Archivio per l'etichetta ‘Fernand Toussaint’
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Emile Vernon
Ecco come viene visto il nostro fedele amico.. cane
nel mondo dell’arte, della poesia e degli aforismi.
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ODE AL CANE
AFORISMI… ARTE… E… POESIE
a cura di Tony Kospan
Charles Burton Barber
In principio Dio creò l’uomo. Poi vedendolo così debole, gli donò il cane.
A. Toussenel
Se raccoglierete un cane affamato e lo nutrite non vi morderà.
Ecco la differenza tra l’uomo e il cane…
M. Twain
Una volta ebbi, come cane da caccia, un cane ammaestrato al circo equestre. Quando sparavo e abbattevo una pernice o due, si rizzava sulle zampe posteriori, credendo che fosse il segnale di cominciare gli esercizi; stizzito, gli tiravo una sassata, e lui mi riportava il sasso……
A. Campanile
Domenico Fiasella
Non si cura di chiedersi se abbiate torto o ragione; non gli interessa se abbiate fortuna o no, se siete ricco o povero, istruito o ignorante, santo o peccatore.
Siete il suo compagno e ciò gli basta.
Egli sarà accanto a voi per confortarvi, prottegervi e dare, se occorre, per voi, la sua vita. egli vi sarà fedele nella fortuna come nella miseria.
E’ il cane!
J. K. Jerome
Se al tuo cane non piace una persona, probabilmente non dovrebbe piacere neppure a te.
Anonimo
Vittorio Corcos
Più conosco gli uomini e più mi piacciono i cani.
Madame de Stael
Il cane è la virtù che, non potendo farsi uomo, s’è fatta bestia
Victor Hugo

Auguste Renoir – Il salotto di Madame Charpentier
Il grande silenzio dei cani ci consola delle futili parole degli uomini.
Chaumont
La storia offre più esempi della fedeltà dei cani di quella degli amici.
Alexander Pope
Edgar Hunt
RIFLESSIONI DI UN CANE: Il mio padrone è potente. Entrando in casa la sera, egli tocca un bottone e fa la luce. Io lo adoro.
La vista qualche volta può ingannare, l’olfatto mai.
Io non capisco perché gli uomini, che sono tanto potenti, e che con l’aiuto nostro ammazzano tanti uccelli, non abbiano liberato il mondo dai… gatti.
U. Oxilia
Il cane: La più onesta creatura di Dio.
S. Pietro l’eremita
Un cane crede che tu sia quello che tu pensi di essere.
Jane Swane
Chi non ha mai posseduto un cane, non può sapere che cosa significhi essere amato.
Schopenhauer
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Il cane ha in sé molte parti di quella saggezza e capacità di affetto senza limiti e senza condizioni di cui parliamo tanto ed inseguiamo sempre… ma che quasi mai raggiungiamo…
Tony Kospan *
Il cane è l’unico essere su questa terra che ti ama più di quanto non ami se stesso.
Josh Billings
Reynolds Sir Joshua – Miss Bowles
Non litigano, non discutono con noi. Non parlano mai di sé, ma ci ascoltano quando parliamo di noi, e riescono a fingere che la conversazione li interessi.
Non ci informano mai, come a volte fanno le nostre innamorate, che non siamo più carini come una volta.
Noi per loro siamo sempre uguali.
J. K. Jerome
Per ogni cane il suo padrone è Napoleone. Ecco spiegata la popolarità dei cani
– A. Huxley

Picasso – Bambino con cane
Ed infine… sempre in suo onore
altri dipinti ed alcune poesie a lui dedicate…

Federico Zandomeneghi – L’Amico Fedele
QUINCI
W. Dayton Wedgefort
Parlo a lei quando mi sento solo,
e son sicuro che mi capisce.
Allora lei mi guarda attenta,
e mi lecca dolcemente le mani;
poi strofina il naso sul mio vestito elegante,
ma nulla a Quinci le ho mai detto.
Grazie a Dio posso comprar altri vestiti,
ma un amico che mi ama… no mai…

Vittorio Reggianini – Scherzando col cane
LA CAREZZA MATTUTINA
Tagore
Ogni mattina il mio devoto cane
presso la sedia silenzioso aspetta,
finché io lo saluto con una carezza.
Mentre questo leggero omaggio riceve,
di gioia il suo corpo trasale.
Fra tutte le creature mute,
lui solo,
penetrando il velo del bene e del male,
ha visto l’uomo per intero,
quell’essere per cui può dare la vita contento,
al quale senza fini può riversare amore,
da un opaco sentire che a stento
trova una via verso il mondo cosciente.
Quando l’offerta vedo di questo cuore muto
che supplicare sa del suo stesso bisogno,
non so immaginare quale raro valore
la sua saggezza pura trova nell’uomo.
Col suo silenzio guardare,
patetico, smarrito, che che afferra
non può esprimere in parole…
Per me però rivela il vero significato
dell’Uomo, nello schema del Creato.
Alfred Stevens
ODE AL CANE
Pablo Neruda
Il cane mi domanda
e non rispondo.
Salta, corre pei campi e mi domanda
senza parlare
e i suoi occhi
sono due richieste umide, due fiamme
liquide che interrogano
e io non rispondo,
non rispondo perché
non so, non posso dir nulla.
In campo aperto andiamo
uomo e cane.
Brillano le foglie come
se qualcuno
le avesse baciate
a una a una,
sorgono dal suolo
tutte le arance
a collocare
piccoli planetari
su alberi rotondi
come la notte, e verdi,
e noi, uomo e cane, andiamo
a fiutare il mondo, a scuotere il trifoglio,
nella campagna cilena,
fra le limpide dita di settembre.
Il cane si ferma,
insegue le api,
salta l’acqua trepida,
ascolta lontanissimi
latrati,
orina sopra un sasso,
e mi porta la punta del suo muso,
a me, come un regalo.
è la sua freschezza affettuosa,
la comunicazione del suo affetto,
e proprio lì mi chiese
con i suoi due occhi,
perché è giorno, perché verrà la notte,
perché la primavera
non portò nella sua canestra
nulla
per i cani randagi,
tranne inutili fiori,
fiori, fiori e fiori.
E così m’interroga
il cane
e io non rispondo.
Andiamo
uomo e cane uniti
dal mattino verde,
dall’incitante solitudine vuota nella quale solo noi
esistiamo,
questa unità fra cane con rugiada
e il poeta del bosco,
perché non esiste l’uccello nascosto,
non è il fiore segreto,
ma solo trilli e profumi
per i due compagni:
un mondo inumidito
dalle distillazioni della notte,
una galleria verde e poi
un gran prato,
una raffica di vento aranciato,
il sussurro delle radici,
la vita che procede,
e l’antica amicizia,
la felicità
d’essere cane e d’essere uomo
trasformata
in un solo animale
che cammina muovendo
sei zampe
e una coda
con rugiada.
Passeggiando col mio cane – B-Nario
Ludomir Sleńdziński – Famiglia con cane – 1947

POST IN PRECEDENTI VERSIONI INTEGRALMENTE COPIATO
PIU’ VOLTE E DA PIU’ PARTI !!!
IN CASO DI ULTERIORE COPIA
CON OMISSIONE DEL NOME DELL’AUTORE E DEL BLOG
SI PROCEDERA’ PER VIE LEGALI

Rupert Charles Wulsten Bunny
*Qui giù la simpatica ed originale storia di un mio aforisma sul cane

