Archivio per l'etichetta ‘il 5 maggio’
Breve ricordo di Alessandro Manzoni,
il più grande scrittore italiano dell'800,
autore dei mitici “Promessi sposi”, ma non solo.

.
.
Lo ricorderò brevemente anche con alcuni suoi aforismi
e con un suo mitico e poetico brano… dalla sua opera più famosa
.
.
A F O R I S M I
.
.

Immagine giovanile
Il vero male non è quello che si soffre, ma quello che si fa.
…
La vita non deve essere una festa per alcuni e un peso per altri,
ma dev'essere un impegno per tutti.
…
Non sempre quello che viene dopo è progresso.
…
La ragione e il torto non si dividono mai con un taglio così netto
che ogni parte abbia soltanto dell'uno e dell'altra.
…
É men male l'agitarsi nel dubbio, che il riposar nell'errore.
…
Bisogna sempre dire francamente e chiaramente le cose al proprio avvocato:
sarà lui ad imbrogliarle.
…
Uno dei benefici dell'amicizia è di sapere a chi confidare un segreto.

Altra mmagine giovanile
ADDIO AI MONTI

Il brano, posto alla fine dell'ottavo capitolo dei Promessi Sposi,
è la descrizione del paesaggio del lago di Como e dei pensieri di Lucia
mentre abbandona in barca, con Renzo, il paese natio
per sfuggire alle losche manovre di Don Rodrigo.
Il passo è il momento letterariamente più alto di tutto il romanzo.
Viene infatti da moltissimi critici ritenuto vera poesia in prosa.
Il tema centrale è quello del difficile e doloroso abbandono
della terra natìa verso un futuro incerto
e dei pensieri di una giovane, dall'animo dolce e delicato, come Lucia
sulla quale aleggia, nera, la figura di Don Rodrigo.

L'ambientazione, il lago di notte ed il paesaggio in cui è immerso,
fa da sublime contorno ai sofferenti pensieri di Lucia…
Ma ora leggiamolo… o rileggiamolo…
IL TESTO
Addio, monti sorgenti dall’acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l’aspetto de’ suoi più familiari; torrenti, de’ quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore pascenti; addio! Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana! Alla fantasia di quello stesso che se ne parte volontariamente, tratto dalla speranza di fare altrove fortuna, si disabbelliscono, in quel momento, i sogni della ricchezza; egli si maraviglia d’essersi potuto risolvere, e tornerebbe allora indietro, se non pensasse che, un giorno, tornerà dovizioso. Quanto più si avanza nel piano, il suo occhio si ritira, disgustato e stanco, da quell’ampiezza uniforme; l’aria gli par gravosa e morta; s’inoltra mesto e disattento nelle città tumultuose; le case aggiunte a case, le strade che sboccano nelle strade, pare che gli levino il respiro; e davanti agli edifizi ammirati dallo straniero, pensa, con desiderio inquieto, al campicello del suo paese, alla casuccia a cui ha già messo gli occhi addosso, da gran tempo, e che comprerà, tornando ricco a’ suoi monti.

Ma chi non aveva mai spinto al di là di quelli neppure un desiderio fuggitivo, chi aveva composti in essi tutti i disegni dell’avvenire, e n’è sbalzato lontano, da una forza perversa! Chi, staccato a un tempo dalle più care abitudini, e disturbato nelle più care speranze, lascia que’ monti, per avviarsi in traccia di sconosciuti che non ha mai desiderato di conoscere, e non può con l’immaginazione arrivare a un momento stabilito per il ritorno! Addio, casa natìa, dove, sedendo, con un pensiero occulto, s’imparò a distinguere dal rumore de’ passi comuni il rumore d’un passo aspettato con un misterioso timore. Addio, casa ancora straniera, casa sogguardata tante volte alla sfuggita, passando, e non senza rossore; nella quale la mente si figurava un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa. Addio, chiesa, dove l’animo tornò tante volte sereno, cantando le lodi del Signore; dov’era promesso, preparato un rito; dove il sospiro segreto del cuore doveva essere solennemente benedetto, e l’amore venir comandato, e chiamarsi santo; addio! Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto; e non turba mai la gioia de’ suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande.

