politico, patriota, giornalista ed… eroe di guerra e che
in campo letterario è considerato il più alto esponente italiano
del Decadentismo assieme a Giovanni Pascoli.
Volendo però render omaggio all’indubbia
genialità del Vate anche nel campo della poesia
approfondirò prima quella che mi appare più sorprendente
rispetto alla sua mitica fama di irresistibile dongiovanni
“Voglio un amore doloroso“.
Sarà forse per la nota fama
di uomo esageratamente trasgressivo
in tanti aspetti della vita
che lo ritenevo incapace di visioni così profonde.
Gabriele D’Annunzio
Pescara 12. 03.1863 – Gardone Riviera 1º marzo 1938
Ma questa poesia, che per certi aspetti
precorre la psicanalisi freudiana,
invece smentisce quest’impossibilità
anche se poi occhieggia comunque quel
”letto di porpora”.
Di cosa ci parla dunque questa poesia?
.
Ci dice innanzitutto che il vero amore…
quello che ti squassa il cuore…
non può non essere, ahimè,
anche doloroso ed inquieto…
e che però l’importante è che alla fine ci consenta
diconoscere e vivere attimi d’infinito.
F. G. Baron – Dadne e Chloe
Ci dice anche che il poeta desidera far all’amore…
con la donna che ama…
(o, secondo altra interpretazione, che lo sta già facendo).
Ci parla infine dell’amore
come ricerca dell’Assoluto
che vada oltre la morte.
Arthur Hughes
VOGLIO UN AMORE DOLOROSO
Gabriele D’Annunzio
Voglio un amore doloroso, lento,
che lento sia come una lenta morte,
e senza fine (voglio che più forte
sia della morte) e senza mutamento.
Voglio che senza tregua in un tormento
occulto sien le nostre anime assorte;
e un mare sia presso a le nostre porte,
solo, che pianga in un silenzio intento.
Voglio che sia la torre alta granito,
ed alta sia così che nel sereno
sembri attingere il grande astro polare.
Voglio un letto di porpora, e trovare
in quell’ombra giacendo su quel seno,
come in fondo a un sepolcro, l’Infinito.
politico, patriota, giornalista ed… eroe di guerra e che
in campo letterario è considerato il più alto esponente italiano
del Decadentismo assieme a Giovanni Pascoli.
Volendo però render omaggio all’indubbia
genialità del Vate anche nel campo della poesia
approfondirò prima quella che mi appare più sorprendente
rispetto alla sua mitica fama di irresistibile dongiovanni
“Voglio un amore doloroso“.
Sarà forse per la nota fama
di uomo esageratamente trasgressivo
in tanti aspetti della vita
che lo ritenevo incapace di visioni così profonde.
Gabriele D’Annunzio
Pescara 12. 03.1863 – Gardone Riviera 1º marzo 1938
Ma questa poesia, che per certi aspetti
precorre la psicanalisi freudiana,
invece smentisce quest’impossibilità
anche se poi occhieggia comunque quel
”letto di porpora”.
Di cosa ci parla dunque questa poesia?
.
Ci dice innanzitutto che il vero amore…
quello che ti squassa il cuore…
non può non essere, ahimè,
anche doloroso ed inquieto…
e che però l’importante è che alla fine ci consenta
diconoscere e vivere attimi d’infinito.
F. G. Baron – Dadne e Chloe
Ci dice anche che il poeta desidera far all’amore…
con la donna che ama…
(o, secondo altra interpretazione, che lo sta già facendo).
Ci parla infine dell’amore
come ricerca dell’Assoluto
che vada oltre la morte.
Arthur Hughes
VOGLIO UN AMORE DOLOROSO
Gabriele D’Annunzio
Voglio un amore doloroso, lento,
che lento sia come una lenta morte,
e senza fine (voglio che più forte
sia della morte) e senza mutamento.
Voglio che senza tregua in un tormento
occulto sien le nostre anime assorte;
e un mare sia presso a le nostre porte,
solo, che pianga in un silenzio intento.
Voglio che sia la torre alta granito,
ed alta sia così che nel sereno
sembri attingere il grande astro polare.
Voglio un letto di porpora, e trovare
in quell’ombra giacendo su quel seno,
come in fondo a un sepolcro, l’Infinito.
Giosuè Carducci grande poeta italiano,
e vero mito letterario tra la fine dell’800
e l’inizio del ‘900, è stato il primo italiano
a vincere il premio Nobel per la Letteratura.
(Valdicastello di Pietrasanta 27.71835 – Bologna, 16.2.1907)
Come ricordare un così grande poeta?
Lo farò semplicemente con una mini biografia
e soprattutto con alcune sue mitiche poesie.
BREVISSIMA BIOGRAFIA
Visse la sua fanciullezza in Maremma
le cui atmosfere rivivranno poi in tante sue poesie.
Laureatosi alla Scuola normale superiore di Pisa nel 1856
iniziò ad insegnare in un Ginnasio di Pistoia.
Dopo qualche anno, nel 1860, ottenne la Cattedra
di Letteratura Italiana nell’Università di Bologna.
Nel 1906 fu insignito del Premio Nobel
LA POETICA
L’amore per la patria (siamo in epoca risorgimentale)
e la passione politica, con l’amore per la vita
la famiglia e la natura sono le linee guida
della sua notevole produzione poetica.
Egli a differenza di molti altri poeti del suo tempo,
che esaltano il Romanticismo, sceglie il Classicismo.
Ciò vuol dire per lui esaltare le tradizioni
storiche, culturali e poetiche italiane e far rivivere
idee di orgoglio patrio per un futuro glorioso.
Questo appare chiaro nei suoi versi che,
pur non paludati e pesanti, tuttavia esplorano
in modo raffinato tutte le potenzialità
della lingua italiana del passato e del mondo classico.
Tuttavia non mancano nelle sue opere contaminazioni
“romantiche” e “simboliste”.
.
.
.
LE POESIE
Quelle da me scelte sono:
le prime 3 classicissime e studiatissime a scuola
e la 4° è una bella poesia d’amore.
.
Pianto antico
L’albero a cui tendevi
la pargoletta mano,
il verde melograno
da’ bei vermigli fior,
nel muto orto solingo
rinverdì tutto or ora
e giugno lo ristora
di luce e di calor.
Tu fior della mia pianta
percossa e inaridita,
tu dell’inutil vita
estremo unico fior,
sei ne la terra fredda,
sei ne la terra negra;
né il sol più ti rallegra
né ti risveglia amor.
.
.
.
.
San Martino
La nebbia a gl’irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;
ma per le vie del borgo
dal ribollir de’ tini
va l’aspro odor de i vini
l’anime a rallegrar.
