Appena vidi questo dipinto rimasi colpito dai molteplici messaggi nascosti e volli approfondire la sua conoscenza.
E’ “Il misantropo” dell’artista fiammingo del ‘500 Pieter Bruegel il Vecchio, creato nel 1568.
DESCRIZIONE
Il dipinto, circolare, è racchiuso in una cornice quadrata e mostra un anziano con cappuccio ed una barba nera e bianca che cammina tenendo le mani congiunte.
Un’altra persona, più piccola, è a piedi nudi dietro di lui e con un coltello sta per tagliare la cintura del marsupio dell’anziano.
L’uomo anziano sembra così perso nei suoi pensieri che non si accorge né del furto né delle spine che si trovano davanti ai suoi piedi.
Il ladruncolo è racchiuso in una sfera trasparente mentre giù possiamo leggere una scritta in fiammingo che recita:
“Poiché il mondo è perfido, mi vesto a lutto“.
ANALISI
L’opera, chiaramente allegorica, ci mostra, quasi certamente, Timone di Atene, un eremita descritto da Cicerone, Seneca e da molti autori antichi.
Il dipinto è a tempera, tecnica usata raramente dall’artista.
L’atmosfera, per i colori sfuggenti e quasi rarefatti, è certamente malinconica come quella degli altri ultimi dipinti di Bruegel.
SIGNIFICATO
Il significato dell’opera è che un totale estraniarsi dal mondo non è possibile perché comunque siamo nel mondo e siamo, volenti o nolenti, in contatto con tutte realtà della vita.
Dal che discende una semplice morale.
Bisogna affrontare le difficoltà della realtà e non fuggire dalle responsabilità che comunque poi ci chiederanno il conto.
Infatti il misantropo sta camminando pensando di essere lontano dai dolori del mondo mentre il suo cammino gli sta prospettando un furto e delle spine.
La realtà del mondo è rappresentata dal pastore che, sullo sfondo, sta con le sue pecore e dunque appare più virtuoso in quanto sta eseguendo il suo dovere.
E’ visibile nel Museo Nazionale di Capodimonte a Napoli.
Enrico Caruso è stato un grande tenore italiano ed una vera e propria leggenda musicale per la sua magica voce.
Nato a Napoli il 25 febbraio 1873 da una famiglia povera fu avviato da ragazzo a lavori manuali e poi, per la sua bravura, a studi di disegno, ma ben presto la sua voce, esibita nel coro della chiesa ed in spettacoli locali, cominciò ad esser molto ammirata.
Ma il vero colpo di fortuna fu esser notato dal baritono Eduardo Missino che l’indirizzò dal maestro di musica Guglielmo Vergine perché educasse e migliorasse la sua voce (scuola… ben pagata perché pretese il 25% dei guadagni per 5 anni).
Evitato il militare perché migliorasse le sue doti canore… dopo qualche iniziale insuccesso si esibì in varie parti…
Conosciuto il direttore d’orchestra Vincenzo Lombardi accettò di far parte nel suo spettacolo che doveva tenersi a Livorno.
Qui conobbe la soprano Ada Giacchetti con cui ebbe una relazione durata 11 anni da cui nacquero 2 figli ma finita molto male per il tradimento ed i ricatti di lei (che fu anche condannata).
Intanto il numero delle sue esibizioni e la sua notorietà aumentava pian piano sempre più… cantò nel 1900 anche alla Scala sotto la direzione di Arturo Toscanini… ma ebbe anche delle defaillances come al San Carlo di Napoli nel 1901.
Decise allora di tornar a studiare per corregger qualche difetto e migliorar le sue doti canore.
Fu tra i primi cantanti lirici ad utilizzare le nuove tecnologie dell’epoca incidendo nell’aprile del 1902 con una casa inglese 10 dischi cosa che portò notevoli fortune ad entrambi.
Fu il primo a superare il milione di dischi venduti.
Nel novembre del 1903 ebbe un tale successo Metropolitan di New York da diventare una star.
(Napoli, 25 febbraio 1873 – Napoli, 2 agosto 1921)
Iniziava il mito della sua voce… che però insieme alla fama gli causò diversi piccoli processi in USA per varie accuse da parte di invidiosi… che lo umiliarono…
Nel 1909, dopo la separazione da Ada incise una serie di canzoni napoletane presto divenute un successo tra cui “Core ‘ngrato” ispirata proprio alla sua storia.
Intanto trionfava con le sue interpretazioni nei più importanti teatri lirici del mondo…
Nel 1918 sposò Dorothy Benjamin molto più giovane di lui da cui ebbe una figlia, ma presto a partire dal 1920 iniziarono i problemi di salute.
Un brutto male lo stava minando…
Caruso con la moglie a Sorrento al Vittoria Hotel nel 1921
Nel giugno del 1921 una crociera lo portò a Sorrento… per la convalescenza dopo un’operazione.
Aggravandosi la salute volle tornare a Napoli ed alloggiò all’Hotel Vesuvio dove fu visitato dai più grandi medici dell’epoca, come il Cardarelli ed il Moscati.
Ma non ci fu nulla da fare..
Moriva a soli 48 anni il 2 agosto 1921…
La sua storia commosse il mondo…
Il suo mito non è mai tramontato.
Desidero ricordarlo prima riascoltando la sua leggendaria voce con il video di una sua mitica interpretazione di “Una furtiva lacrima”…
e poi con quello della bella canzone di Dalla a lui dedicata.
dopo aver visto e descritto il Cristo velato e la Pudicizia.
Per il fascino che emana e le emozioni che dona,
fa parte, insieme alle altre 2 suindicate,
della triade delle opere più belle della Cappella
che di recente è stata eletta
al primo posto della classifica dei musei italiani
preferiti dai viaggiatori di tutto il mondo.
Alcune delle incredibili opere della Cappella
Il disinganno
è considerato il capolavoro di Francesco Queirolo
artista genovese, allievo del Corradini, che fu
anche l’autore del bozzetto preparatorio.
Anche stavolta ne approfondiremo i 4 aspetti familiari, artistici, religiosi ed esoterici
seguendo le diverse opinioni dei tanti studiosi
che si sono impegnati nel cercar
di comprendere il vero significato dell’opera.
