Archivio per l'etichetta ‘luciana littizzetto’
Un attacco divertito e divertente, ma deciso,
a quelli che si credono, ostentando una ridicola prosopopea,
perfetti conoscitori di tutti i “segreti” del vino.
Penso che tutti noi ne conosciamo qualcuno eh eh
Ma leggiamolo.

.
.
.
GLI ESPERTI DEL… VINO
by Luciana Littizzetto…
.
.
.

.
.
Io un saltino lì l’avrei fatto.
Giusto così.
Per bermi un bicchiere di vino e godermi lo spettacolo.
Pieno di pubblico e intenditori così.
Tutti a Verona Vinitaly, tutti a dire la loro.
Già, perché i veri intenditori sono pochi.
La maggior parte son gadani che si credono esperti e poi non sanno distinguere una coca da un chinotto.
Però fanno i fighi.
Stan lì a sventolare i polsi, a girare il bicchiere come se dovessero far sciogliere l’aspirina.
Gente che fino ad un giorno prima non distingueva il grignolino dal cherosene, di colpo parla di annate:
«Eh ma quella del 2002 non ha niente a che fare con quella del 1998…»

Ma taci…
Ma che ne sai… io non mi ricordo neanche se nel ‘98 ero già fidanzata!
Ma non hai una mazza, da ricordarti di più sensato?
Sono quelli che per bere un goccio di vino ti fan due sfere dei ching così…
Mettono il canapione dentro e tiran su di narice.
Cosa vuoi che ci sia lì dentro? Pipì?
Son quelli che se ti sbagli a chiedergli: Com’è sto vino?
Loro cominciano: «Dunque… questo Brachetto ha buona personalità e voglia di dimostrare le proprie qualità».
Un bicchiere di Brachetto? Ma si dice una roba così di un vino?
Ma al limite del produttore! E quando il vino non è granché allora cosa devi dire?
’Sto Barbera non si applica, ’sto Grignolino non si impegna, ’sto Zibibbo è distratto e macchia le tovaglie?
«Naso complesso con bouquet di frutti neri e fiori appassiti».
E che gusto sanno i fiori appassiti? Scusa tesoro amore.
Ma secondo te io nella vita passo il tempo ad assaggiare le rose spuflite e poi a chiedermi che gusto sanno?
«Un vino sapido con un finale lunghissimo».
Che finale può esserci dopo un bicchiere di vino?
Un rutto? Stiamo parlando di un vino…
Semplifica ciciu…

Dì che se lo bevi è buono…
Dì che non ti fa venire il mal di testa, che ti resta un buon sapore in bocca e che però devi stare attento al fondo perché viene giù quella segaturina schifida che te lo rovina.
Con quelle manine bianche e curatine che si vede che non fai una mazza dalla mattina alla sera…
Sempre lì tirarti il vino sulla medaglia… a tirar giù golate e a fare sciac sciac sciac con la bocca come paperino…
Sai cosa mi fai venire voglia di fare, tu? Te lo dico. Di bere.
Ma sai cosa? Un bicchiere di coca.
Una media di coca fredda. Con delle bolle grosse come palloni.
E quando annusano il tappo? Io divento matta. T
e lo dico io che odore ha il tappo, amore. Odore di vino.
Pensa un po’. Il tappo sa di vino. Credimi.

Son sicura. Son poche cose sicure al mondo.
Che la macchina di uno che ha il cane sa di selvatico, che i calzini puliti dopo una giornata di Clark san di gorgonzola, e che il tappo di una bottiglia di vino sa di vino, credimi sulla parola..
E poi io mi dico: coi vini non sarà come coi profumi?
Che magari io sento un gusto e tu ne senti un altro?
Come con le ascelle. Ognuno ha le sue. E una diversa dell’altra.
Se su di te il Pico Srabam sta da dio, su di me magari sa odore di margarina rancida.
Se su di me il Fanfaluc sa di bouquet, su di te prende il retrogusto di sgombro sott’olio.

Da La Stampa del 6/4/2007 – Impaginazione t.k.
Ciao da Tony Kospan
Mi piace:
Mi piace Caricamento...

Un altro simpatico articolo della nostra Luciana che stavolta
se la prende con quello che è la croce e delizia delle donne
il mondo dei parrucchieri.

SU LA TESTA…
di Luciana Littizzetto…
C’è un segnale inequivocabile. Un’azione apparentemente innocua.
Un piccolo gesto che annuncia che… ok, hai cominciato finalmente a prendere la tua vita tra le mani.
è quando riesci a dire al tuo parrucchiere che il taglio che ti ha fatto fa schifo.
Che persino la cavia peruviana di tua cugina è pettinata meglio.
Che la frangia non te l’ha scalata, te l’ha mozzata come la coda di un mulo e che, per non dare nell’occhio, non ti rimane che ragliare.

