è stato un punto di riferimento per l’arte fotografica,
sia negli Stati Uniti che nel mondo.
.
.
.
.
.
WALTER ROSENBLUM
ARTE FOTOGRAFICA… E TESTIMONIANZA SOCIALE
Walter Rosenblum (New York, 1 ottobre 1919 – 23 gennaio 2006)
DIAMO PRIMA UN’OCCHIATA AD ALCUNE TRA LE SUE FOTO PIU’ FAMOSE
BREVE BIOGRAFIA
Walter Rosenblum fu testimone attivo di alcuni dei più significativi eventi dell’età moderna e sperimentò personalmente, durante gli anni giovanili, le condizioni degli immigrati in America; visse la grande Depressione, la seconda Guerra Mondiale e la repressione del maccartismo.
In tempi più recenti poté osservare il mutarsi delle condizioni di vita delle minoranze di New York e la crescita di una consapevolezza politica ed estetica nel Terzo Mondo. Rosenblum usò occhi e apparecchio fotografico per cercare di capire il corso delle vicende umane e celebrare i sentimenti egli uomini.
All’età di diciassette anni entrò a far parte della Photo League di New York dove incontrò Lewis Hine e studiò con Paul Strand, che contribuirono in modo fondamentale alla formazione della sua visione sull’arte e sulla vita.
In particolare egli condivise con Hine la convinzione che con la fotografia fosse possibile dimostrare che la dignità è un sentimento universale, che non si possono fare differenze fra gli uomini in base alla razza, alle religioni, alla nazionalità o alle condizioni economiche.
Fotografo dell’esercito nel corso della seconda guerra mondiale, sbarcò il D Day in Normandia, dove, per la morte di un cineoperatore nel corso dello sbarco, ne dovette prendere il posto per tutto il conflitto attraversando così la Francia, la Germania,l’Austria e realizzando il primo film sul campo di concentramento di Dachau appena liberato.
Per le coraggiose azioni svolte durante il combattimento fu anche insignito della “Silver Star”, della “Bronze Star”, del “Purple Heart” e la Unit Citation presidenziale, divenendo uno dei fotografi più decorati della Seconda Guerra Mondiale.
Sbarco in Normandia
Prigionieri tedeschi
Ma Rosenblum nel suo percorso professionale non mancò di fotografare i quartieri dove vivevano gli immigrati di New York e del South Bronx con gli insediamenti della nuova immigrazione, e in seguito spingendosi anche ad Haiti, Francia, Italia, Cuba, Cina, nell’ Unione Sovietica e in Brasile.
Da quest’immensa ricchezza di esperienze e dal prolungato rapporto con le diverse culture la visione fotografica di Rosenblum divenne testimone della condizione umana come di una comunità globale in cui i bisogni fondamentali, i valori e le aspirazioni esistenziali sono universalmente condivisi.
Rosenblum cercò così di sottolineare la dignità dell’essere umano, con i suoi soggetti mai semplici vittime, ma persone integre e complesse, la cui umanità sopravvive intatta malgrado le circostanze avverse.
La sua macchina fotografica fu strumento affinché gli uomini si potessero riconoscere nelle loro azioni e comportamenti, nella speranza che la comprensione delle dinamiche interpersonali, potesse estinguere ignoranza e paura e le principali cause di tante ingiustizie sociali.
Le opere di Walter Rosenblum sono conservate in prestigiose collezioni, quali il J.Paul Getty Museum di Malibù, alla Library of Congress di Washington, al MoMA, al Metropolitan Museum of Art e all’ICP di New York, alla Bibliotheque Nazionale de France di Parigi ed altri ancora.
Ralph Gibson è nato a Los Angeles e si è avvicinato alla fotografia durante i quattro anni di servizio nella marina militare.
In seguito frequenta il San Francisco Art Institute e poi lavora come assistente fotografo per artisti come Dorothea Lange e Robert Frank, per il quale ha anche lavorato come cameraman in un paio di film.
