Ma soprattutto si vedono due maschere, una giovane donna ed un uomo anziano che ha l’aria trista (triste+cattiva).
Le maschere, dice Erwin Panofsky, da sempre simboleggiano “la mondanità, l’insincerità e la falsità”.
Un raccordo con la Frode (la fanciulla), ma anche con il Piacere ed il Gioco (il putto).
Tutto continua ad essere chiaro ed ambiguo, duplice.
Nel particolare qui sotto del quadro del Bronzino, si vedono in parte i corpi bellissimi dei due amanti, Venere e Cupido, e continuano a comparire dei simboli, dei sublimi feticci.
Ambiguamente, il voyeurismo si nasconde dietro il significato morale e viceversa.
Proprio nell’angolo in basso si vede una colomba, ma poi se si guarda bene, si vede anche spuntare il becco e la testa di un’altra colomba.
“Tubare come colombi” si dice ancor oggi, ed Erwin Panofsky scrive che era un simbolo usuale di “tenera sollecitudine”, a cui è da aggiungere che le coppie di colombi sono note per la monogamia.
Il contesto non sembra quello, considerando il cuscino evidentemente morbidissimo sotto le ginocchia di Cupido, oggetto piuttosto raro allora.
Ancora oggi parliamo dei cuscini in “piumino d’oca” proprio per intendere che la morbidezza è il primo requisito del cuscino, che è un simbolo di lascivia e di mollezza.
“I Racconti del Cuscino” è il titolo di un film pregevole ed originale di Peter Greenaway, l’autore de “I misteri dei Giardini di Compton House”.
Il tema ricorrente di Greenaway è una acuta indagine sull’erotismo, un po’ quello che fa il Bronzino qui.
Dietro Cupido, si intravedono le foglie di un mirto, simbolo classico dell’amore.
Ma il corpo di Cupido, è maschile o femminile?
Ci tornerò alla fine.
In alto c’è un vecchio assai vigoroso, attento e lucidamente iracondo, la testa pelata ed una strana barba assai folta, dove c’è. I baffi spioventi gli coprono le labbra.
Ancora più in alto si vede un’ala biancastra e, vicino alla testa del vecchio, si intravede parte di una clessidra.
Corrisponde con la colomba nell’angolo opposto, quella di cui si vede solo il becco e la testa – il Bronzino era assai lucido nell’organizzare, nel pesare la rappresentazione, ed in questo caso si tratta musicalmente di due note in minore, ma indispensabili. Questo vecchio è il simbolo del tempo, lo comprendono tutti, ma è bene porsi due domande, una particolare, ed una generale.
Che cosa sta facendo il tempo, anzi il Tempo?
Il tempo
Sta tirando in alto un drappo, una specie di grande tenda, sta svelando il quadro, con tutti i suoi significati e la loro ambiguità che, per il fatto stesso che ce ne accorgiamo, non c’è più, perché “Veritas filia Temporis”.
Perché il Tempo è vecchio? Una domanda ovvia, ma solo in apparenza.
Parrà strano, ma nella antichità classica il Tempo non era rappresentato come un vecchio, non c’era questa attenzione all’età del Tempo, anzi, spesso era rappresentato come un giovane con le ali ai piedi: Kairòs, l’Opportunità, che passa veloce e la devi cogliere subito, difatti aveva un gran ciuffo davanti e la nuca rasata.
Il Tempo è rappresentato come un vecchio per l’equivoco tardo-antico fra due parole greche che hanno significato diverso: Chronos, il tempo e Kronos, il padre di Zeus, vecchio e cattivissimo, un mangiabambini, alla lettera.
Lascio a voi la riflessione su quanto questa identificazione negativa del Tempo abbia pesato sulla visione di vita di tutto l’Occidente.
Per gli antichi Greci, Chronos era una cosa e Kronos tutta un’altra cosa.
Kronos, il nostro Saturno, si è mangiato pure Chronos… ed è un bel guaio.
Sono rappresentate due donne,nella parte del dipinto in alto a sinistra.
La simbologia di una delle due, la donna che piange ed urla strappandosi i capelli, è stata sempre chiara, dal Vasari ad oggi, anzi ben prima del Vasari e del Bronzino: è il simbolo della Gelosia disperata, altro inconveniente dell’amore, forse quello che più fa soffrire.
Riguardo la donna più in alto ci sono state molte discussioni; Erwin Panofsky credette di essere arrivato nel giusto definendola come Verità che aiuta il Tempo ad alzare il velo: Veritas filia Temporis, appunto.
Quindi ritenne che il titolo più appropriato del quadro era: “La lussuria smascherata“.
Ma ebbe la correttezza di cambiare idea quando osservò che nel quadro c’è una contrapposizione fra questa donna ed il Tempo: si scambiano sguardi irosi e sembra che la donna cerchi più di continuare a coprire col drappo piuttosto che alzarlo.
Oggi l’interpretazione più diffusa ritiene che questa donna rappresenti la Notte, colei che cela gli amanti ed in cui sembra che il tempo si fermi.
Al centro del quadro Cupido e Venere si baciano e si carezzano lascivamente, ma le forme di Cupido hanno ben poco di maschile, sembra un androgino.
Qui c’è tutta la cultura neoplatonica di Firenze che tendeva ad una rappresentazione molto simile dei corpi maschili e femminili, lo si vede benissimo dai disegni di Leonardo, Michelangelo e Raffaello.
L’aspetto più sorprendente è la gestualità dei due amanti: Venere ha in mano una freccia, Cupido tiene una mano sui capelli di Venere, sino ad arrivare al diadema.
Non possono essere gesti vacui, e l’interpretazione è singolare: entrambi stanno perseguendo la stessa finalità, che è quella di sottrarre qualcosa senza che l’altro se ne accorga.
Venere disarma Cupido privandolo della freccia, e Cupido disarma Venere privandola del suo diadema.
