Archivio per l'etichetta ‘ARTE RINASCIMENTALE

BOTTICELLI – Fascino supremo dell’arte rinascimentale e trionfo delle allegorie – Biografia e capolavori     Leave a comment

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La nascita di Venere
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Sandro Botticelli, ma il suo vero nome era Sandro Filipepi,
è stato uno degli artisti più emblematici del Rinascimento.

Alcune sue opere non è difficile definirle fantastiche,
soprattutto quelle, ancor oggi ammiratissime,
del cd. “Primo Periodo Mediceo“.




La calunnia



BOTTICELLI
ARTISTA GENIALE DEL RINASCIMENTO
LA FAMA.. L’OBLIO E LA RISCOPERTA
a cura di Tony Kospan







Buona parte del fascino delle sue opere
nasce anche dalla constatazione che egli ha inteso,
attraverso l’affascinante bellezza dei suoi dipinti,
anche donarci dei messaggi, culturali e non solo,
grazie ad allegorie più o meno nascoste.

E’ considerato il pittore più vicino
agli ideali neoplatonici molto “sentiti”
negli ambienti intellettuali ed artistici dell’epoca.






Eppure, anche se vi sembrerà incredibile,
le sue opere,
nonostante la loro stupefacente bellezza,
erano quasi completamente sconosciute
fin quasi alla fine dell’ ottocento,
forse (o soprattutto?)
per il giudizio freddino del Vasari.








Poi grazie alla loro riscoperta nell’800
da parte del critico inglese John Ruskin,
e per l’innamoramento dei Preraffaelliti,
il loro successo non è più tramontato
ed ancor oggi i suoi dipinti sono amatissimi nel web.




 
Firenze 1.3.1445 – Firenze 17.5.1510 (Autoritratto)


BREVE BIOGRAFIA.

.

Fin da piccolo iniziò a frequentare la bottega del Pollaiolo
che gli instillò il senso della pennellata elegante
che sarà una delle sue più belle caratteristiche.

A 25 anni si stacca dal maestro ed inizia la sua carriera
che subito appare di successo dato che riceve incarichi importanti
come quello di realizzare il ritratto di Giuliano de’ Medici.



Giuliano de’ Medici (partic.)



Grazie a questi lavori viene preso a benvolere
dalla grande famiglia fiorentina
che fu, in questo periodo (1478 e segg.),
la grande committente di suoi dipinti
come le mitiche “Primavera” e “Nascita di Venere“.




Nascita di Venere



In entrambe le opere su citate è presente Simonetta Vespucci
la donna più bella del Rinascimento
amata da Giuliano de’ Medici e dipinta più volte dal Botticelli



Simonetta Vespucci




Entrambe vengono chieste al Botticelli per “tirar su” lo spirito
di un rampollo mediceo, Lorenzo di Pierfrancesco, affetto
da disturbi mentali che potremmo definire depressivi ed infatti
entrambe queste opere avranno quale prima sistemazione
Villa del Castello dove questi abitava.



fre bia pouce(clicca qui giù se desideri conoscere i segreti della mitica Primavera)
Primavera



Entrambe queste opere rivelano anche lo spirito libero,
curioso, colto ed estroverso
del Botticelli insieme al suo amore per le allegorie.




Botticelli – Madonna dei 6 angeli



Chiamato a Roma, su consiglio di Lorenzo il Magnifico
è poi incaricato di affrescare 3 episodi biblici
nella Cappella Sistina 
“Prove di Mosè”, “Prove di Cristo”
e “La Punizione di Qorah, Dtham e Abiram”.




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Marte e Venere – 1483



Dagli anni ’90 in poi, a seguito della cacciata dei Medici,
cambia il suo stile, 
quasi certamente per l’influenza
della severa predicazione del Savonarola
contemporaneamente ad una sua forte crisi spirituale.




Sant’Agostino nello studio




Alla fine del ‘400 dipinge 100 pergamene
sui vari temi della Divina Commedia
commissionategli da Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici
cugino di Lorenzo il Magnifico e suo amico.



Divina Commedia – La voragine infernale




Abbandona allora il tratto elegante e figurativo
per riavvicinarsi con estremo misticismo alla pittura medievale
dipingendo figure più filiformi e chiaroscuri più densi.




 
Madonna della melagrana
.

.
.
Tra i più noti dipinti di questo periodo possiamo elencare 
“La calunnia”, “Natività mistica”, e “Compianto sul Cristo morto”.




Tondo Raczynski – 1477


.
La sua fama però ormai inizia a declinare inesorabilmente 
mentre nel cielo dell’arte fiorentina trionfa Leonardo 
e si fa largo prepotentemente il genio di Michelangelo.


Muore povero e solo nel 1510, a Firenze, dopo grave malattia.



F I N E




– COPYRIGHT TONY KOSPAN

– VIETATA LA COPIA INTEGRALE SENZA RIPORTARE IN MODO CHIARO AUTORE E BLOG





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Paolo Veronese con Sant’Antonio Abate.. dipinto religioso e classico.. ci mostra però anche aspetti esilaranti   Leave a comment



Può un dipinto religioso, elegante, classico, classicissimo.. nascondere aspetti sorprendenti che ci portano al sorriso?

Sì certo! E questo di Paolo Veronese è davvero emblematico in tal senso.






Infatti quest’opera apparentemente solo di carattere religioso è invece piena di simpatici, ed in qualche modo perfino esilaranti, significati.

Il dipinto del 1570, commissionato dalla Chiesa del Monastero di Sant’Antonio a Torcello (Venezia), ma oggi alla pinacoteca di Brera, apparentemente sembra mostrare una scena ferma… quasi statuaria.



Sant’Antonio Abate in cattedra con i santi Cornelio e Cipriano



Vediamo in alto Sant’Antonio, titolare della chiesa, burbero e barbuto su una cattedra di marmi colorati e sotto San Cornelio papa e San Cipriano vescovo con la mitra del primo appoggiata sul piedistallo del Santo e quella del secondo sul gradino in basso.

Quindi sembra tutto normale ma osserviamolo con attenzione.

Innanzitutto non possiamo fare a meno di notare che i paramenti indossati dai 3 personaggi sono dei broccati e dei damaschi lussuosi, vanitosi e perfino un po’ esagerati.