Gira su’ ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
sull’uscio a rimirar
tra le rossastre nubi
stormi d’uccelli neri,
com’esuli pensieri,
nel vespero migrar.
Davanti a San Guido
I cipressi che a Bólgheri alti e schietti
Van da San Guido in duplice filar,
Quasi in corsa giganti giovinetti
Mi balzarono incontro e mi guardar.
Mi riconobbero, e— Ben torni omai —
Bisbigliaron vèr’ me co ‘l capo chino —
Perché non scendi ? Perché non ristai ?
Fresca è la sera e a te noto il cammino.
Oh sièditi a le nostre ombre odorate
Ove soffia dal mare il maestrale:
Ira non ti serbiam de le sassate
Tue d’una volta: oh non facean già male!
Nidi portiamo ancor di rusignoli:
Deh perché fuggi rapido cosí ?
Le passere la sera intreccian voli
A noi d’intorno ancora. Oh resta qui! —
— Bei cipressetti, cipressetti miei,
Fedeli amici d’un tempo migliore,
Oh di che cuor con voi mi resterei—
Guardando lor rispondeva — oh di che cuore !
Ma, cipressetti miei, lasciatem’ire:
Or non è piú quel tempo e quell’età.
Se voi sapeste!… via, non fo per dire,
Ma oggi sono una celebrità.
E so legger di greco e di latino,
E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtú:
Non son piú, cipressetti, un birichino,
E sassi in specie non ne tiro piú.
E massime a le piante. — Un mormorio
Pe’ dubitanti vertici ondeggiò
E il dí cadente con un ghigno pio
Tra i verdi cupi roseo brillò.
Intesi allora che i cipressi e il sole
Una gentil pietade avean di me,
E presto il mormorio si fe’ parole:
— Ben lo sappiamo: un pover uom tu se’.
Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse
Che rapisce de gli uomini i sospir,
Come dentro al tuo petto eterne risse
Ardon che tu né sai né puoi lenir.
A le querce ed a noi qui puoi contare
L’umana tua tristezza e il vostro duol.
Vedi come pacato e azzurro è il mare,
Come ridente a lui discende il sol!
E come questo occaso è pien di voli,
Com’è allegro de’ passeri il garrire!
A notte canteranno i rusignoli:
Rimanti, e i rei fantasmi oh non seguire;
I rei fantasmi che da’ fondi neri
De i cuor vostri battuti dal pensier
Guizzan come da i vostri cimiteri
Putride fiamme innanzi al passegger.
Rimanti; e noi, dimani, a mezzo il giorno,
Che de le grandi querce a l’ombra stan
Ammusando i cavalli e intorno intorno
Tutto è silenzio ne l’ardente pian,
Ti canteremo noi cipressi i cori
Che vanno eterni fra la terra e il cielo:
Da quegli olmi le ninfe usciran fuori
Te ventilando co ‘l lor bianco velo;
E Pan l’eterno che su l’erme alture
A quell’ora e ne i pian solingo va
Il dissidio, o mortal, de le tue cure
Ne la diva armonia sommergerà. —
Ed io—Lontano, oltre Apennin, m’aspetta
La Tittí — rispondea; — lasciatem’ire.
è la Tittí come una passeretta,
Ma non ha penne per il suo vestire.
E mangia altro che bacche di cipresso;
Né io sono per anche un manzoniano
Che tiri quattro paghe per il lesso.
Addio, cipressi! addio, dolce mio piano! —
— Che vuoi che diciam dunque al cimitero
Dove la nonna tua sepolta sta? —
E fuggíano, e pareano un corteo nero
Che brontolando in fretta in fretta va.
Di cima al poggio allor, dal cimitero,
Giú de’ cipressi per la verde via,
Alta, solenne, vestita di nero
Parvemi riveder nonna Lucia:
La signora Lucia, da la cui bocca,
Tra l’ondeggiar de i candidi capelli,
La favella toscana, ch’è sí sciocca
Nel manzonismo de gli stenterelli,
Canora discendea, co ‘l mesto accento
De la Versilia che nel cuor mi sta,
Come da un sirventese del trecento,
Piena di forza e di soavità.
O nonna, o nonna! deh com’era bella
Quand’ero bimbo! ditemela ancor,
Ditela a quest’uom savio la novella
Di lei che cerca il suo perduto amor!
— Sette paia di scarpe ho consumate
Di tutto ferro per te ritrovare:
Sette verghe di ferro ho logorate
Per appoggiarmi nel fatale andare:
Sette fiasche di lacrime ho colmate,
Sette lunghi anni, di lacrime amare:
Tu dormi a le mie grida disperate,
E il gallo canta, e non ti vuoi svegliare.
— Deh come bella, o nonna, e come vera
è la novella ancor! Proprio cosí.
E quello che cercai mattina e sera
Tanti e tanti anni in vano, è forse qui,
Sotto questi cipressi, ove non spero,
Ove non penso di posarmi piú:
Forse, nonna, è nel vostro cimitero
Tra quegli altri cipressi ermo là su.
Ansimando fuggía la vaporiera
Mentr’io cosí piangeva entro il mio cuore;
E di polledri una leggiadra schiera
Annitrendo correa lieta al rumore.
Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo
Rosso e turchino, non si scomodò:
Tutto quel chiasso ei non degnò d’un guardo
E a brucar serio e lento seguitò.
Qui regna amore
Ove sei? de’ sereni occhi ridenti
A chi tempri il bel raggio, o donna mia?
E l’intima del cor tuo melodia
A chi armonizzi ne’ soavi accenti?
Siedi tra l’erbe e i fiori e a’ freschi venti
Dài la dolce e pensosa alma in balía?
O le membra concesso hai de la pia
Onda a gli amplessi di vigor frementi?
Oh, dovunque tu sei, voluttuosa
Se l’aura o l’onda con mormorio lento
Ti sfiora il viso o a’ bianchi omeri posa,
è l’amor mio che in ogni sentimento
Vive e ti cerca in ogni bella cosa
E ti cinge d’eterno abbracciamento.
chi ci ha donato poesie indimenticabili ed eterne.
L’ARTICOLO DI GIANNI LEONE
.
“I suoi versi sono bagnati di ardente “visionarità”,
profondi come solo gli abissi dell’anima sanno essere…
versi a volte inquieti, a volte sommessi,
che raccontano le “ombre e luci della sua mente.”
Alda Merini era una poetessa di un’intensità straordinaria… una che “andava e veniva” dai manicomi, sempre prigioniera dei suoi problemi di salute… eppure quei problemi in un certo senso hanno reso Alda Merini libera… libera di raccontare se stessa, le cose che vedeva, le persone che l’aiutavano o l’amavano…
Nel febbraio del 2004 Alda Merini viene ricoverata all’Ospedale San Paolo di Milano per problemi di salute. Un amico della scrittrice lancia un appello per richiedere aiuto economico.