Entrambi operano in modo nascosto, difatti i loro gesti non possono essere reciprocamente visti.
Trovo convincente questa interpretazione, perché dopo che la si è sentita la prima volta non si può fare a meno di vedere la specularità dei due gesti, che sono fra di loro in corrispondenza fraudolenta.
Rivediamolo infine un’ultima volta e tutto intero, il quadro,
dopo gli spezzettamenti faticosi della spiegazione.
Un altro titolo dell’opera, forse più vicino alle intenzioni dell’artista, è “L’Allegoria del Trionfo di Venere”.
Il quadro è stato eseguito attorno al 1546 e segna la fine del periodo dei manieristi eroici e furiosi: il Parmigianino, il Rosso fiorentino, il Pontormo, i pittori della crisi politica italiana.
Due poteri politici assoluti, il Vaticano e la Spagna, hanno vinto, e “la lucida intenzionalità con cui il Bronzino dà forma incorrotta alla materia pittorica, fissando le immagini in una statica e aulica preziosità, si pone come superamento delle inquietudini della precedente generazione manieristica”.
E’ “un emblematico riflesso della volontà assolutistica della politica”.
Nel tempo succederà altre volte, ancora con grandi artisti: Guido Reni, dopo la tempesta sublime e terrestre del Caravaggio, e Jean Dominique Ingres, dopo la Rivoluzione francese, in piena Restaurazione.
Ma se seguiamo Erwin Panofsky, ci accorgiamo di quanta duplicità, ambiguità, insicurezza, ci sia dietro questo trionfo allegorico, ed il Bronzino ne era consapevole, solo che i tempi erano quelli.
La scialuppa di salvataggio non è il trionfo, è la consapevolezza, ed il sorriso che ne scaturisce, non ironico né grottesco, è il sorriso di chi ha capito, e va bene così, perché chi se ne accorge già è fuori dal gioco fraudolento della ipocrisia fatta sistema, dei disvalori elevati a valori.
Questo può essere il senso catartico del capolavoro del Bronzino.
F i n e
Testo di Solimano – Impaginazione note e coordinam. di Tony Kospan
Un mitico dipinto, molto chiaro, perfino semplice…
ma che tuttavia, secondo lo stile dell’epoca,
nasconde tanti simboli ed il mistero del suo significato.
“Osserviamolo attentamente e… da… vicino”.
L’ENIGMA DELLA PRIMAVERA DEL BOTTICELLI
a cura di Tony Kospan
STORIA DEL DIPINTO
Raramente un dipinto che ha un oggetto così chiaro…, come questo…, nasconde invece tanti segreti interpretativi…
Commissionata al pittore fiorentino intorno al 1478, “La Primavera” è il più celebre dipinto mitologico del Quattrocento, ed è anche una delle creazioni più belle e più misteriose del Rinascimento.
Ancor oggi, nonostante i tantissimi studi da parte dei più grandi esperti d’arte, ci sfuggono sia la genesi precisa che tutti i suoi veri significati
Nel 1498, pochi anni dopo la sua realizzazione, adornava il letto del giovane Lorenzo di Piefrancesco de’ Medici, nipote del Magnifico.
Sessant’anni più tardi, avendola vista nella villa medicea di Castello, Giorgio Vasari ce ne parla in un passo del suo celebre “Le Vite” ed in pratica ci consegna il titolo dell’opera “… un’altra Venere, che le Grazie la fioriscono, dinotando la Primavera: le quali da lui (Botticelli) con grazia si veggono espresse“.
AMBIENTAZIONE E PERSONAGGI RAPPRESENTATI
Nell’opera sono rappresentati 9 personaggi posti in un boschetto ombroso, che si presentano allineati su un prato tappezzato da decine di fiori di vario genere.
L’ambientazione ricorda gli arazzi fiamminghi, noti come “millefiori“, all’epoca molto diffusi nelle case aristocratiche fiorentine.
L’identità delle nove figure sembra però ormai definitivamente accertata.
Venere
Al centro della composizione c’è Venere (per altri potrebbe essere invece Giunone per la sua posa serena).
Accanto a lei le tre Grazie: Talia la prosperità, Eufrosine la gioia e Aglaia lo splendore
Sia la dea che le altre figure femminili
appaiono chiaramente incinte.
Sulla destra c’è Zefiro, la ninfa Cloris che si trasforma in Flora dalla splendida veste bianca decorata di corolle.
Cupido
In alto poi c’è Cupido
Mercurio
e sull’estrema sinistra Mercurio.
LETTURA DEL DIPINTO
Va fatta, contrariamente al solito, da destra verso sinistra.
Zefiro Cloris e Flora (da dx verso sin)
Zefiro, vento primaverile agguanta la ninfa Cloris che poi si trasforma in Flora… dea della Primavera… e dei fiori.
Flora
Flora, pur non essendo il personaggio centrale, spicca però per la sua bellezza… e dà anche il nome al dipinto.
Accanto a Flora, al centro dipinto, la dea Venere (o Giunone) con un atteggiamento sereno saluta con la mano le tre Grazie che danzano in cerchio un ballo dell’epoca coperte solo di veli trasparenti.
.
Dall’alto Cupido alato scocca uno strale infuocato, mentre Mercurio, assorto, volgendo le spalle agli altri personaggi, tocca (indica? disperde?) le nuvole col caduceo (bastone con due serpenti attorcigliati intorno a esso).
I DUBBI
L’aver individuato tutti i soggetti presenti non ha tuttavia risolto la spiegazione del senso complessivo del dipinto ed infatti si è molto discusso sui seguenti punti:
– Qual è il vero significato dell’opera e cosa accomuna le nove figure?
– Perché la dea e le altre figure femminili sono tutte incinte?
