con un pensiero occulto, s’imparò a distinguere dal rumore de’ passi comuni il rumore d’un passo aspettato con un misterioso timore. Addio, casa ancora straniera, casa sogguardata tante volte alla sfuggita, passando, e non senza rossore; nella quale la mente si figurava un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa. Addio, chiesa, dove l’animo tornò tante volte sereno, cantando le lodi del Signore; dov’era promesso, preparato un rito; dove il sospiro segreto del cuore doveva essere solennemente benedetto, e l’amore venir comandato, e chiamarsi santo; addio! Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto; e non turba mai la gioia de’ suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande.

 
 
 
Alessandro Manzoni 
 
 
 
Ciao da Tony Kospan 
 
 



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Alessandro Manzoni – Breve ricordo alcuni aforismi ed il mitico brano “Addio ai monti” dai Promessi sposi   2 comments

 

Breve ricordo di Alessandro Manzoni,

il più grande scrittore italiano dell’800,

autore dei mitici “Promessi sposi”, ma non solo.



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Lo ricorderò brevemente anche con alcuni suoi aforismi

e con un suo mitico e poetico brano… dalla sua opera più famosa

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A F O R I S M I

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Immagine giovanile



Il vero male non è quello che si soffre, ma quello che si fa.

La vita non deve essere una festa per alcuni e un peso per altri,

ma dev’essere un impegno per tutti.

Non sempre quello che viene dopo è progresso.

La ragione e il torto non si dividono mai con un taglio così netto

che ogni parte abbia soltanto dell’uno e dell’altra.

É men male l’agitarsi nel dubbio, che il riposar nell’errore.

Bisogna sempre dire francamente e chiaramente le cose al proprio avvocato:

sarà lui ad imbrogliarle.

Uno dei benefici dell’amicizia è di sapere a chi confidare un segreto.



Altra mmagine giovanile




ADDIO AI MONTI




 
 
 
Il brano, posto alla fine dell’ottavo capitolo dei Promessi Sposi,
è la descrizione del paesaggio del lago di Como e dei pensieri di Lucia
mentre abbandona in barca, con Renzo, il paese natio
per sfuggire alle losche manovre di Don Rodrigo.
 
 
 
 

 
 
 
Il passo è il momento letterariamente più alto di tutto il romanzo.

Viene infatti da moltissimi critici ritenuto vera poesia in prosa.

 
 
 


 
 
 
Il tema centrale è quello del difficile e doloroso abbandono 
della terra natìa verso un futuro incerto 
e dei pensieri di una giovane, dall’animo dolce e delicato, come Lucia
sulla quale aleggia, nera, la figura di Don Rodrigo.


 
 
 

 
 
L’ambientazione, il lago di notte ed il paesaggio in cui è immerso,
fa da sublime contorno ai sofferenti pensieri di Lucia…
 
 Ma ora leggiamolo…  o rileggiamolo…
 
 
 
 
 
 
 

IL TESTO

  
 Addio, monti sorgenti dall’acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l’aspetto de’ suoi più familiari; torrenti, de’ quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore pascenti; addio! Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana! Alla fantasia di quello stesso che se ne parte volontariamente, tratto dalla speranza di fare altrove fortuna, si disabbelliscono, in quel momento, i sogni della ricchezza; egli si maraviglia d’essersi potuto risolvere, e tornerebbe allora indietro, se non pensasse che, un giorno, tornerà dovizioso. Quanto più si avanza nel piano, il suo occhio si ritira, disgustato e stanco, da quell’ampiezza uniforme; l’aria gli par gravosa e morta; s’inoltra mesto e disattento nelle città tumultuose; le case aggiunte a case, le strade che sboccano nelle strade, pare che gli levino il respiro; e davanti agli edifizi ammirati dallo straniero, pensa, con desiderio inquieto, al campicello del suo paese, alla casuccia a cui ha già messo gli occhi addosso, da gran tempo, e che comprerà, tornando ricco a’ suoi monti.









Ma chi non aveva mai spinto al di là di quelli neppure un desiderio fuggitivo, chi aveva composti in essi tutti i disegni dell’avvenire, e n’è sbalzato lontano, da una forza perversa! Chi, staccato a un tempo dalle più care abitudini, e disturbato nelle più care speranze, lascia que’ monti, per avviarsi in traccia di sconosciuti che non ha mai desiderato di conoscere, e non può con l’immaginazione arrivare a un momento stabilito per il ritorno! Addio, casa natìa, dove, sedendo, con un pensiero occulto, s’imparò a distinguere dal rumore de’ passi comuni il rumore d’un passo aspettato con un misterioso timore. Addio, casa ancora straniera, casa sogguardata tante volte alla sfuggita, passando, e non senza rossore; nella quale la mente si figurava un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa. Addio, chiesa, dove l’animo tornò tante volte sereno, cantando le lodi del Signore; dov’era promesso, preparato un rito; dove il sospiro segreto del cuore doveva essere solennemente benedetto, e l’amore venir comandato, e chiamarsi santo; addio! Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto; e non turba mai la gioia de’ suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande.

 
 
 
Alessandro Manzoni 
 
 
 
Ciao da Tony Kospan 
 
 



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La speranza di pure rivederti – Questa nota ma criptica poesia di Montale ci parla di un dubbioso ricordo d’amore   Leave a comment

 

 

 

 

 

Piccola… criptica… ma famosissima e davvero sublime

è questa poesia…


L’autore anche qui utilizza una forma scarna ed essenziale

per manifestare con forza quel fondo di angoscia verso la vita

che lo caratterizza apparendogli essa sempre nemica ed oscura.


 

 

Eugenio Montale – Genova 12.10.1896 – Milano 12.9.1981

 

 


LA SPERANZA DI PURE RIVEDERTI

POESIA SUBLIME DI EUGENIO MONTALE


 
 
 
 

 
 
 

Poesia dunque non facile ma profonda,
del grande Eugenio
nonché poi però leggibile ed interpretabile in vari modi.




Sembra, se ci fate caso,
esserci una voluta mescolanza di soggetti e predicati,
così come di concetti.
 
 
 
 



Ma preferisco rimanere nell’ambito

delle mie prime ed immediate sensazioni…

chiedendo a voi aiuto nel caso abbiate colto invece

significati ed aspetti diversi.





Le mie sensazioni sono che il poeta

parli di un amore passato…

e del conflitto che in lui esiste

tra desiderio e paura di riviverne qualche momento.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
Avrebbe il poeta una qualche voglia di riveder quella persona…
ma sente in sé una chiusura nella quale non sa
se predomina il senso della fine o quello dei ricordi
quasi come se davanti a lui ci fosse uno schermo
con uno scintillio (barbaglio) distorto ed evanescente… 
 
Il destino (il servo gallonato) poi porta dove vuole lui…
trascinandoli  chissà dove… i 2 amanti… o possibili amanti…di una volta. 

 

Ma ora leggiamola…

 

 


 

  

LA SPERANZA DI PURE RIVEDERTI

Eugenio Montale (da “Le Occasioni”)

  

La speranza di pure rivederti
 
m’abbandonava;

 e mi chiesi se questo che mi chiude

ogni senso di te, schermo d’immagini,

ha i segni della morte o dal passato

è in esso, ma distorto e fatto labile,

un tuo barbaglio:

 (a Modena, tra i portici,

un servo gallonato trascinava

due sciacalli al guinzaglio).

 

 

Magritte – La memoria

 

 

Spero di legger anche un vostro parere.




  Ciao da Tony Kospan



 

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