La Merini, nonostante sia una delle più grandi poetesse del Novecento vive in povertà.
E così accade di morire in semi-povertà, dopo che per un’intera vita si è arricchito il mondo di poesia… la poesia di una donna dal modo scontroso ma straordinariamente dolce di esistere e comporre versi…
Capita che in un paese come l’Italia, una grande artista muoia quasi nel silenzio… semisconosciuta… ci sono “altri artisti” da celebrare… l’Italia è intenta a celebrare i decerebrati dei reality, i protagonisti del pallone miliardario e le tante veline cialtrone della tv… e così in questa domenica d’autunno, sono nel mio studio, con uno dei miei cinque gatti, Gastone, addormentato sulla scrivania accanto alla tasteria del computer.
Guardo Gastone, ascolto musica, rifletto e scrivo questo pezzo… e penso come Alda Merini sia stata capace di accarezzare le parole fino a piegarne il suono, per farne poesia…
La Merini era veramente unica… una di quelle creature capaci di brillare di luce propria, irradiando bellezza, come se fosse una stella appena nata, nello sterminato universo.
Povera e pazza… per lei però questa due parole non sarebbero state offensive ma una condizione da rivendicare…
Quello che la vita le aveva negato, lei lo prendeva a mani nude, folle e incurante, se ne fregava di tutto, posseduta com’era dal suo Daimon poco socratico e molto dionisiaco.
(Da Mondo Raro)
LE 6 POESIE
Amore,
vola da me
con l’aeroplano di carta
della mia fantasia,
con l’ingegno del tuo sentimento.
Vedrai fiorire terre piene di magia
e io sarò la chioma d’albero più alta
per darti frescura e riparo.
Fa’ delle due braccia
due ali d’angelo
e porta anche a me un po’ di pace
e il giocattolo del sogno.
Ma prima di dirmi qualcosa
guarda il genio in fiore
del mio cuore.
I miei poveri versi
non sono belle, millantate parole,
non sono afrodisiaci folli
da ammannire ai potenti
e a chi voglia blandire la sua sete.
I miei poveri versi
sono brandelli di carne
nera disfatta chiusa,
e saltano agli occhi impetuosi;
sono orgogliosa della mia bellezza;
quando l’anima è satura dentro
di amarezza e dolore
diventa
diventa incredibilmente bella
e potente soprattutto.
Di questa potenza io sono orgogliosa
ma non d’altre disfatte;
perciò tu che mi leggi
fermo ad un tavolino di caffè,
tu che passi le giornate sui libri
a cincischiare la noia
e ti senti maestro di critica,
tendi il tuo arco
al cuore di una donna perduta.
Li mi raggiungerai in pieno.
A me piacciono gli anfratti bui
delle osterie dormienti,
dove la gente culmina nell’eccesso del canto,
a me piacciono le cose bestemmiate e leggere,
e i calici di vino profondi,
dove la mente esulta,
livello di magico pensiero.
Troppo sciocco è piangere sopra un amore perduto
malvissuto e scostante,
meglio l’acre vapore del vino
indenne,
meglio l’ubriacatura del genio,
meglio sì meglio
l’indagine sorda delle scorrevolezze di vite;
io amo le osterie
che parlano il linguaggio sottile della lingua di Bacco,
e poi nelle osterie
ci sta il nome di Charles
scritto a caratteri d’oro.
Riottosa a ogni tipo di amore
sei entrato tu a invadere il mio silenzio
e non so dove tu abbia visto le mie carni
per desiderarle tanto.
E non so perché tu abbia avuto il mio corpo
per poi andartene
con il grido dell’ultima morte.
Se mi avessi strappato il cuore
o tolto l’unico arto che mi fa male
o scollato le mie giunture
non avrei sofferto tanto
come quando tu un giorno insperato
mi hai tolto la pelle dell’anima.
Io non ho bisogno di denaro.
Ho bisogno di sentimenti,
di parole, di parole scelte sapientemente,
di fiori detti pensieri,
di rose dette presenze,
di sogni che abitino gli alberi,
di canzoni che facciano danzare le statue,
di stelle che mormorino all’orecchio degli amanti….
Ho bisogno di poesia,
questa magia che brucia la pesantezza delle parole,
che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.
.
.
IL VIDEO
Ed infine un video in suo omaggio
Cara Alda…
ancora grazie per tutte le grandi emozioni che ci hai regalato
e continuerai a regalarci ogni volta che leggeremo i tuoi versi…
Giosuè Carducci grande poeta italiano,
e vero mito letterario tra la fine dell’800
e l’inizio del ‘900, è stato il primo italiano
a vincere il premio Nobel per la Letteratura.
(Valdicastello di Pietrasanta 27.71835 – Bologna, 16.2.1907)
Come ricordare un così grande poeta?
Lo farò semplicemente con una mini biografia
e soprattutto con alcune sue mitiche poesie.
BREVISSIMA BIOGRAFIA
Visse la sua fanciullezza in Maremma
le cui atmosfere rivivranno poi in tante sue poesie.
Laureatosi alla Scuola normale superiore di Pisa nel 1856
iniziò ad insegnare in un Ginnasio di Pistoia.
Dopo qualche anno, nel 1860, ottenne la Cattedra
di Letteratura Italiana nell’Università di Bologna.
Nel 1906 fu insignito del Premio Nobel
LA POETICA
L’amore per la patria (siamo in epoca risorgimentale)
e la passione politica, con l’amore per la vita
la famiglia e la natura sono le linee guida
della sua notevole produzione poetica.
Egli a differenza di molti altri poeti del suo tempo,
che esaltano il Romanticismo, sceglie il Classicismo.
Ciò vuol dire per lui esaltare le tradizioni
storiche, culturali e poetiche italiane e far rivivere
idee di orgoglio patrio per un futuro glorioso.
Questo appare chiaro nei suoi versi che,
pur non paludati e pesanti, tuttavia esplorano
in modo raffinato tutte le potenzialità
della lingua italiana del passato e del mondo classico.
Tuttavia non mancano nelle sue opere contaminazioni
“romantiche” e “simboliste”.
.
.
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LE POESIE
Quelle da me scelte sono:
le prime 3 classicissime e studiatissime a scuola
e la 4° è una bella poesia d’amore.
.
Pianto antico
L’albero a cui tendevi
la pargoletta mano,
il verde melograno
da’ bei vermigli fior,
nel muto orto solingo
rinverdì tutto or ora
e giugno lo ristora
di luce e di calor.