ALCUNE TRA LE SPIEGAZIONI PIU’ ACCREDITATE
Il primo che tentò di risolvere il problema fu lo studioso tedesco Aby Warburg che ipotizzò anche un titolo più preciso per il dipinto “Regno di Venere”. Questo perché appaiono riunite figure mitologiche che generalmente sono associate alla dea, la quale è anche la divinità della primavera.
L’inglese Charles Dempsey, invece, ritenne che il quadro fosse la raffigurazione non solo della stagione primaverile, ma anche dei tre mesi di cui essa è composta: il mese dei venti, marzo, sarebbe simboleggiato da Zefiro-Cloris-Flora; Venere, Cupido e le Grazie alluderebbero ad aprile, il mese dell’amore; mentre Mercurio rappresenterebbe maggio, dato che il nome di tale mese derivò anticamente da quello di Maia, madre di Mercurio.
Altri studiosi hanno cercato figure storiche nascoste sotto i panni mitologici e così sono stati fatti i nomi di dame fiorentine per Flora e le tre Grazie.
Altri ancora hanno ipotizzato spiegazioni di tipo filosofico.
Il critico d’arte tedesco Erwin Panofsky, per esempio, ricordando i diversi tipi di Amore e le relative Veneri del Neoplatonismo, ha contrapposto la Venere celeste raffigurata nella “Nascita di Venere” – altro capolavoro del Botticelli – alla Venere terrena de “La Primavera”.
Lo storico dell’arte austriaco Ernst Gombrich, invece, ha interpretato il quadro come la raffigurazione della Venus-Humanitas, figura che il filosofo Marsilio Ficino raccomandava come guida spirituale in una lettera al giovane Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, probabile destinatario del quadro.
“La Primavera”, dunque, è la visualizzazione di un dogma filosofico?
E’ la rappresentazione di un ideale paradiso umanistico, immerso nella natura e abitato da un’umanità eternamente giovane e bella?
E’ la raffigurazione di un complesso messaggio simbolico?
Oppure rappresenta semplicemente – secondo un’opinione oggi poco seguita – una mascherata di giovani fiorentini in una festa dell’epoca?
Il mistero intorno a questo straordinario dipinto è ancora fitto.
UNA PERSONALE INTERPRETAZIONE
Botticelli
Riguardandolo ora di nuovo tutto insieme, a mio parere, il dipinto appare in modo evidente un inno al sorgere ed all’affermarsi della Primavera come quella bella stagione che, rompendo le rigidità e le oscurità invernali con il sorgere dei fiori e la rinascita della natura, prepara il trionfo dell’estate.
Nel rappresentar ciò il Botticelli utilizza i simboli della mitologia classica e, a conferma della mia interpretazione, attraverso l’immagine delle donne incinte egli esalta la primavera quale momento di “gestazione della natura” che darà presto tutti i suoi frutti… al sole dell’estate.
Spesso gli artisti amano nascondere nelle loro opere
pensieri e/o messaggi segreti
che solo pochi poi riescono a individuare e comprendere in modo completo.
Nel periodo Rinascimentale la cosa era molto frequente.
Questo, nella Storia dell’Arte, è proprio uno dei dipinti
più emblematici in tal senso.
In verità ciò, a mio parere, non vuol dire
che bisogna conoscer tutto lo scibile umano
per comprender un’opera d’arte
ma solo che ci possono essere tante “letture”
quante sono le nostre capacità di comprensione
dello spirito e delle idee dell’autore
nonché dell’ambiente reale ed artistico in cui l’opera nasce.
ALLEGORIA DELL’AMORE E DEL TEMPO
– ARTE E SEGRETI –
I PARTE
Agnolo Bronzino
In questo post analizzeremo questo famoso dipinto “manierista” che nasconde, dietro la fantastica ed abbagliante bellezza molto, ma davvero molto…, molto altro.
Ogni immagine che vediamo nel dipinto infatti non è per nulla casuale… ma ci lancia in modo evidente una serie di messaggi, per la verità non tutti, e non del tutto, decifrati… o decifrabili.
Iniziamo dunque, grazie a quest’ampia analisi del Solimano, ricca anche di accenni storici e mitologici, ad approfondire tutto quello che il Bronzino ci vuol dire von questo dipinto.
Tony Kospan
L’Allegoria dell’Amore e del Tempo – Il dipinto completo
Il quadro più celebre diAgnolo Bronzino è “L’Allegoria dell’Amore e del Tempo“,
attualmente esposto alla National Gallery di Londra.
Fu eseguito attorno al 1546, ed immediatamente mandato da Cosimo, duca di Firenze,
a Francesco, re di Francia.
E’ certamente una allegoria, il titolo che ho riportato è quello più diffuso.
Così ne narra il Vasari: “Fece un quadro di singolare bellezza,
che fu mandato in Francia al re Francesco, dentro il quale era una Venere ignuda con Cupido che la baciava,
ed il Piacere da un lato e il Giuoco con altri Amori, e dall’altro la Fraude, la Gelosia et altre passioni d’amore”.
C’è qualche inesattezza, ma è comprensibile, il Vasari scriveva a memoria,
il quadro era già in Francia da diverso tempo.
Se si dovesse scegliere l’emblema del manierismo maturo non c’è alcun dubbio,
sarebbe questo quadro, considerato da molti un’opera di sensualità affascinante,
ed il re di Francia lo gradì soprattutto per questo motivo,
come ben sapeva quella volpe di Cosimo de’ Medici.
Ma è proprio così?
O, per meglio dire, è solo così?
Nel particolare che inserisco si vede un putto bellissimo che va spargendo petali di rose:
è il simbolo del Piacere, su questo sono tutti d’accordo, fin dal Vasari,
ma chi è la fanciulla assai bella – di una bellezza diversa – il cui volto si vede a fianco del putto?
Il grande Erwin Panofsky ha dedicato alcune delle sue pagine più belle a quest’opera.
