Archivio per l'etichetta ‘Paolo Veronese’
Può un dipinto religioso, elegante, classico, classicissimo.. nascondere aspetti sorprendenti che ci portano al sorriso?
Sì certo! E questo di Paolo Veronese è davvero emblematico in tal senso.
Infatti quest’opera apparentemente solo di carattere religioso è invece piena di simpatici, ed in qualche modo perfino esilaranti, significati.
Il dipinto del 1570, commissionato dalla Chiesa del Monastero di Sant’Antonio a Torcello (Venezia), ma oggi alla pinacoteca di Brera, apparentemente sembra mostrare una scena ferma… quasi statuaria.
Sant’Antonio Abate in cattedra con i santi Cornelio e Cipriano
Vediamo in alto Sant’Antonio, titolare della chiesa, burbero e barbuto su una cattedra di marmi colorati e sotto San Cornelio papa e San Cipriano vescovo con la mitra del primo appoggiata sul piedistallo del Santo e quella del secondo sul gradino in basso.
Quindi sembra tutto normale ma osserviamolo con attenzione.
Innanzitutto non possiamo fare a meno di notare che i paramenti indossati dai 3 personaggi sono dei broccati e dei damaschi lussuosi, vanitosi e perfino un po’ esagerati.
Quello del Santo presenta colori intensi e scuri, leggiadro e chiaro è poi quello di Cornelio e quasi fosforescente infine appare quello color rosa del Cipriano.
Ma veniamo alla scena che il Veronese ci vuole donare… e qui inizia l’esame della parte divertente del dipinto.
Cosa fanno i 3 Santi?
Stanno cercando di officiare un rito religioso leggendo il messale tenuto da un paggio.
Quindi i loro sguardi cercano in ogni modo di leggerlo ma la cosa è molto complicata perché il messale si muove continuamente dato che il paggio, riccamente vestito e probabilmente figlio scapestrato di qualche ricco amico del convento, non sta fermo nemmeno un attimo.
Il ragazzo infatti sembra incuriosito dal pittore e cerca di guardare sia verso di lui che verso la tela che sta dipingendo (così facendo egli sta guardando verso di noi!).
Ma mentre i santi Cornelio e Cipriano appaiono solo preoccupati, Sant’Antonio invece sembra stia proprio per arrabbiarsi.
Infatti vediamo il paggio più grande, che alle spalle di San Cornelio tiene in piedi la croce astile, guardare preoccupato Sant’Antonio che ben conosce, temendo una sua brusca ed irosa reazione.
E’ proprio un urlo ed una scenata del Santo, il perfetto finale che il dipinto ci lascia immaginare.
Tony Kospan per il blog “IL MONDO DI ORSOSOGNANTE”
PER LE NOVITA’ DEL BLOG
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Cena in casa di Levi
QUANDO IL CAMBIAMENTO DI UN TITOLO SALVA UN’OPERA D’ARTE!
Manca nella storia dell’arte uno studio completo sull’importanza e gli effetti del titolo delle opere d’arte figurative ma sappiamo che esso è stato spesso molto decisivo o quanto meno molto significativo.
Ora esamineremo un caso in cui il titolo è diventato un aspetto essenziale dell’opera.
Il nano e il pappagallo
Nel 1573 Paolo Veronese completò una nuova “Ultima Cena”, secondo il suo consueto stile, per il convento domenicano dei Santi Giovanni e Paolo di Venezia.
Appena completata l’opera, Paolo Veronese si vide convocato e interrogato dall’Inquisizione per aver mostrato delle immagini profane e non decorose nel suo dipinto.
La scimmia
Ricordiamo per un attimo la realtà storica, politica e religiosa d’allora.
Si era da pochi anni concluso il Concilio di Trento che aveva dettato norme stringenti sulle immagini destinate ai luoghi sacri.
Il Veronese si difese affermando la libertà degli artisti: ”Noi pittori ci pigliamo licenza, che si pigliano i poeti e i matti”.