Quello del Santo presenta colori intensi e scuri, leggiadro e chiaro è poi quello di Cornelio e quasi fosforescente infine appare quello color rosa del Cipriano.






Ma veniamo alla scena che il Veronese ci vuole donare… e qui inizia l’esame della parte divertente del dipinto.

Cosa fanno i 3 Santi?

Stanno cercando di officiare un rito religioso leggendo il messale tenuto da un paggio. 







Quindi i loro sguardi cercano in ogni modo di leggerlo ma la cosa è molto complicata perché il messale si muove continuamente dato che il paggio, riccamente vestito e probabilmente figlio scapestrato di qualche ricco amico del convento, non sta fermo nemmeno un attimo.

Il ragazzo infatti sembra incuriosito dal pittore e cerca di guardare sia verso di lui che verso la tela che sta dipingendo (così facendo egli sta guardando verso di noi!).






Ma mentre i santi Cornelio e Cipriano appaiono solo preoccupati, Sant’Antonio invece sembra stia proprio per arrabbiarsi.

Infatti vediamo il paggio più grande, che alle spalle di San Cornelio tiene in piedi la croce astile, guardare preoccupato Sant’Antonio che ben conosce, temendo una sua brusca ed irosa reazione.






E’ proprio un urlo ed una scenata del Santo, il perfetto finale che il dipinto ci lascia immaginare.






Tony Kospan per il blog “IL MONDO DI ORSOSOGNANTE”



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La “Cena in casa di Levi” di Paolo Veronese – Ecco come il cambio del titolo salvò il dipinto dalla censura   Leave a comment




Cena in casa di Levi




QUANDO IL CAMBIAMENTO DI UN TITOLO SALVA UN’OPERA D’ARTE!




Manca nella storia dell’arte uno studio completo sull’importanza e gli effetti del titolo delle opere d’arte figurative ma sappiamo che esso è stato spesso molto decisivo o quanto meno molto significativo.

Ora esamineremo un caso in cui il titolo è diventato un aspetto essenziale dell’opera.



Il nano e il pappagallo



Nel 1573 Paolo Veronese completò una nuova “Ultima Cena”, secondo il suo consueto stile, per il convento domenicano dei Santi Giovanni e Paolo di Venezia.

Appena completata l’opera, Paolo Veronese si vide convocato e interrogato dall’Inquisizione per aver mostrato delle immagini profane e non decorose nel suo dipinto.



La scimmia



Ricordiamo per un attimo la realtà storica, politica e religiosa d’allora.

Si era da pochi anni concluso il Concilio di Trento che aveva dettato norme stringenti sulle immagini destinate ai luoghi sacri.

Il Veronese si difese affermando la libertà degli artisti: Noi pittori ci pigliamo licenza, che si pigliano i poeti e i matti”.



La guardia che mangia e beve



Accennò poi anche al “Giudizio Finale” dipinto da Michelangelo nella Cappella Sistina dove appaiono chiaramente anche molte nudità senza che il Pontefice all’epoca dicesse nulla.

Ma l’Inquisizione non volle sentire ragioni!






Allora messo alle strette ebbe una trovata geniale!

Decise che il titolo non era più l’Ultima Cena ma “Cena in casa di Levi”.

Non era più, quindi, la cena sacra dell’origine dell’Eucarestia ma un allegro banchetto in onore di Gesù offerto da Levi (San Matteo) che, essendo ricco, poteva avere i servi, buffoni, nani, cani e tutto quel che appariva nel dipinto.

Potenza di un titolo!







L’opera: Paolo Veronese – Cena in casa di Levi – Venezia – Galleria dell’Accademia



Tony Kospan



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IL GRUPPO DI CHI AMA VIVER L’ARTE…
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L’incontro impossibile.. ma in qualche modo vero.. tra Rembrandt e Raffaello – Ecco come avvenne (con Baldassarre Castiglione)   Leave a comment




L’INCONTRO IMPOSSIBILE TRA REMBRANDT E RAFFAELLO



A volte vien voglia d’incontrare davvero qualche personaggio del passato che abbiamo ammirato o che ci ha incuriosito.

Nell’arte, nella letteratura e nella musica ciò può avvenire attraverso le emozioni che superano ogni distanza di spazio o di tempo.

E’ però raro avere conoscenza reale di storie del genere ma quella che sto per raccontare è emblematica di ciò.




Rembrandt – Autoritratto giovanile



Siamo nel 1628  in Olanda, Rembrandt è un giovane pittore che con il suo collega d’atelier sta iniziando ad avere un successo di vendite e di commissioni… quando un mercante d’arte che aveva compreso le loro notevoli qualità artistiche li invita a recarsi in Italia per approfondire la sua conoscenza della grande arte rinascimentale italiana conosciuta all’epoca in Europa per lo più solo attraverso copie e disegni.

Ma i due sono troppo impegnati a dipingere per poter accettare.

Tuttavia, benché non sia mai venuto in Italia, le sue opere appaiono in ideale collegamento con l’arte rinascimentale italiana.




Raffaello – Autoritratto



LA STORIA DELL’INCONTRO


Un bel giorno, il 9 aprile 1639, ecco il “reale” incontro tra l’artista olandese e Raffaello vissuto nel secolo precedente.

L’incontro “impossibile” avviene ad un’asta d’arte in cui vengono vendute opere d’arte appartenute ad un ricco olandese che aveva vissuto a Venezia
dal 1615 al 1630.



Raffaello – Ritratto di Baldassarre Castiglione




L’asta era molto affollata e tra i dipinti c’era il “Ritratto di Baldassarre Castiglione” di Raffaello definito da Simone Weil “capace di rendere sopportabile la pena di un ergastolano se appeso nella sua cella”.

Castiglione era un intimo amico di Raffaello ed era stato appena nominato dal Duca di Urbino ambasciatore presso la Santa Sede all’epoca in cui lo dipinse.




Baldassarre Castiglione – Dipinto da Bernardino Campi




Raffaello, che lo conosce bene, nel dipingerlo riesce a far apparire nel suo volto quella che era la caratteristica principale dell’amico e che il Castiglione aveva anche teorizzato nel suo famoso libro “Cortegiano”.








In sintesi possiamo dire che essa consiste nell’apparire e nel non apparire, nel mostrare ad es. gioia e nel non mostrarla, nel godere del potere e nel contempo disprezzarlo… ma il tutto sempre con grande eleganza e nonchalance.