Racconto quale è la sua interpretazione, oggi quasi*(nota di Tony Kospan) universalmente condivisa.
Il Piacere(partic. by TK)
La fanciulla il cui bel volto sbuca dietro il putto, è piuttosto strana,
se si cerca di guardarne il corpo, che in parte si nasconde sempre dietro il putto,
e non è un caso.
Perché la bella veste verde che indossa è in parte sollevata,
ed appare un corpo squamoso, da pesce o da rettile.
Più in basso, compariranno delle zampe con artigli ed anche una lunga coda.
In una mano tiene un favo di miele,
nell’altra cerca di nascondere un piccolo animale venefico.
Non solo, a ben guardare le due mani sono scambiate:
la destra è una sinistra, e la sinistra una destra.
Qualche critico, fermandosi alla pelle squamosa,
ha ritenuto che fosse una Arpia, ma sono le mani, a svelare l’identità:
la mano cattiva che offre il dono,
la mano buona che nasconde il veleno:
una duplicità vertiginosa.
E’ la Frode (anche l’Inganno o l’Ipocrisia, secondo gli iconologi del ’500),
la cui caratteristica fondamentale è proprio la duplicità:
per questo il viso è bellissimo ed il corpo orribile,
per questo le mani sono scambiate,
per questo non sta in primo piano, ma si nasconde dietro al putto,
che è il simbolo del Piacere e del Gioco.
Proprio negli anni in cui opera il Bronzino si diffonde il gusto dei labirinti:
grafici, scolpiti, realizzati nei giardini,
quasi a significare la perdita di senso, la difficoltà di trovare una risposta univoca:
la Frode è una moderna Sfinge, più insidiosa di quella che incontrò Edipo.
L’inganno – La fanciulla dietro al putto (guardate le mani n.T.K.)
Se si esamina il particolare in basso a destra del quadro del Bronzino,
si scoprono altri aspetti di cui alcuni inattesi.
Non lo è il pomo nella mano (splendida!) di Venere,
un dono che la dea intende offrire ad Amore o Cupido
(si badi, è suo figlio, in quasi tutti i miti, e quindi c’è pure il coté incestuoso);
tiene il pomo in modo che Cupido lo veda
– però con l’altra mano tiene una freccia, che Cupido non può vedere,
ma di ciò poi.
Si intravedono anche parte delle gambe della dea,
che è di una bellezza non so dire se divina o diabolica,
ed il Bronzino a questo voleva portarci, ad una ammirazione tanto forte quanto turbata.
Pomo, Gambe della dea e maschere (partic.)
Si vede che il putto ha una cavigliera ornata con campanelli,
un motivo dell’antichità ellenistica che rimanda al Piacere ed al Gioco.
Si intravedono anche le zampe con gli artigli della bella fanciulla,
la Frode,e la sua lunga coda, simile, diremmo noi,
a quella di un enorme serpente a sonagli,
che presumibilmente il Bronzino non conosceva (ma che strano, sonagli-campanelli!).
– Continua –
Autore del testo Solimano – Impaginazione e presentazione di Tony Kospan
Spesso gli artisti amano nascondere nelle loro opere
pensieri e/o messaggi segreti
che solo pochi poi riescono a individuare e comprendere in modo completo.
Nel periodo Rinascimentale la cosa era molto frequente.
Questo, nella Storia dell’Arte, è proprio uno dei dipinti
più emblematici in tal senso.
In verità ciò, a mio parere, non vuol dire
che bisogna conoscer tutto lo scibile umano
per comprender un’opera d’arte
ma solo che ci possono essere tante “letture”
quante sono le nostre capacità di comprensione
dello spirito e delle idee dell’autore
nonché dell’ambiente reale ed artistico in cui l’opera nasce.
ALLEGORIA DELL’AMORE E DEL TEMPO
– ARTE E SEGRETI –
I PARTE
Agnolo Bronzino
In questo post analizzeremo questo famoso dipinto “manierista” che nasconde, dietro la fantastica ed abbagliante bellezza molto, ma davvero molto…, molto altro.
Ogni immagine che vediamo nel dipinto infatti non è per nulla casuale… ma ci lancia in modo evidente una serie di messaggi, per la verità non tutti, e non del tutto, decifrati… o decifrabili.
Iniziamo dunque, grazie a quest’ampia analisi del Solimano, ricca anche di accenni storici e mitologici, ad approfondire tutto quello che il Bronzino ci vuol dire von questo dipinto.
Tony Kospan
L’Allegoria dell’Amore e del Tempo – Il dipinto completo
Il quadro più celebre diAgnolo Bronzino è “L’Allegoria dell’Amore e del Tempo“,
attualmente esposto alla National Gallery di Londra.
Fu eseguito attorno al 1546, ed immediatamente mandato da Cosimo, duca di Firenze,
a Francesco, re di Francia.
E’ certamente una allegoria, il titolo che ho riportato è quello più diffuso.
Così ne narra il Vasari: “Fece un quadro di singolare bellezza,
che fu mandato in Francia al re Francesco, dentro il quale era una Venere ignuda con Cupido che la baciava,
ed il Piacere da un lato e il Giuoco con altri Amori, e dall’altro la Fraude, la Gelosia et altre passioni d’amore”.
C’è qualche inesattezza, ma è comprensibile, il Vasari scriveva a memoria,
il quadro era già in Francia da diverso tempo.
Se si dovesse scegliere l’emblema del manierismo maturo non c’è alcun dubbio,
sarebbe questo quadro, considerato da molti un’opera di sensualità affascinante,
ed il re di Francia lo gradì soprattutto per questo motivo,
come ben sapeva quella volpe di Cosimo de’ Medici.
Ma è proprio così?
O, per meglio dire, è solo così?