Gibson divenne famoso grazie a una serie di libri fotografici, prodotti dalla casa editrice che lui aprì a questo scopo, la Lustrum Press. La trilogia, The Somnambulist (1970), Déjà Vu (1973) e Days at Sea (1975) si distingue per la sequenza di immagini senza testo né didascalie.
Le fotografie hanno un carattere fortemente surreale e la pura sequenza di immagini è estremamente ‘narrativa’.
Da allora ha vissuto in Francia e a New York, ma gran parte di ciò che ha pubblicato è stato realizzato in Francia, come L’Histoire de France (1991).
.
.
Ogni fotografia di Ralph Gibson somiglia ad un frammento classico, monumentale, come scolpito nel tempo.
Per mezzo del suo “obbiettivo” Gibson, formalista della fotografia, si avvicina a luoghi e persone unendo la sua visione del mondo ad un’attenzione costante per la composizione e per le proporzioni delle immagini.
I soggetti scelti da Ralph Gibson per le sue fotografie sono essenziali, in particolare da quando non si interessa più di catturare i momenti salienti del dramma umano come impone lo stile del reportage.
Per Gibson la percezione del soggetto è più importante della fotografia.
Le sue immagini riflettono la sensazione e lo stato emozionale che produce un certo luogo in un certo tempo.
Ralph Gibson
Ralph Gibson utilizza prevalentemente pellicole in bianco e nero – ma anche il colore – e usa una Leica nel formato 35mm.
L’uso dell’obiettivo grandangolare accentua la dinamica e la tensione dell’immagine nello spazio cosi’ deformato.
La sua ricerca del “luogo ideale” da fotografare, l’ha spinto a Los Angeles, e successivamente a New York, dove vive e lavora.
Il suo interesse per la fotografia si eè così evoluto dal reportage all’espressione introspettiva e personale.
La serie The Somnambulist – prima testimonianza di questa nuova inclinazione – comprende delle immagini quasi sognanti.
L’impiego delle pellicole a grana grossa, donano alle fotografie caratteristiche grafiche, evocando mondi fantastico-surreali.
Così una mano colpita dallo spiraglio di luce bianca che filtra da una porta socchiusa, diventa il “fantasma” dei sogni onirici di Gibson.
Con The Somnambulist, Ralph Gibson abbandona lo stile reportage a favore delle sue visioni personali, espresse con i ritratti, gli still life e i paesaggi.
Il libro del Somnambulist – pubblicato recentemente con grande successo – ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica, spingendo Gibson ad esporre le sue immagini in numerose istituzioni museali degli Stati Uniti e d’Europa.
Le immagini, in bianco e nero e a colori, riflettono la sua visione privata, mantenendo quelle qualità naturali e non-monumentali che lo contraddistinguono.
.
.
Ralph Gibson ha spesso raccolto i suoi lavori in libri fotografici, perché apprezza l’unicità che questo oggetto possiede.
Così se per Gibson i libri sono i mezzi narrativi che esprimono “cosa un fotografo pensa delle sue fotografie “, le fotografie raccontano invece di “cosa il fotografo pensa della realtà”
Le mostre hanno invece un carattere piu’ complesso e sociale, e richiedono una relazione fra il fotografo, la galleria e il pubblico.
E’ considerata una delle più grandi fotografe tedesche
e certo ha un posto importante nella Storia della Fotografia
Una fotografa che in un’epoca in cui non c’erano
gli odierni mezzi tecnologici capaci di creare e modificare immagini di ogni tipo
è riuscita a creare vere e proprie opere d’arte fotografiche.
Elberfeld 9.5.1904 – Buenos Aires 24.12.1999 (Autoritratto 1935)
GRETE STERN
CULTURA E SOGNO IN FOTOGRAFIA
a cura di Tony Kospan
BREVE BIOGRAFIA
Grete Stern nacque nel 1904 a Wppertal, Elberfeld, in Germania.
All’inizio si dedicò allo studio del pianoforte e della chitarra… poi passò alle arti grafiche e fu allieva del fotografo Peterhans Walter.
Nel 1929 con la sua amica Ellen Auerbach aprì uno studio di “graphic design” e fotografia.