Raffaello – Ritratto di Baldassarre Castiglione (particolare)




Rembrandt appena vede il dipinto se ne innamora ma non ha i soldi per acquistarlo ed allora ne fa un veloce disegno.

Ecco, in quel momento, avviene l’incontro impossibile tra i 2 grandi artisti.




Rembrandt – Schizzo del Baldassarre Castiglione di Raffaello



F I N E



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STORIA.. RICORDI E ATMOSFERE DI UN TEMPO
Frecce2039



Rembrandt



SANDRO BOTTICELLI – Suprema bellezza dell’arte rinascimentale e trionfo delle allegorie – Biografia e capolavori   1 comment

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La nascita di Venere
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Sandro Botticelli, ma il suo vero nome era Sandro Filipepi,
è stato uno degli artisti più emblematici del Rinascimento.

Alcune sue opere non è difficile definirle fantastiche,
soprattutto quelle, ancor oggi ammiratissime,
del cd. “Primo Periodo Mediceo“.




La calunnia



BOTTICELLI
ARTISTA GENIALE DEL RINASCIMENTO
LA FAMA.. L’OBLIO E LA RISCOPERTA
a cura di Tony Kospan







Buona parte del fascino delle sue opere
nasce anche dalla constatazione che egli ha inteso,
attraverso l’affascinante bellezza dei suoi dipinti,
anche donarci dei messaggi, culturali e non solo,
grazie ad allegorie più o meno nascoste.

E’ considerato il pittore più vicino
agli ideali neoplatonici molto “sentiti”
negli ambienti intellettuali ed artistici dell’epoca.






Eppure, anche se vi sembrerà incredibile,
le sue opere,
nonostante la loro stupefacente bellezza,
erano quasi completamente sconosciute
fin quasi alla fine dell’ ottocento,
forse (o soprattutto?)
per il giudizio freddino del Vasari.








Poi grazie alla loro riscoperta nell’800
da parte del critico inglese John Ruskin,
e per l’innamoramento dei Preraffaelliti,
il loro successo non è più tramontato
ed ancor oggi i suoi dipinti sono amatissimi nel web.




 
Firenze 1.3.1445 – Firenze 17.5.1510 (Autoritratto)


BREVE BIOGRAFIA.

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Fin da piccolo iniziò a frequentare la bottega del Pollaiolo
che gli instillò il senso della pennellata elegante
che sarà una delle sue più belle caratteristiche.

A 25 anni si stacca dal maestro ed inizia la sua carriera
che subito appare di successo dato che riceve incarichi importanti
come quello di realizzare il ritratto di Giuliano de’ Medici.



Giuliano de’ Medici (partic.)



Grazie a questi lavori viene preso a benvolere
dalla grande famiglia fiorentina
che fu, in questo periodo (1478 e segg.),
la grande committente di suoi dipinti
come le mitiche “Primavera” e “Nascita di Venere“.




Nascita di Venere



In entrambe le opere su citate è presente Simonetta Vespucci
la donna più bella del Rinascimento
amata da Giuliano de’ Medici e dipinta più volte dal Botticelli



Simonetta Vespucci




Entrambe vengono chieste al Botticelli per “tirar su” lo spirito
di un rampollo mediceo, Lorenzo di Pierfrancesco, affetto
da disturbi mentali che potremmo definire depressivi ed infatti
entrambe queste opere avranno quale prima sistemazione
Villa del Castello dove questi abitava.



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Primavera



Entrambe queste opere rivelano anche lo spirito libero,
curioso, colto ed estroverso
del Botticelli insieme al suo amore per le allegorie.




Botticelli – Madonna dei 6 angeli



Chiamato a Roma, su consiglio di Lorenzo il Magnifico
è poi incaricato di affrescare 3 episodi biblici
nella Cappella Sistina 
“Prove di Mosè”, “Prove di Cristo”
e “La Punizione di Qorah, Dtham e Abiram”.




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Marte e Venere – 1483



Dagli anni ’90 in poi, a seguito della cacciata dei Medici,
cambia il suo stile, 
quasi certamente per l’influenza
della severa predicazione del Savonarola
contemporaneamente ad una sua forte crisi spirituale.




Sant’Agostino nello studio




Alla fine del ‘400 dipinge 100 pergamene
sui vari temi della Divina Commedia
commissionategli da Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici
cugino di Lorenzo il Magnifico e suo amico.



Divina Commedia – La voragine infernale




Abbandona allora il tratto elegante e figurativo
per riavvicinarsi con estremo misticismo alla pittura medievale
dipingendo figure più filiformi e chiaroscuri più densi.




 
Madonna della melagrana
.

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Tra i più noti dipinti di questo periodo possiamo elencare 
“La calunnia”, “Natività mistica”, e “Compianto sul Cristo morto”.




Tondo Raczynski – 1477


.
La sua fama però ormai inizia a declinare inesorabilmente 
mentre nel cielo dell’arte fiorentina trionfa Leonardo 
e si fa largo prepotentemente il genio di Michelangelo.


Muore povero e solo nel 1510, a Firenze, dopo grave malattia.



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– COPYRIGHT TONY KOSPAN

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Amico Aspertini… pittore bolognese eccentrico del ‘500 da poco riscoperto – Vita ed opere   Leave a comment

 
 
 
 

Nereidi – Tritoni e putti

 

 

Un Pittore bizzarro nell’età di Dürer e Raffaello

solo di recente riscoperto e rivalutato.

 

 

 

 
 

 

  

 
Se lo cercate nei libri di Storia dell’Arte di qualche anno fa

stentate a trovarlo o non lo trovate proprio.






  

 
Pur essendo noto ed amato nella Bologna dei suoi tempi

era ormai caduto in un oblio quasi totale.

 

Poi pian piano la sua arte… “controcorrente” 

ha iniziato ad avere sempre più estimatori

soprattutto tra i critici d’arte.

 

 


Autoritratto giovanile

 
 
 

BREVE BIOGRAFIA

 
 
Nato fra il 1474 ed il 1475 Amico era figlio di Giovanni Antonio Aspertini pittore abbastanza noto a Bologna verso la fine del ‘400.
 
Fin da piccolo fu indirizzato, insieme al fratello, verso lo studio della pittura.
 
Nei suoi inizi si evidenzia uno stile dolce e classicheggiante.
 