Nel particolare che inserisco si vede un putto bellissimo che va spargendo petali di rose:
è il simbolo del Piacere, su questo sono tutti d’accordo, fin dal Vasari,
ma chi è la fanciulla assai bella – di una bellezza diversa – il cui volto si vede a fianco del putto?
Il grande Erwin Panofsky ha dedicato alcune delle sue pagine più belle a quest’opera.
Racconto quale è la sua interpretazione, oggi quasi*(nota di Tony Kospan) universalmente condivisa.
Il Piacere(partic. by TK)
La fanciulla il cui bel volto sbuca dietro il putto, è piuttosto strana,
se si cerca di guardarne il corpo, che in parte si nasconde sempre dietro il putto,
e non è un caso.
Perché la bella veste verde che indossa è in parte sollevata,
ed appare un corpo squamoso, da pesce o da rettile.
Più in basso, compariranno delle zampe con artigli ed anche una lunga coda.
In una mano tiene un favo di miele,
nell’altra cerca di nascondere un piccolo animale venefico.
Non solo, a ben guardare le due mani sono scambiate:
la destra è una sinistra, e la sinistra una destra.
Qualche critico, fermandosi alla pelle squamosa,
ha ritenuto che fosse una Arpia, ma sono le mani, a svelare l’identità:
la mano cattiva che offre il dono,
la mano buona che nasconde il veleno:
una duplicità vertiginosa.
E’ la Frode (anche l’Inganno o l’Ipocrisia, secondo gli iconologi del ’500),
la cui caratteristica fondamentale è proprio la duplicità:
per questo il viso è bellissimo ed il corpo orribile,
per questo le mani sono scambiate,
per questo non sta in primo piano, ma si nasconde dietro al putto,
che è il simbolo del Piacere e del Gioco.
Proprio negli anni in cui opera il Bronzino si diffonde il gusto dei labirinti:
grafici, scolpiti, realizzati nei giardini,
quasi a significare la perdita di senso, la difficoltà di trovare una risposta univoca:
la Frode è una moderna Sfinge, più insidiosa di quella che incontrò Edipo.
L’inganno – La fanciulla dietro al putto (guardate le mani n.T.K.)
Se si esamina il particolare in basso a destra del quadro del Bronzino,
si scoprono altri aspetti di cui alcuni inattesi.
Non lo è il pomo nella mano (splendida!) di Venere,
un dono che la dea intende offrire ad Amore o Cupido
(si badi, è suo figlio, in quasi tutti i miti, e quindi c’è pure il coté incestuoso);
tiene il pomo in modo che Cupido lo veda
– però con l’altra mano tiene una freccia, che Cupido non può vedere,
ma di ciò poi.
Si intravedono anche parte delle gambe della dea,
che è di una bellezza non so dire se divina o diabolica,
ed il Bronzino a questo voleva portarci, ad una ammirazione tanto forte quanto turbata.
Pomo, Gambe della dea e maschere (partic.)
Si vede che il putto ha una cavigliera ornata con campanelli,
un motivo dell’antichità ellenistica che rimanda al Piacere ed al Gioco.
Si intravedono anche le zampe con gli artigli della bella fanciulla,
la Frode,e la sua lunga coda, simile, diremmo noi,
a quella di un enorme serpente a sonagli,
che presumibilmente il Bronzino non conosceva (ma che strano, sonagli-campanelli!).
– Continua –
Autore del testo Solimano – Impaginazione e presentazione di Tony Kospan
Madonna con Bambino tra i santi Caterina d’Alessandria e Tommaso – 1530
Per comprendere quanto si diceva nella 1° parte del post
e cioè il suo diverso modo di interpretare la vita e la pittura,
rispetto ai conformismi dell’epoca,
può essere davvero emblematica l’analisi dal sito “Strange art”
dell’ Elemosina di Sant’Antonino.
Ritratto di orefice in 3 posizioni
LORENZO LOTTO
IL GENIO INQUIETO
II PARTE
Trionfo della castità
Consiglio davvero di leggerla con attenzione
perché potremo notare cose davvero sorprendenti
che ad una prima vista possono sfuggire.
Cristo e l’adultera
L’ELEMOSINA DI SANT’ANTONINO
ANALISI DEL DIPINTO
Dal sito “Strange art”
L’elemosina di Sant’Antonino di Lorenzo Lotto rappresenta un tema che dovrebbe, dico dovrebbe, esaltare la bontà di un santo, la sua capacità di assistere i deboli e gli ultimi, il suo grande cuore e il suo amore per il prossimo.
Guardando con attenzione però il dipinto di Lorenzo Lotto non posso fare a meno di vedere un certo disincanto, quantomeno una certa ironia nel raffigurare il santo dedito appunto all’elemosina.
Più che un atto d’amore il dipinto sembra raffigurare un apparato in cui il santo vescovo è solo un grigio burocrate che decide chi aiutare e chi no.
Proviamo a leggere l’opera partendo dalla parte bassa a destra (percorso di lettura anomalo ma illuminante).
I poveri e i bisognosi consegnano le loro suppliche e le loro richieste al chierico che le raccoglie: notiamo il tocco realistico dell’uomo che mentre parla con una donna sotto di lui, fa cenno con la mano di aspettare a qualcuno al di fuori del quadro che richiama la sua attenzione.
Sant’Antonino è seduto più in alto in trono e legge le carte che gli passano i due chierici.
Il suo aspetto dimesso ed annoiato trasmette l’idea di una routine quotidiana, di una cosa fatta senza passione alcuna.
Due angeli parlano nelle orecchie a Sant’Antonino e gli suggeriscono le decisioni da prendere e a chi dare l’elemosina.
Il chierico più in basso infine esegue gli ordini del suo vescovo e distribuisce i soldi alle persone da lui indicate.
Tutto funziona come un meccanismo, come una macchina per le elemosina e non c’è spazio per le emozioni.