Alessandro Manzoni
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Breve ricordo di Alessandro Manzoni,
il più grande scrittore italiano dell’800,
autore dei mitici “Promessi sposi”, ma non solo.

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Lo ricorderò brevemente anche con alcuni suoi aforismi
e con un suo mitico e poetico brano… dalla sua opera più famosa
.
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A F O R I S M I
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Immagine giovanile
Il vero male non è quello che si soffre, ma quello che si fa.
…
La vita non deve essere una festa per alcuni e un peso per altri,
ma dev’essere un impegno per tutti.
…
Non sempre quello che viene dopo è progresso.
…
La ragione e il torto non si dividono mai con un taglio così netto
che ogni parte abbia soltanto dell’uno e dell’altra.
…
É men male l’agitarsi nel dubbio, che il riposar nell’errore.
…
Bisogna sempre dire francamente e chiaramente le cose al proprio avvocato:
sarà lui ad imbrogliarle.
…
Uno dei benefici dell’amicizia è di sapere a chi confidare un segreto.

Altra mmagine giovanile
ADDIO AI MONTI

Il brano, posto alla fine dell’ottavo capitolo dei Promessi Sposi,
è la descrizione del paesaggio del lago di Como e dei pensieri di Lucia
mentre abbandona in barca, con Renzo, il paese natio
per sfuggire alle losche manovre di Don Rodrigo.
Il passo è il momento letterariamente più alto di tutto il romanzo.
Viene infatti da moltissimi critici ritenuto vera poesia in prosa.
Il tema centrale è quello del difficile e doloroso abbandono
della terra natìa verso un futuro incerto
e dei pensieri di una giovane, dall’animo dolce e delicato, come Lucia
sulla quale aleggia, nera, la figura di Don Rodrigo.

L’ambientazione, il lago di notte ed il paesaggio in cui è immerso,
fa da sublime contorno ai sofferenti pensieri di Lucia…
Ma ora leggiamolo… o rileggiamolo…
IL TESTO
Addio, monti sorgenti dall’acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l’aspetto de’ suoi più familiari; torrenti, de’ quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore pascenti; addio! Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana! Alla fantasia di quello stesso che se ne parte volontariamente, tratto dalla speranza di fare altrove fortuna, si disabbelliscono, in quel momento, i sogni della ricchezza; egli si maraviglia d’essersi potuto risolvere, e tornerebbe allora indietro, se non pensasse che, un giorno, tornerà dovizioso. Quanto più si avanza nel piano, il suo occhio si ritira, disgustato e stanco, da quell’ampiezza uniforme; l’aria gli par gravosa e morta; s’inoltra mesto e disattento nelle città tumultuose; le case aggiunte a case, le strade che sboccano nelle strade, pare che gli levino il respiro; e davanti agli edifizi ammirati dallo straniero, pensa, con desiderio inquieto, al campicello del suo paese, alla casuccia a cui ha già messo gli occhi addosso, da gran tempo, e che comprerà, tornando ricco a’ suoi monti.

Ma chi non aveva mai spinto al di là di quelli neppure un desiderio fuggitivo, chi aveva composti in essi tutti i disegni dell’avvenire, e n’è sbalzato lontano, da una forza perversa! Chi, staccato a un tempo dalle più care abitudini, e disturbato nelle più care speranze, lascia que’ monti, per avviarsi in traccia di sconosciuti che non ha mai desiderato di conoscere, e non può con l’immaginazione arrivare a un momento stabilito per il ritorno! Addio, casa natìa, dove, sedendo, con un pensiero occulto, s’imparò a distinguere dal rumore de’ passi comuni il rumore d’un passo aspettato con un misterioso timore. Addio, casa ancora straniera, casa sogguardata tante volte alla sfuggita, passando, e non senza rossore; nella quale la mente si figurava un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa. Addio, chiesa, dove l’animo tornò tante volte sereno, cantando le lodi del Signore; dov’era promesso, preparato un rito; dove il sospiro segreto del cuore doveva essere solennemente benedetto, e l’amore venir comandato, e chiamarsi santo; addio! Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto; e non turba mai la gioia de’ suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande.