Che se quella che ti ha fatto è una tinta, che vada pure a graffitare le metropolitane di Milano.
Che persino le siepi di agrifoglio tremerebbero all’idea di farsi potare da lui.
Prima o poi ci farò un libro: Lo Zen e l’arte di mandare a stendere il tuo parrucchiere.
Devo spiegarlo io?
I capelli di una donna sono il termometro della sua anima.
Quando una purilla sta male, cosa fa?

Va dal parrucchiere.
Prima ancora che dall’analista.
Mette quel che ha di più vuoto tra le mani del coiffeur e si abbandona fiduciosa.
E magari, all’improvviso l’incoscienza, gli dice la fatidica frase: «Fai tu».
Dire a un parrucchiere «fai tu» è un pò come decidere di fare boungee jumping senza elastico.
Armato solo del suo ego colossale, come un boia al patibolo, lui darà mano alle forbici e taglierà.
Tanto.

Quei bei tagli asimmetrici, sfilacciati, impettinabili, portabili al massimo in sfilata a Milano Collezioni.
E mentre mieterà e falcerà, ti dirà:
«Tesoro, sei bellissima.., ti mancano solo le ali per essere un angelo…»,
e tu penserai:
“Ho le scapole alate, andrà bene lo stesso???
E soprattutto:
“Quanto ci metterà mai un capello a ricrescere? Un mese? Un anno? Un decennio???
Meglio così, comunque, che scegliere l’acconciatura sfogliando quei tremendi giornali che trovi solo dai parrucchieri, stampati in una specie di segreta tipografia di categoria.
Un misto di teste a pera e tagli da Basil l’investigatopo.
E poi c’è il tocco finale.
Una volta bastava la lacca a inchiodarti le chiome come Marion Cunningham di Happy Days.

Adesso si va di gel, olio, schiuma, silicone…
E così esci dal negozio che ci hai i capelli unti come dopo una settimana di influenza.

CIAO DA TONY KOSPAN
testo dal web – impagnazione dell’Orso
Mi piace:
Mi piace Caricamento...
Potevano mancare le mamme nell’antologia
dissacratrice e controcorrente
della Luciana nazionale?
No!?!?
Ed allora eccole servite!
(Povere mamme)
T.K.
Viva le mamme
(son doni del cielo)
Luciana Littizzetto
Pur essendo una donna tanto approssimativa, una cosa l’ho imparata: che le madri sono come i senatori a vita.
Una volta elette, che tu lo voglia o no, continuano a governarti per sempre.
Dal seggiolone fino alle soglie della demenza.
Tua, naturalmente.
Con una tenacia invidiabile. -E stai dritta con la schiena, e mettiti la canottiera, e tagliati la frangia che se no ti rovini la vista, e te l’avevo detto, e assaggia prima di dire che non ti piace, e mastica bene, e bevi piano che è fredda, e non sporgerti dal balcone che la testa è più pesante e cadi giù.
– Questi i capisaldi della loro politica sociale.
Per le madri delle femmine si aggiunge: -Ma quand’è che ti compri un bel tailleur?-.
Mia madre, nonostante io abbia diciannove anni per gamba, quando incontriamo qualcuno per strada riesce ancora a dirmi: -Saluta!-.
Resta inteso che sia la donna moderna, sia il maschio del 2002 alla madre vogliono comunque un sacco di bene.
Le madri son doni del cielo, come i fulmini, i tomadi e la grandine.
Ci sono madri poi che, quando esauriscono le raccomandazioni classiche, si cimentano con avvertimenti che sfiorano la supplica, pericolosamente vicini a patologie della sfera maniacale.
Tipo: «Non scendere dall’aereo prima che sia veramente fermo».
Oppure: «Vai pure a giocare a calcio, ma mi raccomando: non correre e non sudare».
O ancora: «Non aprire il frigo senza il golf addosso che ti prende la polmonite e non stare vicino al camino dalla parte della schiena che ti cuoce il midollo».
Il mio amico Marcello, che tutti i giorni per lavoro è costretto a farsi Milano-Bologna in auto, si deve sorbire quotidianamente la preghiera disperata della madre che gli raccomanda: «Attento nelle gallerie!».
Peccato che quel tratto di autostrada ne sia sprovvista.
E poi aggiunge: «E non posteggiare la macchina dove te la rubano».
Che pazienza…
La madre di Elvira e Rosella, ossessionata dalla verginità delle fìglie, quando sa che escono col fidanzato le minaccia così: «Mi raccomando: aprite gli occhi e stringete il culo».
Che classe.
E quando c’è una mamma, c’è sempre nei paraggi una figlia migliore di tè con la quale fare laceranti paragoni.
Il mio confronto costante era una certa Giosetta, antipatica come la merda. «Guarda Giosetta che s’è fatta i codini!» «Guarda Giosetta che ha già finito i compiti delle vacanze!» «Guarda Giosetta che balla sulle punte!»
Poi verso i sedici anni Giosetta ha cominciato a farsi le pere e mia madre miracolosamente ha smesso di fare paragoni.
Anzi no.
Quando cambio fidanzato mi dice: continua così che fai la fine di Bruc (quella di Beautifui, per capirci).