Siamo quindi di fronte ancora una volta ad un dipinto in cui il tema iconografico viene sviluppato dall’artista in modo parzialmente – o totalmente a seconda dei casi – contrastante rispetto alle intenzioni della committenza.
Concludo questo breve discorso su Lorenzo Lotto
mostrando 2 sue famose pale
e con un’analisi complessiva sulla sua arte.
Pala di Santa Cristina
Crocifissione
VISIONE CRITICA DELL’ARTE DI LORENZO LOTTO
Raramente un artista sente la creazione come totale impegno interiore, così come il Lotto.
Uomo indubbiamente colto — e soprattutto nelle cose di religione — il suo racconto non è soltanto fatto illustrativo, ma evento vissuto totalmente, come fenomeno della coscienza.
La sua arte solo raramente è contemplativa, essendo invece inquieta ed inquietante : tale, ossia, da non permetterne una visione distaccata, ma invece da provocare un colloquio che rimane aperto, oggi ancora, fra l’artista e noi stessi.
Voglio intendere che la sua pittura non chiede, per poterci entrare, un passaporto qualsiasi: neppure il nostro adeguarsi alla coscienza estetica del tempo. Essa ci viene incontro da sola, ci turba la serenità, ci pone dei problemi che sono vivi ed attuali.
La sua arte è azione interiore, è impegno morale, senza soluzione temporale.
P. Zampetti – Lorenzo Lotto – Libro di spese diverse
Uno dei pittori più affascinanti e complessi del Rinascimento italiano
e dallo stile orgogliosamente unico.
Per la sua estrema sensibilità e inquietudine caratteriale,
nonché per la vita errabonda, è stato anche definito “(pre)romantico”.
Lorenzo Lotto nacque intorno al 1480 a Venezia, da una famiglia legata al ceto mercantile.
Nel periodo che va dal 1498 al 1503, Lotto ebbe probabilmente modo di meditare sulla pittura di Giovanni Bellini, Alvise Vivarini e Antonello da Messina, i più autorevoli artisti attivi a Venezia.
Esordì in provincia nelle Marche e a Treviso, dove la sua presenza è ampiamente documentata tra il 1503 e il 1506.
In questi anni è ipotizzato un contatto con Dürer che si trovava a Venezia nel 1505.
Del 1503 è la bellissima “Madonna con il Bambino, San Pietro Martire e un donatore”, attualmente al Museo di Capodimonte a Napoli.
La sua presenza in provincia è documentata da due splendide pale, una nella chiesa parrocchiale di Santa Cristina a Treviso, l’altra nel battistero di Asolo.
Dopo un soggiorno a Roma nel 1509 dove dovette lavorare per papa Giulio II collaborando alla decorazione degli appartamenti vaticani, dal 1513 Lotto si trasferì a Bergamo, chiamato da Alessandro Martinego Colleoni per il quale eseguì la pala nella chiesa di San Bartolomeo.
Qui Lotto iniziò una brillante attività, dominando la scena artistica fino a tutto il 1525, ricevendo numerose commissioni da chiese e privati, e cimentandosi per la prima volta nell’affresco.
Giovanni della Volta con moglie e figlio
In quel momento Lotto elaborò un linguaggio del tutto personale, indirizzandosi verso un naturalismo narrativo individuabile in opere come: la “Madonna e Santi” nella chiesa di Santo Spirito, le “Nozze Mistiche di Santa Caterina” all’Accademia Carrara e le “Storie di Santa Barbara” nella cappella Suardi a Trescore.
Ritratto di giovane uomo
Rientrato a Venezia nel 1525 cercò di affermarsi anche in patria, senza però riuscirci a causa della presenza di Tiziano che dominava il panorama artistico locale.
Nel 1533 trasferì la sua attività da Venezia nell’area di Recanati e Jesi.
Qui dipinge la cappella de li Signori del Palazzo dei Priori.
Nel 1539 firma e data la Pala del Rosario per la chiesa di S. Domenico a Cingoli.
Nel 1550 organizza ad Ancona una lotteria di 16 dei suoi quadri e dei trenta cartoni colorati delle tarsie di Bergamo.
Nel 1552 a Loreto viene nominato pittore della Santa Casa.
Nel 1554 entrò nella Santa Casa come oblato e dove si spense probabilmente intorno al 1556 all’età di 77 anni (dal web).
La Sacra Famiglia con S. Anna e San Girolamo
LORENZO LOTTO VISTO DA ARGAN
Quale migliore inizio di analisi dell’opera di questo autore
se non partendo dal grande critico d’arte Giulio Carlo Argan?
Venere e Cupido
« una persona che si incontra e con cui si parla e ci si intende. All’opposto di quelli di Tiziano, i ritratti del Lotto sono i primi ritratti psicologici: e non sono, naturalmente, ritratti di imperatori e di papi, ma di gente della piccola nobiltà o della buona borghesia, o di artisti, letterati, ecclesiastici. La grande scoperta, che fa la modernità del Lotto, è appunto quella del ritratto come dialogo, scambio di confidenza e di simpatia, tra un sé e un altro: per questo i ritratti lotteschi sono testimonianze autentiche e attendibili, anche se la descrizione fisionomica non è più minuziosa e precisa che nei ritratti di Tiziano. Non lo è perché all’artista non interessa fissare il personaggio come obbiettivamente è, ma come è nel momento e nell’atto in cui si qualifica, si rivolge a un altro, si prepara a uno schietto rapporto umano. Non dice: ammirami, io sono il re, il papa, il doge, sono al centro del mondo; ma dice: così sono fatto dentro, questi sono i motivi della mia malinconia o della mia fede, o della mia simpatia verso gli altri.Nel ritratto-dialogo, l’attitudine del pittore è quella di un confessore, dell’interlocutore che pone le domande, interpreta le risposte […] e la bellezza che fa irradiare, come una luce interna, dalle sue figure, non è un bello naturale né, a rigore, un bello spirituale o morale, ma semplicemente un bello interiore tradito, più che rivelato, da uno sguardo, da un sorriso, dalla pallida trasparenza del volto o dallo stanco posare d’una mano. »
Giovane con libro
LORENZO LOTTO LA SUA FIGURA E LA SUA ARTE
Lorenzo Lotto vive nel periodo Rinascimentale, età in cui si assiste ad un grandissimo rinnovamento artistico e culturale e che ha nell’Italia la sede del suo massimo sviluppo e fulgore.