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Breve ricordo di Alessandro Manzoni,
il più grande scrittore italiano dell'800,
autore dei mitici “Promessi sposi”, ma non solo.

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Mi piace però ricordarlo ora con alcune sue citazioni
e con una sua mitica poesia dalle tante valenze…
.
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A F O R I S M I
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Immagine giovanile
Il vero male non è quello che si soffre, ma quello che si fa.
…
La vita non deve essere una festa per alcuni e un peso per altri,
ma dev'essere un impegno per tutti.
…
Non sempre quello che viene dopo è progresso.
…
La ragione e il torto non si dividono mai con un taglio così netto
che ogni parte abbia soltanto dell'uno e dell'altra.
…
É men male l'agitarsi nel dubbio, che il riposar nell'errore.
…
Bisogna sempre dire francamente e chiaramente le cose al proprio avvocato:
sarà lui ad imbrogliarle.
…
Uno dei benefici dell'amicizia è di sapere a chi confidare un segreto.

IL CINQUE MAGGIO
Poesia che oltre ad esser nota a tutti perché ce la fanno studiare a scuola
è certamente storica… e non solo perché ci parla di Napoleone…
ed inoltre è densa di significati spirituali…
Il Manzoni, la scrisse quasi di getto (4 o 5 gg)
dopo aver saputo che Napoleone era morto
ma soprattutto perché commosso dal fatto
che si era convertito poco prima di morire…
Infatti il Manzoni,
quando il Bonaparte dominava l'Europa
non era stato tra i suoi ammiratori…,
per cui appare chiaro che questa poesia
in cui ne riconosce comunque la grandezza
(all'epoca Napoleone era amatissimo o odiatissimo)
ormai non poteva certo portargli vantaggi…

Questo il foglio su cui fu scritta
In realtà egli si astiene
da un preciso formale giudizio storico
limitandosi a dire… con i mitici versi…
“Fu vera Gloria?
Ai posteri l'ardua sentenza” (vv 31-32),
frase poi entrata a far parte del nostro comune dire…
La poesia fu censurata dalle Autorità Austriache
che governavano all'epoca la Lombardia
ma, grazie a Goethe, che la fece pubblicare
su una rivista tedesca,
ebbe un'eco immediata in tutta Europa…
Ma ora leggiamola… rileggiamola…
IL CINQUE MAGGIO
Alessandro Manzoni
Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all'ultima
ora dell'uom fatale;
né sa quando una simile
orma di pie' mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sònito
mista la sua non ha:
vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al sùbito
sparir di tanto raggio;
e scioglie all'urna un cantico
che forse non morrà.
Dall'Alpi alle Piramidi,
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai,
dall'uno all'altro mar.
Fu vera gloria? Ai posteri
l'ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito
più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
gioia d'un gran disegno,
l'ansia d'un cor che indocile
serve, pensando al regno;
e il giunge, e tiene un premio
ch'era follia sperar;
tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il periglio,
la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio;
due volte nella polvere,
due volte sull'altar.
Ei si nomò: due secoli,
l'un contro l'altro armato,
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe' silenzio, ed arbitro
s'assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dì nell'ozio
chiuse in sì breve sponda,
segno d'immensa invidia
e di pietà profonda,
d'inestinguibil odio
e d'indomato amor.
Come sul capo al naufrago
l'onda s'avvolve e pesa,
l'onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere
prode remote invan;
tal su quell'alma il cumulo
delle memorie scese.
Oh quante volte ai posteri
narrar se stesso imprese,
e sull'eterne pagine
cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
morir d'un giorno inerte,
chinati i rai fulminei,
le braccia al sen conserte,
stette, e dei dì che furono
l'assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
tende, e i percossi valli,
e il lampo de' manipoli,
e l'onda dei cavalli,
e il concitato imperio
e il celere ubbidir.
Ahi! forse a tanto strazio
cadde lo spirto anelo,
e disperò; ma valida
venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere
pietosa il trasportò;
e l'avvïò, pei floridi
sentier della speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri avanza,
dov'è silenzio e tenebre
la gloria che passò.
Bella Immortal! benefica
Fede ai trïonfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
ché più superba altezza
al disonor del Gòlgota
giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
sperdi ogni ria parola:
il Dio che atterra e suscita,
che affanna e che consola,
sulla deserta coltrice
accanto a lui posò.