A seguito di un un viaggio a Roma, ed in particolare dopo la visione delle grotte della “Domus Aurea”, arrivò ad una interpretazione cd. “anticlassica” del mondo antico che traspose nelle sue opere bolognesi del 1506 (affreschi di S. Cecilia) e che, rappresentando una rottura delle mode dell’epoca, lo resero famoso.

 
 
 
 

Adorazione


 



A Lucca, fra il 1508 e il 1509, operò nella chiesa di S. Frediano in cui eseguì una serie di stupendi affreschi… tra cui la “Madonna col Bambino tra i santi“.
 
*Il dipinto appare immerso in una luce strana quasi crepuscolare, nel paesaggio poi si notano dei combattimenti ed in alto dei putti mantengono un drappo.
Questi particolari, insieme al resto dell’opera, donano una sensazione fantastica.
 
Ormai il suo stile “anticlassico” era divenuto sempre più evidente e deciso… ma ciò non vuol dire che non amasse il mondo classico ma semplicemente che amava reinterpretarlo a modo suo come si può notare dai monumenti e dalle rovine da lui dipinti.



Morì nel 1552.
 
 
 

 

 
Ragazzo con canestro di fiori
 
 
 

L’UOMO ASPERTINI

 
 
Definito dal Vasari “Uomo capriccioso e di bizzarro cervello”, e super stravagante, da altri suoi contemporanei, il bolognese Aspertini viaggiò molto  (Venezia, Firenze, Lucca, Mantova e soprattutto Roma) ed arricchì sempre in tal modo le sue conoscenze grazie alla visione di opere antiche e dei suoi tempi.
 
In particolare amava l’arte tedesca e soprattutto le opere di Durer.

 
 
 
 



Tommaso Raimondi

 

 

 

L’ARTISTA


 

Era un pittore “ambidestro”, cioè capace di dipingere contemporaneamente con entrambe le mani, ed era anche molto versatile dato che fu autore, oltre che di dipinti, anche di sculture, disegni ed affreschi.

 

 

 

Oratorio di Santa Cecilia

 

 

Nonostante sia stato solo da poco rivalutato, oggi è un artista molto amato da diversi critici, e soprattutto dal pubblico, per le “stranezze espressive delle figure” e per i suoi paesaggi in cui insieme ad un misto di classicismo e naturalismo appare forte anche una componente onirica.

Da molti è considerato un anticipatore del neoclassicismo e del manierismo.

 

 

 

QUALCHE ALTRA SUA OPERA



Deposizione di Cristo

 

 

 

Santa donna con libro

 

 

 

S. Cassiano

 

 

Fonti: vari siti web – Impaginazione Orso Tony

 

 

 


MARRONE CHIARO
IL GRUPPO DI CHI AMA L’ARTE FIGURATIVA
(PITTURA, SCULTURA, FOTOGRAFIA E CINEMA)
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L’Allegoria dell’Amore e del Tempo – La mitica opera del Bronzino ed i suoi segreti – II Parte    Leave a comment

 
 




Ripartiamo, nell’analisi del dipinto,
dalle gambe della dea, dal pomo e dalle maschere
con le parole del Solimano.


 
 
 
 
 
 
 

L’ALLEGORIA DELL’AMORE E DEL TEMPO
ARTE E SEGRETI
II  PARTE
 
 
Ma soprattutto si vedono due maschere, una giovane donna ed un uomo anziano che ha l’aria trista (triste+cattiva).
Le maschere, dice Erwin Panofsky, da sempre simboleggiano “la mondanità, l’insincerità e la falsità”.
Un raccordo con la Frode (la fanciulla), ma anche con il Piacere ed il Gioco (il putto). 
Tutto continua ad essere chiaro ed ambiguo, duplice. 
Nel particolare qui sotto del quadro del Bronzino, si vedono in parte i corpi bellissimi dei due amanti, Venere e Cupido, e continuano a comparire dei simboli, dei sublimi feticci.
Ambiguamente, il voyeurismo si nasconde dietro il significato morale e viceversa.






Proprio nell’angolo in basso si vede una colomba, ma poi se si guarda bene, si vede anche spuntare il becco e la testa di un’altra colomba.
Tubare come colombi” si dice ancor oggi, ed Erwin Panofsky scrive che era un simbolo usuale di “tenera sollecitudine”, a cui è da aggiungere che le coppie di colombi sono note per la monogamia.
Il contesto non sembra quello, considerando il cuscino evidentemente morbidissimo sotto le ginocchia di Cupido, oggetto piuttosto raro allora.
Ancora oggi parliamo dei cuscini in “piumino d’oca” proprio per intendere che la morbidezza è il primo requisito del cuscino, che è un simbolo di lascivia e di mollezza.
“I Racconti del Cuscino” è il titolo di un film pregevole ed originale di Peter Greenaway, l’autore de “I misteri dei Giardini di Compton House”.
Il tema ricorrente di Greenaway è una acuta indagine sull’erotismo, un po’ quello che fa il Bronzino qui.
Dietro Cupido, si intravedono le foglie di un mirto, simbolo classico dell’amore.



 




Ma il corpo di Cupido, è maschile o femminile?
Ci tornerò alla fine. 
In alto c’è un vecchio assai vigoroso, attento e lucidamente iracondo, la testa pelata ed una strana barba assai folta, dove c’è. I baffi spioventi gli coprono le labbra.
Ancora più in alto si vede un’ala biancastra e, vicino alla testa del vecchio, si intravede parte di una clessidra.
Corrisponde con la colomba nell’angolo opposto, quella di cui si vede solo il becco e la testa – il Bronzino era assai lucido nell’organizzare, nel pesare la rappresentazione, ed in questo caso si tratta musicalmente di due note in minore, ma indispensabili.
Questo vecchio è il simbolo del tempo, lo comprendono tutti, ma è bene porsi due domande, una particolare, ed una generale.
Che cosa sta facendo il tempo, anzi il Tempo?



Il tempo 




Sta tirando in alto un drappo, una specie di grande tenda, sta svelando il quadro, con tutti i suoi significati e la loro ambiguità che, per il fatto stesso che ce ne accorgiamo, non c’è più, perché “Veritas filia Temporis”.
 
Perché il Tempo è vecchio? Una domanda ovvia, ma solo in apparenza.
 