Poi le madri sono tutte un po’ stregone.
Fanno diagnosi e prescrivono cure con la sicurezza e la professionalità di un primario delle Molinette non indagato.
Mia madre riusciva a sentire se avevo l’alito di acetone a distanza di otto metri e ancora adesso mi dice che quando prude guarisce e mi urla che il naso si soffia prima un buco e poi l’altro.
La madre di Bea, quando lei le disse che non rimaneva incinta per via di una tuba otturata, le rispose: «E sturatela!». Formidabile.
Poi c’è la mamma dei miei amici Linuccia e Saverio che è un monumento all’ironia involontaria. Un donnone pugliese vecchio stampo che cucina tutto il giorno. Ventiquattr’ore su ventiquattro. E la sua unica soddisfazione è che i figli mangino. Basta. Linuccia fa la dieta ormai dal giorno della sua prima comunione, ma la madre pur avendo sotto gli occhi il fisico della figlia, che è sinuoso come un pezzo di torrone Sebaste, non può fare a meno di raccomandarle sempre e quasi in lacrime: «Linu’ non dimagrire troppo che poi ti scende il rene».
Saverio invece ha gettato la spugna. A oggi pesa centodieci chili. Metà muscoli e metà dolci al cucchiaio.
Ma la mamma Zita comunque davanti alle sue betoniere tanto amate, che sono ciccia della sua ciccia, continua con le sue folli raccomandazioni: «E mangia l’insalata che tanto è solo acqua».
Che fin lì può anche essere. «E mangia la verdura che tanto è solo acqua.» Come faccia la caponata a essere solo acqua, è veramente un mistero. «E mangia il pesce che tanto è solo acqua.» Ora, a rigor di logica, una volta che il pesce è pescato, l’acqua non c’è più. E poi lei cucina fritto di mare, mica sogliola al vapore.
Quando invece ti serve la carne e si rende conto che dire «è solo acqua» è un po’ un azzardo, allora temeraria ripete: «E mangia la carne che tanto è solo carne».
Un genio. E quando il figlio la fa arrabbiare? Gli grida così: «Io ti ho dato la vita e io tè la tolgo! Era meglio che mi compravo un maiale invece di comprare a tè. Almeno a Natale l’ammazzavo e ci facevo i salami». Insomma. Qualcosa di culinario c’è sempre.

CIAO DA TONY KOSPAN

PER LE NOVITA’ DEL BLOG


SE TI PIACE… ISCRIVITI

Mi piace:
Mi piace Caricamento...

NEL GIORNO DEL SUO COMPLEANNO…
COME FAR GLI AUGURI ALLA COMICA..
CABARETTISTA.. ATTRICE E CONDUTTRICE TELEVISIVA
LUCIANA “NAZIONALE”?

PENSO CHE UNO DEI MODI MIGLIORI
SIA FARLO LEGGENDO UNO DEI SUOI TANTI ARTICOLI…
GRAFFIANTI ED ESILARANTI
I SAPIENTONI
Una categoria umana da evitare accuratamente?
Più delle spine nel branzino?

Quella dei Dotti… Medici e Sapienti
Quelli cioè che la sanno
e te la spiegano… sempre.
By Luciana Littizzetto…

Tu comunichi una notizia che può variare dall’appuntamento col gommista all’arrivo della sonda Cassini.
E loro? La sanno già.
Anzi. Te la spiegano meglio e nel dettaglio.
Tu prepari il sugo e loro intervengono con pareri e consigli.
Tu racconti agli amici una barzelletta e ti interrompono continuamente per puntualizzare.
Tu chiedi l’ora e questi partono dal funzionamento della meccanica interna dell’orologio.
Tu domandi che tempo fa e loro te lo dicono partendo dal… Big Ben.
I Sapientini sono quelli che se devono comperare un paio di scarpe mandano alla neuro i commessi.
Io ci ho avuto un fidanzato così. Il castigo del cielo acquistava le scarpe e poi le rodava in casa tutto il giorno successivo per verificare l’effettiva comodità del prodotto.
Ma per non sporcare la suola foderava il pavimento coi fogli di giornale. Io entravo in casa e dicevo: «Dài il bianco?». No. Provava le scarpe.
E poi mi chiamava «Carissima».
Io uno che mi chiama carissima lo prenderei a sprangate.
Carissima dillo alla tua capoufficia, alla tua zia Giunchiglia di Loano, alla tua maestra di cha cha cha, ma non a me che dovrei essere la tua amatissima, semmai…
Ma dove i Dotti Medici e Sapienti danno il meglio?
Al ristorante, ovvio!!!
Prima cosa chiedono con minuzia gli ingredienti delle specialità della casa e poi dibattono del perché e del percome il cuoco cucini il tal piatto in tal modo, mentre loro lo cucinerebbero in un altro.
E poi ordinano sempre i piatti senza qualcosa.
E di solito senza qualcosa di fondamentale.
Il risotto alla milanese senza zafferano, il carpaccio ben cotto senza parmigiano e la pizza marinara senza aglio.
Insomma.., a gavu ‘lfià [levano il fiato].
Che ci facciamo con gente così?
Al massimo una partita a Trivial Pursuit.
Perdendo, naturalmente.