DESCRIZIONE ED ASPETTO FAMILIARE
L’opera ha quale scopo dichiarato ridar lustro al padre del Principe
per mondarlo dalla sua pessima fama.
Mostra un uomo (il padre di Raimondo) nell’atto di liberarsi
da una pesante rete da cui è avvolto.
In questo è aiutato da un genietto (o putto) alato
con in testa una coroncina, con fiamma sulla fronte,
e che tiene un piede su di un globo
al quale è poi appoggiato un libro.
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Il bassorilievo su cui è posata la scultura rappresenta
la parabola di Gesù che ridà la vista ad un cieco
con la scritta “Qui non vident videant” . (Coloro che non vedono… vedano)
Il Principe con questa opera vuol esaltare la grande forza morale
del padre che era sì stato un grandissimo peccatore,
“Asservito alle giovanili brame” così è scritto sulla lapide,
ma che poi alla fine era riuscito a comprender gli errori commessi
ed a pentirsi rinunciando alle ricchezze ed al titolo nobiliare (proprio a favore di Raimondo) ritirandosi in convento
e così liberandosi dalle tenebre del male. (V. la sua biografia nella I parte)
VISIONE ARTISTICA
La scultura mostra una evidente forza intrinseca
che si apre in un movimento potente che coinvolge chi l’osserva.
Ma la cosa che maggiormente colpisce e colpì fin dal ‘700
lasciando a bocca aperta tutti coloro che l’osservano
è l’incredibile rete che morbidamente avvolge l’uomo.
Questo della rete è indubitabilmente
un caso senza precedenti nella storia della scultura
e frutto di una lavorazione davvero geniale.
Essa infatti è il risultato di un grande virtuosismo tecnico,
quello di trasformare il marmo in una plastica rete,
così meticoloso da esser paragonato alla precisione degli orafi.
Si racconta anche che gli artigiani che collaboravano con l’artista
non se la sentirono di aiutar il Queirolo, per paura di romperla,
per cui lo scultore dovette far tutto da solo.
INTERPRETAZIONE RELIGIOSA
L’opera simboleggia il grande sforzo necessario
per la liberazione dal peccato e dall’illusione di dominio
per giungere infine a ritrovare la vera fede.
Anche il passo biblico scritto sul libro e la parabola
scolpita sul basamento (Gesù che dona la vista al cieco) confermano questa tesi.
Inoltre l’opera può aver un’ulteriore lettura
religiosa in quanto può anche rappresentare
il pentimento dello stesso Principe per le sue attività esoteriche.
Pentimento che egli stesso dichiarò con suppliche
alle autorità religiose (che lo consideravano eretico e massonico) con le quali affermava con forza la sincerità del suo pentimento.
INTERPRETAZIONE ESOTERICA
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La lotta tra luce e tenebre è l’immediato e chiaro messaggio
che ci giunge da una semplice osservazione dell’opera
fortemente ideata e voluta dal Principe in tutti i suoi particolari
al punto che, per alcuni, non il padre…
ma proprio lui potrebbe essere il vero soggetto rappresentato.
Infatti fu totale il suo controllo, sia sulla realizzazione dell’opera
che sul Queirolo, al punto che nel contratto si legge
“a tutto piacimento, genio e gusto d’esso Signor Principe,
di non poter lavorare per nessun’altra persona,
e collo stretto ligame di non potersi licenziare”
che dimostra quanta poca libertà d’azione avesse l’artista.
E’ noto a tutti anche che l’iniziazione massonica avviene
con la bendatura dell’adepto per poi esserne liberato
per poter finalmente conoscere la Luce della Verità della Loggia.
La fiamma sulla fronte del putto alato è poi notoriamente
un simbolo dell’Illuminismo mentre il libro aperto
è un chiaro accenno alle grandi luci esoteriche che,
consentendo di vedere oltre l’apparente ed ingannatrice realtà,
portano all’uso della razionalità ed a vivere secondo virtù.
tra lui e le Autorità della Chiesa
vi furono non pochi e non semplici conflitti per salvarsi dai quali
egli fu costretto a denunciare al RE Carlo III(suo amico)
tutti i Liberi Muratori delle Logge del Regno.
Il Re emise (a malincuore) l’editto che cancellava tutte le Logge massoniche
ma questo, a parte un rimprovero, non causò a loro alcun reale problema
e le Logge continuarono ad operare tranquillamente come prima.
Gli storici ritengono che si sia trattato di una abiura strategica
servita per metter a tacere i nemici, soprattutto Gesuiti,
che il Principe aveva all’interno della Chiesa,
e così salvare sé ed i “Fratelli”.
Infine l’impatto visivo è così forte da farci “sentire”
che qualcosa di misterioso e segreto aleggia in essa.
UNA PERSONALE OPINIONE
Come ho accennato parlando delle altre opere,
anche qui i vari concetti e simboli impressi nella scultura si affiancano,
si sovrappongono, si fondono
in una sintesi sia tra aspetti simili ma anche tra opposti
con un risultato alla fine davvero mirabile.
La complessità degli elementi costitutivi dell’opera
non è infatti diversa da quella della personalità del Principe.
Egli era nel contempo massone e devoto a San Gennaro,
scienziato ma amante dell’arte, alchimista e generale dell’esercito,
bigotto ed eretico, nobile ma anche incline a contrar debiti,
colto ma anche superstizioso etc etc…
Per questi motivi attribuir all’opera un unico significato
mi appare fatica improba, se non del tutto inutile e senza senso,
in quanto appaiono presenti, in modo più o meno evidente,
tutti i simboli allegorici su elencati (e forse anche altri).
Continua
Tony Kospan
Chi volesse legger la I parte
– Presentazione e biografia del Principe di Sansevero –
Il Presepe e l’Albero di Natale sono i simboli principali
di quella che è la più grande festa della Cristianità.
Ma mentre l’Albero di Natale ha un’origine abbastanza recente
il Presepe vanta un’origine “santa” essendo stato “inventato” da S. Francesco
e presenta una storia lunghetta ma molto interessante
che in breve ora possiamo conoscere.
