Archivio per l'etichetta ‘arte e misteri’
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LE ALTRE OPERE DELLA CAPPELLA
IL DISINGANNO
a cura di Tony Kospan
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Avviciniamoci a quest’altra meravigliosa opera…
dopo aver visto e descritto il Cristo velato e la Pudicizia.
Per il fascino che emana e le emozioni che dona,
fa parte, insieme alle altre 2 suindicate,
della triade delle opere più belle della Cappella
che di recente è stata eletta
al primo posto della classifica dei musei italiani
preferiti dai viaggiatori di tutto il mondo.
Alcune delle incredibili opere della Cappella
Il disinganno
è considerato il capolavoro di Francesco Queirolo
artista genovese, allievo del Corradini, che fu
anche l’autore del bozzetto preparatorio.
Anche stavolta ne approfondiremo i 4 aspetti
familiari, artistici, religiosi ed esoterici
seguendo le diverse opinioni dei tanti studiosi
che si sono impegnati nel cercar
di comprendere il vero significato dell’opera.
DESCRIZIONE ED ASPETTO FAMILIARE
L’opera ha quale scopo dichiarato ridar lustro al padre del Principe
per mondarlo dalla sua pessima fama.
Mostra un uomo (il padre di Raimondo) nell’atto di liberarsi
da una pesante rete da cui è avvolto.
In questo è aiutato da un genietto (o putto) alato
con in testa una coroncina, con fiamma sulla fronte,
e che tiene un piede su di un globo
al quale è poi appoggiato un libro.
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Il bassorilievo su cui è posata la scultura rappresenta
la parabola di Gesù che ridà la vista ad un cieco
con la scritta “Qui non vident videant” .
(Coloro che non vedono… vedano)
Il Principe con questa opera vuol esaltare la grande forza morale
del padre che era sì stato un grandissimo peccatore,
“Asservito alle giovanili brame” così è scritto sulla lapide,
ma che poi alla fine era riuscito a comprender gli errori commessi
ed a pentirsi rinunciando alle ricchezze ed al titolo nobiliare
(proprio a favore di Raimondo) ritirandosi in convento
e così liberandosi dalle tenebre del male.
(V. la sua biografia nella I parte)
VISIONE ARTISTICA
La scultura mostra una evidente forza intrinseca
che si apre in un movimento potente che coinvolge chi l’osserva.
Ma la cosa che maggiormente colpisce e colpì fin dal ‘700
lasciando a bocca aperta tutti coloro che l’osservano
è l’incredibile rete che morbidamente avvolge l’uomo.
Questo della rete è indubitabilmente
un caso senza precedenti nella storia della scultura
e frutto di una lavorazione davvero geniale.
Essa infatti è il risultato di un grande virtuosismo tecnico,
quello di trasformare il marmo in una plastica rete,
così meticoloso da esser paragonato alla precisione degli orafi.
Si racconta anche che gli artigiani che collaboravano con l’artista
non se la sentirono di aiutar il Queirolo, per paura di romperla,
per cui lo scultore dovette far tutto da solo.
INTERPRETAZIONE RELIGIOSA
L’opera simboleggia il grande sforzo necessario
per la liberazione dal peccato e dall’illusione di dominio
per giungere infine a ritrovare la vera fede.
Anche il passo biblico scritto sul libro e la parabola
scolpita sul basamento (Gesù che dona la vista al cieco)
confermano questa tesi.
Inoltre l’opera può aver un’ulteriore lettura
religiosa in quanto può anche rappresentare
il pentimento dello stesso Principe per le sue attività esoteriche.
Pentimento che egli stesso dichiarò con suppliche
alle autorità religiose (che lo consideravano eretico e massonico)
con le quali affermava con forza la sincerità del suo pentimento.
INTERPRETAZIONE ESOTERICA
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La lotta tra luce e tenebre è l’immediato e chiaro messaggio
che ci giunge da una semplice osservazione dell’opera
fortemente ideata e voluta dal Principe in tutti i suoi particolari
al punto che, per alcuni, non il padre…
ma proprio lui potrebbe essere il vero soggetto rappresentato.
Infatti fu totale il suo controllo, sia sulla realizzazione dell’opera
che sul Queirolo, al punto che nel contratto si legge
“a tutto piacimento, genio e gusto d’esso Signor Principe,
di non poter lavorare per nessun’altra persona,
e collo stretto ligame di non potersi licenziare”
che dimostra quanta poca libertà d’azione avesse l’artista.
E’ noto a tutti anche che l’iniziazione massonica avviene
con la bendatura dell’adepto per poi esserne liberato
per poter finalmente conoscere la Luce della Verità della Loggia.
La fiamma sulla fronte del putto alato è poi notoriamente
un simbolo dell’Illuminismo mentre il libro aperto
è un chiaro accenno alle grandi luci esoteriche che,
consentendo di vedere oltre l’apparente ed ingannatrice realtà,
portano all’uso della razionalità ed a vivere secondo virtù.
tra lui e le Autorità della Chiesa
vi furono non pochi e non semplici conflitti per salvarsi dai quali
egli fu costretto a denunciare al RE Carlo III (suo amico)
tutti i Liberi Muratori delle Logge del Regno.
Il Re emise (a malincuore) l’editto che cancellava tutte le Logge massoniche
ma questo, a parte un rimprovero, non causò a loro alcun reale problema
e le Logge continuarono ad operare tranquillamente come prima.
Gli storici ritengono che si sia trattato di una abiura strategica
servita per metter a tacere i nemici, soprattutto Gesuiti,
che il Principe aveva all’interno della Chiesa,
e così salvare sé ed i “Fratelli”.
Infine l’impatto visivo è così forte da farci “sentire”
che qualcosa di misterioso e segreto aleggia in essa.
UNA PERSONALE OPINIONE
Come ho accennato parlando delle altre opere,
anche qui i vari concetti e simboli impressi nella scultura si affiancano,
si sovrappongono, si fondono
in una sintesi sia tra aspetti simili ma anche tra opposti
con un risultato alla fine davvero mirabile.
La complessità degli elementi costitutivi dell’opera
non è infatti diversa da quella della personalità del Principe.
Egli era nel contempo massone e devoto a San Gennaro,
scienziato ma amante dell’arte, alchimista e generale dell’esercito,
bigotto ed eretico, nobile ma anche incline a contrar debiti,
colto ma anche superstizioso etc etc…
Per questi motivi attribuir all’opera un unico significato
mi appare fatica improba, se non del tutto inutile e senza senso,
in quanto appaiono presenti, in modo più o meno evidente,
tutti i simboli allegorici su elencati (e forse anche altri).
Continua
Tony Kospan