CIAO DA TONY KOSPAN

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Pompeo Batoni – Diana rompe l’arco di Cupido
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Il poeta con la madre
Il crepuscolarismo è stata una corrente letteraria nata all’inizio del 900, in opposizione al vitalismo ed all’individualismo allora imperante, che aveva come tematica le piccole emozioni quotidiane, anche le più semplici, descritte con dolce malinconia o leggera ironia.
Il principale esponente di questa corrente è senz’altro Guido Gozzano.
Guido Gozzano (Torino 19.12.1883 – Torino 09.08.1916)
BREVE BIOGRAFIA
Nato a Torino in un’agiata famiglia iniziò a studiare Giurisprudenza senza alcuna passione e presto entrò con amici in circoli letterari nei quali, pur contestandone l’eccessiva pesantezza, poté approfondire diverse tematiche proposte da scrittori e poeti europei dell’epoca.
Ebbe sempre una salute malferma… (era ammalato di tisi) ma ciò non gli impedì da giovane di vivere la vita mondana torinese con i suoi amici con i quali in seguito creò anche il circolo dei crepuscolari torinesi.
Gozzano con alcuni amici al circolo della Marinetta
Ne 1907 iniziò a pubblicare poesie ed ebbe una breve e tormentata storia d’amore con la poetessa Amalia Guglielminetti.
Pubblicò diversi libri che ebbero un buon successo ma nel 1916, a soli 33 anni, morì per l’aggravarsi della malattia.
Gozzano e la Guglielminetti (cliccando sull’immagine alcune lettere del loro difficile amore)
ALCUNE POESIE
Ne pubblico solo 3 perché sono lunghette ma a me molto care.
In particolare segnalo la 3° che è quella che diede
origine alla famosa frase
“Non amo che le rose che non colsi“
AD UN’IGNOTA
Tutto ignoro di te: nome, cognome,
l’occhio, il sorriso, la parola, il gesto;
e sapere non voglio, e non ho chiesto
il colore nemmen delle tue chiome.
…Ma so che vivi nel silenzio;
come care ti sono le mie rime:
questo ti fa sorella nel mio sogno mesto,
o amica senza volto e senza nome.
Fuori del sogno fatto di rimpianto
forse non mai, non mai c’incontreremo,
forse non ti vedrò, non mi vedrai.
Ma più di quella che ci siede accanto
cara è l’amica che non mai vedremo;
supremo è il bene che non giunge mai!
Federico Zandomeneghi
LE GOLOSE
Io sono innamorato di tutte le signore
che mangiano le paste nelle confetterie.
Signore e signorine –
le dita senza guanto –
scelgon la pasta. Quanto
ritornano bambine!
Perché nïun le veda,
volgon le spalle, in fretta,
sollevan la veletta,
divorano la preda.
C’è quella che s’informa
pensosa della scelta;
quella che toglie svelta,
né cura tinta e forma.
L’una, pur mentre inghiotte,
già pensa al dopo, al poi;
e domina i vassoi
con le pupille ghiotte.
un’altra – il dolce crebbe –
muove le disperate
bianchissime al giulebbe
dita confetturate!
Un’altra, con bell’arte,
sugge la punta estrema:
invano! ché la crema
esce dall’altra parte!
L’una, senz’abbadare
a giovine che adocchi,
divora in pace. Gli occhi
altra solleva, e pare
sugga, in supremo annunzio,
non crema e cioccolatte,
ma superliquefatte
parole del D’Annunzio.
Fra questi aromi acuti,
strani, commisti troppo
di cedro, di sciroppo,
di creme, di velluti,
di essenze parigine,
di mammole, di chiome:
oh! le signore come
ritornano bambine!
Perché non m’è concesso –
o legge inopportuna! –
il farmivi da presso,
baciarvi ad una ad una,
o belle bocche intatte
di giovani signore,
baciarvi nel sapore
di crema e cioccolatte?
Io sono innamorato di tutte le signore
che mangiano le paste nelle confetterie.


Alphonse Mucha (cliccando sull’immagine la storia di Cocotte)
COCOTTE
I.
Ho rivisto il giardino, il giardinetto
contiguo, le palme del viale,
la cancellata rozza dalla quale
mi protese la mano ed il confetto…
II.
«Piccolino, che fai solo soletto?»
«Sto giocando al Diluvio Universale.»
Accennai gli stromenti, le bizzarre
cose che modellavo nella sabbia,
ed ella si chinò come chi abbia
fretta d’un bacio e fretta di ritrarre
la bocca, e mi baciò di tra le sbarre
come si bacia un uccellino in gabbia.
Sempre ch’io viva rivedrò l’incanto
di quel suo volto tra le sbarre quadre!
La nuca mi serrò con mani ladre;
ed io stupivo di vedermi accanto
al viso, quella bocca tanto, tanto
diversa dalla bocca di mia Madre!
«Piccolino, ti piaccio che mi guardi?
Sei qui pei bagni? Ed affittate là?»
«Sì… vedi la mia mamma e il mio Papà?»
Subito mi lasciò, con negli sguardi
un vano sogno (ricordai più tardi)
un vano sogno di maternità…
«Una cocotte!…»
«Che vuol dire, mammina?»
«Vuol dire una cattiva signorina:
non bisogna parlare alla vicina!»
Co-co-tte… La strana voce parigina
dava alla mia fantasia bambina
un senso buffo d’ovo e di gallina…
Pensavo deità favoleggiate:
i naviganti e l’Isole Felici…
Co-co-tte… le fate intese a malefici
con cibi e con bevande affatturate…
Fate saranno, chi sa quali fate,
e in chi sa quali tenebrosi offici!
III.
Un giorno – giorni dopo – mi chiamò
tra le sbarre fiorite di verbene:
«O piccolino, non mi vuoi più bene!…»
«è vero che tu sei una cocotte?»
Perdutamente rise… E mi baciò
con le pupille di tristezza piene.
IV.
Tra le gioie defunte e i disinganni,
dopo vent’anni, oggi si ravviva
il tuo sorriso… Dove sei, cattiva
Signorina? Sei viva? Come inganni
(meglio per te non essere più viva!)
la discesa terribile degli anni?
Oimè! Da che non giova il tuo belletto
e il cosmetico già fa mala prova
l’ultimo amante disertò l’alcova…
Uno, sol uno: il piccolo folletto
che donasti d’un bacio e d’un confetto,
dopo vent’anni, oggi ti ritrova
in sogno, e t’ama, in sogno, e dice: T’amo!
Da quel mattino dell’infanzia pura
forse ho amato te sola, o creatura!
Forse ho amato te sola! E ti richiamo!
Se leggi questi versi di richiamo
ritorna a chi t’aspetta, o creatura!
Vieni! Che importa se non sei più quella
che mi baciò quattrenne? Oggi t’agogno,
o vestita di tempo! Oggi ho bisogno
del tuo passato! Ti rifarò bella
come Carlotta, come Graziella,
come tutte le donne del mio sogno!
Il mio sogno è nutrito d’abbandono,
di rimpianto. Non amo che le rose
che non colsi. Non amo che le cose
che potevano essere e non sono
state… Vedo la case, ecco le rose
del bel giardino di vent’anni or sono!
Oltre le sbarre il tuo giardino intatto
fra gli eucalipti liguri si spazia…
Vieni! T’accoglierà l’anima sazia.
Fa ch’io riveda il tuo volto disfatto;
ti bacerò; rifiorirà, nell’atto,
sulla tua bocca l’ultima tua grazia.
Vieni! Sarà come se a me, per mano,
tu riportassi me stesso d’allora.
Il bimbo parlerà con la Signora.
Risorgeremo dal tempo lontano.
Vieni! Sarà come se a te, per mano,
io riportassi te, giovine ancora.

F I N E
Tony Kospan
![]()
Chi desiderasse conoscere meglio
e più “da vicino” Gozzano
(l’uomo, gli amori, villa Meleto)
e leggere altre sue poesie