Parrà strano, ma nella antichità classica il Tempo non era rappresentato come un vecchio, non c’era questa attenzione all’età del Tempo, anzi, spesso era rappresentato come un giovane con le ali ai piedi: Kairòs, l’Opportunità, che passa veloce e la devi cogliere subito, difatti aveva un gran ciuffo davanti e la nuca rasata.
Il Tempo è rappresentato come un vecchio per l’equivoco tardo-antico fra due parole greche che hanno significato diverso: Chronos, il tempo e Kronos, il padre di Zeus, vecchio e cattivissimo, un mangiabambini, alla lettera.
 
Lascio a voi la riflessione su quanto questa identificazione negativa del Tempo abbia pesato sulla visione di vita di tutto l’Occidente.
 
Per gli antichi Greci, Chronos era una cosa e Kronos tutta un’altra cosa.
 
Kronos, il nostro Saturno, si è mangiato pure Chronos… ed è un bel guaio.









Sono rappresentate due donne, nella parte del dipinto in alto a sinistra.
La simbologia di una delle due, la donna che piange ed urla strappandosi i capelli, è stata sempre chiara, dal Vasari ad oggi, anzi ben prima del Vasari e del Bronzino: è il simbolo della Gelosia disperata, altro inconveniente dell’amore, forse quello che più fa soffrire.

Riguardo la donna più in alto ci sono state molte discussioni; Erwin Panofsky credette di essere arrivato nel giusto definendola come Verità che aiuta il Tempo ad alzare il velo: Veritas filia Temporis, appunto. 
Quindi ritenne che il titolo più appropriato del quadro era: “La lussuria smascherata“. 
Ma ebbe la correttezza di cambiare idea quando osservò che nel quadro c’è una contrapposizione fra questa donna ed il Tempo: si scambiano sguardi irosi e sembra che la donna cerchi più di continuare a coprire col drappo piuttosto che alzarlo. 
Oggi l’interpretazione più diffusa ritiene che questa donna rappresenti la Notte, colei che cela gli amanti ed in cui sembra che il tempo si fermi. 

 
 
 

 

 

Al centro del quadro Cupido e Venere si baciano e si carezzano lascivamente, ma le forme di Cupido hanno ben poco di maschile, sembra un androgino.
 
Qui c’è tutta la cultura neoplatonica di Firenze che tendeva ad una rappresentazione molto simile dei corpi maschili e femminili, lo si vede benissimo dai disegni di Leonardo, Michelangelo e Raffaello.
 
L’aspetto più sorprendente è la gestualità dei due amanti: Venere ha in mano una freccia, Cupido tiene una mano sui capelli di Venere, sino ad arrivare al diadema. 
 
Non possono essere gesti vacui, e l’interpretazione è singolare: entrambi stanno perseguendo la stessa finalità, che è quella di sottrarre qualcosa senza che l’altro se ne accorga.
 
Venere disarma Cupido privandolo della freccia, e Cupido disarma Venere privandola del suo diadema.
 
Entrambi operano in modo nascosto, difatti i loro gesti non possono essere reciprocamente visti.
 
Trovo convincente questa interpretazione, perché dopo che la si è sentita la prima volta non si può fare a meno di vedere la specularità dei due gesti, che sono fra di loro in corrispondenza fraudolenta.



 




Rivediamolo infine un’ultima volta e tutto intero, il quadro,
dopo gli spezzettamenti faticosi della spiegazione.


 

 

 

 


 

Un altro titolo dell’opera, forse più vicino alle intenzioni dell’artista, è “L’Allegoria del Trionfo di Venere”.
 
 
Il quadro è stato eseguito attorno al 1546 e segna la fine del periodo dei manieristi eroici e furiosi: il Parmigianino, il Rosso fiorentino, il Pontormo, i pittori della crisi politica italiana.
 
Due poteri politici assoluti, il Vaticano e la Spagna, hanno vinto, e “la lucida intenzionalità con cui il Bronzino dà forma incorrotta alla materia pittorica, fissando le immagini in una statica e aulica preziosità, si pone come superamento delle inquietudini della precedente generazione manieristica”.
 
E’ “un emblematico riflesso della volontà assolutistica della politica”.
 
Nel tempo succederà altre volte, ancora con grandi artisti: Guido Reni, dopo la tempesta sublime e terrestre del Caravaggio, e Jean Dominique Ingres, dopo la Rivoluzione francese, in piena Restaurazione.
 
Ma se seguiamo Erwin Panofsky, ci accorgiamo di quanta duplicità, ambiguità, insicurezza, ci sia dietro questo trionfo allegorico, ed il Bronzino ne era consapevole, solo che i tempi erano quelli.
 
La scialuppa di salvataggio non è il trionfo, è la consapevolezza, ed il sorriso che ne scaturisce, non ironico né grottesco, è il sorriso di chi ha capito, e va bene così, perché chi se ne accorge già è fuori dal gioco fraudolento della ipocrisia fatta sistema, dei disvalori elevati a valori.
 


Questo può essere il senso catartico del capolavoro del Bronzino.

 

F i n e

 

Testo di Solimano – Impaginazione note e coordinam. di Tony Kospan




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POST VARI ARTE E NON CLASSIFIC,




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La “Primavera” del Botticelli – Ecco chi sono tutti i personaggi ma resta il mistero del suo significato   Leave a comment

 

 

 

 

Un mitico dipinto, molto chiaro, perfino semplice…

ma che tuttavia, secondo lo stile dell’epoca,

nasconde tanti simboli ed il mistero del suo significato.


 “Osserviamolo attentamente e…  da… vicino”.

 

 

 

 

 

L’ENIGMA DELLA PRIMAVERA DEL BOTTICELLI

a cura di Tony Kospan

 
 
STORIA DEL DIPINTO
 

 

Raramente un dipinto che ha un oggetto così chiaro…, come questo…, nasconde invece tanti segreti interpretativi…

 

 

Commissionata al pittore fiorentino intorno al 1478, “La Primavera” è il più celebre dipinto mitologico del Quattrocento, ed è anche una delle creazioni più belle e più misteriose del Rinascimento.

 

 

Ancor oggi, nonostante i tantissimi studi da parte dei più grandi esperti d’arte, ci sfuggono sia la genesi precisa che tutti i suoi veri significati

 

 

Nel 1498, pochi anni dopo la sua realizzazione, adornava il letto del giovane Lorenzo di Piefrancesco de’ Medici, nipote del Magnifico.