DAL WEB – IMPAGINAZIONE T.K.

Cara Luciana… ancora…

IL TUO GRUPPO DI CULTURA… SOGNO
POESIE… HUMOUR… AFORISMI ETC…
.
.
.
.
.
Mi piace:
Mi piace Caricamento...
Un attacco divertito e divertente, ma deciso,
a quelli che si credono, ostentando una ridicola prosopopea,
perfetti conoscitori di tutti i “segreti” del vino.
Penso che tutti noi ne conosciamo qualcuno eh eh
Ma leggiamolo.

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GLI ESPERTI DEL… VINO
by Luciana Littizzetto…
.
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Io un saltino lì l’avrei fatto.
Giusto così.
Per bermi un bicchiere di vino e godermi lo spettacolo.
Pieno di pubblico e intenditori così.
Tutti a Verona Vinitaly, tutti a dire la loro.
Già, perché i veri intenditori sono pochi.
La maggior parte son gadani che si credono esperti e poi non sanno distinguere una coca da un chinotto.
Però fanno i fighi.
Stan lì a sventolare i polsi, a girare il bicchiere come se dovessero far sciogliere l’aspirina.
Gente che fino ad un giorno prima non distingueva il grignolino dal cherosene, di colpo parla di annate:
«Eh ma quella del 2002 non ha niente a che fare con quella del 1998…»

Ma taci…
Ma che ne sai… io non mi ricordo neanche se nel ‘98 ero già fidanzata!
Ma non hai una mazza, da ricordarti di più sensato?
Sono quelli che per bere un goccio di vino ti fan due sfere dei ching così…
Mettono il canapione dentro e tiran su di narice.
Cosa vuoi che ci sia lì dentro? Pipì?
Son quelli che se ti sbagli a chiedergli: Com’è sto vino?
Loro cominciano: «Dunque… questo Brachetto ha buona personalità e voglia di dimostrare le proprie qualità».
Un bicchiere di Brachetto? Ma si dice una roba così di un vino?
Ma al limite del produttore! E quando il vino non è granché allora cosa devi dire?
’Sto Barbera non si applica, ’sto Grignolino non si impegna, ’sto Zibibbo è distratto e macchia le tovaglie?
«Naso complesso con bouquet di frutti neri e fiori appassiti».
E che gusto sanno i fiori appassiti? Scusa tesoro amore.
Ma secondo te io nella vita passo il tempo ad assaggiare le rose spuflite e poi a chiedermi che gusto sanno?
«Un vino sapido con un finale lunghissimo».
Che finale può esserci dopo un bicchiere di vino?
Un rutto? Stiamo parlando di un vino…
Semplifica ciciu…

Dì che se lo bevi è buono…
Dì che non ti fa venire il mal di testa, che ti resta un buon sapore in bocca e che però devi stare attento al fondo perché viene giù quella segaturina schifida che te lo rovina.
Con quelle manine bianche e curatine che si vede che non fai una mazza dalla mattina alla sera…
Sempre lì tirarti il vino sulla medaglia… a tirar giù golate e a fare sciac sciac sciac con la bocca come paperino…
Sai cosa mi fai venire voglia di fare, tu? Te lo dico. Di bere.
Ma sai cosa? Un bicchiere di coca.
Una media di coca fredda. Con delle bolle grosse come palloni.
E quando annusano il tappo? Io divento matta. T
e lo dico io che odore ha il tappo, amore. Odore di vino.
Pensa un po’. Il tappo sa di vino. Credimi.

Son sicura. Son poche cose sicure al mondo.
Che la macchina di uno che ha il cane sa di selvatico, che i calzini puliti dopo una giornata di Clark san di gorgonzola, e che il tappo di una bottiglia di vino sa di vino, credimi sulla parola..
E poi io mi dico: coi vini non sarà come coi profumi?
Che magari io sento un gusto e tu ne senti un altro?
Come con le ascelle. Ognuno ha le sue. E una diversa dell’altra.
Se su di te il Pico Srabam sta da dio, su di me magari sa odore di margarina rancida.
Se su di me il Fanfaluc sa di bouquet, su di te prende il retrogusto di sgombro sott’olio.