Tu fior della mia pianta
percossa e inaridita,
tu dell’inutil vita
estremo unico fior,
sei ne la terra fredda,
sei ne la terra negra;
né il sol più ti rallegra
né ti risveglia amor.
.
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San Martino
La nebbia a gl’irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;
ma per le vie del borgo
dal ribollir de’ tini
va l’aspro odor de i vini
l’anime a rallegrar.
Gira su’ ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
sull’uscio a rimirar
tra le rossastre nubi
stormi d’uccelli neri,
com’esuli pensieri,
nel vespero migrar.
Davanti a San Guido
I cipressi che a Bólgheri alti e schietti
Van da San Guido in duplice filar,
Quasi in corsa giganti giovinetti
Mi balzarono incontro e mi guardar.
Mi riconobbero, e— Ben torni omai —
Bisbigliaron vèr’ me co ‘l capo chino —
Perché non scendi ? Perché non ristai ?
Fresca è la sera e a te noto il cammino.
Oh sièditi a le nostre ombre odorate
Ove soffia dal mare il maestrale:
Ira non ti serbiam de le sassate
Tue d’una volta: oh non facean già male!
Nidi portiamo ancor di rusignoli:
Deh perché fuggi rapido cosí ?
Le passere la sera intreccian voli
A noi d’intorno ancora. Oh resta qui! —
— Bei cipressetti, cipressetti miei,
Fedeli amici d’un tempo migliore,
Oh di che cuor con voi mi resterei—
Guardando lor rispondeva — oh di che cuore !
Ma, cipressetti miei, lasciatem’ire:
Or non è piú quel tempo e quell’età.
Se voi sapeste!… via, non fo per dire,
Ma oggi sono una celebrità.
E so legger di greco e di latino,
E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtú:
Non son piú, cipressetti, un birichino,
E sassi in specie non ne tiro piú.
E massime a le piante. — Un mormorio
Pe’ dubitanti vertici ondeggiò
E il dí cadente con un ghigno pio
Tra i verdi cupi roseo brillò.
Intesi allora che i cipressi e il sole
Una gentil pietade avean di me,
E presto il mormorio si fe’ parole:
— Ben lo sappiamo: un pover uom tu se’.
Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse
Che rapisce de gli uomini i sospir,
Come dentro al tuo petto eterne risse
Ardon che tu né sai né puoi lenir.
A le querce ed a noi qui puoi contare
L’umana tua tristezza e il vostro duol.
Vedi come pacato e azzurro è il mare,
Come ridente a lui discende il sol!
E come questo occaso è pien di voli,
Com’è allegro de’ passeri il garrire!
A notte canteranno i rusignoli:
Rimanti, e i rei fantasmi oh non seguire;
I rei fantasmi che da’ fondi neri
De i cuor vostri battuti dal pensier
Guizzan come da i vostri cimiteri
Putride fiamme innanzi al passegger.
Rimanti; e noi, dimani, a mezzo il giorno,
Che de le grandi querce a l’ombra stan
Ammusando i cavalli e intorno intorno
Tutto è silenzio ne l’ardente pian,
Ti canteremo noi cipressi i cori
Che vanno eterni fra la terra e il cielo:
Da quegli olmi le ninfe usciran fuori
Te ventilando co ‘l lor bianco velo;
E Pan l’eterno che su l’erme alture
A quell’ora e ne i pian solingo va
Il dissidio, o mortal, de le tue cure
Ne la diva armonia sommergerà. —
Ed io—Lontano, oltre Apennin, m’aspetta
La Tittí — rispondea; — lasciatem’ire.
è la Tittí come una passeretta,
Ma non ha penne per il suo vestire.
E mangia altro che bacche di cipresso;
Né io sono per anche un manzoniano
Che tiri quattro paghe per il lesso.
Addio, cipressi! addio, dolce mio piano! —
— Che vuoi che diciam dunque al cimitero
Dove la nonna tua sepolta sta? —
E fuggíano, e pareano un corteo nero
Che brontolando in fretta in fretta va.
Di cima al poggio allor, dal cimitero,
Giú de’ cipressi per la verde via,
Alta, solenne, vestita di nero
Parvemi riveder nonna Lucia:
La signora Lucia, da la cui bocca,
Tra l’ondeggiar de i candidi capelli,
La favella toscana, ch’è sí sciocca
Nel manzonismo de gli stenterelli,
Canora discendea, co ‘l mesto accento
De la Versilia che nel cuor mi sta,
Come da un sirventese del trecento,
Piena di forza e di soavità.
O nonna, o nonna! deh com’era bella
Quand’ero bimbo! ditemela ancor,
Ditela a quest’uom savio la novella
Di lei che cerca il suo perduto amor!
— Sette paia di scarpe ho consumate
Di tutto ferro per te ritrovare:
Sette verghe di ferro ho logorate
Per appoggiarmi nel fatale andare:
Sette fiasche di lacrime ho colmate,
Sette lunghi anni, di lacrime amare:
Tu dormi a le mie grida disperate,
E il gallo canta, e non ti vuoi svegliare.
— Deh come bella, o nonna, e come vera
è la novella ancor! Proprio cosí.
E quello che cercai mattina e sera
Tanti e tanti anni in vano, è forse qui,
Sotto questi cipressi, ove non spero,
Ove non penso di posarmi piú:
Forse, nonna, è nel vostro cimitero
Tra quegli altri cipressi ermo là su.
Ansimando fuggía la vaporiera
Mentr’io cosí piangeva entro il mio cuore;
E di polledri una leggiadra schiera
Annitrendo correa lieta al rumore.
Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo
Rosso e turchino, non si scomodò:
Tutto quel chiasso ei non degnò d’un guardo
E a brucar serio e lento seguitò.
Qui regna amore
Ove sei? de’ sereni occhi ridenti
A chi tempri il bel raggio, o donna mia?
E l’intima del cor tuo melodia
A chi armonizzi ne’ soavi accenti?
Siedi tra l’erbe e i fiori e a’ freschi venti
Dài la dolce e pensosa alma in balía?
O le membra concesso hai de la pia
Onda a gli amplessi di vigor frementi?
Oh, dovunque tu sei, voluttuosa
Se l’aura o l’onda con mormorio lento
Ti sfiora il viso o a’ bianchi omeri posa,
è l’amor mio che in ogni sentimento
Vive e ti cerca in ogni bella cosa
E ti cinge d’eterno abbracciamento.
chi ci ha donato poesie indimenticabili ed eterne.
L’ARTICOLO DI GIANNI LEONE
.
“I suoi versi sono bagnati di ardente “visionarità”,
profondi come solo gli abissi dell’anima sanno essere…
versi a volte inquieti, a volte sommessi,
che raccontano le “ombre e luci della sua mente.”