 

 

Sessant’anni più tardi, avendola vista nella villa medicea di Castello, Giorgio Vasari ce ne parla in un passo del suo celebre “Le Vite” ed in pratica ci consegna il titolo dell’opera “… un’altra Venere, che le Grazie la fioriscono, dinotando la Primavera: le quali da lui (Botticelli) con grazia si veggono espresse“.

 

 

 

 

AMBIENTAZIONE E PERSONAGGI RAPPRESENTATI

 

 

Nell’opera sono rappresentati 9 personaggi posti in un boschetto ombroso, che si presentano allineati su un prato tappezzato da decine di fiori di vario genere.

 

 

 

 

L’ambientazione ricorda gli arazzi fiamminghi, noti come “millefiori“, all’epoca molto diffusi nelle case aristocratiche fiorentine.

 

L’identità delle nove figure sembra però ormai definitivamente accertata.


 

 

Venere 

 

 

Al centro della composizione c’è Venere (per altri potrebbe essere invece Giunone per la sua posa serena).

 

 

 

 

Accanto a lei le tre Grazie: Talia la prosperità, Eufrosine la gioia e Aglaia lo splendore

 

 

 

 

 

 Sia la dea che le altre figure femminili 

appaiono chiaramente incinte.

 

 


 

 Sulla destra c’è Zefiro, la ninfa Cloris che si trasforma in Flora dalla splendida veste bianca decorata di corolle.


 

 

Cupido

 

 

In alto poi c’è Cupido


 

 

Mercurio 

 

 

e sull’estrema sinistra Mercurio.

 

 

LETTURA DEL DIPINTO

 

Va fatta, contrariamente al solito, da destra verso sinistra.

 

 

Zefiro Cloris e Flora (da dx verso sin)

 

 

Zefiro, vento primaverile agguanta la ninfa Cloris che poi si trasforma in Floradea della Primavera… e dei fiori. 

 

 

 

Flora

 

 

Flora, pur non essendo il personaggio centrale, spicca però per la sua bellezza… e dà anche il nome al dipinto.

 

 

 

 

 

Accanto a Flora, al centro dipinto, la dea Venere (o Giunone) con un atteggiamento sereno saluta con la mano le tre Grazie che danzano in cerchio un ballo dell’epoca coperte solo di veli trasparenti.

.

Dall’alto Cupido alato scocca uno strale infuocato, mentre Mercurio, assorto, volgendo le spalle agli altri personaggi, tocca (indica? disperde?) le nuvole col caduceo (bastone con due serpenti attorcigliati intorno a esso). 



I DUBBI 

 

 

L’aver individuato tutti i soggetti presenti non ha tuttavia risolto la spiegazione del senso complessivo del dipinto ed infatti si è molto discusso sui seguenti punti: 

 

– Qual è il vero significato dell’opera e cosa accomuna le nove figure? 

– Perché la dea e le altre figure femminili sono tutte incinte? 

 

 

 

 

 


ALCUNE TRA LE SPIEGAZIONI PIU’ ACCREDITATE

 

 

Il primo che tentò di risolvere il problema fu lo studioso tedesco Aby Warburg che ipotizzò anche un titolo più preciso per il dipinto “Regno di Venere”. Questo perché appaiono riunite figure mitologiche che generalmente sono associate alla dea, la quale è anche la divinità della primavera.

 

 L’inglese Charles Dempsey, invece, ritenne che il quadro fosse la raffigurazione non solo della stagione primaverile, ma anche dei tre mesi di cui essa è composta: il mese dei venti, marzo, sarebbe simboleggiato da Zefiro-Cloris-Flora; Venere, Cupido e le Grazie alluderebbero ad aprile, il mese dell’amore; mentre Mercurio rappresenterebbe maggio, dato che il nome di tale mese derivò anticamente da quello di Maia, madre di Mercurio.

 

 Altri studiosi hanno cercato figure storiche nascoste sotto i panni mitologici e così sono stati fatti i nomi di dame fiorentine per Flora e le tre Grazie.

 

 Altri ancora hanno ipotizzato spiegazioni di tipo filosofico.

 

 Il critico d’arte tedesco Erwin Panofsky, per esempio, ricordando i diversi tipi di Amore e le relative Veneri del Neoplatonismo, ha contrapposto la Venere celeste raffigurata nella “Nascita di Venere” – altro capolavoro del Botticelli – alla Venere terrena de “La Primavera”.

 

 Lo storico dell’arte austriaco Ernst Gombrich, invece, ha interpretato il quadro come la raffigurazione della Venus-Humanitas, figura che il filosofo Marsilio Ficino raccomandava come guida spirituale in una lettera al giovane Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, probabile destinatario del quadro.

 

 “La Primavera”, dunque, è la visualizzazione di un dogma filosofico?

 

 E’ la rappresentazione di un ideale paradiso umanistico, immerso nella natura e abitato da un’umanità eternamente giovane e bella?

 

 E’ la raffigurazione di un complesso messaggio simbolico?

 

 Oppure rappresenta semplicemente – secondo un’opinione oggi poco seguita – una mascherata di giovani fiorentini in una festa dell’epoca?

 

 Il mistero intorno a questo straordinario dipinto è ancora fitto.


 

 

UNA PERSONALE INTERPRETAZIONE


 

 

Botticelli 

 

 

Riguardandolo ora di nuovo tutto insieme, a mio parere, il dipinto appare in modo evidente un inno al sorgere ed all’affermarsi della Primavera come quella bella stagione che, rompendo le rigidità e le oscurità invernali con il sorgere dei fiori e la rinascita della natura, prepara il trionfo dell’estate.

 

 

 

 

 

 

Nel rappresentar ciò il Botticelli utilizza i simboli della mitologia classica e, a conferma della mia interpretazione, attraverso l’immagine delle donne incinte egli esalta la primavera quale momento di “gestazione della natura” che darà presto tutti i suoi frutti… al sole dell’estate. 

 

 

TONY KOSPAN

 

FONTI: VARI SITI WEB

 

 

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L’Allegoria dell’Amore e del Tempo – L’enigmatica opera del Bronzino ed i suoi segreti – I Parte   Leave a comment






Spesso gli artisti amano nascondere nelle loro opere
pensieri e/o messaggi segreti
che solo pochi poi riescono a individuare e comprendere in modo completo.
Nel periodo Rinascimentale la cosa era molto frequente.