Da La Stampa del 6/4/2007 – Impaginazione t.k.
Ciao da Tony Kospan
Mi piace:
Mi piace Caricamento...

Un altro simpatico articolo della nostra Luciana che stavolta
se la prende con quello che è la croce e delizia delle donne
il mondo dei parrucchieri.

SU LA TESTA…
di Luciana Littizzetto…
C’è un segnale inequivocabile. Un’azione apparentemente innocua.
Un piccolo gesto che annuncia che… ok, hai cominciato finalmente a prendere la tua vita tra le mani.
è quando riesci a dire al tuo parrucchiere che il taglio che ti ha fatto fa schifo.
Che persino la cavia peruviana di tua cugina è pettinata meglio.
Che la frangia non te l’ha scalata, te l’ha mozzata come la coda di un mulo e che, per non dare nell’occhio, non ti rimane che ragliare.

Che se quella che ti ha fatto è una tinta, che vada pure a graffitare le metropolitane di Milano.
Che persino le siepi di agrifoglio tremerebbero all’idea di farsi potare da lui.
Prima o poi ci farò un libro: Lo Zen e l’arte di mandare a stendere il tuo parrucchiere.
Devo spiegarlo io?
I capelli di una donna sono il termometro della sua anima.
Quando una purilla sta male, cosa fa?

Va dal parrucchiere.
Prima ancora che dall’analista.
Mette quel che ha di più vuoto tra le mani del coiffeur e si abbandona fiduciosa.
E magari, all’improvviso l’incoscienza, gli dice la fatidica frase: «Fai tu».
Dire a un parrucchiere «fai tu» è un pò come decidere di fare boungee jumping senza elastico.
Armato solo del suo ego colossale, come un boia al patibolo, lui darà mano alle forbici e taglierà.
Tanto.

Quei bei tagli asimmetrici, sfilacciati, impettinabili, portabili al massimo in sfilata a Milano Collezioni.
E mentre mieterà e falcerà, ti dirà:
«Tesoro, sei bellissima.., ti mancano solo le ali per essere un angelo…»,
e tu penserai:
“Ho le scapole alate, andrà bene lo stesso???
E soprattutto:
“Quanto ci metterà mai un capello a ricrescere? Un mese? Un anno? Un decennio???
Meglio così, comunque, che scegliere l’acconciatura sfogliando quei tremendi giornali che trovi solo dai parrucchieri, stampati in una specie di segreta tipografia di categoria.
Un misto di teste a pera e tagli da Basil l’investigatopo.
E poi c’è il tocco finale.
Una volta bastava la lacca a inchiodarti le chiome come Marion Cunningham di Happy Days.

Adesso si va di gel, olio, schiuma, silicone…
E così esci dal negozio che ci hai i capelli unti come dopo una settimana di influenza.

CIAO DA TONY KOSPAN
testo dal web – impagnazione dell’Orso
Mi piace:
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Potevano mancare le mamme nell’antologia
dissacratrice e controcorrente
della Luciana nazionale?
No!?!?
Ed allora eccole servite!
(Povere mamme)
T.K.
Viva le mamme
(son doni del cielo)
Luciana Littizzetto
Pur essendo una donna tanto approssimativa, una cosa l’ho imparata: che le madri sono come i senatori a vita.
Una volta elette, che tu lo voglia o no, continuano a governarti per sempre.
Dal seggiolone fino alle soglie della demenza.
Tua, naturalmente.
Con una tenacia invidiabile. -E stai dritta con la schiena, e mettiti la canottiera, e tagliati la frangia che se no ti rovini la vista, e te l’avevo detto, e assaggia prima di dire che non ti piace, e mastica bene, e bevi piano che è fredda, e non sporgerti dal balcone che la testa è più pesante e cadi giù.
– Questi i capisaldi della loro politica sociale.
Per le madri delle femmine si aggiunge: -Ma quand’è che ti compri un bel tailleur?-.
Mia madre, nonostante io abbia diciannove anni per gamba, quando incontriamo qualcuno per strada riesce ancora a dirmi: -Saluta!-.
Resta inteso che sia la donna moderna, sia il maschio del 2002 alla madre vogliono comunque un sacco di bene.
Le madri son doni del cielo, come i fulmini, i tomadi e la grandine.
Ci sono madri poi che, quando esauriscono le raccomandazioni classiche, si cimentano con avvertimenti che sfiorano la supplica, pericolosamente vicini a patologie della sfera maniacale.
Tipo: «Non scendere dall’aereo prima che sia veramente fermo».
Oppure: «Vai pure a giocare a calcio, ma mi raccomando: non correre e non sudare».
O ancora: «Non aprire il frigo senza il golf addosso che ti prende la polmonite e non stare vicino al camino dalla parte della schiena che ti cuoce il midollo».
Il mio amico Marcello, che tutti i giorni per lavoro è costretto a farsi Milano-Bologna in auto, si deve sorbire quotidianamente la preghiera disperata della madre che gli raccomanda: «Attento nelle gallerie!».
Peccato che quel tratto di autostrada ne sia sprovvista.
E poi aggiunge: «E non posteggiare la macchina dove te la rubano».
Che pazienza…
La madre di Elvira e Rosella, ossessionata dalla verginità delle fìglie, quando sa che escono col fidanzato le minaccia così: «Mi raccomando: aprite gli occhi e stringete il culo».
Che classe.
E quando c’è una mamma, c’è sempre nei paraggi una figlia migliore di tè con la quale fare laceranti paragoni.
Il mio confronto costante era una certa Giosetta, antipatica come la merda. «Guarda Giosetta che s’è fatta i codini!» «Guarda Giosetta che ha già finito i compiti delle vacanze!» «Guarda Giosetta che balla sulle punte!»
Poi verso i sedici anni Giosetta ha cominciato a farsi le pere e mia madre miracolosamente ha smesso di fare paragoni.
Anzi no.
Quando cambio fidanzato mi dice: continua così che fai la fine di Bruc (quella di Beautifui, per capirci).