Una delle principali carattersitiche del Lotto però è l’assoluta insofferenza delle regole delle 2 grandi correnti pittoriche della sua epoca (la fiorentina-romana e quella veneziana) che nascono all’ombra dei capolavori di Tiziano, Raffaello e Michelangelo e la ricerca di affermazione di una propria indipendenza artistica.
Marito e moglie
Questa sua irrequietezza certamente danneggiò la sua vita artistica se pensiamo che pur essendo il primo pittore veneto (dal 1509 al 1511 circa) a lavorare nei Palazzi Vaticani ne fu estromesso proprio per questo e per non aver accettato i formalismi degli ambienti papalini.
La sua personalità presentava aspetti assimilabili ad una sensibilità romantica ante litteram nonché al cliché dell’artista “genio incompreso”, ribelle, turbolento, introverso.
L’architetto – 1535
Tuttavia la sua pittura segue linee chiare, coerenti, libere, meditate, sposate con religiosità e spiritualità sincere insieme ad una sensibilità quasi moderna.
Egli è sé stesso nella vita e nell’arte.
Un primo esempio ed eclatante del suo particolare modo di concepire l’arte possiamo conoscerlo cliccando sul dipinto qui sotto.
L’annunciazione – 1527
Certo è che, sempre per questa sua assoluta diversità per secoli è stato considerato un “pittore provinciale” (il Vasari non usò altre espressioni se non che era pittore devoto e pio) e solo molto recentemente è stato “riscoperto” grazie ad una spettacolare mostra alla National Gallery di Washington nel 1998.
Informazioni ed immagini dal web coordinate, rielaborate ed impaginate da Tony Kospan
Continua
Leggeremo nella II parte l’analisi approfondita di un dipinto che è emblematico del modo di sentire e dipingere da parte del Lotto
ed anche il racconto dell’input donatomi da un amico virtuale che, per amore del Lotto e della sua arte, ha scelto il nik Lorenzo…
Sandro Botticelli, ma il suo vero nome era Sandro Filipepi,
è stato uno degli artisti più emblematici del Rinascimento.
Alcune sue opere non è difficile definirle fantastiche,
soprattutto quelle, ancor oggi ammiratissime,
del cd. “Primo Periodo Mediceo“.
La calunnia
BOTTICELLI
ARTISTA GENIALE DEL RINASCIMENTO
LA FAMA.. L’OBLIO E LA RISCOPERTA
a cura di Tony Kospan
Buona parte del fascino delle sue opere
nasce anche dalla constatazione che egli ha inteso,
attraverso l’affascinante bellezza dei suoi dipinti,
anche donarci dei messaggi, culturali e non solo,
grazie ad allegorie più o meno nascoste.
E’ considerato il pittore più vicino
agli ideali neoplatonici molto “sentiti”
negli ambienti intellettuali ed artistici dell’epoca.
Eppure, anche se vi sembrerà incredibile,
le sue opere,
nonostante la loro stupefacente bellezza,
erano quasi completamente sconosciute
fin quasi alla fine dell’ ottocento,
forse (o soprattutto?)
per il giudizio freddino del Vasari.
Poi grazie alla loro riscoperta nell’800
da parte del critico inglese John Ruskin,
e per l’innamoramento dei Preraffaelliti,
il loro successo non è più tramontato
ed ancor oggi i suoi dipinti sono amatissimi nel web.
Firenze 1.3.1445 – Firenze 17.5.1510 (Autoritratto)
BREVE BIOGRAFIA.
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Fin da piccolo iniziò a frequentare la bottega del Pollaiolo
che gli instillò il senso della pennellata elegante
che sarà una delle sue più belle caratteristiche.
A 25 anni si stacca dal maestro ed inizia la sua carriera
che subito appare di successo dato che riceve incarichi importanti
come quello di realizzare il ritratto di Giuliano de’ Medici.
Giuliano de’ Medici (partic.)
Grazie a questi lavori viene preso a benvolere
dalla grande famiglia fiorentina
che fu, in questo periodo (1478 e segg.),
la grande committente di suoi dipinti
come le mitiche “Primavera” e “Nascita di Venere“.
Nascita di Venere
In entrambe le opere su citate è presente Simonetta Vespucci
la donna più bella del Rinascimento
amata da Giuliano de’ Medici e dipinta più volte dal Botticelli
Simonetta Vespucci
Entrambe vengono chieste al Botticelli per “tirar su” lo spirito
di un rampollo mediceo, Lorenzo di Pierfrancesco, affetto
da disturbi mentali che potremmo definire depressivi ed infatti
entrambe queste opere avranno quale prima sistemazione
Villa del Castello dove questi abitava.
(clicca qui giù se desideri conoscere i segreti della mitica Primavera)
Primavera
Entrambe queste opere rivelano anche lo spirito libero,
curioso, colto ed estroverso
del Botticelli insieme al suo amore per le allegorie.
Botticelli – Madonna dei 6 angeli
Chiamato a Roma, su consiglio di Lorenzo il Magnifico,
è poi incaricato di affrescare 3 episodi biblici
nella Cappella Sistina “Prove di Mosè”, “Prove di Cristo”
e “La Punizione di Qorah, Dtham e Abiram”.