Alda Merini era una poetessa di un’intensità straordinaria… una che “andava e veniva” dai manicomi, sempre prigioniera dei suoi problemi di salute… eppure quei problemi in un certo senso hanno reso Alda Merini libera… libera di raccontare se stessa, le cose che vedeva, le persone che l’aiutavano o l’amavano…
Nel febbraio del 2004 Alda Merini viene ricoverata all’Ospedale San Paolo di Milano per problemi di salute. Un amico della scrittrice lancia un appello per richiedere aiuto economico.
La Merini, nonostante sia una delle più grandi poetesse del Novecento vive in povertà.
E così accade di morire in semi-povertà, dopo che per un’intera vita si è arricchito il mondo di poesia… la poesia di una donna dal modo scontroso ma straordinariamente dolce di esistere e comporre versi…
Capita che in un paese come l’Italia, una grande artista muoia quasi nel silenzio… semisconosciuta… ci sono “altri artisti” da celebrare… l’Italia è intenta a celebrare i decerebrati dei reality, i protagonisti del pallone miliardario e le tante veline cialtrone della tv… e così in questa domenica d’autunno, sono nel mio studio, con uno dei miei cinque gatti, Gastone, addormentato sulla scrivania accanto alla tasteria del computer.
Guardo Gastone, ascolto musica, rifletto e scrivo questo pezzo… e penso come Alda Merini sia stata capace di accarezzare le parole fino a piegarne il suono, per farne poesia…
La Merini era veramente unica… una di quelle creature capaci di brillare di luce propria, irradiando bellezza, come se fosse una stella appena nata, nello sterminato universo.
Povera e pazza… per lei però questa due parole non sarebbero state offensive ma una condizione da rivendicare…
Quello che la vita le aveva negato, lei lo prendeva a mani nude, folle e incurante, se ne fregava di tutto, posseduta com’era dal suo Daimon poco socratico e molto dionisiaco.
(Da Mondo Raro)
LE 6 POESIE
Amore,
vola da me
con l’aeroplano di carta
della mia fantasia,
con l’ingegno del tuo sentimento.
Vedrai fiorire terre piene di magia
e io sarò la chioma d’albero più alta
per darti frescura e riparo.
Fa’ delle due braccia
due ali d’angelo
e porta anche a me un po’ di pace
e il giocattolo del sogno.
Ma prima di dirmi qualcosa
guarda il genio in fiore
del mio cuore.
I miei poveri versi
non sono belle, millantate parole,
non sono afrodisiaci folli
da ammannire ai potenti
e a chi voglia blandire la sua sete.
I miei poveri versi
sono brandelli di carne
nera disfatta chiusa,
e saltano agli occhi impetuosi;
sono orgogliosa della mia bellezza;
quando l’anima è satura dentro
di amarezza e dolore
diventa
diventa incredibilmente bella
e potente soprattutto.
Di questa potenza io sono orgogliosa
ma non d’altre disfatte;
perciò tu che mi leggi
fermo ad un tavolino di caffè,
tu che passi le giornate sui libri
a cincischiare la noia
e ti senti maestro di critica,
tendi il tuo arco
al cuore di una donna perduta.
Li mi raggiungerai in pieno.
A me piacciono gli anfratti bui
delle osterie dormienti,
dove la gente culmina nell’eccesso del canto,
a me piacciono le cose bestemmiate e leggere,
e i calici di vino profondi,
dove la mente esulta,
livello di magico pensiero.
Troppo sciocco è piangere sopra un amore perduto
malvissuto e scostante,
meglio l’acre vapore del vino
indenne,
meglio l’ubriacatura del genio,
meglio sì meglio
l’indagine sorda delle scorrevolezze di vite;
io amo le osterie
che parlano il linguaggio sottile della lingua di Bacco,
e poi nelle osterie
ci sta il nome di Charles
scritto a caratteri d’oro.
Riottosa a ogni tipo di amore
sei entrato tu a invadere il mio silenzio
e non so dove tu abbia visto le mie carni
per desiderarle tanto.
E non so perché tu abbia avuto il mio corpo
per poi andartene
con il grido dell’ultima morte.
Se mi avessi strappato il cuore
o tolto l’unico arto che mi fa male
o scollato le mie giunture
non avrei sofferto tanto
come quando tu un giorno insperato
mi hai tolto la pelle dell’anima.
Io non ho bisogno di denaro.
Ho bisogno di sentimenti,
di parole, di parole scelte sapientemente,
di fiori detti pensieri,
di rose dette presenze,
di sogni che abitino gli alberi,
di canzoni che facciano danzare le statue,
di stelle che mormorino all’orecchio degli amanti….
Ho bisogno di poesia,
questa magia che brucia la pesantezza delle parole,
che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.
.
.
IL VIDEO
Ed infine un video in suo omaggio
Cara Alda…
ancora grazie per tutte le grandi emozioni che ci hai regalato
e continuerai a regalarci ogni volta che leggeremo i tuoi versi…
politico, patriota, giornalista ed… eroe di guerra e che
in campo letterario è considerato il più alto esponente italiano
del Decadentismo assieme a Giovanni Pascoli.
Volendo però render omaggio all’indubbia
genialità del Vate anche nel campo della poesia
approfondirò prima quella che mi appare più sorprendente
rispetto alla sua mitica fama di irresistibile dongiovanni
“Voglio un amore doloroso“
e poi con I video di altre 2 sue mitiche poesie.
VOGLIO UN AMORE DOLOROSO
Sarà forse per la nota fama
di uomo esageratamente trasgressivo…
in tanti aspetti della vita…
che lo ritenevo incapace di visioni così profonde.
Gabriele D’Annunzio
Pescara 12 3 1863 – Gardone Riviera 1º marzo 1938
Ma questa poesia, che per certi aspetti
precorre la psicanalisi freudiana,
invece smentisce quest’impossibilità…
anche se poi occhieggia comunque quel…
”letto di porpora”…
Di cosa ci parla dunque questa poesia?
.
Ci dice innanzitutto che il vero amore…
quello che ti squassa il cuore…
non può non essere, ahimè,
anche doloroso ed inquieto…
e che però l’importante è che alla fine ci consenta
diconoscere e vivere attimi d’infinito.
F. G. Baron – Dadne e Chloe
Ci dice anche che il poeta desidera far all’amore…
con la donna che ama…
(o, secondo altra interpretazione, che lo sta già facendo).
Ci parla infine dell’amore
come ricerca dell’Assoluto
che vada oltre la morte.
Arthur Hughes
VOGLIO UN AMORE DOLOROSO
Gabriele D’Annunzio
Voglio un amore doloroso, lento,
che lento sia come una lenta morte,
e senza fine (voglio che più forte
sia della morte) e senza mutamento.