Questo, nella Storia dell’Arte, è proprio uno dei dipinti
più emblematici in tal senso.







In verità ciò, a mio parere, non vuol dire
che bisogna conoscer tutto lo scibile umano
per comprender un’opera d’arte
ma solo che ci possono essere tante “letture”
quante sono le nostre capacità di comprensione
dello spirito e delle idee dell’autore
nonché dell’ambiente reale ed artistico in cui l’opera nasce.



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ALLEGORIA DELL’AMORE E DEL TEMPO

– ARTE E SEGRETI

 

I PARTE

 

 

Agnolo Bronzino


 

In questo post analizzeremo questo famoso dipinto “manierista” che nasconde, dietro la fantastica ed abbagliante bellezza molto, ma davvero molto…, molto altro.
 
Ogni immagine che vediamo nel dipinto infatti non è per nulla casuale… ma ci lancia in modo evidente una serie di messaggi, per la verità non tutti, e non del tutto, decifrati… o decifrabili.
 
Iniziamo dunque, grazie a quest’ampia analisi del Solimano, ricca anche di accenni storici e mitologici, ad approfondire tutto quello che il Bronzino ci vuol dire von questo dipinto.
 
Tony Kospan
 
 
  
 
L’Allegoria dell’Amore e del Tempo – Il dipinto completo
   

 

 
Il quadro più celebre di Agnolo Bronzino è “L’Allegoria dell’Amore e del Tempo“, 

attualmente esposto alla National Gallery di Londra.
 
Fu eseguito attorno al 1546, ed immediatamente mandato da Cosimo, duca di Firenze, 

a Francesco, re di Francia.
 
E’ certamente una allegoria, il titolo che ho riportato è quello più diffuso.
 


Così ne narra il Vasari“Fece un quadro di singolare bellezza, 

che fu mandato in Francia al re Francesco, dentro il quale era una Venere ignuda con Cupido che la baciava, 

ed il Piacere da un lato e il Giuoco con altri Amori, e dall’altro la Fraude, la Gelosia et altre passioni d’amore”.
 

C’è qualche inesattezza, ma è comprensibile, il Vasari scriveva a memoria, 

il quadro era già in Francia da diverso tempo.
 
Se si dovesse scegliere l’emblema del manierismo maturo non c’è alcun dubbio, 

sarebbe questo quadro, considerato da molti un’opera di sensualità affascinante, 

ed il re di Francia lo gradì soprattutto per questo motivo, 

come ben sapeva quella volpe di Cosimo de’ Medici.

 
Ma è proprio così?

 


O, per meglio dire, è solo così?
 
Nel particolare che inserisco si vede un putto bellissimo che va spargendo petali di rose


è il simbolo del Piacere, su questo sono tutti d’accordo, fin dal Vasari, 


ma chi è la fanciulla assai bella – di una bellezza diversa – il cui volto si vede a fianco del putto?


Il grande Erwin Panofsky ha dedicato alcune delle sue pagine più belle a quest’opera.
 
Racconto quale è la sua interpretazione, oggi quasi* (nota di Tony Kospan) universalmente condivisa.


 
 



Il Piacere (partic. by TK)
 
 

La fanciulla il cui bel volto sbuca dietro il putto, è piuttosto strana, 

se si cerca di guardarne il corpo, che in parte si nasconde sempre dietro il putto, 

e non è un caso. 

Perché la bella veste verde che indossa è in parte sollevata, 

ed appare un corpo squamoso, da pesce o da rettile. 

Più in basso, compariranno delle zampe con artigli ed anche una lunga coda. 

In una mano tiene un favo di miele, 

nell’altra cerca di nascondere un piccolo animale venefico.

Non solo, a ben guardare le due mani sono scambiate

la destra è una sinistra, e la sinistra una destra.










Qualche critico, fermandosi alla pelle squamosa, 

ha ritenuto che fosse una Arpia, ma sono le mani, a svelare l’identità: 

la mano cattiva che offre il dono, 

la mano buona che nasconde il veleno:

una duplicità vertiginosa.


E’ la
Frode (anche l’Inganno o l’Ipocrisia, secondo gli iconologi del ’500), 

la cui caratteristica fondamentale è proprio la duplicità: 

per questo il viso è bellissimo ed il corpo orribile, 

per questo le mani sono scambiate, 

per questo non sta in primo piano, ma si nasconde dietro al putto, 

che è il simbolo del Piacere e del Gioco.

Proprio negli anni in cui opera il Bronzino si diffonde il gusto dei labirinti: 

grafici, scolpiti, realizzati nei giardini, 

quasi a significare la perdita di senso, la difficoltà di trovare una risposta univoca: 

la Frode è una moderna Sfinge, più insidiosa di quella che incontrò Edipo.


 


L’inganno – La fanciulla dietro al putto (guardate le mani n.T.K.)

 

 

Se si esamina il particolare in basso a destra del quadro del Bronzino, 

si scoprono altri aspetti di cui alcuni inattesi.

Non lo è il pomo nella mano (splendida!) di Venere

un dono che la dea intende offrire ad Amore o Cupido 

(si badi, è suo figlio, in quasi tutti i miti, e quindi c’è pure il coté incestuoso); 

tiene il pomo in modo che Cupido lo veda 

però con l’altra mano tiene una freccia, che Cupido non può vedere, 

ma di ciò poi.

Si intravedono anche parte delle gambe della dea, 

che è di una bellezza non so dire se divina o diabolica, 

ed il Bronzino a questo voleva portarci, ad una ammirazione tanto forte quanto turbata.




Pomo, Gambe della dea e maschere (partic.)

 

 

Si vede che il putto ha una cavigliera ornata con campanelli, 

un motivo dell’antichità ellenistica che rimanda al Piacere ed al Gioco.

Si intravedono anche le zampe con gli artigli della bella fanciulla

la Frode, e la sua lunga coda, simile, diremmo noi, 

a quella di un enorme serpente a sonagli, 

che presumibilmente il Bronzino non conosceva (ma che strano, sonagli-campanelli!).