Con l’arrivo al potere di Hitler si trasferì prima a Londra e poi in Argentina… dove frequentò con successo gli ambienti artistici d’avanguardia e collaborò con la rivista “Idillio” di Buenos Aires.
Portò al massimo livello la tecnica dei fotomontaggi che chiamava “Suenos” (sogni) anche perché volevano proprio illustrare… evocare…emozioni… intese in tutti i sensi ed in tutti i modi.
Questi “sogni” apparvero subito dei capolavori… in quanto applicavano alla fotografia le concezioni surrealiste e visionarie all’epoca in auge nel mondo nell’arte.
Nel 1936 sposa il fotografo argentino Horacio Coppola e dopo la fine della guerra si dedicò soprattutto alla fotografia d’architettura e di documentazione.
Ricevette pertanto anche importanti incarichi di reportage tra cui la documentazione dal vero di varie popolazioni aborigene e delle loro culture.
Nel 1982 ha ricevuto il premio Konex per l’attività di fotografa.
In verità deve la sua fama soprattutto alle opere dei 2 decenni antecedenti al secondo conflitto mondiale.
Autoritratto
LA TECNICA E L’ARTE
E’ da tener presente che all’epoca il fotomontaggio non era assolutamente semplice per cui i suoi ingrandimenti… o rimpicciolimenti, le sue scomposizioni delle immagini, i suoi effetti ottici ed i suoi “trucchi” fotografici che componevano quelli che possiamo anche definire dei collages dai risultati sognanti e coinvolgenti erano frutto di un segreto lavoro molto… ma molto… impegnativo e necessario di grande precisione.
Oggi è molto facile con i programmi di foto modificare tutto ma allora… non era proprio così…
Inoltre le sue opere… appaiono molto originali… ironiche e talvolta anche (per l’epoca) trasgressive ma sempre comunque dense di cariche emotive.
Tuttavia la rivista Abril che le pubblicava non ne comprese fino in fondo la genialità e per questo se ne sono perse davvero tantissime ma quelle rimaste, per lo più quelle della rivista Idillio, sono comunque in grado di affascinarci e di farci comprendere il suo mondo.
EDWARD SHERIFF CURTIS L’UNICO BIANCO CHE INQUADRO’ DAVVERO GLI INDIANI D’AMERICA a cura di Tony Kospan
I PARTE
Edward Sheriff Curtis – (Whitewater 16.2.1868 – Los Angeles 19.10.1952)
E’ solo grazie a lui che abbiamo una vera e precisa documentazione della reale vita degli Indiani d’America prima che fosse contaminata dagli usi dei bianchi.
Tra la fine dell’ottocento e l’inizio del Novecento ritrasse in mirabili immagini gli appartenenti alle varie tribù degli Indiani d’America ancora nei loro tradizionali costumi, gli oggetti del loro artigianato e i grandi spazi del paesaggio americano dove vivevano.
E’ stato uno dei più grandi fotografi americani, fotografò i suoi soggetti muovendo dai deserti del South West per spingersi sino ai banchi di ghiaccio dell’Artico, registrando così, attraverso le immagini e la parola scritta i costumi e la cultura di oltre ottanta tribù.
Oggi questo ci appare quasi normale… ma se ci caliamo… nel periodo storico in cui Curtis operò… vicinissimo alle guerre tra bianchi e pellerossa… e se pensiamo quale fosse all’epoca (ahimé) la considerazione di cui godevano i Nativi americani… ci possiamo rendere conto della straordinaria importanza della sua opera.
Si tratta per me di immagini davvero molto affascinanti…
che hanno dentro… il senso e l’anima della realtà storica delle cose…
Ma non si tratta solo di documentazione storica per quanto utilissima…
Egli grazie alla grande padronanza tecnica ed alla sua arte fotografica…
riesce a penetrare il cuore degli Indiani d’America ed a donarci anche la vera atmosfera in cui essi vivevano.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
C O N T I N U A
Tony Kospan
IL SALOTTO CULTURALE DI FB?
LA TUA PAGINA D’AMORE PSICHE E SOGNO
.
.
.