Poi le madri sono tutte un po’ stregone.
Fanno diagnosi e prescrivono cure con la sicurezza e la professionalità di un primario delle Molinette non indagato.
Mia madre riusciva a sentire se avevo l’alito di acetone a distanza di otto metri e ancora adesso mi dice che quando prude guarisce e mi urla che il naso si soffia prima un buco e poi l’altro.
La madre di Bea, quando lei le disse che non rimaneva incinta per via di una tuba otturata, le rispose: «E sturatela!». Formidabile.
Poi c’è la mamma dei miei amici Linuccia e Saverio che è un monumento all’ironia involontaria. Un donnone pugliese vecchio stampo che cucina tutto il giorno. Ventiquattr’ore su ventiquattro. E la sua unica soddisfazione è che i figli mangino. Basta. Linuccia fa la dieta ormai dal giorno della sua prima comunione, ma la madre pur avendo sotto gli occhi il fisico della figlia, che è sinuoso come un pezzo di torrone Sebaste, non può fare a meno di raccomandarle sempre e quasi in lacrime: «Linu’ non dimagrire troppo che poi ti scende il rene».
Saverio invece ha gettato la spugna. A oggi pesa centodieci chili. Metà muscoli e metà dolci al cucchiaio.
Ma la mamma Zita comunque davanti alle sue betoniere tanto amate, che sono ciccia della sua ciccia, continua con le sue folli raccomandazioni: «E mangia l’insalata che tanto è solo acqua».
Che fin lì può anche essere. «E mangia la verdura che tanto è solo acqua.» Come faccia la caponata a essere solo acqua, è veramente un mistero. «E mangia il pesce che tanto è solo acqua.» Ora, a rigor di logica, una volta che il pesce è pescato, l’acqua non c’è più. E poi lei cucina fritto di mare, mica sogliola al vapore.
Quando invece ti serve la carne e si rende conto che dire «è solo acqua» è un po’ un azzardo, allora temeraria ripete: «E mangia la carne che tanto è solo carne».
Un genio. E quando il figlio la fa arrabbiare? Gli grida così: «Io ti ho dato la vita e io tè la tolgo! Era meglio che mi compravo un maiale invece di comprare a tè. Almeno a Natale l’ammazzavo e ci facevo i salami». Insomma. Qualcosa di culinario c’è sempre.

CIAO DA TONY KOSPAN

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NEL GIORNO DEL SUO COMPLEANNO…
COME FAR GLI AUGURI ALLA COMICA..
CABARETTISTA.. ATTRICE E CONDUTTRICE TELEVISIVA
LUCIANA “NAZIONALE”?

PENSO CHE UNO DEI MODI MIGLIORI
SIA FARLO LEGGENDO UNO DEI SUOI TANTI ARTICOLI…
GRAFFIANTI ED ESILARANTI
I SAPIENTONI
Una categoria umana da evitare accuratamente?
Più delle spine nel branzino?

Quella dei Dotti… Medici e Sapienti
Quelli cioè che la sanno
e te la spiegano… sempre.
By Luciana Littizzetto…