Alessandro Manzoni
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il più grande scrittore italiano dell'800,
autore dei mitici “Promessi sposi”, ma non solo.

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Mi piace però ricordarlo ora con alcune sue citazioni
e con una sua mitica poesia dalle tante valenze…
.
.
A F O R I S M I
.
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Immagine giovanile
Il vero male non è quello che si soffre, ma quello che si fa.
…
La vita non deve essere una festa per alcuni e un peso per altri,
ma dev'essere un impegno per tutti.
…
Non sempre quello che viene dopo è progresso.
…
La ragione e il torto non si dividono mai con un taglio così netto
che ogni parte abbia soltanto dell'uno e dell'altra.
…
É men male l'agitarsi nel dubbio, che il riposar nell'errore.
…
Bisogna sempre dire francamente e chiaramente le cose al proprio avvocato:
sarà lui ad imbrogliarle.
…
Uno dei benefici dell'amicizia è di sapere a chi confidare un segreto.

IL CINQUE MAGGIO
Poesia che oltre ad esser nota a tutti perché ce la fanno studiare a scuola
è certamente storica… e non solo perché ci parla di Napoleone…
ed inoltre è densa di significati spirituali…
Il Manzoni, la scrisse quasi di getto (4 o 5 gg)
dopo aver saputo che Napoleone era morto
ma soprattutto perché commosso dal fatto
che si era convertito poco prima di morire…
Infatti il Manzoni,
quando il Bonaparte dominava l'Europa
non era stato tra i suoi ammiratori…,
per cui appare chiaro che questa poesia
in cui ne riconosce comunque la grandezza
(all'epoca Napoleone era amatissimo o odiatissimo)
ormai non poteva certo portargli vantaggi…

Questo il foglio su cui fu scritta
In realtà egli si astiene
da un preciso formale giudizio storico
limitandosi a dire… con i mitici versi…
“Fu vera Gloria?
Ai posteri l'ardua sentenza” (vv 31-32),
frase poi entrata a far parte del nostro comune dire…
La poesia fu censurata dalle Autorità Austriache
che governavano all'epoca la Lombardia
ma, grazie a Goethe, che la fece pubblicare
su una rivista tedesca,
ebbe un'eco immediata in tutta Europa…
Ma ora leggiamola… rileggiamola…
IL CINQUE MAGGIO
Alessandro Manzoni
Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all'ultima
ora dell'uom fatale;
né sa quando una simile
orma di pie' mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sònito
mista la sua non ha:
vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al sùbito
sparir di tanto raggio;
e scioglie all'urna un cantico
che forse non morrà.
Dall'Alpi alle Piramidi,
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai,
dall'uno all'altro mar.
Fu vera gloria? Ai posteri
l'ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito
più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
gioia d'un gran disegno,
l'ansia d'un cor che indocile
serve, pensando al regno;
e il giunge, e tiene un premio
ch'era follia sperar;
tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il periglio,
la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio;
due volte nella polvere,
due volte sull'altar.
Ei si nomò: due secoli,
l'un contro l'altro armato,
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe' silenzio, ed arbitro
s'assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dì nell'ozio
chiuse in sì breve sponda,
segno d'immensa invidia
e di pietà profonda,
d'inestinguibil odio
e d'indomato amor.
Come sul capo al naufrago
l'onda s'avvolve e pesa,
l'onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere
prode remote invan;
tal su quell'alma il cumulo
delle memorie scese.
Oh quante volte ai posteri
narrar se stesso imprese,
e sull'eterne pagine
cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
morir d'un giorno inerte,
chinati i rai fulminei,
le braccia al sen conserte,
stette, e dei dì che furono
l'assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
tende, e i percossi valli,
e il lampo de' manipoli,
e l'onda dei cavalli,
e il concitato imperio
e il celere ubbidir.
Ahi! forse a tanto strazio
cadde lo spirto anelo,
e disperò; ma valida
venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere
pietosa il trasportò;
e l'avvïò, pei floridi
sentier della speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri avanza,
dov'è silenzio e tenebre
la gloria che passò.
Bella Immortal! benefica
Fede ai trïonfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
ché più superba altezza
al disonor del Gòlgota
giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
sperdi ogni ria parola:
il Dio che atterra e suscita,
che affanna e che consola,
sulla deserta coltrice
accanto a lui posò.