Chi volesse legger la I parte
– Presentazione e biografia del Principe di Sansevero –
Chi volesse legger la II parte
– Il Cristo Velato –




Chi volesse legger la III parte
STORIA.. RICORDI E ATMOSFERE DI UN TEMPO
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Ripartiamo, nell’analisi del dipinto,
dalle gambe della dea, dal pomo e dalle maschere
con le parole del Solimano.
L’ALLEGORIA DELL’AMORE E DEL TEMPO
ARTE E SEGRETI
II PARTE
Ma soprattutto si vedono due maschere, una giovane donna ed un uomo anziano che ha l’aria trista (triste+cattiva).
Le maschere, dice Erwin Panofsky, da sempre simboleggiano “la mondanità, l’insincerità e la falsità”.
Un raccordo con la Frode (la fanciulla), ma anche con il Piacere ed il Gioco (il putto).
Tutto continua ad essere chiaro ed ambiguo, duplice.
Nel particolare qui sotto del quadro del Bronzino, si vedono in parte i corpi bellissimi dei due amanti, Venere e Cupido, e continuano a comparire dei simboli, dei sublimi feticci.
Ambiguamente, il voyeurismo si nasconde dietro il significato morale e viceversa.
Proprio nell’angolo in basso si vede una colomba, ma poi se si guarda bene, si vede anche spuntare il becco e la testa di un’altra colomba.
“Tubare come colombi” si dice ancor oggi, ed Erwin Panofsky scrive che era un simbolo usuale di “tenera sollecitudine”, a cui è da aggiungere che le coppie di colombi sono note per la monogamia.
Il contesto non sembra quello, considerando il cuscino evidentemente morbidissimo sotto le ginocchia di Cupido, oggetto piuttosto raro allora.
Ancora oggi parliamo dei cuscini in “piumino d’oca” proprio per intendere che la morbidezza è il primo requisito del cuscino, che è un simbolo di lascivia e di mollezza.
“I Racconti del Cuscino” è il titolo di un film pregevole ed originale di Peter Greenaway, l’autore de “I misteri dei Giardini di Compton House”.
Il tema ricorrente di Greenaway è una acuta indagine sull’erotismo, un po’ quello che fa il Bronzino qui.
Dietro Cupido, si intravedono le foglie di un mirto, simbolo classico dell’amore.
Ma il corpo di Cupido, è maschile o femminile?
Ci tornerò alla fine.
In alto c’è un vecchio assai vigoroso, attento e lucidamente iracondo, la testa pelata ed una strana barba assai folta, dove c’è. I baffi spioventi gli coprono le labbra.
Ancora più in alto si vede un’ala biancastra e, vicino alla testa del vecchio, si intravede parte di una clessidra.
Corrisponde con la colomba nell’angolo opposto, quella di cui si vede solo il becco e la testa – il Bronzino era assai lucido nell’organizzare, nel pesare la rappresentazione, ed in questo caso si tratta musicalmente di due note in minore, ma indispensabili.
Questo vecchio è il simbolo del tempo, lo comprendono tutti, ma è bene porsi due domande, una particolare, ed una generale.
Che cosa sta facendo il tempo, anzi il Tempo?
Il tempo
Sta tirando in alto un drappo, una specie di grande tenda, sta svelando il quadro, con tutti i suoi significati e la loro ambiguità che, per il fatto stesso che ce ne accorgiamo, non c’è più, perché “Veritas filia Temporis”.
Perché il Tempo è vecchio? Una domanda ovvia, ma solo in apparenza.