Tu comunichi una notizia che può variare dall’appuntamento col gommista all’arrivo della sonda Cassini.
E loro? La sanno già.
Anzi. Te la spiegano meglio e nel dettaglio.
Tu prepari il sugo e loro intervengono con pareri e consigli.
Tu racconti agli amici una barzelletta e ti interrompono continuamente per puntualizzare.
Tu chiedi l’ora e questi partono dal funzionamento della meccanica interna dell’orologio.
Tu domandi che tempo fa e loro te lo dicono partendo dal… Big Ben.
I Sapientini sono quelli che se devono comperare un paio di scarpe mandano alla neuro i commessi.
Io ci ho avuto un fidanzato così. Il castigo del cielo acquistava le scarpe e poi le rodava in casa tutto il giorno successivo per verificare l’effettiva comodità del prodotto.
Ma per non sporcare la suola foderava il pavimento coi fogli di giornale. Io entravo in casa e dicevo: «Dài il bianco?». No. Provava le scarpe.
E poi mi chiamava «Carissima».
Io uno che mi chiama carissima lo prenderei a sprangate.
Carissima dillo alla tua capoufficia, alla tua zia Giunchiglia di Loano, alla tua maestra di cha cha cha, ma non a me che dovrei essere la tua amatissima, semmai…
Ma dove i Dotti Medici e Sapienti danno il meglio?
Al ristorante, ovvio!!!
Prima cosa chiedono con minuzia gli ingredienti delle specialità della casa e poi dibattono del perché e del percome il cuoco cucini il tal piatto in tal modo, mentre loro lo cucinerebbero in un altro.
E poi ordinano sempre i piatti senza qualcosa.
E di solito senza qualcosa di fondamentale.
Il risotto alla milanese senza zafferano, il carpaccio ben cotto senza parmigiano e la pizza marinara senza aglio.
Insomma.., a gavu ‘lfià [levano il fiato].
Che ci facciamo con gente così?
Al massimo una partita a Trivial Pursuit.
Perdendo, naturalmente.

DAL WEB – IMPAGINAZIONE T.K.

Cara Luciana… ancora…

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POESIE… HUMOUR… AFORISMI ETC…
.
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se la prende con quello che è la croce e delizia delle donne…
il mondo dei parrucchieri.

SU LA TESTA…
di Luciana Littizzetto…
C’è un segnale inequivocabile. Un’azione apparentemente innocua.
Un piccolo gesto che annuncia che… ok, hai cominciato finalmente a prendere la tua vita tra le mani.
è quando riesci a dire al tuo parrucchiere che il taglio che ti ha fatto fa schifo.
Che persino la cavia peruviana di tua cugina è pettinata meglio.
Che la frangia non te l’ha scalata, te l’ha mozzata come la coda di un mulo e che, per non dare nell’occhio, non ti rimane che ragliare.

Che se quella che ti ha fatto è una tinta, che vada pure a graffitare le metropolitane di Milano.
Che persino le siepi di agrifoglio tremerebbero all’idea di farsi potare da lui.
Prima o poi ci farò un libro: Lo Zen e l’arte di mandare a stendere il tuo parrucchiere.
Devo spiegarlo io?
I capelli di una donna sono il termometro della sua anima.
Quando una purilla sta male, cosa fa?

Va dal parrucchiere.
Prima ancora che dall’analista.
Mette quel che ha di più vuoto tra le mani del coiffeur e si abbandona fiduciosa.
E magari, all’improvviso l’incoscienza, gli dice la fatidica frase: «Fai tu».
Dire a un parrucchiere «fai tu» è un pò come decidere di fare boungee jumping senza elastico.
Armato solo del suo ego colossale, come un boia al patibolo, lui darà mano alle forbici e taglierà.
Tanto.

Quei bei tagli asimmetrici, sfilacciati, impettinabili, portabili al massimo in sfilata a Milano Collezioni.
E mentre mieterà e falcerà, ti dirà:
«Tesoro, sei bellissima.., ti mancano solo le ali per essere un angelo…»,
e tu penserai:
“Ho le scapole alate, andrà bene lo stesso???
E soprattutto:
“Quanto ci metterà mai un capello a ricrescere? Un mese? Un anno? Un decennio???
Meglio così, comunque, che scegliere l’acconciatura sfogliando quei tremendi giornali che trovi solo dai parrucchieri, stampati in una specie di segreta tipografia di categoria.
Un misto di teste a pera e tagli da Basil l’investigatopo.
E poi c’è il tocco finale.
Una volta bastava la lacca a inchiodarti le chiome come Marion Cunningham di Happy Days.

Adesso si va di gel, olio, schiuma, silicone…
E così esci dal negozio che ci hai i capelli unti come dopo una settimana di influenza.