La guardia che mangia e beve
Accennò poi anche al “Giudizio Finale” dipinto da Michelangelo nella Cappella Sistina dove appaiono chiaramente anche molte nudità senza che il Pontefice all’epoca dicesse nulla.
Ma l’Inquisizione non volle sentire ragioni!
Allora messo alle strette ebbe una trovata geniale!
Decise che il titolo non era più l’Ultima Cena ma “Cena in casa di Levi”.
Non era più, quindi, la cena sacra dell’origine dell’Eucarestia ma un allegro banchetto in onore di Gesù offerto da Levi (San Matteo) che, essendo ricco, poteva avere i servi, buffoni, nani, cani e tutto quel che appariva nel dipinto.
Potenza di un titolo!
L’opera: Paolo Veronese – Cena in casa di Levi – Venezia – Galleria dell’Accademia
Tony Kospan
IL GRUPPO DI CHI AMA VIVER L’ARTE…
I N S I E M E
.
.
.
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Può un dipinto religioso, elegante, classico, classicissimo.. nascondere aspetti sorprendenti che ci portano al sorriso?
Sì certo! E questo di Paolo Veronese è davvero emblematico in tal senso.
Infatti quest’opera apparentemente solo di carattere religioso è invece piena di simpatici, ed in qualche modo perfino esilaranti, significati.
Il dipinto del 1570, commissionato dalla Chiesa del Monastero di Sant’Antonio a Torcello (Venezia), ma oggi alla pinacoteca di Brera, apparentemente sembra mostrare una scena ferma… quasi statuaria.
Sant’Antonio Abate in cattedra con i santi Cornelio e Cipriano
Vediamo in alto Sant’Antonio, titolare della chiesa, burbero e barbuto su una cattedra di marmi colorati e sotto San Cornelio papa e San Cipriano vescovo con la mitra del primo appoggiata sul piedistallo del Santo e quella del secondo sul gradino in basso.
Quindi sembra tutto normale ma osserviamolo con attenzione.
Innanzitutto non possiamo fare a meno di notare che i paramenti indossati dai 3 personaggi sono dei broccati e dei damaschi lussuosi, vanitosi e perfino un po’ esagerati.
Quello del Santo presenta colori intensi e scuri, leggiadro e chiaro è poi quello di Cornelio e quasi fosforescente infine appare quello color rosa del Cipriano.
Ma veniamo alla scena che il Veronese ci vuole donare… e qui inizia l’esame della parte divertente del dipinto.
Cosa fanno i 3 Santi?
Stanno cercando di officiare un rito religioso leggendo il messale tenuto da un paggio.
Quindi i loro sguardi cercano in ogni modo di leggerlo ma la cosa è molto complicata perché il messale si muove continuamente dato che il paggio, riccamente vestito e probabilmente figlio scapestrato di qualche ricco amico del convento, non sta fermo nemmeno un attimo.
Il ragazzo infatti sembra incuriosito dal pittore e cerca di guardare sia verso di lui che verso la tela che sta dipingendo (così facendo egli sta guardando verso di noi!).
Ma mentre i santi Cornelio e Cipriano appaiono solo preoccupati, Sant’Antonio invece sembra stia proprio per arrabbiarsi.
Infatti vediamo il paggio più grande, che alle spalle di San Cornelio tiene in piedi la croce astile, guardare preoccupato Sant’Antonio che ben conosce, temendo una sua brusca ed irosa reazione.
E’ proprio un urlo ed una scenata del Santo, il perfetto finale che il dipinto ci lascia immaginare.
Tony Kospan per il blog “IL MONDO DI ORSOSOGNANTE”
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Cena in casa di Levi
QUANDO IL CAMBIAMENTO DI UN TITOLO SALVA UN’OPERA D’ARTE!
Manca nella storia dell’arte uno studio completo sull’importanza e gli effetti del titolo delle opere d’arte figurative ma sappiamo che esso è stato spesso molto decisivo o quanto meno molto significativo.