Alessandro Manzoni
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Non possiamo… noi che amiamo la poesia,
nel giorno in cui morì Napoleone,
non ricordare la più grande e la più bella poesia,
benché dubbiosa, scritta dal Manzoni per lui.
(Ajaccio 15.8.1769 – Longwood – Sant'Elena 5.5.1821)
Poesia che oltre ad esser nota a tutti,
perché ce la fanno studiare a scuola,
ha anche una notevole valenza storica…
oltre ad esser densa di significati spirituali.
Alessandro Manzoni (Milano 7.3.1785 – Milano 22.5.1873)
Il Manzoni la scrisse quasi di getto (4 o 5 gg)
dopo aver saputo che Napoleone era morto
ma soprattutto perché commosso dal fatto
che si era convertito poco prima di morire…
Il poeta, quando il Bonaparte dominava l'Europa
non era stato tra i suoi ammiratori…, anzi,
per cui appare chiaro che questa poesia
in cui ne riconosce comunque la grandezza
(all'epoca Napoleone era amatissimo o odiatissimo)
non poteva certo portar vantaggi allo scrittore milanese.
Questo il foglio su cui fu scritta
In realtà egli si astiene da un preciso giudizio storico
limitandosi a dire… con i mitici versi…
“Fu vera Gloria?
Ai posteri l'ardua sentenza” (vv 31-32),
frase poi entrata a far parte anche del nostro comune dire.
La poesia fu censurata dalle Autorità Austriache
che governavano all'epoca la Lombardia ma,
grazie a Goethe, che la fece pubblicare su una rivista tedesca,
ebbe un'eco immediata in tutta Europa.
Ma ora leggiamola… rileggiamola.
IL CINQUE MAGGIO
Alessandro Manzoni
Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all'ultima
ora dell'uom fatale;
né sa quando una simile
orma di pie' mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sònito
mista la sua non ha:
vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al sùbito
sparir di tanto raggio;
e scioglie all'urna un cantico
che forse non morrà.
Dall'Alpi alle Piramidi,
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai,
dall'uno all'altro mar.
Fu vera gloria? Ai posteri
l'ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito
più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
gioia d'un gran disegno,
l'ansia d'un cor che indocile
serve, pensando al regno;
e il giunge, e tiene un premio
ch'era follia sperar;
tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il periglio,
la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio;
due volte nella polvere,
due volte sull'altar.
Ei si nomò: due secoli,
l'un contro l'altro armato,
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe' silenzio, ed arbitro
s'assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dì nell'ozio
chiuse in sì breve sponda,
segno d'immensa invidia
e di pietà profonda,
d'inestinguibil odio
e d'indomato amor.
Come sul capo al naufrago
l'onda s'avvolve e pesa,
l'onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere
prode remote invan;
tal su quell'alma il cumulo
delle memorie scese.
Oh quante volte ai posteri
narrar se stesso imprese,
e sull'eterne pagine
cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
morir d'un giorno inerte,
chinati i rai fulminei,
le braccia al sen conserte,
stette, e dei dì che furono
l'assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
tende, e i percossi valli,
e il lampo de' manipoli,
e l'onda dei cavalli,
e il concitato imperio
e il celere ubbidir.
Ahi! forse a tanto strazio
cadde lo spirto anelo,
e disperò; ma valida
venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere
pietosa il trasportò;
e l'avvïò, pei floridi
sentier della speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri avanza,
dov'è silenzio e tenebre
la gloria che passò.
Bella Immortal! benefica
Fede ai trïonfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
ché più superba altezza
al disonor del Gòlgota
giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
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che affanna e che consola,
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