LA VERA STORIA DEL PRESEPE
Sono gli evangelisti Luca e Matteo i primi a descrivere la Natività.
Nei loro brani c’è già tutta la sacra rappresentazione che a partire dal medioevo prenderà il nome latino di praesepium ovvero recinto chiuso, mangiatoia.
Si narra infatti della umile nascita di Gesù come riporta Luca “in una mangiatoia perché non c’era per essi posto nell’albergo” (Ev., 2,7) dell’annunzio dato ai pastori, dei magi venuti da oriente seguendo la stella per adorare il Bambino che i prodigi del cielo annunciano già re.
Questo avvenimento così famigliare e umano se da un lato colpisce la fantasia dei paleocristiani rendendo loro meno oscuro il mistero di un Dio che si fa uomo, dall’altro li sollecita a rimarcare gli aspetti trascendenti quali la divinità dell’infante e la verginità di Maria.
Così si spiegano le effigi parietali del III secolo nel cimitero di S. Agnese e nelle catacombe di Pietro e Marcellino e di Domitilla in Roma che ci mostrano una Natività e l’adorazione dei Magi, ai quali il vangelo apocrifo armeno assegna i nomi di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre, ma soprattutto si caricano di significati allegorici i personaggi dei quali si va arricchendo l’originale iconografia: il bue e l’asino, aggiunti da Origene, interprete delle profezie di Abacuc e Isaia, divengono simboli del popolo ebreo e dei pagani; i Magi il cui numero di tre, fissato da S. Leone Magno, ne permette una duplice interpretazione, quali rappresentanti delle tre età dell’uomo: gioventù, maturità e vecchiaia e delle tre razze in cui si divide l’umanità, la semita, la giapetica e la camita secondo il racconto biblico; gli angeli, esempi di creature superiori; i pastori come l’umanità da redimere e infine Maria e Giuseppe rappresentati a partire dal XIII secolo, in atteggiamento di adorazione proprio per sottolineare la regalità del nascituro.
Anche i doni dei Magi sono interpretati con riferimento alla duplice natura di Gesù e alla sua regalità: l’incenso, per la sua Divinità, la mirra, per il suo essere uomo, l’oro perché dono riservato ai re.
A partire dal IV secolo la Natività diviene uno dei temi dominanti dell’arte religiosa e in questa produzione spiccano per valore artistico: la natività e l’adorazione dei magi del dittico a cinque parti in avorio e pietre preziose del V secolo che si ammira nel Duomo di Milano e i mosaici della Cappella Palatina a Palermo, del Battistero di S. Maria a Venezia e delle Basiliche di S. Maria Maggiore e S. Maria in Trastevere a Roma.
In queste opere dove si fa evidente l’influsso orientale, l’ambiente descritto è la grotta, che in quei tempi si utilizzava per il ricovero degli animali, con gli angeli annuncianti mentre Maria e Giuseppe sono raffigurati in atteggiamento ieratico simili a divinità o, in antitesi, come soggetti secondari quasi estranei all’evento rappresentato.
Presepe di Arnolfo di Cambio – 1283
Dal secolo XIV la Natività è affidata all’estro figurativo degli artisti più famosi che si cimentano in affreschi, pitture, sculture, ceramiche, argenti, avori e vetrate che impreziosiscono le chiese e le dimore della nobiltà o di facoltosi committenti dell’intera Europa, valgano per tutti i nomi di Giotto, Filippo Lippi, Piero della Francesca, il Perugino, Dürer, Rembrandt, Poussin, Zurbaran, Murillo, Correggio, Rubens e tanti altri.
Il presepio come lo vediamo rappresentare ancor oggi nasce, secondo la tradizione, dal desiderio di San Francesco di far rivivere in uno scenario naturale la nascita di Betlemme coinvolgendo il popolo nella rievocazione che ebbe luogo a Greccio la notte di Natale del 1223, episodio rappresentato poi magistralmente da Giotto nell’affresco della Basilica Superiore di Assisi.
Primo esempio di presepe inanimato è invece quello che Arnolfo di Cambio scolpirà nel legno nel 1280 e del quale oggi si conservano le statue residue nella cripta della Cappella Sistina di S. Maria Maggiore in Roma.
Da allora e fino alla metà del 1400 gli artisti producono statue di legno o terracotta che sistemano davanti a una pittura riproducente un paesaggio come sfondo alla scena della Natività, il tutto collocato all’interno delle chiese.
Culla di tale attività artistica fu la Toscana ma ben presto il presepe si diffuse nel regno di Napoli ad opera di Carlo III di Borbone e nel resto degli Stati italiani.
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Nel ‘600 e ‘700 gli artisti napoletani danno alla sacra rappresentazione un’impronta naturalistica inserendo la Natività nel paesaggio campano ricostruito in scorci di vita che vedono personaggi della nobillà, della borghesia e del popolo còlti nelle loro occupazioni giornaliere o nei momenti di svago, nelle taverne a banchettare o impegnati in balli e serenate.
Ulteriore novità è la trasformazione delle statue in manichini di legno con arti in fil di ferro, per dare movimento, abbigliati con vesti di stoffe più o meno ricche, adornati con monili e muniti degli strumenti di lavoro tipici dei mestieri dell’epoca e tutti riprodotti con esattezza anche nei minimi particolari.
A tali fastose composizioni davano il loro contributo artigiani vari e lavoranti delle stesse corti regie o la nobiltà, come attestano gli splendidi abiti ricamati che indossano i Re Magi o altri personaggi di spicco, spesso tessuti negli opifici reali di S. Lencio.
In questo periodo si distinguono anche gli artisti di Genova e quelli siciliani che, fatta eccezione per i siracusani che usano la cera, si ispirano sia per i materiali che per il realismo scenico, alla tradizione napoletana. Sempre nel ‘700 si diffonde il presepio meccanico o di movimento che ha un illustre predecessore in quello costruito da Hans Schlottheim nel 1588 per Cristiano I di Sassonia.
La diffusione a livello popolare si realizza pienamente nel secolo scorso quando ogni famiglia in occasione del Natale costruisce un presepe riproducendo la Natività secondo i canoni tradizionali con materiali – statuine in gesso o terracotta, carta pesta e altro – forniti da un fiorente artigianato.