Ora esamineremo un caso in cui il titolo è diventato un aspetto essenziale dell’opera.
Il nano e il pappagallo
Nel 1573 Paolo Veronese completò una nuova “Ultima Cena”, secondo il suo consueto stile, per il convento domenicano dei Santi Giovanni e Paolo di Venezia.
Appena completata l’opera, Paolo Veronese si vide convocato e interrogato dall’Inquisizione per aver mostrato delle immagini profane e non decorose nel suo dipinto.
La scimmia
Ricordiamo per un attimo la realtà storica, politica e religiosa d’allora.
Si era da pochi anni concluso il Concilio di Trento che aveva dettato norme stringenti sulle immagini destinate ai luoghi sacri.
Il Veronese si difese affermando la libertà degli artisti: ”Noi pittori ci pigliamo licenza, che si pigliano i poeti e i matti”.
La guardia che mangia e beve
Accennò poi anche al “Giudizio Finale” dipinto da Michelangelo nella Cappella Sistina dove appaiono chiaramente anche molte nudità senza che il Pontefice all’epoca dicesse nulla.
Ma l’Inquisizione non volle sentire ragioni!
Allora messo alle strette ebbe una trovata geniale!
Decise che il titolo non era più l’Ultima Cena ma “Cena in casa di Levi”.
Non era più, quindi, la cena sacra dell’origine dell’Eucarestia ma un allegro banchetto in onore di Gesù offerto da Levi (San Matteo) che, essendo ricco, poteva avere i servi, buffoni, nani, cani e tutto quel che appariva nel dipinto.
Potenza di un titolo!
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Tony Kospan
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Sì certo! E questo di Paolo Veronese è davvero emblematico in tal senso.
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Il dipinto del 1570, commissionato dalla Chiesa del Monastero di Sant’Antonio a Torcello (Venezia), ma oggi alla pinacoteca di Brera, apparentemente sembra mostrare una scena ferma… quasi statuaria.
Sant’Antonio Abate in cattedra con i santi Cornelio e Cipriano
Vediamo in alto Sant’Antonio, titolare della chiesa, burbero e barbuto su una cattedra di marmi colorati e sotto San Cornelio papa e San Cipriano vescovo con la mitra del primo appoggiata sul piedistallo del Santo e quella del secondo sul gradino in basso.
Quindi sembra tutto normale ma osserviamolo con attenzione.
Innanzitutto non possiamo fare a meno di notare che i paramenti indossati dai 3 personaggi sono dei broccati e dei damaschi lussuosi, vanitosi e perfino un po’ esagerati.
Quello del Santo presenta colori intensi e scuri, leggiadro e chiaro è poi quello di Cornelio e quasi fosforescente infine appare quello color rosa del Cipriano.
Ma veniamo alla scena che il Veronese ci vuole donare… e qui inizia l’esame della parte divertente del dipinto.
Cosa fanno i 3 Santi?
Stanno cercando di officiare un rito religioso leggendo il messale tenuto da un paggio.
Quindi i loro sguardi cercano in ogni modo di leggerlo ma la cosa è molto complicata perché il messale si muove continuamente dato che il paggio, riccamente vestito e probabilmente figlio scapestrato di qualche ricco amico del convento, non sta fermo nemmeno un attimo.
Il ragazzo infatti sembra incuriosito dal pittore e cerca di guardare sia verso di lui che verso la tela che sta dipingendo (così facendo egli sta guardando verso di noi!).
Ma mentre i santi Cornelio e Cipriano appaiono solo preoccupati, Sant’Antonio invece sembra stia proprio per arrabbiarsi.
Infatti vediamo il paggio più grande, che alle spalle di San Cornelio tiene in piedi la croce astile, guardare preoccupato Sant’Antonio che ben conosce, temendo una sua brusca ed irosa reazione.
E’ proprio un urlo ed una scenata del Santo, il perfetto finale che il dipinto ci lascia immaginare.