Edward Sheriff Curtis – esploratore, etnologo e fotografo
Queste appaiono le spinte interiori verso la sua arte fotografica
che però, ahimè, l’hanno poi portato anche a morire
su di un campo di battaglia a soli 41 anni.
ROBERT CAPA
IL LEGGENDARIO
ARTE FOTOGRAFICA E STORIA DI GUERRA
a cura di Tony Kospan
Robert Capa (Budapest 22.10.1913 – Thai Binh 25.05.1954)
BREVE BIOGRAFIA
Endre Friedman (il vero nome di Robert Capa) nasce a Budapest il 22 ottobre 1913.
Esiliato dall’Ungheria nel 1931 per aver partecipato ad attività studentesche di sinistra, si trasferisce a Berlino dove si iscrive al corso di giornalismo.
Alla fine dell’anno apprende che l’attività della sartoria dei genitori va male ed allora un conoscente ungherese lo aiuta allora a trovare un lavoro di fattorino e aiutante di laboratorio presso Dephot, un’importante agenzia fotografica di Berlino.
Il direttore scopre ben presto il suo talento e comincia ad affidargli dei piccoli servizi fotografici.
Ottiene il primo incarico importante in dicembre, quando Guttam lo manda a Copenaghen per fotografare una lezione di Lev Trotzkij agli studenti danesi.
Nel 1933, al momento dell’ascesa al potere di Hitler, fugge però da Berlino, e precisamente subito dopo il drammatico incendio del Reichstag avvenuto il 27 febbraio.
Si reca dunque a Vienna, dove ottiene il permesso di tornare a Budapest, la città natia. Qui trascorre l’estate ma poi per vivere e per seguire il suo istinto errabondo ed irrequieto parte alla volta di Parigi.
Tumulti a Parigi
Nella città francese incontra Gerda Taro, una profuga tedesca, e se ne innamora. In quel periodo, viene inviato in Spagna per una serie di servizi fotogiornalistici su interessamento di Simon Guttmann.
E’ l’anno 1936 quando, con un colpo di fantasia, si inventa un personaggio di fantasia, spacciando a tutti il suo lavoro come il frutto di un fotografo americano di successo.
Robert Capa e Gerda Taro (Il suo grande amore)
E’ la stessa Gerda, in verità, che vende ai redattori le fotografie di Edward sotto “mentite spoglie”.
Ben presto il trucco viene scoperto, allora cambia il proprio nome con quello di Robert Capa.
Fotografa i tumulti di Parigi, si reca in Spagna con Gerda Taro, per fotografare la guerra civile.
Effettua un secondo viaggio in Spagna in novembre per fotografare la resistenza di Madrid.
E’ presente su vari fronti spagnoli, da solo e con Gerda, diventata nel frattempo una fotogiornalista indipendente.
Sua mitica (e controversa) fotografia
Nel luglio del ’37, Gerda va a fotografare da sola la battaglia di Brunete a ovest di Madrid ma durante una ritirata, nella confusione, muore. Capa, che sperava di sposarla non si risolleverà mai dal dolore.
L’anno dopo trascorre sei mesi in Cina per documentare la resistenza contro l’invasione giapponese ma, tornato in Spagna nel ’39, fa in tempo a fotografare la capitolazione di Barcellona.
Realizza vari servizi in Francia, tra i quali un lungo servizio sul Giro di Francia.
Robert Capa
Dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, in settembre, s’imbarca per New York dove comincia a realizzare vari servizi per conto di ” Life “.
Trascorre allora alcuni mesi in Messico per fotografare la campagna presidenziale e le elezioni.
Non contento, attraversa l’Atlantico con un convoglio di trasporto di aerei americani in Inghilterra, realizzando numerosi servizi sulle attività belliche degli alleati in Gran Bretagna.
Intanto, la guerra mondiale è scoppiata e Capa, da marzo a maggio del ’43, realizza un reportage fotografico sulle vittorie degli alleati in Nord Africa, mentre in Luglio e Agosto, fotografa i successi militari degli alleati in Sicilia.
Bilbao 1937 – Guerra civile spagnola
Durante la parte rimanente dell’anno documenta i combattimenti nell’Italia continentale, compresa la liberazione di Napoli.