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Gregory Frank Harris
Chi di noi non conosce questa frase?
Ma penso che pochi sappiano,
come me, prima di scoprirlo,
in quale circostanza sia stata scritta
e da chi…
Gironzolando tra le amate poesie
ho trovato la soluzione
che ora mi fa piacere condividere con voi.
NON AMO CHE LE ROSE CHE NON COLSI
a cura di Tony Kospan
E’ in una strofa di questa poesia,
apparentemente sognante e birichina,
ma profondamente crepuscolare
di Guido Gozzano…
poeta tra i più interessanti di questa corrente
morto prematuramente a soli 32 anni.
Guido Gozzano
(Torino 19.12.1883 – Torino 9.8.1916)
La poesia crepuscolare fu molto in voga
a partire dal secondo decennio del ‘900
in aperto contrasto con le visioni futuriste e moderniste
delle avanguardie culturali di quel periodo
Ma torniamo alla mitica frase
e vediamo il punto esatto dove nasce…
Il mio sogno è nutrito d’abbandono,
di rimpianto. Non amo che le rose
che non colsi. Non amo che le cose
che potevano essere e non sono
state… Vedo la case, ecco le rose
del bel giardino di vent’anni or sono!
Il poeta ci parla di sé, bambino, ma già ammiratore
di una, “Cocotte” vicina di casa,
che, avendogli donato un furtivo bacio ed un confetto,
rimase scolpita nel suo cuore.
Vincenzo Irolli – Tra Le Rose
Gozzano si abbandona languidamente ai ricordi
di quel volto, di quei volti,
di quei luoghi e di quelle emozioni,
che dopo tanti anni vivono ancora forti in lui,
ma rimane fermo lì, nella sola contemplazione.
John William Waterhouse – Mia dolce rosa (partic.)
E’ una poesia, per me carinissima, che rallegra il cuore
unendo freschezza e profumi della memoria
in un ampio caldo affresco avvolto in forte romanticismo
pur nella sua profonda atmosfera d’abbandono.
Vincenzo Irolli – Sdraiata nel giardino
Ma il successo di questa poesia è forse dovuto soprattutto
a quella frase diventata di uso comune.
“non amo che le rose che non colsi”.
Ma ora leggiamola tutta…
Alphonse Mucha
COCOTTE
(Guido Gozzano)
I
Ho rivisto il giardino, il giardinetto
contiguo, le palme del viale,
la cancellata rozza dalla quale
mi protese la mano ed il confetto…
II
«Piccolino, che fai solo soletto?»
«Sto giocando al Diluvio Universale.»
Accennai gli stromenti, le bizzarre
cose che modellavo nella sabbia,
ed ella si chinò come chi abbia
fretta d’un bacio e fretta di ritrarre
la bocca, e mi baciò di tra le sbarre
come si bacia un uccellino in gabbia.
Sempre ch’io viva rivedrò l’incanto
di quel suo volto tra le sbarre quadre!
La nuca mi serrò con mani ladre;
ed io stupivo di vedermi accanto
al viso, quella bocca tanto, tanto
diversa dalla bocca di mia Madre!
«Piccolino, ti piaccio che mi guardi?
Sei qui pei bagni? Ed affittate là?»
«Sì… vedi la mia mamma e il mio Papà?»
Subito mi lasciò, con negli sguardi
un vano sogno (ricordai più tardi)
un vano sogno di maternità…
«Una cocotte!…»
«Che vuol dire, mammina?»
«Vuol dire una cattiva signorina:
non bisogna parlare alla vicina!»
Co-co-tte… La strana voce parigina
dava alla mia fantasia bambina
un senso buffo d’ovo e di gallina…
Pensavo deità favoleggiate:
i naviganti e l’Isole Felici…
Co-co-tte… le fate intese a malefici
con cibi e con bevande affatturate…
Fate saranno, chi sa quali fate,
e in chi sa quali tenebrosi offici!
III
Un giorno – giorni dopo – mi chiamò
tra le sbarre fiorite di verbene:
«O piccolino, non mi vuoi più bene!…»
«è vero che tu sei una cocotte?»
Perdutamente rise… E mi baciò
con le pupille di tristezza piene.
IV
Tra le gioie defunte e i disinganni,
dopo vent’anni, oggi si ravviva
il tuo sorriso… Dove sei, cattiva
Signorina? Sei viva? Come inganni
(meglio per te non essere più viva!)
la discesa terribile degli anni?
Oimè! Da che non giova il tuo belletto
e il cosmetico già fa mala prova
l’ultimo amante disertò l’alcova…
Uno, sol uno: il piccolo folletto
che donasti d’un bacio e d’un confetto,
dopo vent’anni, oggi ti ritrova
in sogno, e t’ama, in sogno, e dice: T’amo!
Da quel mattino dell’infanzia pura
forse ho amato te sola, o creatura!
Forse ho amato te sola! E ti richiamo!
Se leggi questi versi di richiamo
ritorna a chi t’aspetta, o creatura!
Vieni! Che importa se non sei più quella
che mi baciò quattrenne? Oggi t’agogno,
o vestita di tempo! Oggi ho bisogno
del tuo passato! Ti rifarò bella
come Carlotta, come Graziella,
come tutte le donne del mio sogno!
Il mio sogno è nutrito d’abbandono,
di rimpianto. Non amo che le rose
che non colsi. Non amo che le cose
che potevano essere e non sono
state… Vedo la case, ecco le rose
del bel giardino di vent’anni or sono!
Oltre le sbarre il tuo giardino intatto
fra gli eucalipti liguri si spazia…
Vieni! T’accoglierà l’anima sazia.
Fa ch’io riveda il tuo volto disfatto;
ti bacierò; rifiorirà, nell’atto,
sulla tua bocca l’ultima tua grazia.
Vieni! Sarà come se a me, per mano,
tu riportassi me stesso d’allora.
Il bimbo parlerà con la Signora.
Risorgeremo dal tempo lontano.
Vieni! Sarà come se a te, per mano,
io riportassi te, giovine ancora.
Gregory Frank Harris
Ed infine, in ideale dolce collegamento floreale,
ascoltiamo la mitica voce dell’altrettanto sfortunata
Giuni Russo che ci canta
Una rosa è una rosa
Alphonse Mucha
CIAO DA TONY KOSPAN
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Francois Martin-Kavel
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Il poeta con la madre
Il crepuscolarismo è stata una corrente letteraria nata all’inizio del 900, in opposizione al vitalismo ed all’individualismo allora imperante, che aveva come tematica le piccole emozioni quotidiane, anche le più semplici, descritte con dolce malinconia o leggera ironia.
Il principale esponente di questa corrente è senz’altro Guido Gozzano.
Guido Gozzano (Torino 19.12.1883 – Torino 09.08.1916)
BREVE BIOGRAFIA
Nato a Torino in un’agiata famiglia iniziò a studiare Giurisprudenza senza alcuna passione e presto entrò con amici in circoli letterari nei quali, pur contestandone l’eccessiva pesantezza, poté approfondire diverse tematiche proposte da scrittori e poeti europei dell’epoca.
Ebbe sempre una salute malferma… (era ammalato di tisi) ma ciò non gli impedì da giovane di vivere la vita mondana torinese con i suoi amici con i quali in seguito creò anche il circolo dei crepuscolari torinesi.
Gozzano con alcuni amici al circolo della Marinetta
Ne 1907 iniziò a pubblicare poesie ed ebbe una breve e tormentata storia d’amore con la poetessa Amalia Guglielminetti.
Pubblicò diversi libri che ebbero un buon successo ma nel 1916, a soli 33 anni, morì per l’aggravarsi della malattia.
Gozzano e la Guglielminetti (cliccando sull’immagine alcune lettere del loro difficile amore)
ALCUNE POESIE
Ne pubblico solo 3 perché sono lunghette ma a me molto care.
In particolare segnalo la 3° che è quella che diede
origine alla famosa frase
“Non amo che le rose che non colsi“
AD UN’IGNOTA
Tutto ignoro di te: nome, cognome,
l’occhio, il sorriso, la parola, il gesto;
e sapere non voglio, e non ho chiesto
il colore nemmen delle tue chiome.
…Ma so che vivi nel silenzio;
come care ti sono le mie rime:
questo ti fa sorella nel mio sogno mesto,
o amica senza volto e senza nome.
Fuori del sogno fatto di rimpianto
forse non mai, non mai c’incontreremo,
forse non ti vedrò, non mi vedrai.
Ma più di quella che ci siede accanto
cara è l’amica che non mai vedremo;
supremo è il bene che non giunge mai!
Federico Zandomeneghi
LE GOLOSE
Io sono innamorato di tutte le signore
che mangiano le paste nelle confetterie.
Signore e signorine –
le dita senza guanto –
scelgon la pasta. Quanto
ritornano bambine!
Perché nïun le veda,
volgon le spalle, in fretta,
sollevan la veletta,
divorano la preda.
C’è quella che s’informa
pensosa della scelta;
quella che toglie svelta,
né cura tinta e forma.
L’una, pur mentre inghiotte,
già pensa al dopo, al poi;
e domina i vassoi
con le pupille ghiotte.
un’altra – il dolce crebbe –
muove le disperate
bianchissime al giulebbe
dita confetturate!
Un’altra, con bell’arte,
sugge la punta estrema:
invano! ché la crema
esce dall’altra parte!
L’una, senz’abbadare
a giovine che adocchi,
divora in pace. Gli occhi
altra solleva, e pare
sugga, in supremo annunzio,
non crema e cioccolatte,
ma superliquefatte
parole del D’Annunzio.
Fra questi aromi acuti,
strani, commisti troppo
di cedro, di sciroppo,
di creme, di velluti,
di essenze parigine,
di mammole, di chiome:
oh! le signore come
ritornano bambine!
Perché non m’è concesso –
o legge inopportuna! –
il farmivi da presso,
baciarvi ad una ad una,
o belle bocche intatte
di giovani signore,
baciarvi nel sapore
di crema e cioccolatte?
Io sono innamorato di tutte le signore
che mangiano le paste nelle confetterie.