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A Roma le famiglie importanti per censo e ricchezza gareggiavano tra loro nel costruire i presepi più imponenti, ambientati nella stessa città o nella campagna romana, che permettevano di visitare ai concittadini e ai turisti. Famosi quello della famiglia Forti posti sulla sommità della Torre degli Anguillara, o della famiglia Buttarelli in via De’ Genovesi riproducente Greccio e la caverna usata da S. Francesco o quello di Padre Bonelli nel Portico della Chiesa dei Santi XII Apostoli, parzialmente meccanico con la ricostruzione del lago di Tiberiade solcato dalle barche e delle città di Gerusalemme e Betlemme.
Oggi dopo l’affievolirsi della tradizione, causata anche dall’introduzione dell’albero di Natale, il presepe è tornato a fiorire grazie all’impegno di religiosi e privati che con associazioni come quella degli amici del presepe, Musei tipo il Brembo di Dalmine vicino Bergamo, Mostre, tipica quella dei 100 Presepi nelle Sale del Bramante di Roma, una tra le prime in Italia, rappresentazioni dal vivo come quelle di Rivisondoli in Abruzzo o Revine nel Veneto e soprattutto gli artigiani napoletani e siciliani in special modo, eredi delle scuole presepiali del passato, hanno ricondotto nelle case e nelle piazze d’Italia la Natività e tutti i personaggi della simbologia cristiana.
Ora da alcuni decenni il cuore mondiale del presepe… è Via San Gregorio Armeno… la famosissima via del centro di Napoli in cui sono concentrati tantissimi laboratori artigianali (ma che non è esagerato definire talvolta artistici) che creano presepi di ogni tipo e forma…
Questa stradina è in ogni stagione, ma soprattutto nel periodo prenatalizio, meta di centinaia di migliaia di turisti e di appassionati del presepe provenienti da ogni parte del mondo… (N.T.K.)
Testo presente in vari siti web – impaginazione e note di Tony Kospan
La regina che ha dato il nome alla pizza… Margherita
Diamo uno sguardo all’evoluzione, nel corso dei millenni,
della pizza…
uno degli alimenti più amati in tutto il mondo.
Partirò però dalla simpatica storia della nascita
della mitica Margherita, regina delle pizze
e poi parlerò di quella specie di pane schiacciato
che rappresenta l’antichissimo antesignano della pizza.
Il post poi si concluderà infine
con una simpatica canzoncina a lei dedicata.
LA VERA STORIA DELLA PIZZA MARGHERITA (E NON SOLO)
a cura di Tony Kospan
In verità questa pizza condita da mozzarella, pomodoro e basilico, già esisteva… ed era amata dalla Regina Carolina moglie di Re Ferdinando di Borbone… che, essendone ghiotta, aveva perfino fatto costruire, nella reggia, un bel forno a legna.
Non sapeva però la regina borbonica Carolina che i 3 colori sarebbero stati quelli di un’altra dinastia, quella dei Savoia, che avrebbe poi esautorato la sua.
Ma andiamo con ordine
Nell’estate del 1889 il re d’Italia Umberto I e la regina Margherita erano in vacanza a Napoli nella reggia di Capodimonte.
La regina, avendo saputo delle bontà della pizza da qualche personaggio del seguito mandò a chiamare a corte il pizzaiolo Don Raffaele Esposito.
I coniugi Esposito, utilizzando i forni della Reggia, non prepararono solo la pizza in questione ma anche diverse altre… con vari ingredienti: una con sugna, formaggio e basilico; una con l’aglio, olio e pomodoro etc.
La Regina Margherita
Ma la Regina Margherita si entusiasmò soprattutto per quella con mozzarella, pomodoro e basilico, cioè con i colori della bandiera italiana, e però non solo per motivi patriottici.
Don Raffaele, colse al volo l’occasione di farsi pubblicità (e farsi benvolere dai Reali) e quindi chiamò questa pizza, in onore della Regina, “alla Margherita“.
Nel menu della sua pizzeria, già il giorno dopo, essa troneggiava richiestissima ed al primo posto.
Era nata la pizza Margherita.
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La storia della pizza – in senso lato –
però ha origini molto più antiche..
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LE LONTANISSIME ORIGINI DELLA PIZZA
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Diversi storici ritengono che una specie di pizza, molto simile al pane, era presente già nell’alimentazione etrusca, egizia e di altri popoli antichi con forme e condimenti ovviamente molto diversi.
Era un alimento semplice che necessitava solo di componenti facilmente reperibili: farina, olio, sale e lievito.
La pizza inizia ad avvicinarsi a quella che intendiamo oggi a Napoli, nel medioevo, per cercare di rendere più saporita e condita la preesistente schiacciata di pane;
Dunque in origine è simile al pane, cotta in forni a legna e condita con aglio, strutto e sale grosso… a cui alcuni poi aggiungevano formaggio (caciocavallo) e basilico.
Bisogna ricordare che fu la pizza, anche nella forma più povera, a far sì che nei territori del Regno delle 2 Sicilie le popolazioni riuscissero a superare, in modo meno drammatico di altre zone, le tante diverse carestie avvenute nel corso dei secoli (in Germania questo stesso ruolo lo ebbe invece la patata).
La pizza infine proprio come oggi la conosciamo, e cioè non più simile al pane ma con impasto morbido e gustoso, appare a Napoli tra il ‘500 e il ‘600.
Era preparata a forma di disco sul quale venivano aggiunti i condimenti più diversi disponibili all’epoca.
Il definitivo trionfo della pizza moderna avviene però con la scoperta del pomodoro che, importato dal Perù solo come pianta ornamentale, rivelò poi la sua capacità di trasformarsi in una gustosa salsa.
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Dunque solo in un momento successivo qualcuno ebbe l’idea di guarnire la pizza con la salsa e fu subito grandissimo amore.
Incomincia cosi l’era della pizza moderna che, partendo da Napoli, si diffonde dappertuttodiventando uno dei cibi più amati e mangiati nel mondo assumendo però poi forme, cotture spessore e condimenti d’ogni genere secondo i diversi gusti dei popoli.