Qui è con un Ufficiale americano nei pressi di Napoli
Gli avvenimenti sono convulsi e si succedono senza sosta.
Nel Gennaio del 1944, ad esempio, partecipa allo sbarco alleato ad Anzio, mentre il 6 Giugno sbarca con il primo contingente delle forze americane a Omaha-Beach in Normandia.
La liberazione della Francia – Parigi 26 agosto 1944
E’ al seguito delle truppe americane e francesi durante la campagna che si conclude con la liberazione di Parigi il 25 agosto.
In dicembre, fotografa la battaglia di Bulge.
Prigionieri tedeschi
Paracadutato poi con le truppe americane in Germania, fotografa l’invasione degli alleati a Lipsia, Norimberga e Berlino.
Berlino distrutta
In giugno incontra Ingrid Bergman a Parigi con cui vive una storia d’amore durata 2 anni.
Ingrid Bergman
Terminato il conflitto mondiale, diventa cittadino americano.
Trascorre alcuni mesi a Hollywood, scrivendo le sue memorie di guerra.
Nel 1947, insieme con gli amici Henri Cartier-Bresson, David Seymour (detto “Chim” ), George Rodger e William Vandivert fonda l’agenzia fotografica cooperativa “Magnum”.
Per un mese viaggia in Unione Sovietica in compagnia dell’amico John Steinbeck.
Israele – dichiarazione d’indipendenza
La sua opera di testimone del secolo è instancabile: Nei due anni che vanno dal 1948 al ’50 effettua tre viaggi in Israele.
Durante il primo realizza servizi fotografici sulla dichiarazione d’indipendenza e i combattimenti successivi.
Nel corso degli ultimi due viaggi si concentra invece sul problema dell’arrivo dei primi profughi.
Finito di “fare il suo dovere”, si trasferisce nuovamente a Parigi, dove assume il ruolo di presidente della Magnum, dedicando molto tempo al lavoro dell’agenzia.
Purtroppo, quelli sono anche gli anni del maccartismo, della caccia alle streghe scatenata in america.
A causa di false accuse di comunismo, dunque, il governo degli Stati Uniti gli ritira il passaporto per alcuni mesi impedendogli di viaggiare per lavorare.
Nel 1954 giunge ad Hanoi attorno al 9 Maggio in veste di inviato di ” Life ” per fotografare la guerra dei francesi in Indocina per un mese.
Il 25 Maggio accompagna una missione militare francese da Namdinh al delta del Fiume Rosso.
Durante una sosta del convoglio lungo la strada, Capa si allontana in un campo insieme con un drappello di militari dove calpesta una mina anti-uomo, rimanendo ucciso.
L’anno dopo, ” Life ” e Overseas Press Club istituiscono il Premio annuale Robert Capa “per la fotografia di altissima qualità sostenuta da eccezionale coraggio e spirito d’iniziativa all’estero”.
UN VIDEO CON TANTE ALTRE SUE FOTO
Possiamo ora anche guardare nel video che segue,
ascoltando le note de “LA VIE EN ROSE“,
altre foto della sua vasta ed importantissima produzione.
Produzione importantissima
sia da un punto di vista documentaristico e storico
Negli anni cinquanta la ricostruzione culturale e morale portò l’estetica verso il realismo, un’evoluzione voluta da molti artisti e stimolata dai bisogni materiali di una generazione frustrata da vent’anni di teorie moderniste e chiusure di regime.
Le prime influenze internazionali brandirono così la spada del risveglio e grazie ai rappresentanti d’oltreoceano (e non solo) i fotografi italiani edificarono il Neorealismo.
Scrisse efficacemente Cesare Pavese ne L’influsso degli eventi, in La letteratura americana, 1946:
“Noi scoprimmo l’Italia […] cercando gli uomini e le parole in America, in Russia, in Francia e nella Spagna”.
E’ bene quindi ripensare a quel periodo della cultura fotografica italiana cercando all’interno delle sue principali caratteristiche le evoluzioni della poetica dello stesso Gardin e di tutti coloro che direttamente o indirettamente entrarono i contatto con il Neorealismo.