Alphonse Mucha (cliccando sull’immagine la storia di Cocotte)
COCOTTE
I.
Ho rivisto il giardino, il giardinetto
contiguo, le palme del viale,
la cancellata rozza dalla quale
mi protese la mano ed il confetto…
II.
«Piccolino, che fai solo soletto?»
«Sto giocando al Diluvio Universale.»
Accennai gli stromenti, le bizzarre
cose che modellavo nella sabbia,
ed ella si chinò come chi abbia
fretta d’un bacio e fretta di ritrarre
la bocca, e mi baciò di tra le sbarre
come si bacia un uccellino in gabbia.
Sempre ch’io viva rivedrò l’incanto
di quel suo volto tra le sbarre quadre!
La nuca mi serrò con mani ladre;
ed io stupivo di vedermi accanto
al viso, quella bocca tanto, tanto
diversa dalla bocca di mia Madre!
«Piccolino, ti piaccio che mi guardi?
Sei qui pei bagni? Ed affittate là?»
«Sì… vedi la mia mamma e il mio Papà?»
Subito mi lasciò, con negli sguardi
un vano sogno (ricordai più tardi)
un vano sogno di maternità…
«Una cocotte!…»
«Che vuol dire, mammina?»
«Vuol dire una cattiva signorina:
non bisogna parlare alla vicina!»
Co-co-tte… La strana voce parigina
dava alla mia fantasia bambina
un senso buffo d’ovo e di gallina…
Pensavo deità favoleggiate:
i naviganti e l’Isole Felici…
Co-co-tte… le fate intese a malefici
con cibi e con bevande affatturate…
Fate saranno, chi sa quali fate,
e in chi sa quali tenebrosi offici!
III.
Un giorno – giorni dopo – mi chiamò
tra le sbarre fiorite di verbene:
«O piccolino, non mi vuoi più bene!…»
«è vero che tu sei una cocotte?»
Perdutamente rise… E mi baciò
con le pupille di tristezza piene.
IV.
Tra le gioie defunte e i disinganni,
dopo vent’anni, oggi si ravviva
il tuo sorriso… Dove sei, cattiva
Signorina? Sei viva? Come inganni
(meglio per te non essere più viva!)
la discesa terribile degli anni?
Oimè! Da che non giova il tuo belletto
e il cosmetico già fa mala prova
l’ultimo amante disertò l’alcova…
Uno, sol uno: il piccolo folletto
che donasti d’un bacio e d’un confetto,
dopo vent’anni, oggi ti ritrova
in sogno, e t’ama, in sogno, e dice: T’amo!
Da quel mattino dell’infanzia pura
forse ho amato te sola, o creatura!
Forse ho amato te sola! E ti richiamo!
Se leggi questi versi di richiamo
ritorna a chi t’aspetta, o creatura!
Vieni! Che importa se non sei più quella
che mi baciò quattrenne? Oggi t’agogno,
o vestita di tempo! Oggi ho bisogno
del tuo passato! Ti rifarò bella
come Carlotta, come Graziella,
come tutte le donne del mio sogno!
Il mio sogno è nutrito d’abbandono,
di rimpianto. Non amo che le rose
che non colsi. Non amo che le cose
che potevano essere e non sono
state… Vedo la case, ecco le rose
del bel giardino di vent’anni or sono!
Oltre le sbarre il tuo giardino intatto
fra gli eucalipti liguri si spazia…
Vieni! T’accoglierà l’anima sazia.
Fa ch’io riveda il tuo volto disfatto;
ti bacerò; rifiorirà, nell’atto,
sulla tua bocca l’ultima tua grazia.
Vieni! Sarà come se a me, per mano,
tu riportassi me stesso d’allora.
Il bimbo parlerà con la Signora.
Risorgeremo dal tempo lontano.
Vieni! Sarà come se a te, per mano,
io riportassi te, giovine ancora.

F I N E
Tony Kospan
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e più “da vicino” Gozzano
(l’uomo, gli amori, villa Meleto)
e leggere altre sue poesie



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Emile Vernon
Ecco come viene visto il nostro fedele amico.. cane
nel mondo dell’arte, della poesia e degli aforismi.
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ODE AL CANE
AFORISMI… ARTE… E… POESIE
a cura di Tony Kospan
Charles Burton Barber
In principio Dio creò l’uomo. Poi vedendolo così debole, gli donò il cane.
A. Toussenel
Se raccoglierete un cane affamato e lo nutrite non vi morderà.
Ecco la differenza tra l’uomo e il cane…
M. Twain
Una volta ebbi, come cane da caccia, un cane ammaestrato al circo equestre. Quando sparavo e abbattevo una pernice o due, si rizzava sulle zampe posteriori, credendo che fosse il segnale di cominciare gli esercizi; stizzito, gli tiravo una sassata, e lui mi riportava il sasso……
A. Campanile

Domenico Fiasella
Non si cura di chiedersi se abbiate torto o ragione; non gli interessa se abbiate fortuna o no, se siete ricco o povero, istruito o ignorante, santo o peccatore.
Siete il suo compagno e ciò gli basta.
Egli sarà accanto a voi per confortarvi, prottegervi e dare, se occorre, per voi, la sua vita. egli vi sarà fedele nella fortuna come nella miseria.
E’ il cane!
J. K. Jerome
Se al tuo cane non piace una persona, probabilmente non dovrebbe piacere neppure a te.
Anonimo

Vittorio Corcos
Più conosco gli uomini e più mi piacciono i cani.
Madame de Stael
Il cane è la virtù che, non potendo farsi uomo, s’è fatta bestia
Victor Hugo

Auguste Renoir – Il salotto di Madame Charpentier
Il grande silenzio dei cani ci consola delle futili parole degli uomini.
Chaumont
La storia offre più esempi della fedeltà dei cani di quella degli amici.
Alexander Pope
Edgar Hunt
RIFLESSIONI DI UN CANE: Il mio padrone è potente. Entrando in casa la sera, egli tocca un bottone e fa la luce. Io lo adoro.
La vista qualche volta può ingannare, l’olfatto mai.
Io non capisco perché gli uomini, che sono tanto potenti, e che con l’aiuto nostro ammazzano tanti uccelli, non abbiano liberato il mondo dai… gatti.
U. Oxilia
Il cane: La più onesta creatura di Dio.
S. Pietro l’eremita
Un cane crede che tu sia quello che tu pensi di essere.
Jane Swane
Chi non ha mai posseduto un cane, non può sapere che cosa significhi essere amato.
Schopenhauer
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Il cane ha in sé molte parti di quella saggezza e capacità di affetto senza limiti e senza condizioni di cui parliamo tanto ed inseguiamo sempre… ma che quasi mai raggiungiamo…
Tony Kospan *
Il cane è l’unico essere su questa terra che ti ama più di quanto non ami se stesso.
Josh Billings

Reynolds Sir Joshua – Miss Bowles
Non litigano, non discutono con noi. Non parlano mai di sé, ma ci ascoltano quando parliamo di noi, e riescono a fingere che la conversazione li interessi.
Non ci informano mai, come a volte fanno le nostre innamorate, che non siamo più carini come una volta.
Noi per loro siamo sempre uguali.
J. K. Jerome
Per ogni cane il suo padrone è Napoleone. Ecco spiegata la popolarità dei cani
– A. Huxley

Picasso – Bambino con cane
Ed infine… sempre in suo onore
altri dipinti ed alcune poesie a lui dedicate…

Federico Zandomeneghi – L’Amico Fedele
QUINCI
W. Dayton Wedgefort
Parlo a lei quando mi sento solo,
e son sicuro che mi capisce.
Allora lei mi guarda attenta,
e mi lecca dolcemente le mani;
poi strofina il naso sul mio vestito elegante,
ma nulla a Quinci le ho mai detto.
Grazie a Dio posso comprar altri vestiti,
ma un amico che mi ama… no mai…