– Continua



Autore del testo Solimano – Impaginazione e presentazione di Tony Kospan




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L’Allegoria dell’Amore e del Tempo – La mitica opera del Bronzino ed i suoi segreti – I Parte   Leave a comment






Spesso gli artisti amano nascondere nelle loro opere
pensieri e/o messaggi segreti
che solo pochi poi riescono a individuare e comprendere in modo completo.
Nel periodo Rinascimentale la cosa era molto frequente.

Questo, nella Storia dell’Arte, è proprio uno dei dipinti
più emblematici in tal senso.







In verità ciò, a mio parere, non vuol dire
che bisogna conoscer tutto lo scibile umano
per comprender un’opera d’arte
ma solo che ci possono essere tante “letture”
quante sono le nostre capacità di comprensione
dello spirito e delle idee dell’autore
nonché dell’ambiente reale ed artistico in cui l’opera nasce.



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ALLEGORIA DELL’AMORE E DEL TEMPO

– ARTE E SEGRETI

 

I PARTE

 

 

Agnolo Bronzino


 

In questo post analizzeremo questo famoso dipinto “manierista” che nasconde, dietro la fantastica ed abbagliante bellezza molto, ma davvero molto…, molto altro.
 
Ogni immagine che vediamo nel dipinto infatti non è per nulla casuale… ma ci lancia in modo evidente una serie di messaggi, per la verità non tutti, e non del tutto, decifrati… o decifrabili.
 
Iniziamo dunque, grazie a quest’ampia analisi del Solimano, ricca anche di accenni storici e mitologici, ad approfondire tutto quello che il Bronzino ci vuol dire von questo dipinto.
 
Tony Kospan
 
 
  
 
L’Allegoria dell’Amore e del Tempo – Il dipinto completo
   

 

 
Il quadro più celebre di Agnolo Bronzino è “L’Allegoria dell’Amore e del Tempo“, 

attualmente esposto alla National Gallery di Londra.
 
Fu eseguito attorno al 1546, ed immediatamente mandato da Cosimo, duca di Firenze, 

a Francesco, re di Francia.
 
E’ certamente una allegoria, il titolo che ho riportato è quello più diffuso.
 


Così ne narra il Vasari“Fece un quadro di singolare bellezza, 

che fu mandato in Francia al re Francesco, dentro il quale era una Venere ignuda con Cupido che la baciava, 

ed il Piacere da un lato e il Giuoco con altri Amori, e dall’altro la Fraude, la Gelosia et altre passioni d’amore”.
 

C’è qualche inesattezza, ma è comprensibile, il Vasari scriveva a memoria, 

il quadro era già in Francia da diverso tempo.
 
Se si dovesse scegliere l’emblema del manierismo maturo non c’è alcun dubbio, 

sarebbe questo quadro, considerato da molti un’opera di sensualità affascinante, 

ed il re di Francia lo gradì soprattutto per questo motivo, 

come ben sapeva quella volpe di Cosimo de’ Medici.

 
Ma è proprio così?

 


O, per meglio dire, è solo così?
 
Nel particolare che inserisco si vede un putto bellissimo che va spargendo petali di rose


è il simbolo del Piacere, su questo sono tutti d’accordo, fin dal Vasari, 


ma chi è la fanciulla assai bella – di una bellezza diversa – il cui volto si vede a fianco del putto?


Il grande Erwin Panofsky ha dedicato alcune delle sue pagine più belle a quest’opera.
 
Racconto quale è la sua interpretazione, oggi quasi* (nota di Tony Kospan) universalmente condivisa.


 
 



Il Piacere (partic. by TK)
 
 

La fanciulla il cui bel volto sbuca dietro il putto, è piuttosto strana, 

se si cerca di guardarne il corpo, che in parte si nasconde sempre dietro il putto, 

e non è un caso. 

Perché la bella veste verde che indossa è in parte sollevata, 

ed appare un corpo squamoso, da pesce o da rettile. 

Più in basso, compariranno delle zampe con artigli ed anche una lunga coda. 

In una mano tiene un favo di miele, 

nell’altra cerca di nascondere un piccolo animale venefico.

Non solo, a ben guardare le due mani sono scambiate

la destra è una sinistra, e la sinistra una destra.










Qualche critico, fermandosi alla pelle squamosa, 

ha ritenuto che fosse una Arpia, ma sono le mani, a svelare l’identità: 

la mano cattiva che offre il dono, 

la mano buona che nasconde il veleno:

una duplicità vertiginosa.


E’ la
Frode (anche l’Inganno o l’Ipocrisia, secondo gli iconologi del ’500), 

la cui caratteristica fondamentale è proprio la duplicità: 

per questo il viso è bellissimo ed il corpo orribile, 

per questo le mani sono scambiate, 

per questo non sta in primo piano, ma si nasconde dietro al putto, 

che è il simbolo del Piacere e del Gioco.

Proprio negli anni in cui opera il Bronzino si diffonde il gusto dei labirinti: 

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quasi a significare la perdita di senso, la difficoltà di trovare una risposta univoca: 

la Frode è una moderna Sfinge, più insidiosa di quella che incontrò Edipo.


 


L’inganno – La fanciulla dietro al putto (guardate le mani n.T.K.)

 

 

Se si esamina il particolare in basso a destra del quadro del Bronzino, 

si scoprono altri aspetti di cui alcuni inattesi.

Non lo è il pomo nella mano (splendida!) di Venere

un dono che la dea intende offrire ad Amore o Cupido 

(si badi, è suo figlio, in quasi tutti i miti, e quindi c’è pure il coté incestuoso); 

tiene il pomo in modo che Cupido lo veda 

però con l’altra mano tiene una freccia, che Cupido non può vedere, 

ma di ciò poi.

Si intravedono anche parte delle gambe della dea, 

che è di una bellezza non so dire se divina o diabolica, 

ed il Bronzino a questo voleva portarci, ad una ammirazione tanto forte quanto turbata.




Pomo, Gambe della dea e maschere (partic.)

 

 

Si vede che il putto ha una cavigliera ornata con campanelli, 

un motivo dell’antichità ellenistica che rimanda al Piacere ed al Gioco.

Si intravedono anche le zampe con gli artigli della bella fanciulla

la Frode, e la sua lunga coda, simile, diremmo noi, 

a quella di un enorme serpente a sonagli, 

che presumibilmente il Bronzino non conosceva (ma che strano, sonagli-campanelli!).


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