(Questa di Migliori e le successive testimonianze sono riprese dalle interviste presenti in: AA.VV., Gli anni del Neorealismo. Tendenze della fotografia italiana, Prato, Fiaf, 1998, n.d.r.).
Nel 1963 il grande maestro della fotografia italiana impresse uno scatto – non lontano da Siena – che racchiude l’essenza del mutamento. Una strada bianca s’inerpica nella campagna toscana. Pochi alberi ne seguono il tracciato. Un uomo e una donna camminano verso l’orizzonte.
A riguardarla dopo trentacinque anni, Berengo Gardin riesce ancora a emozionarsi. “E’ come rivedere un figlio”, ammette e racconta di come questo scatto “racchiuda in sé il valore del documento”.
Poi, spiega: “Sono ripassato per questa stessa strada dieci anni dopo e non esisteva praticamente più: per prima cosa è stata asfalta correggendo una delle curve, poi è stato costruito il guard rail.
Infine gli alberi sono morti con la gelata del 1985″.
Intorno proprio alla questione del Neorealismo è interessante leggere proprio la posizione in merito dello stesso Berengo Gardin, sempre ricordando che capire l’opera di un autore richiede un approfondimento, seppur minimo, sul periodo nel quale è vissuto e sulle influenze culturali che quel periodo è stato in grado di imprimere nella poetica e nell’estetica:
“Forse non avevamo la consapevolezza di aderire al Neorealismo fotografico, etichetta che, beninteso, non ci dispiace affatto, si trattava di un esperienza irrinunciabile, di una risposta espressiva ad uno stato d’animo comune a tutti.”
Ritiene poi che le influenze di – Life – e dei fotografi della Farm Security Administration, alla fine degli anni trenta, abbiano cambiato molte cose e impressionato molti animi.
Il manifesto pubblicato proprio su Life nel ’36 esprimeva quei concetti che furono propri del successivo realismo italiano: “Vedere la vita, vedere il mondo, essere testimoni oculari di grandi eventi, osservare i volti dei poveri e i gesti dei superbi. Vedere e gioire nel vedere, vedere ed essere sorpresi, vedere e apprendere”.
Una lezione ancora valida che crea nei discorsi di Berengo Gardin, tuttora, grande suggestione e gli permette di affermare: “Fotografia di reportage – o, se preferite, Neorealismo fotografico – come possibilità di fotografare e interpretare le cose che accadono in modo che esse assumano e poi riescano a comunicare ulteriori significati.”
La fotografia di questo autore è in definitiva una storia di luoghi e di volti, un lavoro costante che ripropone oggi, nella sua varia complessità, avvenimenti e situazioni di un’Italia povera, di un’Italia in continuo movimento ed evoluzione.
Nei volti e nelle situazioni si riscoprono atmosfere lontane, luoghi fermi nel tempo, volti di statuaria memoria.
Le sue fotografie sono state insignite del prestigioso Lucie Awards, la massima onoreficenza per la fotografia che, in precedenza, era stata data a grandi maestri come Henri Cartier-Bresson, Gordon Parks, William Klein e Wily Ronis.
Testo estratto da un articolo di Andrea L. Casiraghi su New Cult Frame
è stato un punto di riferimento per l’arte fotografica,
sia negli Stati Uniti che nel mondo.
.
.
.
.
.
WALTER ROSENBLUM
ARTE FOTOGRAFICA… E TESTIMONIANZA SOCIALE
Walter Rosenblum (New York, 1 ottobre 1919 – 23 gennaio 2006)
DIAMO PRIMA UN’OCCHIATA AD ALCUNE TRA LE SUE FOTO PIU’ FAMOSE
BREVE BIOGRAFIA
Walter Rosenblum fu testimone attivo di alcuni dei più significativi eventi dell’età moderna e sperimentò personalmente, durante gli anni giovanili, le condizioni degli immigrati in America; visse la grande Depressione, la seconda Guerra Mondiale e la repressione del maccartismo.