Vittorio Reggianini – Scherzando col cane
LA CAREZZA MATTUTINA
Tagore
Ogni mattina il mio devoto cane
presso la sedia silenzioso aspetta,
finché io lo saluto con una carezza.
Mentre questo leggero omaggio riceve,
di gioia il suo corpo trasale.
Fra tutte le creature mute,
lui solo,
penetrando il velo del bene e del male,
ha visto l’uomo per intero,
quell’essere per cui può dare la vita contento,
al quale senza fini può riversare amore,
da un opaco sentire che a stento
trova una via verso il mondo cosciente.
Quando l’offerta vedo di questo cuore muto
che supplicare sa del suo stesso bisogno,
non so immaginare quale raro valore
la sua saggezza pura trova nell’uomo.
Col suo silenzio guardare,
patetico, smarrito, che che afferra
non può esprimere in parole…
Per me però rivela il vero significato
dell’Uomo, nello schema del Creato.
Alfred Stevens
ODE AL CANE
Pablo Neruda
Il cane mi domanda
e non rispondo.
Salta, corre pei campi e mi domanda
senza parlare
e i suoi occhi
sono due richieste umide, due fiamme
liquide che interrogano
e io non rispondo,
non rispondo perché
non so, non posso dir nulla.
In campo aperto andiamo
uomo e cane.
Brillano le foglie come
se qualcuno
le avesse baciate
a una a una,
sorgono dal suolo
tutte le arance
a collocare
piccoli planetari
su alberi rotondi
come la notte, e verdi,
e noi, uomo e cane, andiamo
a fiutare il mondo, a scuotere il trifoglio,
nella campagna cilena,
fra le limpide dita di settembre.
Il cane si ferma,
insegue le api,
salta l’acqua trepida,
ascolta lontanissimi
latrati,
orina sopra un sasso,
e mi porta la punta del suo muso,
a me, come un regalo.
è la sua freschezza affettuosa,
la comunicazione del suo affetto,
e proprio lì mi chiese
con i suoi due occhi,
perché è giorno, perché verrà la notte,
perché la primavera
non portò nella sua canestra
nulla
per i cani randagi,
tranne inutili fiori,
fiori, fiori e fiori.
E così m’interroga
il cane
e io non rispondo.
Andiamo
uomo e cane uniti
dal mattino verde,
dall’incitante solitudine vuota nella quale solo noi
esistiamo,
questa unità fra cane con rugiada
e il poeta del bosco,
perché non esiste l’uccello nascosto,
non è il fiore segreto,
ma solo trilli e profumi
per i due compagni:
un mondo inumidito
dalle distillazioni della notte,
una galleria verde e poi
un gran prato,
una raffica di vento aranciato,
il sussurro delle radici,
la vita che procede,
e l’antica amicizia,
la felicità
d’essere cane e d’essere uomo
trasformata
in un solo animale
che cammina muovendo
sei zampe
e una coda
con rugiada.
Passeggiando col mio cane – B-Nario
Ludomir Sleńdziński – Famiglia con cane – 1947

POST IN PRECEDENTI VERSIONI INTEGRALMENTE COPIATO
PIU’ VOLTE E DA PIU’ PARTI !!!
IN CASO DI ULTERIORE COPIA
CON OMISSIONE DEL NOME DELL’AUTORE E DEL BLOG
SI PROCEDERA’ PER VIE LEGALI

Rupert Charles Wulsten Bunny
*Qui giù la simpatica ed originale storia di questo mio aforisma sul cane![Immagine ridotta [Gif-Animate-Frecce (104).gif - 1kB]](https://i0.wp.com/digilander.libero.it/netnick/Gif-Animate-Frecce/Gif-Animate-Frecce%20(104).gif)
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Pompeo Batoni – Diana rompe l’arco di Cupido
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Il poeta con la madre
Il crepuscolarismo è stata una corrente letteraria nata all’inizio del 900, in opposizione al vitalismo ed all’individualismo allora imperante, che aveva come tematica le piccole emozioni quotidiane, anche le più semplici, descritte con dolce malinconia o leggera ironia.
Il principale esponente di questa corrente è senz’altro Guido Gozzano.
Guido Gozzano (Torino 19.12.1883 – Torino 09.08.1916)
BREVE BIOGRAFIA
Nato a Torino in un’agiata famiglia iniziò a studiare Giurisprudenza senza alcuna passione e presto entrò con amici in circoli letterari nei quali, pur contestandone l’eccessiva pesantezza, poté approfondire diverse tematiche proposte da scrittori e poeti europei dell’epoca.
Ebbe sempre una salute malferma… (era ammalato di tisi) ma ciò non gli impedì da giovane di vivere la vita mondana torinese con i suoi amici con i quali in seguito creò anche il circolo dei crepuscolari torinesi.
Gozzano con alcuni amici al circolo della Marinetta
Ne 1907 iniziò a pubblicare poesie ed ebbe una breve e tormentata storia d’amore con la poetessa Amalia Guglielminetti.
Pubblicò diversi libri che ebbero un buon successo ma nel 1916, a soli 33 anni, morì per l’aggravarsi della malattia.
Gozzano e la Guglielminetti (cliccando sull’immagine alcune lettere del loro difficile amore)
ALCUNE POESIE
Ne pubblico solo 3 perché sono lunghette ma a me molto care.
In particolare segnalo la 3° che è quella che diede
origine alla famosa frase
“Non amo che le rose che non colsi“
AD UN’IGNOTA
Tutto ignoro di te: nome, cognome,
l’occhio, il sorriso, la parola, il gesto;
e sapere non voglio, e non ho chiesto
il colore nemmen delle tue chiome.
…Ma so che vivi nel silenzio;
come care ti sono le mie rime:
questo ti fa sorella nel mio sogno mesto,
o amica senza volto e senza nome.
Fuori del sogno fatto di rimpianto
forse non mai, non mai c’incontreremo,
forse non ti vedrò, non mi vedrai.
Ma più di quella che ci siede accanto
cara è l’amica che non mai vedremo;
supremo è il bene che non giunge mai!
Federico Zandomeneghi
LE GOLOSE
Io sono innamorato di tutte le signore
che mangiano le paste nelle confetterie.
Signore e signorine –
le dita senza guanto –
scelgon la pasta. Quanto
ritornano bambine!
Perché nïun le veda,
volgon le spalle, in fretta,
sollevan la veletta,
divorano la preda.
C’è quella che s’informa
pensosa della scelta;
quella che toglie svelta,
né cura tinta e forma.
L’una, pur mentre inghiotte,
già pensa al dopo, al poi;
e domina i vassoi
con le pupille ghiotte.
un’altra – il dolce crebbe –
muove le disperate
bianchissime al giulebbe
dita confetturate!
Un’altra, con bell’arte,
sugge la punta estrema:
invano! ché la crema
esce dall’altra parte!
L’una, senz’abbadare
a giovine che adocchi,
divora in pace. Gli occhi
altra solleva, e pare
sugga, in supremo annunzio,
non crema e cioccolatte,
ma superliquefatte
parole del D’Annunzio.
Fra questi aromi acuti,
strani, commisti troppo
di cedro, di sciroppo,
di creme, di velluti,
di essenze parigine,
di mammole, di chiome:
oh! le signore come
ritornano bambine!
Perché non m’è concesso –
o legge inopportuna! –
il farmivi da presso,
baciarvi ad una ad una,
o belle bocche intatte
di giovani signore,
baciarvi nel sapore
di crema e cioccolatte?
Io sono innamorato di tutte le signore
che mangiano le paste nelle confetterie.