Voglio che senza tregua in un tormento
occulto sien le nostre anime assorte;
e un mare sia presso a le nostre porte,
solo, che pianga in un silenzio intento.
Voglio che sia la torre alta granito,
ed alta sia così che nel sereno
sembri attingere il grande astro polare.
Voglio un letto di porpora, e trovare
in quell’ombra giacendo su quel seno,
come in fondo a un sepolcro, l’Infinito.
politico, patriota, giornalista ed… eroe di guerra e che
in campo letterario è considerato il più alto esponente italiano
del Decadentismo assieme a Giovanni Pascoli.
Volendo però render omaggio all’indubbia
genialità del Vate anche nel campo della poesia
approfondirò prima quella che mi appare più sorprendente
rispetto alla sua mitica fama di irresistibile dongiovanni
“Voglio un amore doloroso“
e poi con I video di altre 2 sue mitiche poesie.
VOGLIO UN AMORE DOLOROSO
Sarà forse per la nota fama
di uomo esageratamente trasgressivo…
in tanti aspetti della vita…
che lo ritenevo incapace di visioni così profonde.
Gabriele D’Annunzio
Pescara 12 3 1863 – Gardone Riviera 1º marzo 1938
Ma questa poesia, che per certi aspetti
precorre la psicanalisi freudiana,
invece smentisce quest’impossibilità…
anche se poi occhieggia comunque quel…
”letto di porpora”…
Di cosa ci parla dunque questa poesia?
.
Ci dice innanzitutto che il vero amore…
quello che ti squassa il cuore…
non può non essere, ahimè,
anche doloroso ed inquieto…
e che però l’importante è che alla fine ci consenta
diconoscere e vivere attimi d’infinito.
F. G. Baron – Dadne e Chloe
Ci dice anche che il poeta desidera far all’amore…
con la donna che ama…
(o, secondo altra interpretazione, che lo sta già facendo).
Ci parla infine dell’amore
come ricerca dell’Assoluto
che vada oltre la morte.
Arthur Hughes
VOGLIO UN AMORE DOLOROSO
Gabriele D’Annunzio
Voglio un amore doloroso, lento,
che lento sia come una lenta morte,
e senza fine (voglio che più forte
sia della morte) e senza mutamento.
Voglio che senza tregua in un tormento
occulto sien le nostre anime assorte;
e un mare sia presso a le nostre porte,
solo, che pianga in un silenzio intento.
Voglio che sia la torre alta granito,
ed alta sia così che nel sereno
sembri attingere il grande astro polare.
Voglio un letto di porpora, e trovare
in quell’ombra giacendo su quel seno,
come in fondo a un sepolcro, l’Infinito.
Giosuè Carducci grande poeta italiano,
e vero mito letterario tra la fine dell’800
e l’inizio del ‘900, è stato il primo italiano
a vincere il premio Nobel per la Letteratura.
(Valdicastello di Pietrasanta 27.71835 – Bologna, 16.2.1907)
Come ricordare un così grande poeta?
Lo farò semplicemente con una mini biografia
e soprattutto con alcune sue mitiche poesie.
BREVISSIMA BIOGRAFIA
Visse la sua fanciullezza in Maremma
le cui atmosfere rivivranno poi in tante sue poesie.
Laureatosi alla Scuola normale superiore di Pisa nel 1856
iniziò ad insegnare in un Ginnasio di Pistoia.
Dopo qualche anno, nel 1860, ottenne la Cattedra
di Letteratura Italiana nell’Università di Bologna.
Nel 1906 fu insignito del Premio Nobel
LA POETICA
L’amore per la patria (siamo in epoca risorgimentale)
e la passione politica, con l’amore per la vita
la famiglia e la natura sono le linee guida
della sua notevole produzione poetica.
Egli a differenza di molti altri poeti del suo tempo,
che esaltano il Romanticismo, sceglie il Classicismo.
Ciò vuol dire per lui esaltare le tradizioni
storiche, culturali e poetiche italiane e far rivivere
idee di orgoglio patrio per un futuro glorioso.
Questo appare chiaro nei suoi versi che,
pur non paludati e pesanti, tuttavia esplorano
in modo raffinato tutte le potenzialità
della lingua italiana del passato e del mondo classico.
Tuttavia non mancano nelle sue opere contaminazioni
“romantiche” e “simboliste”.
.
.
.
LE POESIE
Quelle da me scelte sono:
le prime 3 classicissime e studiatissime a scuola
e la 4° è una bella poesia d’amore.
.
Pianto antico
L’albero a cui tendevi
la pargoletta mano,
il verde melograno
da’ bei vermigli fior,
nel muto orto solingo
rinverdì tutto or ora
e giugno lo ristora
di luce e di calor.
Tu fior della mia pianta
percossa e inaridita,
tu dell’inutil vita
estremo unico fior,
sei ne la terra fredda,
sei ne la terra negra;
né il sol più ti rallegra
né ti risveglia amor.
.
.
.
.
San Martino
La nebbia a gl’irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;
ma per le vie del borgo
dal ribollir de’ tini
va l’aspro odor de i vini
l’anime a rallegrar.
Gira su’ ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
sull’uscio a rimirar
tra le rossastre nubi
stormi d’uccelli neri,
com’esuli pensieri,
nel vespero migrar.
Davanti a San Guido
I cipressi che a Bólgheri alti e schietti
Van da San Guido in duplice filar,
Quasi in corsa giganti giovinetti
Mi balzarono incontro e mi guardar.
Mi riconobbero, e— Ben torni omai —
Bisbigliaron vèr’ me co ‘l capo chino —
Perché non scendi ? Perché non ristai ?
Fresca è la sera e a te noto il cammino.
Oh sièditi a le nostre ombre odorate
Ove soffia dal mare il maestrale:
Ira non ti serbiam de le sassate
Tue d’una volta: oh non facean già male!
Nidi portiamo ancor di rusignoli:
Deh perché fuggi rapido cosí ?
Le passere la sera intreccian voli
A noi d’intorno ancora. Oh resta qui! —
— Bei cipressetti, cipressetti miei,
Fedeli amici d’un tempo migliore,
Oh di che cuor con voi mi resterei—
Guardando lor rispondeva — oh di che cuore !
Ma, cipressetti miei, lasciatem’ire:
Or non è piú quel tempo e quell’età.
Se voi sapeste!… via, non fo per dire,
Ma oggi sono una celebrità.
E so legger di greco e di latino,
E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtú:
Non son piú, cipressetti, un birichino,
E sassi in specie non ne tiro piú.