Parrà strano, ma nella antichità classica il Tempo non era rappresentato come un vecchio, non c’era questa attenzione all’età del Tempo, anzi, spesso era rappresentato come un giovane con le ali ai piedi: Kairòs, l’Opportunità, che passa veloce e la devi cogliere subito, difatti aveva un gran ciuffo davanti e la nuca rasata.
Il Tempo è rappresentato come un vecchio per l’equivoco tardo-antico fra due parole greche che hanno significato diverso: Chronos, il tempo e Kronos, il padre di Zeus, vecchio e cattivissimo, un mangiabambini, alla lettera.
Lascio a voi la riflessione su quanto questa identificazione negativa del Tempo abbia pesato sulla visione di vita di tutto l’Occidente.
Per gli antichi Greci, Chronos era una cosa e Kronos tutta un’altra cosa.
Kronos, il nostro Saturno, si è mangiato pure Chronos… ed è un bel guaio.
Sono rappresentate due donne, nella parte del dipinto in alto a sinistra.
La simbologia di una delle due, la donna che piange ed urla strappandosi i capelli, è stata sempre chiara, dal Vasari ad oggi, anzi ben prima del Vasari e del Bronzino: è il simbolo della Gelosia disperata, altro inconveniente dell’amore, forse quello che più fa soffrire.
Riguardo la donna più in alto ci sono state molte discussioni; Erwin Panofsky credette di essere arrivato nel giusto definendola come Verità che aiuta il Tempo ad alzare il velo: Veritas filia Temporis, appunto.
Quindi ritenne che il titolo più appropriato del quadro era: “La lussuria smascherata“.
Ma ebbe la correttezza di cambiare idea quando osservò che nel quadro c’è una contrapposizione fra questa donna ed il Tempo: si scambiano sguardi irosi e sembra che la donna cerchi più di continuare a coprire col drappo piuttosto che alzarlo.
Oggi l’interpretazione più diffusa ritiene che questa donna rappresenti la Notte, colei che cela gli amanti ed in cui sembra che il tempo si fermi.

Al centro del quadro Cupido e Venere si baciano e si carezzano lascivamente, ma le forme di Cupido hanno ben poco di maschile, sembra un androgino.
Qui c’è tutta la cultura neoplatonica di Firenze che tendeva ad una rappresentazione molto simile dei corpi maschili e femminili, lo si vede benissimo dai disegni di Leonardo, Michelangelo e Raffaello.
L’aspetto più sorprendente è la gestualità dei due amanti: Venere ha in mano una freccia, Cupido tiene una mano sui capelli di Venere, sino ad arrivare al diadema.
Non possono essere gesti vacui, e l’interpretazione è singolare: entrambi stanno perseguendo la stessa finalità, che è quella di sottrarre qualcosa senza che l’altro se ne accorga.
Venere disarma Cupido privandolo della freccia, e Cupido disarma Venere privandola del suo diadema.
Entrambi operano in modo nascosto, difatti i loro gesti non possono essere reciprocamente visti.
Trovo convincente questa interpretazione, perché dopo che la si è sentita la prima volta non si può fare a meno di vedere la specularità dei due gesti, che sono fra di loro in corrispondenza fraudolenta.
Rivediamolo infine un’ultima volta e tutto intero, il quadro,
dopo gli spezzettamenti faticosi della spiegazione.