Molto recentemente… il 7.12.2017… l’Unesco ha proclamato la pizza napoletana “patrimonio dell’umanità“.
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LA PIZZA IN… MUSICA
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Dopo questo breve excursus storico – pizzaiolo,
vi saluto con questa canzoncina a lei dedicata…
e fantasticamente interpretata da Aurelio Fierro
e… vado a farmi una bella… pizza.
Mi dispiace non poterla mangiare insieme a voi.
Questo, per ora, non c’è concesso nel mondo virtuale
ma… col pensiero… forse sì.
Ciao da Orso Tony
COPYRIGHT TONY KOSPAN
La tua pagina d’Amore.. Cultura, Psiche e Sogno
per colorare insieme e non banalmente le nostre ore
Abbiamo conosciuto nella I PARTE la sorprendente ed enigmatica biografia del Principe Raimondo de Sangro ed ora passiamo a conoscere la storia della sua più importante opera e cioè di questa Cappella da lui abbellita ed arricchita da eccezionali opere d’arte.
STORIA DELLA CAPPELLA DI SANSEVERO
Costruita già nel 1590 per ospitare le tombe della famiglia fu del tutto restaurata nel corso del ‘700 dal Principe.
La Cappella in una antica stampa
E’ situata in pieno centro storico a pochi metri dalla piazza San Domenico Maggiore, ed è accanto al palazzo di famiglia dei Principi di Sansevero, ma divisa da un vicoletto che all’epoca era però sormontato da un ponticello sospeso che consentiva ai membri della famiglia di accedere direttamente alla Cappella.
La piantina della Cappella
La prima cosa che stupisce è che nella Cappella sono presenti soprattutto sculture ed infatti gli unici dipinti sono:
il soffitto affrescato da F. M. Russo nel 1749 con le immagini allegoriche dei Santi della famiglia ed i medaglioni monocromatici con i Santi protettori del Casato.
Tutti presentano ancor oggi colori vivissimi grazie all’uso di una cd. pittura “oloidrica” che consisterebbe nell’uso, al posto della colla, di sostanze create dal Principe ed il cui segreto avrebbe portato con sé nella tomba.
Questa massiccia preponderanza di sculture e di parti architettoniche rappresenta un vero e proprio “unicum” nell’ambito delle Chiese e delle grandi Cappelle (benché questa sia ora sconsacrata).
LE 4 CHIAVI DI LETTURA DELLE OPERE
Prima dare un’occhiata alle opere più rappresentative presenti nella Cappella bisogna precisare che esse presentano, a mio parere ma non solo, ben 4 chiavi di lettura:
– La prima è quellareligiosa, certo è una Cappella con statue e qualche dipinto di carattere religioso… eppure forse è la chiave meno importante.
– La seconda è quella della rappresentazione dellastoria della famiglia del Principe e dei personaggi che più le diedero lustro.
– La terza è quella artistica, per la presenza di fantastiche opere di grandi maestri dell’epoca inserite in un contesto tutto barocco ed in un trionfo (quasi musicale) di marmi e stucchi.
– La quarta, la più misteriosa e per molti la più affascinante, è quellaesoterica in quanto il Principe avrebbe “fattonascondere ma non troppo” nelle diverse opere i suoi principi e le sue conoscenze ermetiche ed alchemiche (qualcosa di vero certamente ci deve essere se si pensa alla persecuzione che il Principe subì da parte delle gerarchie ecclesiastiche.
Dunque nell’esaminare ciascuna opera, cercherò di evidenziare le diverse chiavi interpretative apparenti o nascoste, per quanto è a mia conoscenza.
Le opere di cui parlerò in modo ampio saranno:
Parte III – Il Cristo velato;
Parte IV – La pudicizia;
Parte V – Il disinganno;
Parte VI – Le incredibili macchine anatomiche.
FINE II PARTE
Chi volesse conoscer la biografia
del misterioso ma geniale Principe e della sua famiglia
(I Parte del post) può cliccare qui giù.
CONTINUA
CON LE MIRABILI OPERE DELLA CAPPELLA… E NON SOLO.
LE IMMAGINI SONO PRESE DAL WEB E SARANNO SUBITO RIMOSSE SE CHI NE DETIENE IL COPYRIGHT LO CHIEDERA’
Perché una piccola cappella suscita tanto interesse e tanta curiosità?
Perché visitarla è come fare2 passi…nel mistero,2 passi…nella grande arte,2 passi…nella storia del ‘700 e 2 passi…. nel mondo umano e familiare di un geniale ed enigmatico principe ed alchimista…Raimondo de Sangro, Principe di Sansevero.
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Pur essendo il tema apparentemente semplice, la biografia di un Principe e la descrizione di una piccola cappella, per la notevole complessità e quantità di aspetti artistici, storici, scientifici, alchemici, esoterici… etc… il post dovrà esser diviso in parecchie parti.
Inizieremo dunque col parlare qui, in breve, della vita del Principe per passare poi ad esaminare la Cappella e le sue opere d’arte, le diverse stranissime invenzioni del Principe e ci soffermeremo anche su alcuni suoi contatti con personaggi europei altrettanto noti e misteriosi.
Questa prima parte, che possiamo definire essenzialmente di presentazione e biografica, è forse la meno affascinante ma è assolutamente necessaria per meglio comprender tutto quanto vedremo e conosceremo dopo.
I PARTE
DISSERO DEL PRINCIPE DI SANSEVERO
Ecco cosa scrisse di lui Benedetto Croce:
“Ammazzò sette cardinali e con le loro ossa costruì sette seggiole, mentre con la pelle, opportunamente conciata, ricoprì i sedili” – Benedetto Croce-Storie e leggende napoletane -.
Per la gente del luogo era invece una specie di stregone ed ancora secoli dopo, al solo nominarlo, molti si facevano il segno della croce.
Wikipedia però lo definisce così… semplicemente
“Raimondo di Sangro (Torremaggiore 30.1.1710 – Napoli 22.3.1771) fu il VII principe di San Severo e studioso napoletano”.
Ma chi era e da dove veniva in verità costui?