In tempi più recenti poté osservare il mutarsi delle condizioni di vita delle minoranze di New York e la crescita di una consapevolezza politica ed estetica nel Terzo Mondo. Rosenblum usò occhi e apparecchio fotografico per cercare di capire il corso delle vicende umane e celebrare i sentimenti egli uomini.
All’età di diciassette anni entrò a far parte della Photo League di New York dove incontrò Lewis Hine e studiò con Paul Strand, che contribuirono in modo fondamentale alla formazione della sua visione sull’arte e sulla vita.
In particolare egli condivise con Hine la convinzione che con la fotografia fosse possibile dimostrare che la dignità è un sentimento universale, che non si possono fare differenze fra gli uomini in base alla razza, alle religioni, alla nazionalità o alle condizioni economiche.
Fotografo dell’esercito nel corso della seconda guerra mondiale, sbarcò il D Day in Normandia, dove, per la morte di un cineoperatore nel corso dello sbarco, ne dovette prendere il posto per tutto il conflitto attraversando così la Francia, la Germania,l’Austria e realizzando il primo film sul campo di concentramento di Dachau appena liberato.
Per le coraggiose azioni svolte durante il combattimento fu anche insignito della “Silver Star”, della “Bronze Star”, del “Purple Heart” e la Unit Citation presidenziale, divenendo uno dei fotografi più decorati della Seconda Guerra Mondiale.
Sbarco in Normandia
Prigionieri tedeschi
Ma Rosenblum nel suo percorso professionale non mancò di fotografare i quartieri dove vivevano gli immigrati di New York e del South Bronx con gli insediamenti della nuova immigrazione, e in seguito spingendosi anche ad Haiti, Francia, Italia, Cuba, Cina, nell’ Unione Sovietica e in Brasile.
Da quest’immensa ricchezza di esperienze e dal prolungato rapporto con le diverse culture la visione fotografica di Rosenblum divenne testimone della condizione umana come di una comunità globale in cui i bisogni fondamentali, i valori e le aspirazioni esistenziali sono universalmente condivisi.
Rosenblum cercò così di sottolineare la dignità dell’essere umano, con i suoi soggetti mai semplici vittime, ma persone integre e complesse, la cui umanità sopravvive intatta malgrado le circostanze avverse.
La sua macchina fotografica fu strumento affinché gli uomini si potessero riconoscere nelle loro azioni e comportamenti, nella speranza che la comprensione delle dinamiche interpersonali, potesse estinguere ignoranza e paura e le principali cause di tante ingiustizie sociali.
Le opere di Walter Rosenblum sono conservate in prestigiose collezioni, quali il J.Paul Getty Museum di Malibù, alla Library of Congress di Washington, al MoMA, al Metropolitan Museum of Art e all’ICP di New York, alla Bibliotheque Nazionale de France di Parigi ed altri ancora.
Non sono necessarie molte presentazioni per chi è conosciuto come il padre della fotografia e ha fermato nei suoi scatti quasi un secolo di eventi… ma ripercorriamo in breve la sua vita e la sua attività di grande fotografo del ‘900.
Henri Cartier-Bresson, è nato il 22 agosto 1908 a Chanteloup (Francia), 30 chilometri ad est di Parigi, da una famiglia alto borghese amica delle arti.
Inizialmente si interessa solo di pittura (grazie soprattutto all’influenza di suo zio, artista affermato, che all’epoca considerava un po’ come un padre spirituale), e diventa allievo di Jaques-Emile Blanche e di André Lhote, frequenta i surrealisti e Triade, il grande editore.
Dagli inizi degli anni ’30 sceglie definitivamente di sposare la fotografia.
Nel 1931 infatti, a soli 23 anni, ritornato in Francia dopo un anno in Costa d’Avorio, Henri Cartier-Bresson scopre la gioia di fotografare, compra una Leica e parte per un viaggio che lo porta nel sud della Francia, in Spagna, in Italia e in Messico.
La Leica con la sua maneggevolezza e la pellicola 24×36 inaugurano un modo nuovo di rapportarsi al reale, sono strumenti flessibili che si adattano straordinariamente all’occhio sempre mobile e sensibile del fotografo.