E massime a le piante. — Un mormorio
Pe’ dubitanti vertici ondeggiò
E il dí cadente con un ghigno pio
Tra i verdi cupi roseo brillò.
Intesi allora che i cipressi e il sole
Una gentil pietade avean di me,
E presto il mormorio si fe’ parole:
— Ben lo sappiamo: un pover uom tu se’.
Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse
Che rapisce de gli uomini i sospir,
Come dentro al tuo petto eterne risse
Ardon che tu né sai né puoi lenir.
A le querce ed a noi qui puoi contare
L’umana tua tristezza e il vostro duol.
Vedi come pacato e azzurro è il mare,
Come ridente a lui discende il sol!
E come questo occaso è pien di voli,
Com’è allegro de’ passeri il garrire!
A notte canteranno i rusignoli:
Rimanti, e i rei fantasmi oh non seguire;
I rei fantasmi che da’ fondi neri
De i cuor vostri battuti dal pensier
Guizzan come da i vostri cimiteri
Putride fiamme innanzi al passegger.
Rimanti; e noi, dimani, a mezzo il giorno,
Che de le grandi querce a l’ombra stan
Ammusando i cavalli e intorno intorno
Tutto è silenzio ne l’ardente pian,
Ti canteremo noi cipressi i cori
Che vanno eterni fra la terra e il cielo:
Da quegli olmi le ninfe usciran fuori
Te ventilando co ‘l lor bianco velo;
E Pan l’eterno che su l’erme alture
A quell’ora e ne i pian solingo va
Il dissidio, o mortal, de le tue cure
Ne la diva armonia sommergerà. —
Ed io—Lontano, oltre Apennin, m’aspetta
La Tittí — rispondea; — lasciatem’ire.
è la Tittí come una passeretta,
Ma non ha penne per il suo vestire.
E mangia altro che bacche di cipresso;
Né io sono per anche un manzoniano
Che tiri quattro paghe per il lesso.
Addio, cipressi! addio, dolce mio piano! —
— Che vuoi che diciam dunque al cimitero
Dove la nonna tua sepolta sta? —
E fuggíano, e pareano un corteo nero
Che brontolando in fretta in fretta va.
Di cima al poggio allor, dal cimitero,
Giú de’ cipressi per la verde via,
Alta, solenne, vestita di nero
Parvemi riveder nonna Lucia:
La signora Lucia, da la cui bocca,
Tra l’ondeggiar de i candidi capelli,
La favella toscana, ch’è sí sciocca
Nel manzonismo de gli stenterelli,
Canora discendea, co ‘l mesto accento
De la Versilia che nel cuor mi sta,
Come da un sirventese del trecento,
Piena di forza e di soavità.
O nonna, o nonna! deh com’era bella
Quand’ero bimbo! ditemela ancor,
Ditela a quest’uom savio la novella
Di lei che cerca il suo perduto amor!
— Sette paia di scarpe ho consumate
Di tutto ferro per te ritrovare:
Sette verghe di ferro ho logorate
Per appoggiarmi nel fatale andare:
Sette fiasche di lacrime ho colmate,
Sette lunghi anni, di lacrime amare:
Tu dormi a le mie grida disperate,
E il gallo canta, e non ti vuoi svegliare.
— Deh come bella, o nonna, e come vera
è la novella ancor! Proprio cosí.
E quello che cercai mattina e sera
Tanti e tanti anni in vano, è forse qui,
Sotto questi cipressi, ove non spero,
Ove non penso di posarmi piú:
Forse, nonna, è nel vostro cimitero
Tra quegli altri cipressi ermo là su.
Ansimando fuggía la vaporiera
Mentr’io cosí piangeva entro il mio cuore;
E di polledri una leggiadra schiera
Annitrendo correa lieta al rumore.
Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo
Rosso e turchino, non si scomodò:
Tutto quel chiasso ei non degnò d’un guardo
E a brucar serio e lento seguitò.
Qui regna amore
Ove sei? de’ sereni occhi ridenti
A chi tempri il bel raggio, o donna mia?
E l’intima del cor tuo melodia
A chi armonizzi ne’ soavi accenti?
Siedi tra l’erbe e i fiori e a’ freschi venti
Dài la dolce e pensosa alma in balía?
O le membra concesso hai de la pia
Onda a gli amplessi di vigor frementi?
Oh, dovunque tu sei, voluttuosa
Se l’aura o l’onda con mormorio lento
Ti sfiora il viso o a’ bianchi omeri posa,
è l’amor mio che in ogni sentimento
Vive e ti cerca in ogni bella cosa
E ti cinge d’eterno abbracciamento.
Giosuè Carducci grande poeta italiano,
e vero mito letterario tra la fine dell’800
e l’inizio del ‘900, è stato il primo italiano
a vincere il premio Nobel per la Letteratura.
(Valdicastello di Pietrasanta 27.71835 – Bologna, 16.2.1907)
Come ricordare un così grande poeta?
Lo farò semplicemente con una mini biografia
e soprattutto con alcune sue mitiche poesie.
BREVISSIMA BIOGRAFIA
Visse la sua fanciullezza in Maremma
le cui atmosfere rivivranno poi in tante sue poesie.
Laureatosi alla Scuola normale superiore di Pisa nel 1856
iniziò ad insegnare in un Ginnasio di Pistoia.
Dopo qualche anno, nel 1860, ottenne la Cattedra
di Letteratura Italiana nell’Università di Bologna.
Nel 1906 fu insignito del Premio Nobel
LA POETICA
L’amore per la patria (siamo in epoca risorgimentale)
e la passione politica, con l’amore per la vita
la famiglia e la natura sono le linee guida
della sua notevole produzione poetica.
Egli a differenza di molti altri poeti del suo tempo,
che esaltano il Romanticismo, sceglie il Classicismo.
Ciò vuol dire per lui esaltare le tradizioni
storiche, culturali e poetiche italiane e far rivivere
idee di orgoglio patrio per un futuro glorioso.
Questo appare chiaro nei suoi versi che,
pur non paludati e pesanti, tuttavia esplorano
in modo raffinato tutte le potenzialità
della lingua italiana del passato e del mondo classico.
Tuttavia non mancano nelle sue opere contaminazioni
“romantiche” e “simboliste”.
.
.
.
LE POESIE
Quelle da me scelte sono:
le prime 3 classicissime e studiatissime a scuola
e la 4° è una bella poesia d’amore.
.
Pianto antico
L’albero a cui tendevi
la pargoletta mano,
il verde melograno
da’ bei vermigli fior,
nel muto orto solingo
rinverdì tutto or ora
e giugno lo ristora
di luce e di calor.
Tu fior della mia pianta
percossa e inaridita,
tu dell’inutil vita
estremo unico fior,
sei ne la terra fredda,
sei ne la terra negra;
né il sol più ti rallegra
né ti risveglia amor.