LA FAMIGLIA D’ORIGINE DEL PRINCIPE
I conti dei Marsi e di Sangro vantavano, come si può evincere dal loro stemma, una discendenza “borgognona” dallo stesso Carlo Magno.
Inoltre la famiglia dei Sangro era molto legata al potente Ordine Benedettino, ed aveva avuto nei suoi ranghi, oltre ad abati ed altissimi prelati, anche i santi Oderisio, Bernardo e Rosalia e ben 4 Papi erano stati loro parenti.
Innocenzo III (1198-1216), Gregorio IX (1227-1241), Paolo IV Carafa (1555-1559) e Benedetto XIII (1724-1730).
Il padre di Raimondo, Antonio di Sangro, fu personaggio poco limpido, libertino e molto controverso.
Accusato dell’omicidio del padre di una ragazza di Sansevero, che era contrario alla loro relazione, scappò a Vienna dichiarandosi innocente ma, dopo che la Magistratura, forse corrotta, archiviò il caso, tornò e fece uccidere il Sindaco di Sansevero che era stato il suo accusatore.
Scappò di nuovo… stavolta a Roma dove infine prese i voti e si ritirò in un convento.
BIOGRAFIA DEL PRINCIPE RAIMONDO
A causa di un genitore così scapestrato il ragazzo visse un’infanzia un po’ disorientata con i nonni paterni che a 10 anni lo mandarono a studiare dai Gesuiti a Roma dove brillò negli studi ed acquisì una grande cultura di cui poté far sfoggio quando, tornato a Napoli, primeggiò tra i Nobili dell’epoca che erano molto poco inclini al sapere ed alla cultura.
Ma le sue non furono solo conoscenze scolastiche in quanto si estesero anche ad altre discipline ed alle lingue straniere.
Già da studente mostrò le sue capacità inventive.
Infatti quando per uno spettacolo a scuola bisognava smontare presto il palco per consentire un successivo spettacolo equestre superò “primi Ingegneri e valentuomini” creando un palco che “coll’aiuto di alcuni argani e di alcune nascoste rote” spariva in breve tempo.
Tornato all’età di 20 anni a Napoli, divenuta sede principale della famiglia, già con il titolo di VII° Principe di Sansevero per la morte del nonno, sposò per procura la giovanissima cugina Carlotta Gaetani residente nelle Fiandre che conobbe però solo 6 anni dopo a causa delle continue guerre di quegli anni.
Per le sue conoscenze dell’arte militare divenne Colonnello del Reggimento Capitanata e nel 1744 mostrò il suo valore nella Battaglia di Velletri contro gli Austriaci e gli apprezzamenti del Re Carlo di Borbone.
Il Re alla Battaglia di Velletri contro gli Austriaci
Nel frattempo scriveva libri, che editava egli stesso nella tipografia che aveva fatto costruire negli scantinati del suo palazzo, frequentava le migliori Accademie letterarie e culturali dell’epoca ed approfondiva studi, ricerche ed esperimenti in materia chimica ed alchemica.
I suoi libri di chiaro stampo massonico venivano spesso censurati dalle Autorità ecclesiastiche mentre la sua tipografia stampava libri di vario genere che nessuno pensava di pubblicare in Italia.
Nel 1744 il Principe iniziò quello che oggi possiamo definire il suo capolavoro principale e cioè il restauro e la risistemazione della Cappella familiare, oggi nota in tutto il mondo come “Cappella Sansevero” per la qual cosa chiamò i più grandi (e costosi) artisti dell’epoca come vedremo in seguito.
Sempre nel 1744 si iscrisse alla Massoneria ed in breve scalò tutti i gradini della Loggia Napoletana divenendone il Gran Maestro.
Questi sono però anche gli anni in cui, per impulso del Re Carlo III di Borbone, avvengono grandi scoperte archeologiche nelle aree soprattutto di Pompei, Ercolano e Paestum.
Scoperte che per la loro straordinarietà rafforzarono negli adepti della Loggia le loro convinzioni esoteriche.
Ma Re Carlo III, suo amico, nel 1759 fu chiamato a regnare sulla Spagna per la morte del fratello maggiore e lasciò così il Regno delle due Sicilie al giovane ed inesperto Re Ferdinando IV.
Re Carlo III di Borbone
Quest’ultimo, su consiglio del Ministro della Real Casa (e suo nemico), Bernardo Tanucci, lo fece arrestare perché aveva affittato delle stanze del suo palazzo ad una bisca per pagare i debiti contratti con gli artisti e le maestranze che lavoravano per la Cappella.
Dopo qualche mese però, per le sue importanti ed aristocratiche amicizie, fu liberato.
La Cappella in una antica stampa
Allora il Principe, per risolvere una volta per tutte i problemi economici, fece sposare il primogenito con la principessa Gaetana Mirelli di ricca famiglia che gli portò una considerevole dote che, non solo gli consentì di non aver più debiti, ma anche di continuare l’opera di completamento di quella che possiamo definire… la ragione della sua vita.
I suoi ultimi anni li passò, oltre che nella cura della Cappella, suo amato gioiello, anche a studiare, a fare esperimenti ed ad inventare come vedremo più avanti.
Morì nel 1771
FINE DELLA I PARTE
continua…
Fonti: vari siti web e… conoscenza diretta (della cappella eh eh)
Goethe a Napoli ritratto da J. H. W. Tischbein tra reperti pompeiani da poco portati alla luce
L’Italia per secoli è stata l’ambita meta
di viaggio per la migliore gioventù europea
che si voleva nutrire
della cultura e dell’arte italiana.
Wolfgang Goethe – (Francoforte sul Meno 28.8.1749 – Weimar 22.3.1832)
HACKERT – GOETHE – MOZART E NAPOLI
Cos’hanno in comune tra loro e con Napoli?
Jacob Philipp Hackert – Il Vesuvio visto da Napoli
Direi molto
Tutti e tre i grandi personaggi del ‘700
hanno viaggiato per l’italia
ed in particolare hanno vissuto,
chi più tempo chi meno,
a Napoli e negli stessi anni.