(clicca qui giù se desideri conoscerne i segreti di Marte e Venere)
Marte e Venere – 1483
Dagli anni ’90 in poi, a seguito della cacciata dei Medici,
cambia il suo stile, quasi certamente per l’influenza
della severa predicazione del Savonarola
contemporaneamente ad una sua forte crisi spirituale.
Sant’Agostino nello studio
Alla fine del ‘400 dipinge 100 pergamene
sui vari temi della Divina Commedia
commissionategli da Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici
cugino di Lorenzo il Magnifico e suo amico.
Divina Commedia – La voragine infernale
Abbandona allora il tratto elegante e figurativo
per riavvicinarsi con estremo misticismo alla pittura medievale
dipingendo figure più filiformi e chiaroscuri più densi.
Madonna della melagrana
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Tra i più noti dipinti di questo periodo possiamo elencare
“La calunnia”, “Natività mistica”, e “Compianto sul Cristo morto”.
Tondo Raczynski – 1477
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La sua fama però ormai inizia a declinare inesorabilmente
mentre nel cielo dell’arte fiorentina trionfa Leonardo
e si fa largo prepotentemente il genio di Michelangelo.
Muore povero e solo nel 1510, a Firenze, dopo grave malattia.
F I N E
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Può un dipinto religioso, elegante, classico, classicissimo.. nascondere aspetti sorprendenti che ci portano al sorriso?
Sì certo! E questo di Paolo Veronese è davvero emblematico in tal senso.
Infatti quest’opera apparentemente solo di carattere religioso è invece piena di simpatici, ed in qualche modo perfino esilaranti, significati.
Il dipinto del 1570, commissionato dalla Chiesa del Monastero di Sant’Antonio a Torcello (Venezia), ma oggi alla pinacoteca di Brera, apparentemente sembra mostrare una scena ferma… quasi statuaria.
Sant’Antonio Abate in cattedra con i santi Cornelio e Cipriano
Vediamo in alto Sant’Antonio, titolare della chiesa, burbero e barbuto su una cattedra di marmi colorati e sotto San Cornelio papa e San Cipriano vescovo con la mitra del primo appoggiata sul piedistallo del Santo e quella del secondo sul gradino in basso.
Quindi sembra tutto normale ma osserviamolo con attenzione.
Innanzitutto non possiamo fare a meno di notare che i paramenti indossati dai 3 personaggi sono dei broccati e dei damaschi lussuosi, vanitosi e perfino un po’ esagerati.
Quello del Santo presenta colori intensi e scuri, leggiadro e chiaro è poi quello di Cornelio e quasi fosforescente infine appare quello color rosa del Cipriano.
Ma veniamo alla scena che il Veronese ci vuole donare… e qui inizia l’esame della parte divertente del dipinto.
Cosa fanno i 3 Santi?
Stanno cercando di officiare un rito religioso leggendo il messale tenuto da un paggio.
Quindi i loro sguardi cercano in ogni modo di leggerlo ma la cosa è molto complicata perché il messale si muove continuamente dato che il paggio, riccamente vestito e probabilmente figlio scapestrato di qualche ricco amico del convento, non sta fermo nemmeno un attimo.
Il ragazzo infatti sembra incuriosito dal pittore e cerca di guardare sia verso di lui che verso la tela che sta dipingendo (così facendo egli sta guardando verso di noi!).
Ma mentre i santi Cornelio e Cipriano appaiono solo preoccupati, Sant’Antonio invece sembra stia proprio per arrabbiarsi.
Infatti vediamo il paggio più grande, che alle spalle di San Cornelio tiene in piedi la croce astile, guardare preoccupato Sant’Antonio che ben conosce, temendo una sua brusca ed irosa reazione.
E’ proprio un urlo ed una scenata del Santo, il perfetto finale che il dipinto ci lascia immaginare.
Tony Kospan per il blog “IL MONDO DI ORSOSOGNANTE”
QUANDO IL CAMBIAMENTO DI UN TITOLO SALVA UN’OPERA D’ARTE!
Manca nella storia dell’arte uno studio completo sull’importanza e gli effetti del titolo delle opere d’arte figurative ma sappiamo che esso è stato spesso molto decisivo o quanto meno molto significativo.
Ora esamineremo un caso in cui il titolo è diventato un aspetto essenziale dell’opera.
Il nano e il pappagallo
Nel 1573 Paolo Veronese completò una nuova “Ultima Cena”, secondo il suo consueto stile, per il convento domenicano dei Santi Giovanni e Paolo di Venezia.
Appena completata l’opera, Paolo Veronese si vide convocato e interrogato dall’Inquisizione per aver mostrato delle immagini profane e non decorose nel suo dipinto.
La scimmia
Ricordiamo per un attimo la realtà storica, politica e religiosa d’allora.
Si era da pochi anni concluso il Concilio di Trento che aveva dettato norme stringenti sulle immagini destinate ai luoghi sacri.
Il Veronese si difese affermando la libertà degli artisti: ”Noi pittori ci pigliamo licenza, che si pigliano i poeti e i matti”.
La guardia che mangia e beve
Accennò poi anche al “Giudizio Finale” dipinto da Michelangelo nella Cappella Sistinadove appaiono chiaramente anche molte nudità senza che il Pontefice all’epoca dicesse nulla.
Ma l’Inquisizione non volle sentire ragioni!
Allora messo alle strette ebbe una trovata geniale!
Decise che il titolo non era più l’Ultima Cena ma “Cena in casa di Levi”.
Non era più, quindi, la cena sacra dell’origine dell’Eucarestia ma un allegro banchetto in onore di Gesù offerto da Levi (San Matteo) che, essendo ricco, poteva avere i servi, buffoni, nani, cani e tutto quel che appariva nel dipinto.
Potenza di un titolo!
L’opera: Paolo Veronese – Cena in casa di Levi – Venezia – Galleria dell’Accademia