.
.
.
.
San Martino
La nebbia a gl’irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;
ma per le vie del borgo
dal ribollir de’ tini
va l’aspro odor de i vini
l’anime a rallegrar.
Gira su’ ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
sull’uscio a rimirar
tra le rossastre nubi
stormi d’uccelli neri,
com’esuli pensieri,
nel vespero migrar.
Davanti a San Guido
I cipressi che a Bólgheri alti e schietti
Van da San Guido in duplice filar,
Quasi in corsa giganti giovinetti
Mi balzarono incontro e mi guardar.
Mi riconobbero, e— Ben torni omai —
Bisbigliaron vèr’ me co ‘l capo chino —
Perché non scendi ? Perché non ristai ?
Fresca è la sera e a te noto il cammino.
Oh sièditi a le nostre ombre odorate
Ove soffia dal mare il maestrale:
Ira non ti serbiam de le sassate
Tue d’una volta: oh non facean già male!
Nidi portiamo ancor di rusignoli:
Deh perché fuggi rapido cosí ?
Le passere la sera intreccian voli
A noi d’intorno ancora. Oh resta qui! —
— Bei cipressetti, cipressetti miei,
Fedeli amici d’un tempo migliore,
Oh di che cuor con voi mi resterei—
Guardando lor rispondeva — oh di che cuore !
Ma, cipressetti miei, lasciatem’ire:
Or non è piú quel tempo e quell’età.
Se voi sapeste!… via, non fo per dire,
Ma oggi sono una celebrità.
E so legger di greco e di latino,
E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtú:
Non son piú, cipressetti, un birichino,
E sassi in specie non ne tiro piú.
E massime a le piante. — Un mormorio
Pe’ dubitanti vertici ondeggiò
E il dí cadente con un ghigno pio
Tra i verdi cupi roseo brillò.
Intesi allora che i cipressi e il sole
Una gentil pietade avean di me,
E presto il mormorio si fe’ parole:
— Ben lo sappiamo: un pover uom tu se’.
Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse
Che rapisce de gli uomini i sospir,
Come dentro al tuo petto eterne risse
Ardon che tu né sai né puoi lenir.
A le querce ed a noi qui puoi contare
L’umana tua tristezza e il vostro duol.
Vedi come pacato e azzurro è il mare,
Come ridente a lui discende il sol!
E come questo occaso è pien di voli,
Com’è allegro de’ passeri il garrire!
A notte canteranno i rusignoli:
Rimanti, e i rei fantasmi oh non seguire;
I rei fantasmi che da’ fondi neri
De i cuor vostri battuti dal pensier
Guizzan come da i vostri cimiteri
Putride fiamme innanzi al passegger.
Rimanti; e noi, dimani, a mezzo il giorno,
Che de le grandi querce a l’ombra stan
Ammusando i cavalli e intorno intorno
Tutto è silenzio ne l’ardente pian,
Ti canteremo noi cipressi i cori
Che vanno eterni fra la terra e il cielo:
Da quegli olmi le ninfe usciran fuori
Te ventilando co ‘l lor bianco velo;
E Pan l’eterno che su l’erme alture
A quell’ora e ne i pian solingo va
Il dissidio, o mortal, de le tue cure
Ne la diva armonia sommergerà. —
Ed io—Lontano, oltre Apennin, m’aspetta
La Tittí — rispondea; — lasciatem’ire.
è la Tittí come una passeretta,
Ma non ha penne per il suo vestire.
E mangia altro che bacche di cipresso;
Né io sono per anche un manzoniano
Che tiri quattro paghe per il lesso.
Addio, cipressi! addio, dolce mio piano! —
— Che vuoi che diciam dunque al cimitero
Dove la nonna tua sepolta sta? —
E fuggíano, e pareano un corteo nero
Che brontolando in fretta in fretta va.
Di cima al poggio allor, dal cimitero,
Giú de’ cipressi per la verde via,
Alta, solenne, vestita di nero
Parvemi riveder nonna Lucia:
La signora Lucia, da la cui bocca,
Tra l’ondeggiar de i candidi capelli,
La favella toscana, ch’è sí sciocca
Nel manzonismo de gli stenterelli,
Canora discendea, co ‘l mesto accento
De la Versilia che nel cuor mi sta,
Come da un sirventese del trecento,
Piena di forza e di soavità.
O nonna, o nonna! deh com’era bella
Quand’ero bimbo! ditemela ancor,
Ditela a quest’uom savio la novella
Di lei che cerca il suo perduto amor!
— Sette paia di scarpe ho consumate
Di tutto ferro per te ritrovare:
Sette verghe di ferro ho logorate
Per appoggiarmi nel fatale andare:
Sette fiasche di lacrime ho colmate,
Sette lunghi anni, di lacrime amare:
Tu dormi a le mie grida disperate,
E il gallo canta, e non ti vuoi svegliare.
— Deh come bella, o nonna, e come vera
è la novella ancor! Proprio cosí.
E quello che cercai mattina e sera
Tanti e tanti anni in vano, è forse qui,
Sotto questi cipressi, ove non spero,
Ove non penso di posarmi piú:
Forse, nonna, è nel vostro cimitero
Tra quegli altri cipressi ermo là su.
Ansimando fuggía la vaporiera
Mentr’io cosí piangeva entro il mio cuore;
E di polledri una leggiadra schiera
Annitrendo correa lieta al rumore.
Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo
Rosso e turchino, non si scomodò:
Tutto quel chiasso ei non degnò d’un guardo
E a brucar serio e lento seguitò.
Qui regna amore
Ove sei? de’ sereni occhi ridenti
A chi tempri il bel raggio, o donna mia?
E l’intima del cor tuo melodia
A chi armonizzi ne’ soavi accenti?
Siedi tra l’erbe e i fiori e a’ freschi venti
Dài la dolce e pensosa alma in balía?
O le membra concesso hai de la pia
Onda a gli amplessi di vigor frementi?
Oh, dovunque tu sei, voluttuosa
Se l’aura o l’onda con mormorio lento
Ti sfiora il viso o a’ bianchi omeri posa,
è l’amor mio che in ogni sentimento
Vive e ti cerca in ogni bella cosa
E ti cinge d’eterno abbracciamento.
ALLE 22,24 CON L'EQUINOZIO INIZIA LA PRIMAVERA
Conosciamone il significato astronomico e non solo e l'importanza av… twitter.com/i/web/status/1…1 hour ago
Totò
Post-omaggio con una sua poesia, una sua mitica canzone, alcune micidiali battute ed infine con una scena miti… twitter.com/i/web/status/1…1 hour ago