Alphonse Mucha (cliccando sull’immagine la storia di Cocotte)
COCOTTE
I.
Ho rivisto il giardino, il giardinetto
contiguo, le palme del viale,
la cancellata rozza dalla quale
mi protese la mano ed il confetto…
II.
«Piccolino, che fai solo soletto?»
«Sto giocando al Diluvio Universale.»
Accennai gli stromenti, le bizzarre
cose che modellavo nella sabbia,
ed ella si chinò come chi abbia
fretta d’un bacio e fretta di ritrarre
la bocca, e mi baciò di tra le sbarre
come si bacia un uccellino in gabbia.
Sempre ch’io viva rivedrò l’incanto
di quel suo volto tra le sbarre quadre!
La nuca mi serrò con mani ladre;
ed io stupivo di vedermi accanto
al viso, quella bocca tanto, tanto
diversa dalla bocca di mia Madre!
«Piccolino, ti piaccio che mi guardi?
Sei qui pei bagni? Ed affittate là?»
«Sì… vedi la mia mamma e il mio Papà?»
Subito mi lasciò, con negli sguardi
un vano sogno (ricordai più tardi)
un vano sogno di maternità…
«Una cocotte!…»
«Che vuol dire, mammina?»
«Vuol dire una cattiva signorina:
non bisogna parlare alla vicina!»
Co-co-tte… La strana voce parigina
dava alla mia fantasia bambina
un senso buffo d’ovo e di gallina…
Pensavo deità favoleggiate:
i naviganti e l’Isole Felici…
Co-co-tte… le fate intese a malefici
con cibi e con bevande affatturate…
Fate saranno, chi sa quali fate,
e in chi sa quali tenebrosi offici!
III.
Un giorno – giorni dopo – mi chiamò
tra le sbarre fiorite di verbene:
«O piccolino, non mi vuoi più bene!…»
«è vero che tu sei una cocotte?»
Perdutamente rise… E mi baciò
con le pupille di tristezza piene.
IV.
Tra le gioie defunte e i disinganni,
dopo vent’anni, oggi si ravviva
il tuo sorriso… Dove sei, cattiva
Signorina? Sei viva? Come inganni
(meglio per te non essere più viva!)
la discesa terribile degli anni?
Oimè! Da che non giova il tuo belletto
e il cosmetico già fa mala prova
l’ultimo amante disertò l’alcova…
Uno, sol uno: il piccolo folletto
che donasti d’un bacio e d’un confetto,
dopo vent’anni, oggi ti ritrova
in sogno, e t’ama, in sogno, e dice: T’amo!
Da quel mattino dell’infanzia pura
forse ho amato te sola, o creatura!
Forse ho amato te sola! E ti richiamo!
Se leggi questi versi di richiamo
ritorna a chi t’aspetta, o creatura!
Vieni! Che importa se non sei più quella
che mi baciò quattrenne? Oggi t’agogno,
o vestita di tempo! Oggi ho bisogno
del tuo passato! Ti rifarò bella
come Carlotta, come Graziella,
come tutte le donne del mio sogno!
Il mio sogno è nutrito d’abbandono,
di rimpianto. Non amo che le rose
che non colsi. Non amo che le cose
che potevano essere e non sono
state… Vedo la case, ecco le rose
del bel giardino di vent’anni or sono!
Oltre le sbarre il tuo giardino intatto
fra gli eucalipti liguri si spazia…
Vieni! T’accoglierà l’anima sazia.
Fa ch’io riveda il tuo volto disfatto;
ti bacerò; rifiorirà, nell’atto,
sulla tua bocca l’ultima tua grazia.
Vieni! Sarà come se a me, per mano,
tu riportassi me stesso d’allora.
Il bimbo parlerà con la Signora.
Risorgeremo dal tempo lontano.
Vieni! Sarà come se a te, per mano,
io riportassi te, giovine ancora.

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Tony Kospan
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Gregory Frank Harris
Chi di noi non conosce questa frase?
Ma penso che pochi sappiano,
come me, prima di scoprirlo,
in quale circostanza sia stata scritta
e da chi…
Gironzolando tra le amate poesie
ho trovato la soluzione
che ora mi fa piacere condividere con voi.
NON AMO CHE LE ROSE CHE NON COLSI
a cura di Tony Kospan
E’ in una strofa di questa poesia,
apparentemente sognante e birichina,
ma profondamente crepuscolare
di Guido Gozzano…
poeta tra i più interessanti di questa corrente
morto prematuramente a soli 32 anni.
Guido Gozzano
(Torino 19.12.1883 – Torino 9.8.1916)
La poesia crepuscolare fu molto in voga
a partire dal secondo decennio del ‘900
in aperto contrasto con le visioni futuriste e moderniste
delle avanguardie culturali di quel periodo
Ma torniamo alla mitica frase
e vediamo il punto esatto dove nasce…
Il mio sogno è nutrito d’abbandono,
di rimpianto. Non amo che le rose
che non colsi. Non amo che le cose
che potevano essere e non sono
state… Vedo la case, ecco le rose
del bel giardino di vent’anni or sono!
Il poeta ci parla di sé, bambino, ma già ammiratore
di una, “Cocotte” vicina di casa,
che, avendogli donato un furtivo bacio ed un confetto,
rimase scolpita nel suo cuore.
Vincenzo Irolli – Tra Le Rose
Gozzano si abbandona languidamente ai ricordi
di quel volto, di quei volti,
di quei luoghi e di quelle emozioni,
che dopo tanti anni vivono ancora forti in lui,
ma rimane fermo lì, nella sola contemplazione.
John William Waterhouse – Mia dolce rosa (partic.)
E’ una poesia, per me carinissima, che rallegra il cuore
unendo freschezza e profumi della memoria
in un ampio caldo affresco avvolto in forte romanticismo
pur nella sua profonda atmosfera d’abbandono.
Vincenzo Irolli – Sdraiata nel giardino
Ma il successo di questa poesia è forse dovuto soprattutto
a quella frase diventata di uso comune.
“non amo che le rose che non colsi”.
Ma ora leggiamola tutta…
Alphonse Mucha
COCOTTE
(Guido Gozzano)
I
Ho rivisto il giardino, il giardinetto
contiguo, le palme del viale,
la cancellata rozza dalla quale
mi protese la mano ed il confetto…
II
«Piccolino, che fai solo soletto?»
«Sto giocando al Diluvio Universale.»
Accennai gli stromenti, le bizzarre
cose che modellavo nella sabbia,
ed ella si chinò come chi abbia
fretta d’un bacio e fretta di ritrarre
la bocca, e mi baciò di tra le sbarre
come si bacia un uccellino in gabbia.
Sempre ch’io viva rivedrò l’incanto
di quel suo volto tra le sbarre quadre!
La nuca mi serrò con mani ladre;
ed io stupivo di vedermi accanto
al viso, quella bocca tanto, tanto
diversa dalla bocca di mia Madre!
«Piccolino, ti piaccio che mi guardi?
Sei qui pei bagni? Ed affittate là?»
«Sì… vedi la mia mamma e il mio Papà?»
Subito mi lasciò, con negli sguardi
un vano sogno (ricordai più tardi)
un vano sogno di maternità…
«Una cocotte!…»
«Che vuol dire, mammina?»
«Vuol dire una cattiva signorina:
non bisogna parlare alla vicina!»
Co-co-tte… La strana voce parigina
dava alla mia fantasia bambina
un senso buffo d’ovo e di gallina…
Pensavo deità favoleggiate:
i naviganti e l’Isole Felici…
Co-co-tte… le fate intese a malefici
con cibi e con bevande affatturate…
Fate saranno, chi sa quali fate,
e in chi sa quali tenebrosi offici!
III
Un giorno – giorni dopo – mi chiamò
tra le sbarre fiorite di verbene:
«O piccolino, non mi vuoi più bene!…»
«è vero che tu sei una cocotte?»
Perdutamente rise… E mi baciò
con le pupille di tristezza piene.
IV
Tra le gioie defunte e i disinganni,
dopo vent’anni, oggi si ravviva
il tuo sorriso… Dove sei, cattiva
Signorina? Sei viva? Come inganni
(meglio per te non essere più viva!)
la discesa terribile degli anni?
Oimè! Da che non giova il tuo belletto
e il cosmetico già fa mala prova
l’ultimo amante disertò l’alcova…
Uno, sol uno: il piccolo folletto
che donasti d’un bacio e d’un confetto,
dopo vent’anni, oggi ti ritrova
in sogno, e t’ama, in sogno, e dice: T’amo!
Da quel mattino dell’infanzia pura
forse ho amato te sola, o creatura!
Forse ho amato te sola! E ti richiamo!
Se leggi questi versi di richiamo
ritorna a chi t’aspetta, o creatura!
Vieni! Che importa se non sei più quella
che mi baciò quattrenne? Oggi t’agogno,
o vestita di tempo! Oggi ho bisogno
del tuo passato! Ti rifarò bella
come Carlotta, come Graziella,
come tutte le donne del mio sogno!
Il mio sogno è nutrito d’abbandono,
di rimpianto. Non amo che le rose
che non colsi. Non amo che le cose
che potevano essere e non sono
state… Vedo la case, ecco le rose
del bel giardino di vent’anni or sono!
Oltre le sbarre il tuo giardino intatto
fra gli eucalipti liguri si spazia…
Vieni! T’accoglierà l’anima sazia.
Fa ch’io riveda il tuo volto disfatto;
ti bacierò; rifiorirà, nell’atto,
sulla tua bocca l’ultima tua grazia.
Vieni! Sarà come se a me, per mano,
tu riportassi me stesso d’allora.
Il bimbo parlerà con la Signora.
Risorgeremo dal tempo lontano.
Vieni! Sarà come se a te, per mano,
io riportassi te, giovine ancora.
Gregory Frank Harris
Ed infine, in ideale dolce collegamento floreale,
ascoltiamo la mitica voce dell’altrettanto sfortunata
Giuni Russo che ci canta
Una rosa è una rosa
Alphonse Mucha
CIAO DA TONY KOSPAN
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Francois Martin-Kavel
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Il poeta con la madre
Il crepuscolarismo è stata una corrente letteraria nata all’inizio del 900, in opposizione al vitalismo ed all’individualismo allora imperante, che aveva come tematica le piccole emozioni quotidiane, anche le più semplici, descritte con dolce malinconia o leggera ironia.
Il principale esponente di questa corrente è senz’altro Guido Gozzano.
Guido Gozzano (Torino 19.12.1883 – Torino 09.08.1916)
BREVE BIOGRAFIA
Nato a Torino in un’agiata famiglia iniziò a studiare Giurisprudenza senza alcuna passione e presto entrò con amici in circoli letterari nei quali, pur contestandone l’eccessiva pesantezza, poté approfondire diverse tematiche proposte da scrittori e poeti europei dell’epoca.
Ebbe sempre una salute malferma… (era ammalato di tisi) ma ciò non gli impedì da giovane di vivere la vita mondana torinese con i suoi amici con i quali in seguito creò anche il circolo dei crepuscolari torinesi.
Gozzano con alcuni amici al circolo della Marinetta
Ne 1907 iniziò a pubblicare poesie ed ebbe una breve e tormentata storia d’amore con la poetessa Amalia Guglielminetti.
Pubblicò diversi libri che ebbero un buon successo ma nel 1916, a soli 33 anni, morì per l’aggravarsi della malattia.
Gozzano e la Guglielminetti (cliccando sull’immagine alcune lettere del loro difficile amore)
ALCUNE POESIE
Ne pubblico solo 3 perché sono lunghette ma a me molto care.
In particolare segnalo la 3° che è quella che diede
origine alla famosa frase
“Non amo che le rose che non colsi“
AD UN’IGNOTA
Tutto ignoro di te: nome, cognome,
l’occhio, il sorriso, la parola, il gesto;
e sapere non voglio, e non ho chiesto
il colore nemmen delle tue chiome.
…Ma so che vivi nel silenzio;
come care ti sono le mie rime:
questo ti fa sorella nel mio sogno mesto,
o amica senza volto e senza nome.
Fuori del sogno fatto di rimpianto
forse non mai, non mai c’incontreremo,
forse non ti vedrò, non mi vedrai.
Ma più di quella che ci siede accanto
cara è l’amica che non mai vedremo;
supremo è il bene che non giunge mai!
Federico Zandomeneghi
LE GOLOSE
Io sono innamorato di tutte le signore
che mangiano le paste nelle confetterie.
Signore e signorine –
le dita senza guanto –
scelgon la pasta. Quanto
ritornano bambine!
Perché nïun le veda,
volgon le spalle, in fretta,
sollevan la veletta,
divorano la preda.
C’è quella che s’informa
pensosa della scelta;
quella che toglie svelta,
né cura tinta e forma.
L’una, pur mentre inghiotte,
già pensa al dopo, al poi;
e domina i vassoi
con le pupille ghiotte.
un’altra – il dolce crebbe –
muove le disperate
bianchissime al giulebbe
dita confetturate!
Un’altra, con bell’arte,
sugge la punta estrema:
invano! ché la crema
esce dall’altra parte!
L’una, senz’abbadare
a giovine che adocchi,
divora in pace. Gli occhi
altra solleva, e pare
sugga, in supremo annunzio,
non crema e cioccolatte,
ma superliquefatte
parole del D’Annunzio.
Fra questi aromi acuti,
strani, commisti troppo
di cedro, di sciroppo,
di creme, di velluti,
di essenze parigine,
di mammole, di chiome:
oh! le signore come
ritornano bambine!
Perché non m’è concesso –
o legge inopportuna! –
il farmivi da presso,
baciarvi ad una ad una,
o belle bocche intatte
di giovani signore,
baciarvi nel sapore
di crema e cioccolatte?
Io sono innamorato di tutte le signore
che mangiano le paste nelle confetterie.