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QUANDO IL CAMBIAMENTO DI UN TITOLO SALVA UN’OPERA D’ARTE!
Manca nella storia dell’arte uno studio completo sull’importanza e gli effetti del titolo delle opere d’arte figurative ma sappiamo che esso è stato spesso molto decisivo o quanto meno molto significativo.
Ora esamineremo un caso in cui il titolo è diventato un aspetto essenziale dell’opera.
Il nano e il pappagallo
Nel 1573 Paolo Veronese completò una nuova “Ultima Cena”, secondo il suo consueto stile, per il convento domenicano dei Santi Giovanni e Paolo di Venezia.
Appena completata l’opera, Paolo Veronese si vide convocato e interrogato dall’Inquisizione per aver mostrato delle immagini profane e non decorose nel suo dipinto.
La scimmia
Ricordiamo per un attimo la realtà storica, politica e religiosa d’allora.
Si era da pochi anni concluso il Concilio di Trento che aveva dettato norme stringenti sulle immagini destinate ai luoghi sacri.
Il Veronese si difese affermando la libertà degli artisti: ”Noi pittori ci pigliamo licenza, che si pigliano i poeti e i matti”.
La guardia che mangia e beve
Accennò poi anche al “Giudizio Finale” dipinto da Michelangelo nella Cappella Sistina dove appaiono chiaramente anche molte nudità senza che il Pontefice all’epoca dicesse nulla.
Ma l’Inquisizione non volle sentire ragioni!
Allora messo alle strette ebbe una trovata geniale!
Decise che il titolo non era più l’Ultima Cena ma “Cena in casa di Levi”.
Non era più, quindi, la cena sacra dell’origine dell’Eucarestia ma un allegro banchetto in onore di Gesù offerto da Levi (San Matteo) che, essendo ricco, poteva avere i servi, buffoni, nani, cani e tutto quel che appariva nel dipinto.
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Sì certo! E questo di Paolo Veronese è davvero emblematico in tal senso.
Infatti quest’opera apparentemente solo di carattere religioso è invece piena di simpatici, ed in qualche modo perfino esilaranti, significati.
Il dipinto del 1570, commissionato dalla Chiesa del Monastero di Sant’Antonio a Torcello (Venezia), ma oggi alla pinacoteca di Brera, apparentemente sembra mostrare una scena ferma… statuaria.
Sant’Antonio Abate in cattedra con i santi Cornelio e Cipriano
Vediamo in alto Sant’Antonio, titolare della chiesa, burbero e barbuto su una cattedra di marmi colorati e sotto San Cornelio papa e San Cipriano vescovo con la mitra del primo appoggiata sul piedistallo del Santo e quella del secondo sul gradino in basso.
Quindi sembra tutto normale ma osserviamolo con attenzione.
Innanzitutto non possiamo fare a meno di notare che i paramenti indossati dai 3 personaggi sono dei broccati e dei damaschi lussuosi, vanitosi e perfino un po’ esagerati.
Quello del Santo presenta colori intensi e scuri, leggiadro e chiaro è poi quello di Cornelio e quasi fosforescente infine appare quello color rosa del Cipriano.
Ma veniamo alla scena che il Veronese ci vuole donare… e qui inizia l’esame della parte divertente del dipinto.
Cosa fanno i 3 Santi?
Stanno cercando di officiare un rito religioso leggendo il messale tenuto da un paggio.
Quindi i loro sguardi cercano in ogni modo di leggerlo ma la cosa è molto complicata perché il messale si muove continuamente dato che il paggio, riccamente vestito e probabilmente figlio scapestrato di qualche ricco amico del convento, non sta fermo un attimo.
Il ragazzo infatti sembra incuriosito dal pittore e cerca di guardare sia verso di lui che verso la tela che sta dipingendo (così facendo egli sta guardando verso di noi!).
Ma mentre i santi Cornelio e Cipriano appaiono solo preoccupati, Sant’Antonio invece sembra stia poprio per arrabbiarsi.