Mozart – Medley
Jacob Philipp Hackert – L’isola di capri vista da Posillipo
Hackert, amico di Goethe, è il cantore con la pittura
mentre Goethe ci delizia in prosa e poesia
e Mozart in musica.
HACKERT E GOETHE
Di nascosto e sotto falso nome,
Goethe fuggì da Weimar verso l’Italia
nella notte del 3 settembre 1786.
Voleva godersi l’Italia,
il paese dei suoi desideri e della sua nostalgia,
senza dover rendere conto a nessuno.
Jakob Philipp Hackert – (Prenzlau 15.9.1737 – San Pietro di Careggi 28.4.1807)
A Napoli rimase un mese nel febbraio-marzo 1787
– e qui conobbe Hackert pittore di corte del Re Ferdinando IV
di cui divenne molto amico –
e poi altri 15 giorni al suo ritorno dalla Sicilia.
Jacob Philipp Hackert – Il lago d’Averno
Ecco come si esprime in una sua divertita e divertente
descrizione di Napoli:
Il napoletano crede di essere in possesso del Paradiso
ed ha un concetto molto triste dei paesi nordici:
»Sempre neve, case di legno, grande ignoranza, ma danari assai.«
Questa è l’immagine che si sono fatti di noi.
Quanto a Napoli, la città si preannuncia felice, libera e vivace,
un numero infinito di persone si affrettano disordinatamente,
il re è a caccia, la regina in stato interessante,
e meglio di così non può andare.
ed ora 4 sue famose bellissime poesie
DA DOVE SIAMO NATI?
Da dove siamo nati?
Dall’amore.
Come saremmo perduti?
Senza amore.
Cosa ci aiuta a superarci?
L’amore.
Si può trovare anche l’amore?
Con amore.
Cosa abbrevia il pianto?
L’amore.
Cosa deve unirci sempre?
L’amore.
CUPIDO MONELLO TESTARDO!
Cupido, monello testardo!
M’hai chiesto un riparo per poche ore,
e quanti giorni e notti sei rimasto!
Adesso il padrone in casa mia sei tu!
Sono scacciato dal mio ampio letto;
sto per terra, e di notte mi tormento;
il tuo capriccio attizza fiamma su fiamma nel fuoco,
brucia le scorte d’inverno e arde me misero.
Hai spostato e scompigliato gli oggetti miei,
io cerco, e sono come cieco e smarrito.
Strepiti senza ritegno, e io temo che l’animula
fugga via per sfuggire te, e abbandoni questa capanna.
LASCIA PURE
Lascia pure che lo splendore
del sole svanisca,
purché spunti il giorno
nella tua anima.
Ciò che vien meno
al mondo intero,
puoi trovarlo dentro il tuo cuore.
PIACEVOLE INCONTRO
Nell’ampia cappa avvolto fin al mento,
prendevo la via tra le rocce, aspra e grigia,
e poi giù per i prati invernali,
l’animo inquieto, disposto alla fuga.
D’un tratto, il nuovo giorno si spogliò del velo:
giunse una fanciulla, bella come il cielo,
perfetta come quelle donne leggiadre
care ai poeti. La mia ansia s’acquietò.
Ma sviai il passo e la lasciai andare,
mi strinsi più forte nelle pieghe,
come per difendermi nel mio calore.
Eppure la seguii. Mi fermai. Era accaduto!
Nella mia veste non potei più celarmi,
la gettai via. E ci fu lei tra le mie braccia.
MOZART
Mozart giovanetto
Appena quattordicenne, nel 1769-70,
Mozart viaggiò per tutta l’Italia,
accompagnato dal padre Leopold.
Il loro percorso li portò da Verona a Milano,
a Firenze e Roma fino a Napoli,
ovunque collezionando grandi trionfi.
Nella novella “Mozart in viaggio verso Praga” (1856),
Eduard Mörike fa dire a Wolfgang queste parole su Napoli:
Mozart (Salisburgo 27.1.1756 – Vienna 5.12.1791)
“Sono passati diciassette anni da quando andai in Italia.
Chi, avendola vista una volta, non la ricorda per tutta la vita,
specialmente Napoli?”
Mozart – Divertimento n.17- Minuetto
Jacob Philipp Hackert – Il Golfo di Pozzuoli
(sullo sfondo Procida e Ischia)
E’ certo l’opera più bella e nel contempo più misteriosa ed è anche considerata uno dei massimi capolavori dell’arte mondiale.
Basterebbe da sola a giustificare una visita alla straordinaria Cappella.
Il grande Canova, quando la vide, ne rimase così entusiasta che era pronto a spender qualunque cifra per poterla acquistare… e studiare… ed affermò che avrebbe dato 10 o 20 anni di vita per poter dire d’esserne stato lui l’autore.
Il motivo di tanta stupefacente bellezza?
E’ soprattutto la presenza di un velo di marmo che lascia incredibilmente visibile sia il corpo sottostante che perfino le ferite ed i buchi fatti dai chiodi sul corpo di Gesù.
Molto si è scritto su quest’opera in quanto ci sono opposte versioni sull’origine di questo velo.
Secondo presunte clausole del contratto d’opera che sarebbero state ritrovate nell’Archivio Notarile di Napoli tra il Principe ed il Sammartino (eche potremo leggere nelle note in calce), allora apparirebbe certo che il “velo trasparente di marmo” sia stato un composto alchemico fornito dal Principe allo scultore.
Tuttavia sulla base di altri documenti c’è anche una tesi opposta e cioè che l’opera sia tutta un unico blocco di marmo finemente e favolosamente lavorato dallo scultore Sammartino.
In ogni caso, quando la vidi qualche anno fa, davvero mi sbalordì e mi sconvolse la trasparenza e l’aderenza del velo di marmo capace di mostrar con estrema e realistica precisione tutto quanto è da esso coperto… e cioè… la vena gonfia sulla fronte, i fori dei chiodi sui piedi e sulle mani, il costato scavato e l’aspetto rilassato del Cristo per la sopraggiunta morte liberatrice dal dolore.
Questi incredibili aspetti dell’opera si possono ammirare con stupore soltanto da vicino non potendo le foto dare l’esatta visione del realismo dell’opera.