Alphonse Mucha (cliccando sull’immagine la storia di Cocotte)
COCOTTE
I.
Ho rivisto il giardino, il giardinetto
contiguo, le palme del viale,
la cancellata rozza dalla quale
mi protese la mano ed il confetto…
II.
«Piccolino, che fai solo soletto?»
«Sto giocando al Diluvio Universale.»
Accennai gli stromenti, le bizzarre
cose che modellavo nella sabbia,
ed ella si chinò come chi abbia
fretta d’un bacio e fretta di ritrarre
la bocca, e mi baciò di tra le sbarre
come si bacia un uccellino in gabbia.
Sempre ch’io viva rivedrò l’incanto
di quel suo volto tra le sbarre quadre!
La nuca mi serrò con mani ladre;
ed io stupivo di vedermi accanto
al viso, quella bocca tanto, tanto
diversa dalla bocca di mia Madre!
«Piccolino, ti piaccio che mi guardi?
Sei qui pei bagni? Ed affittate là?»
«Sì… vedi la mia mamma e il mio Papà?»
Subito mi lasciò, con negli sguardi
un vano sogno (ricordai più tardi)
un vano sogno di maternità…
«Una cocotte!…»
«Che vuol dire, mammina?»
«Vuol dire una cattiva signorina:
non bisogna parlare alla vicina!»
Co-co-tte… La strana voce parigina
dava alla mia fantasia bambina
un senso buffo d’ovo e di gallina…
Pensavo deità favoleggiate:
i naviganti e l’Isole Felici…
Co-co-tte… le fate intese a malefici
con cibi e con bevande affatturate…
Fate saranno, chi sa quali fate,
e in chi sa quali tenebrosi offici!
III.
Un giorno – giorni dopo – mi chiamò
tra le sbarre fiorite di verbene:
«O piccolino, non mi vuoi più bene!…»
«è vero che tu sei una cocotte?»
Perdutamente rise… E mi baciò
con le pupille di tristezza piene.
IV.
Tra le gioie defunte e i disinganni,
dopo vent’anni, oggi si ravviva
il tuo sorriso… Dove sei, cattiva
Signorina? Sei viva? Come inganni
(meglio per te non essere più viva!)
la discesa terribile degli anni?
Oimè! Da che non giova il tuo belletto
e il cosmetico già fa mala prova
l’ultimo amante disertò l’alcova…
Uno, sol uno: il piccolo folletto
che donasti d’un bacio e d’un confetto,
dopo vent’anni, oggi ti ritrova
in sogno, e t’ama, in sogno, e dice: T’amo!
Da quel mattino dell’infanzia pura
forse ho amato te sola, o creatura!
Forse ho amato te sola! E ti richiamo!
Se leggi questi versi di richiamo
ritorna a chi t’aspetta, o creatura!
Vieni! Che importa se non sei più quella
che mi baciò quattrenne? Oggi t’agogno,
o vestita di tempo! Oggi ho bisogno
del tuo passato! Ti rifarò bella
come Carlotta, come Graziella,
come tutte le donne del mio sogno!
Il mio sogno è nutrito d’abbandono,
di rimpianto. Non amo che le rose
che non colsi. Non amo che le cose
che potevano essere e non sono
state… Vedo la case, ecco le rose
del bel giardino di vent’anni or sono!
Oltre le sbarre il tuo giardino intatto
fra gli eucalipti liguri si spazia…
Vieni! T’accoglierà l’anima sazia.
Fa ch’io riveda il tuo volto disfatto;
ti bacerò; rifiorirà, nell’atto,
sulla tua bocca l’ultima tua grazia.
Vieni! Sarà come se a me, per mano,
tu riportassi me stesso d’allora.
Il bimbo parlerà con la Signora.
Risorgeremo dal tempo lontano.
Vieni! Sarà come se a te, per mano,
io riportassi te, giovine ancora.