L’ansia che rode Cartier-Bresson in questo suo viaggio fra le immagini del mondo lo porta ad una curiosità insaziabile, incompatibile con l’ambiente borghese che lo circonda, di cui non tollera l’immobilismo e la chiusura, la piccolezza degli orizzonti.
Nel 1935 negli USA inizia a lavorare per il cinema con Paul Strand e tiene nel 1932 la sua prima mostra nella galleria Julien Levy.
Tornato in Francia continua per qualche tempo a lavorare nel cinema con Jean Renoir e Jaques Becker, ma nel 1933 un viaggio in Spagna gli offre l’occasione per realizzare le sue prime grandi fotografie di reportage.
Ed è soprattutto nel reportage che Cartier-Bresson mette in pratica tutta la sua abilità e ha modo di applicare la sua filosofia del “momento decisivo“.
Una strada che lo porterà ad essere facilmente riconoscibile, un marchio di fabbrica che lo distanzia mille miglia dalle confezioni di immagini celebri e costruite.
Chanteloup 22.8.1908 – Parigi 3.8.2004
Ormai è diventato un fotografo importante.
Catturato nel 1940 dai tedeschi, dopo 35 mesi di prigionia e due tentate fughe, riesce a evadere dal campo e fa ritorno in Francia nel 1943, a Parigi, dove ne fotografa la liberazione.
Una collaboratrice dei nazisti viene accusata e giudicata
,
,
Qui entra a far parte dell’MNPGD, un movimento clandestino che si occupa di organizzare l’assistenza per prigionieri di guerra evasi e ricercati.
Finita la guerra ritorna al cinema e dirige il film “Le Retour”.
Negli anni 1946-47 è negli Stati Uniti, dove fotografa soprattutto per Harper’s Bazaar.
Nel 1947 al Museum of Modern Art di New York viene allestita, a sua insaputa, una mostra “postuma”; si era infatti diffusa la notizia che fosse morto durante la guerra.
Nel 1947 insieme ai suoi amici Robert Capa, David “Chim” Seymour, George Rodger e William Vandivert (un manipolo di “avventurieri mossi da un’etica”, come amava definirli), fonda la Magnum Photos, cooperativa di fotografi destinata a diventare la più importante agenzia fotografica del mondo.
Dal 1948 al 1950 è in Estremo Oriente.
Nel 1952 pubblica “Images à la sauvette“, una raccolta di sue foto (con copertina, nientedimeno, che di Matisse), che ha un’immediata e vastissima eco internazionale.
Nel 1954 fu il primo fotografo occidentale a poter visitare l’allora URSS.
Nel 1955 viene inaugurata la sua prima grande retrospettiva, che farà poi il giro del mondo, al Musée des Arts Décoratifs di Parigi.
Dopo una serie di viaggi (Cuba, Messico, India e Giappone), dal 1966 si dedica progressivamente sempre più al disegno.
Innumerevoli, in questi anni, sono i riconoscimenti ricevuti, così come le esposizioni organizzate e le pubblicazioni che in tutto il mondo hanno reso omaggio alla sua straordinaria produzione di fotografo e di pittore.
Dal 1988 il Centre National de la Photographie di Parigi ha istituito il Gran Premio Internazionale di Fotografia, intitolandolo a lui.
Oltre ad essere universalmente riconosciuto tra i più grandi fotografi del secolo, Henri Cartier-Bresson ha avuto un ruolo fondamentale nella teorizzazione dell’atto del fotografare, tradotto tra l’altro nella già ricordata e celebre definizione del “momento decisivo“.
L’occhio magico della sua macchina fotografica ha praticamente catturato le immagini di un secolo in ogni parte del mondo.
Poco prima di raggiungere i 96 anni, morì a Parigi il 3 agosto 2004.
La notizia commosse e fece il giro del mondo… ma le sue opere gli sopravvivono come affascinanti, emozionanti ed insuperabili documenti sia storici che artistici.
Testo da Biografieonline.it con mini modifiche ed impaginazione t.k.
Chi desideri vedere un’ulteriore carrellata di sue fotografie… ecco un video che ne raccoglie parecchie altre… oltre a darci un’altra visione della sua arte.