Il foro nel piede
Ma cosa voleva dirci il Principe volendo realizzare quest’opera?
Innanzitutto c’è da dire che questa è forse l’unica scultura della Cappella che ha chiaramente un rilievo solo artistico e religioso non potendo ravvisarsi in essa aspetti esoterici (a parte la discussa storia del velo) o riferimenti alla famiglia del Principe.
Potrebbe però aver avuto lo scopo di dimostrare la possibilità di una felice unione tra arte ed alchimia oppure richiamare l’attenzione sulla Sindone quale simbolo esoterico di perfezione.
A mio modesto parere, con essa il Principe ha voluto soprattutto evidenziare la grandezza della sua potenza (in tutti i sensi) in quanto capace di pensare e di far realizzare (con o senza alchimie) un’opera davvero mitica ed unica al mondo.
NOTE
Tra le virgolette ecco degli estratti dalle clausole del contratto per la realizzazione del Cristo Velato rinvenute in alcuni siti in cui si afferma che siano state ritrovate nell’Archivio Notarile di Napolima delle quali non sono in grado di confermare l’autenticità:
– Lo scultore s’impegna a realizzare una ” statua raffigurante Nostro Signore Morto al Naturale da porre situata nella cappella Gentilizia del Principe, un Cristo Velato steso sopra un materasso che sta sopra un panneggio e appoggia la testa su due cuscini, apprè del medesimo vi stanno scolpiti una Corona di spine tre chiodi e una tenaglia“.
Il Principe s’impegna a fornire il marmo ed a realizzare una “Sindone, una tela tessuta la quale dovrà essere depositata sovra la scultura, dopo che il Principe l’haverà lavorata secondo sua propria creazione e cioè una deposizione di strato minutioso di marmo composito in grana finissima sovrapposta al telo; Il quale strato di marmo da usa idea, farà apparire per la sua finezza il sembiante di Nostro Signore dinotante come fosse scolpito di tutto con la statua“.
Lo scultore avrebbe però dovuto mantenere il segreto sulla “maniera escogitata dal Principe per la Sindone ricovrente la statua” e però l’opera sarebbe stata attribuita solo allo scultore.
FINE III PARTE
Chi volesse conoscer la biografia
del misterioso ma geniale Principe e della sua famiglia
(I PARTE) può cliccare qui giù.
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Chi volesse conoscer la storia, la composizione
e le caratteristiche generali della Cappella (II PARTE)
CONTINUA
Le prossime opere della Cappella di cui parlerò in modo ampio sono:
La pudicizia (IV)
Il disinganno (V)
Le incredibili macchine anatomiche (VI).
LE IMMAGINI SONO PRESE DAL WEB E SARANNO SUBITO RIMOSSE SE CHI NE DETIENE IL COPYRIGHT LO CHIEDERA’.
Enrico Caruso è stato un grande tenore italiano ed una vera e propria leggenda musicale per la sua magica voce.
Nato a Napoli il 25 febbraio 1873 da una famiglia povera fu avviato da ragazzo a lavori manuali e poi, per la sua bravura, a studi di disegno, ma ben presto la sua voce, esibita nel coro della chiesa ed in spettacoli locali, cominciò ad esser molto ammirata.
Ma il vero colpo di fortuna fu esser notato dal baritono Eduardo Missino che l’indirizzò dal maestro di musica Guglielmo Vergine perché educasse e migliorasse la sua voce (scuola… ben pagata perché pretese il 25% dei guadagni per 5 anni).
Evitato il militare perché migliorasse le sue doti canore… dopo qualche iniziale insuccesso si esibì in varie parti…
Conosciuto il direttore d’orchestra Vincenzo Lombardi accettò di far parte nel suo spettacolo che doveva tenersi a Livorno.
Qui conobbe la soprano Ada Giacchetti con cui ebbe una relazione durata 11 anni da cui nacquero 2 figli ma finita molto male per il tradimento ed i ricatti di lei (che fu anche condannata).
Intanto il numero delle sue esibizioni e la sua notorietà aumentava pian piano sempre più… cantò nel 1900 anche alla Scala sotto la direzione di Arturo Toscanini… ma ebbe anche delle defaillances come al San Carlo di Napoli nel 1901.
Decise allora di tornar a studiare per corregger qualche difetto e migliorar le sue doti canore.
Fu tra i primi cantanti lirici ad utilizzare le nuove tecnologie dell’epoca incidendo nell’aprile del 1902 con una casa inglese 10 dischi cosa che portò notevoli fortune ad entrambi.
Fu il primo a superare il milione di dischi venduti.
Nel novembre del 1903 ebbe un tale successo Metropolitan di New York da diventare una star.
(Napoli, 25 febbraio 1873 – Napoli, 2 agosto 1921)
Iniziava il mito della sua voce… che però insieme alla fama gli causò diversi piccoli processi in USA per varie accuse da parte di invidiosi… che lo umiliarono…
Nel 1909, dopo la separazione da Ada incise una serie di canzoni napoletane presto divenute un successo tra cui “Core ‘ngrato” ispirata proprio alla sua storia.
Intanto trionfava con le sue interpretazioni nei più importanti teatri lirici del mondo…
Nel 1918 sposò Dorothy Benjamin molto più giovane di lui da cui ebbe una figlia, ma presto a partire dal 1920 iniziarono i problemi di salute.
Un brutto male lo stava minando…
Caruso con la moglie a Sorrento al Vittoria Hotel nel 1921
Nel giugno del 1921 una crociera lo portò a Sorrento… per la convalescenza dopo un’operazione.
Aggravandosi la salute volle tornare a Napoli ed alloggiò all’Hotel Vesuvio dove fu visitato dai più grandi medici dell’epoca, come il Cardarelli ed il Moscati.
Ma non ci fu nulla da fare..
Moriva a soli 48 anni il 2 agosto 1921…
La sua storia commosse il mondo…
Il suo mito non è mai tramontato.
Desidero ricordarlo prima riascoltando la sua leggendaria voce con il video di una sua mitica interpretazione di “Una furtiva lacrima”…
e poi con quello della bella canzone di Dalla a lui dedicata.