F I N E
Tony Kospan
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Chi desiderasse conoscere meglio
e più “da vicino” Gozzano
(l’uomo, gli amori, villa Meleto)
e leggere altre sue poesie



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Delphin Enjolras







L’amore non è un vestito già confezionato,
ma stoffa da tagliare, preparare e cucire.
Non è un appartamento “chiavi in mano”,
ma una casa da concepire, costruire,
conservare e, spesso, riparare.
M. Quoist






Delphin Enjolras – Bella serata
POSSO SCRIVERE I VERSI…
Pablo Neruda
Posso scrivere i versi più tristi stanotte.
Scrivere, per esempio. “La notte è stellata,
e tremano, azzurri, gli astri in lontananza”.
E il vento della notte gira nel cielo e canta.
Posso scrivere i versi più tristi stanotte.
Io l’ho amata e a volte anche lei mi amava.
In notti come questa l’ho tenuta tra le braccia.
L’ho baciata tante volte sotto il cielo infinito.
Lei mi ha amato e a volte anch’io l’amavo.
Come non amare i suoi grandi occhi fissi.
Posso scrivere i versi più tristi stanotte.
Pensare che non l’ho più. Sentire che l’ho persa.
Sentire la notte immensa, ancor più immensa senza di lei.

Delphin Enjolras

(Vita – Dalla/Morandi)

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Emile Vernon
Ecco come viene visto il nostro fedele amico.. cane
nel mondo dell’arte, della poesia e degli aforismi.
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ODE AL CANE
AFORISMI… ARTE… E… POESIE
a cura di Tony Kospan
Charles Burton Barber
In principio Dio creò l’uomo. Poi vedendolo così debole, gli donò il cane.
A. Toussenel
Se raccoglierete un cane affamato e lo nutrite non vi morderà.
Ecco la differenza tra l’uomo e il cane…
M. Twain
Una volta ebbi, come cane da caccia, un cane ammaestrato al circo equestre. Quando sparavo e abbattevo una pernice o due, si rizzava sulle zampe posteriori, credendo che fosse il segnale di cominciare gli esercizi; stizzito, gli tiravo una sassata, e lui mi riportava il sasso……
A. Campanile

Domenico Fiasella
Non si cura di chiedersi se abbiate torto o ragione; non gli interessa se abbiate fortuna o no, se siete ricco o povero, istruito o ignorante, santo o peccatore.
Siete il suo compagno e ciò gli basta.
Egli sarà accanto a voi per confortarvi, prottegervi e dare, se occorre, per voi, la sua vita. egli vi sarà fedele nella fortuna come nella miseria.
E’ il cane!
J. K. Jerome
Se al tuo cane non piace una persona, probabilmente non dovrebbe piacere neppure a te.
Anonimo

Vittorio Corcos
Più conosco gli uomini e più mi piacciono i cani.
Madame de Stael
Il cane è la virtù che, non potendo farsi uomo, s’è fatta bestia
Victor Hugo

Auguste Renoir – Il salotto di Madame Charpentier
Il grande silenzio dei cani ci consola delle futili parole degli uomini.
Chaumont
La storia offre più esempi della fedeltà dei cani di quella degli amici.
Alexander Pope
Edgar Hunt
RIFLESSIONI DI UN CANE: Il mio padrone è potente. Entrando in casa la sera, egli tocca un bottone e fa la luce. Io lo adoro.
La vista qualche volta può ingannare, l’olfatto mai.
Io non capisco perché gli uomini, che sono tanto potenti, e che con l’aiuto nostro ammazzano tanti uccelli, non abbiano liberato il mondo dai… gatti.
U. Oxilia
Il cane: La più onesta creatura di Dio.
S. Pietro l’eremita
Un cane crede che tu sia quello che tu pensi di essere.
Jane Swane
Chi non ha mai posseduto un cane, non può sapere che cosa significhi essere amato.
Schopenhauer
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Il cane ha in sé molte parti di quella saggezza e capacità di affetto senza limiti e senza condizioni di cui parliamo tanto ed inseguiamo sempre… ma che quasi mai raggiungiamo…
Tony Kospan *
Il cane è l’unico essere su questa terra che ti ama più di quanto non ami se stesso.
Josh Billings

Reynolds Sir Joshua – Miss Bowles
Non litigano, non discutono con noi. Non parlano mai di sé, ma ci ascoltano quando parliamo di noi, e riescono a fingere che la conversazione li interessi.
Non ci informano mai, come a volte fanno le nostre innamorate, che non siamo più carini come una volta.
Noi per loro siamo sempre uguali.
J. K. Jerome
Per ogni cane il suo padrone è Napoleone. Ecco spiegata la popolarità dei cani
– A. Huxley

Picasso – Bambino con cane
Ed infine… sempre in suo onore
altri dipinti ed alcune poesie a lui dedicate…

Federico Zandomeneghi – L’Amico Fedele
QUINCI
W. Dayton Wedgefort
Parlo a lei quando mi sento solo,
e son sicuro che mi capisce.
Allora lei mi guarda attenta,
e mi lecca dolcemente le mani;
poi strofina il naso sul mio vestito elegante,
ma nulla a Quinci le ho mai detto.
Grazie a Dio posso comprar altri vestiti,
ma un amico che mi ama… no mai…

Vittorio Reggianini – Scherzando col cane
LA CAREZZA MATTUTINA
Tagore
Ogni mattina il mio devoto cane
presso la sedia silenzioso aspetta,
finché io lo saluto con una carezza.
Mentre questo leggero omaggio riceve,
di gioia il suo corpo trasale.
Fra tutte le creature mute,
lui solo,
penetrando il velo del bene e del male,
ha visto l’uomo per intero,
quell’essere per cui può dare la vita contento,
al quale senza fini può riversare amore,
da un opaco sentire che a stento
trova una via verso il mondo cosciente.
Quando l’offerta vedo di questo cuore muto
che supplicare sa del suo stesso bisogno,
non so immaginare quale raro valore
la sua saggezza pura trova nell’uomo.
Col suo silenzio guardare,
patetico, smarrito, che che afferra
non può esprimere in parole…
Per me però rivela il vero significato
dell’Uomo, nello schema del Creato.
Alfred Stevens
ODE AL CANE
Pablo Neruda
Il cane mi domanda
e non rispondo.
Salta, corre pei campi e mi domanda
senza parlare
e i suoi occhi
sono due richieste umide, due fiamme
liquide che interrogano
e io non rispondo,
non rispondo perché
non so, non posso dir nulla.
In campo aperto andiamo
uomo e cane.
Brillano le foglie come
se qualcuno
le avesse baciate
a una a una,
sorgono dal suolo
tutte le arance
a collocare
piccoli planetari
su alberi rotondi
come la notte, e verdi,
e noi, uomo e cane, andiamo
a fiutare il mondo, a scuotere il trifoglio,
nella campagna cilena,
fra le limpide dita di settembre.
Il cane si ferma,
insegue le api,
salta l’acqua trepida,
ascolta lontanissimi
latrati,
orina sopra un sasso,
e mi porta la punta del suo muso,
a me, come un regalo.
è la sua freschezza affettuosa,
la comunicazione del suo affetto,
e proprio lì mi chiese
con i suoi due occhi,
perché è giorno, perché verrà la notte,
perché la primavera
non portò nella sua canestra
nulla
per i cani randagi,
tranne inutili fiori,
fiori, fiori e fiori.
E così m’interroga
il cane
e io non rispondo.
Andiamo
uomo e cane uniti
dal mattino verde,
dall’incitante solitudine vuota nella quale solo noi
esistiamo,
questa unità fra cane con rugiada
e il poeta del bosco,
perché non esiste l’uccello nascosto,
non è il fiore segreto,
ma solo trilli e profumi
per i due compagni:
un mondo inumidito
dalle distillazioni della notte,
una galleria verde e poi
un gran prato,
una raffica di vento aranciato,
il sussurro delle radici,
la vita che procede,
e l’antica amicizia,
la felicità
d’essere cane e d’essere uomo
trasformata
in un solo animale
che cammina muovendo
sei zampe
e una coda
con rugiada.
Passeggiando col mio cane – B-Nario
Ludomir Sleńdziński – Famiglia con cane – 1947

POST IN PRECEDENTI VERSIONI INTEGRALMENTE COPIATO
PIU’ VOLTE E DA PIU’ PARTI !!!
IN CASO DI ULTERIORE COPIA
CON OMISSIONE DEL NOME DELL’AUTORE E DEL BLOG
SI PROCEDERA’ PER VIE LEGALI

Rupert Charles Wulsten Bunny
*Qui giù la simpatica ed originale storia di questo mio aforisma sul cane

CIAO DA TONY KOSPAN

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