Infatti vediamo il paggio più grande, che alle spalle di San Cornelio tiene in piedi la croce astile, guardare preoccupato Sant’Antonio che ben conosce, temendo una sua brusca ed irosa reazione.
E’ proprio un urlo ed una scenata del Santo… il perfetto finale… che il dipinto ci lascia immaginare.
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QUANDO UN TITOLO (CAMBIATO) RIESCE A SALVARE UN'OPERA D'ARTE!
Manca nella storia dell'arte uno studio completo sull'importanza e gli effetti del titolo delle opere d'arte figurative ma sappiamo che esso è stato spesso molto decisivo o quanto meno molto significativo.
Ora esamineremo un caso in cui il titolo è diventato un aspetto essenziale dell'opera.
Il nano e il pappagallo
Nel 1573 Paolo Veronese completò una nuova “Ultima Cena”, secondo il suo consueto stile, per il convento domenicano dei Santi Giovanni e Paolo di Venezia.
Appena completata l'opera, Paolo Veronese si vide convocato e interrogato dall'Inquisizione per aver mostrato delle immagini profane e non decorose nel suo dipinto.
La scimmia
Ricordiamo per un attimo la realtà storica, politica e religiosa d'allora.
Si era da pochi anni concluso il Concilio di Trento che aveva dettato norme stringenti sulle immagini destinate ai luoghi sacri.
Il Veronese si difese affermando la libertà degli artisti: ”Noi pittori ci pigliamo licenza, che si pigliano i poeti e i matti”.
La guardia che mangia e beve
Accennò poi anche al “Giudizio Finale” dipinto da Michelangelo nella Cappella Sistina dove appaiono chiaramente anche molte nudità senza che il Pontefice all'epoca dicesse nulla.
Ma l'Inquisizione non volle sentire ragioni!
Allora messo alle strette ebbe una trovata geniale!
Decise che il titolo non era più l'Ultima Cena ma “Cena in casa di Levi”.
Non era più, quindi, la cena sacra dell'origine dell'Eucarestia ma un allegro banchetto in onore di Gesù offerto da Levi (San Matteo) che, essendo ricco, poteva avere i servi, buffoni, nani, cani e tutto quel che appariva nel dipinto.
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Manca nella storia dell'arte uno studio completo sull'importanza e gli effetti del titolo delle opere d'arte figurative ma sappiamo che esso è stato spesso molto decisivo o quanto meno molto significativo.
Ora esamineremo un caso in cui il titolo è diventato un aspetto essenziale dell'opera.
Il nano e il pappagallo
Nel 1573 Paolo Veronese completò una nuova “Ultima Cena”, secondo il suo consueto stile, per il convento domenicano dei Santi Giovanni e Paolo di Venezia.
Appena completata l'opera, Paolo Veronese si vide convocato e interrogato dall'Inquisizione per aver mostrato delle immagini profane e non decorose nel suo dipinto.
La scimmia
Ricordiamo per un attimo la realtà storica, politica e religiosa d'allora.
Si era da pochi anni concluso il Concilio di Trento che aveva dettato norme stringenti sulle immagini destinate ai luoghi sacri.
Il Veronese si difese affermando la libertà degli artisti: ”Noi pittori ci pigliamo licenza, che si pigliano i poeti e i matti”.
La guardia che mangia e beve
Accennò poi anche al “Giudizio Finale” dipinto da Michelangelo nella Cappella Sistina dove appaiono chiaramente anche molte nudità senza che il Pontefice all'epoca dicesse nulla.
Ma l'Inquisizione non volle sentire ragioni!
Allora messo alle strette ebbe una trovata geniale!
Decise che il titolo non era più l'Ultima Cena ma “Cena in casa di Levi”.
Non era più, quindi, la cena sacra dell'origine dell'Eucarestia ma un allegro banchetto in onore di Gesù offerto da Levi (San Matteo) che, essendo ricco, poteva avere i servi, buffoni, nani, cani e tutto quel che appariva nel dipinto.
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