CIAO DA TONY KOSPAN
testo dal web – impagnazione dell’Orso
litt
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Potevano mancare le mamme nell’antologia
dissacratrice e controcorrente
della Luciana nazionale?
No!?!?
Ed allora eccole servite!
(Povere mamme)
T.K.
Viva le mamme
(son doni del cielo)
Luciana Littizzetto
Pur essendo una donna tanto approssimativa, una cosa l’ho imparata: che le madri sono come i senatori a vita.
Una volta elette, che tu lo voglia o no, continuano a governarti per sempre.
Dal seggiolone fino alle soglie della demenza.
Tua, naturalmente.
Con una tenacia invidiabile. -E stai dritta con la schiena, e mettiti la canottiera, e tagliati la frangia che se no ti rovini la vista, e te l’avevo detto, e assaggia prima di dire che non ti piace, e mastica bene, e bevi piano che è fredda, e non sporgerti dal balcone che la testa è più pesante e cadi giù.
– Questi i capisaldi della loro politica sociale.
Per le madri delle femmine si aggiunge: -Ma quand’è che ti compri un bel tailleur?-.
Mia madre, nonostante io abbia diciannove anni per gamba, quando incontriamo qualcuno per strada riesce ancora a dirmi: -Saluta!-.
Resta inteso che sia la donna moderna, sia il maschio del 2002 alla madre vogliono comunque un sacco di bene.
Le madri son doni del cielo, come i fulmini, i tomadi e la grandine.
Ci sono madri poi che, quando esauriscono le raccomandazioni classiche, si cimentano con avvertimenti che sfiorano la supplica, pericolosamente vicini a patologie della sfera maniacale.
Tipo: «Non scendere dall’aereo prima che sia veramente fermo».
Oppure: «Vai pure a giocare a calcio, ma mi raccomando: non correre e non sudare».
O ancora: «Non aprire il frigo senza il golf addosso che ti prende la polmonite e non stare vicino al camino dalla parte della schiena che ti cuoce il midollo».
Il mio amico Marcello, che tutti i giorni per lavoro è costretto a farsi Milano-Bologna in auto, si deve sorbire quotidianamente la preghiera disperata della madre che gli raccomanda: «Attento nelle gallerie!».
Peccato che quel tratto di autostrada ne sia sprovvista.
E poi aggiunge: «E non posteggiare la macchina dove te la rubano».
Che pazienza…
La madre di Elvira e Rosella, ossessionata dalla verginità delle fìglie, quando sa che escono col fidanzato le minaccia così: «Mi raccomando: aprite gli occhi e stringete il culo».
Che classe.
E quando c’è una mamma, c’è sempre nei paraggi una figlia migliore di tè con la quale fare laceranti paragoni.
Il mio confronto costante era una certa Giosetta, antipatica come la merda. «Guarda Giosetta che s’è fatta i codini!» «Guarda Giosetta che ha già finito i compiti delle vacanze!» «Guarda Giosetta che balla sulle punte!»
Poi verso i sedici anni Giosetta ha cominciato a farsi le pere e mia madre miracolosamente ha smesso di fare paragoni.
Anzi no.
Quando cambio fidanzato mi dice: continua così che fai la fine di Bruc (quella di Beautifui, per capirci).

Poi le madri sono tutte un po’ stregone.
Fanno diagnosi e prescrivono cure con la sicurezza e la professionalità di un primario delle Molinette non indagato.
Mia madre riusciva a sentire se avevo l’alito di acetone a distanza di otto metri e ancora adesso mi dice che quando prude guarisce e mi urla che il naso si soffia prima un buco e poi l’altro.
La madre di Bea, quando lei le disse che non rimaneva incinta per via di una tuba otturata, le rispose: «E sturatela!». Formidabile.
Poi c’è la mamma dei miei amici Linuccia e Saverio che è un monumento all’ironia involontaria. Un donnone pugliese vecchio stampo che cucina tutto il giorno. Ventiquattr’ore su ventiquattro. E la sua unica soddisfazione è che i figli mangino. Basta. Linuccia fa la dieta ormai dal giorno della sua prima comunione, ma la madre pur avendo sotto gli occhi il fisico della figlia, che è sinuoso come un pezzo di torrone Sebaste, non può fare a meno di raccomandarle sempre e quasi in lacrime: «Linu’ non dimagrire troppo che poi ti scende il rene».
Saverio invece ha gettato la spugna. A oggi pesa centodieci chili. Metà muscoli e metà dolci al cucchiaio.
Ma la mamma Zita comunque davanti alle sue betoniere tanto amate, che sono ciccia della sua ciccia, continua con le sue folli raccomandazioni: «E mangia l’insalata che tanto è solo acqua».
Che fin lì può anche essere. «E mangia la verdura che tanto è solo acqua.» Come faccia la caponata a essere solo acqua, è veramente un mistero. «E mangia il pesce che tanto è solo acqua.» Ora, a rigor di logica, una volta che il pesce è pescato, l’acqua non c’è più. E poi lei cucina fritto di mare, mica sogliola al vapore.
Quando invece ti serve la carne e si rende conto che dire «è solo acqua» è un po’ un azzardo, allora temeraria ripete: «E mangia la carne che tanto è solo carne».
Un genio. E quando il figlio la fa arrabbiare? Gli grida così: «Io ti ho dato la vita e io tè la tolgo! Era meglio che mi compravo un maiale invece di comprare a tè. Almeno a Natale l’ammazzavo e ci facevo i salami». Insomma. Qualcosa di culinario c’è sempre.

CIAO DA TONY KOSPAN

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