Un altro titolo dell’opera, forse più vicino alle intenzioni dell’artista, è “L’Allegoria del Trionfo di Venere”.
Il quadro è stato eseguito attorno al 1546 e segna la fine del periodo dei manieristi eroici e furiosi: il Parmigianino, il Rosso fiorentino, il Pontormo, i pittori della crisi politica italiana.
Due poteri politici assoluti, il Vaticano e la Spagna, hanno vinto, e “la lucida intenzionalità con cui il Bronzino dà forma incorrotta alla materia pittorica, fissando le immagini in una statica e aulica preziosità, si pone come superamento delle inquietudini della precedente generazione manieristica”.
E’ “un emblematico riflesso della volontà assolutistica della politica”.
Nel tempo succederà altre volte, ancora con grandi artisti: Guido Reni, dopo la tempesta sublime e terrestre del Caravaggio, e Jean Dominique Ingres, dopo la Rivoluzione francese, in piena Restaurazione.
Ma se seguiamo Erwin Panofsky, ci accorgiamo di quanta duplicità, ambiguità, insicurezza, ci sia dietro questo trionfo allegorico, ed il Bronzino ne era consapevole, solo che i tempi erano quelli.
La scialuppa di salvataggio non è il trionfo, è la consapevolezza, ed il sorriso che ne scaturisce, non ironico né grottesco, è il sorriso di chi ha capito, e va bene così, perché chi se ne accorge già è fuori dal gioco fraudolento della ipocrisia fatta sistema, dei disvalori elevati a valori.
Questo può essere il senso catartico del capolavoro del Bronzino.
F i n e
Testo di Solimano – Impaginazione note e coordinam. di Tony Kospan
PER CHI VOLESSE LEGGER LA I PARTE




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Abbiamo conosciuto nella I PARTE la sorprendente ed enigmatica biografia del Principe Raimondo de Sangro ed ora passiamo a conoscere la storia della sua più importante opera e cioè di questa Cappella da lui abbellita ed arricchita da eccezionali opere d’arte.
STORIA DELLA CAPPELLA DI SANSEVERO
Costruita già nel 1590 per ospitare le tombe della famiglia fu del tutto restaurata nel corso del ‘700 dal Principe.

La Cappella in una antica stampa
E’ situata in pieno centro storico a pochi metri dalla piazza San Domenico Maggiore, ed è accanto al palazzo di famiglia dei Principi di Sansevero, ma divisa da un vicoletto che all’epoca era però sormontato da un ponticello sospeso che consentiva ai membri della famiglia di accedere direttamente alla Cappella.

La piantina della Cappella
La prima cosa che stupisce è che nella Cappella sono presenti soprattutto sculture ed infatti gli unici dipinti sono:
il soffitto affrescato da F. M. Russo nel 1749 con le immagini allegoriche dei Santi della famiglia ed i medaglioni monocromatici con i Santi protettori del Casato.
Tutti presentano ancor oggi colori vivissimi grazie all’uso di una cd. pittura “oloidrica” che consisterebbe nell’uso, al posto della colla, di sostanze create dal Principe ed il cui segreto avrebbe portato con sé nella tomba.
Questa massiccia preponderanza di sculture e di parti architettoniche rappresenta un vero e proprio “unicum” nell’ambito delle Chiese e delle grandi Cappelle (benché questa sia ora sconsacrata).

LE 4 CHIAVI DI LETTURA DELLE OPERE
Prima dare un’occhiata alle opere più rappresentative presenti nella Cappella bisogna precisare che esse presentano, a mio parere ma non solo, ben 4 chiavi di lettura:
– La prima è quella religiosa, certo è una Cappella con statue e qualche dipinto di carattere religioso… eppure forse è la chiave meno importante.
– La seconda è quella della rappresentazione della storia della famiglia del Principe e dei personaggi che più le diedero lustro.
– La terza è quella artistica, per la presenza di fantastiche opere di grandi maestri dell’epoca inserite in un contesto tutto barocco ed in un trionfo (quasi musicale) di marmi e stucchi.
– La quarta, la più misteriosa e per molti la più affascinante, è quella esoterica in quanto il Principe avrebbe “fatto nascondere ma non troppo” nelle diverse opere i suoi principi e le sue conoscenze ermetiche ed alchemiche (qualcosa di vero certamente ci deve essere se si pensa alla persecuzione che il Principe subì da parte delle gerarchie ecclesiastiche.

Dunque nell’esaminare ciascuna opera, cercherò di evidenziare le diverse chiavi interpretative apparenti o nascoste, per quanto è a mia conoscenza.
Le opere di cui parlerò in modo ampio saranno:
Parte III – Il Cristo velato;
Parte IV – La pudicizia;
Parte V – Il disinganno;
Parte VI – Le incredibili macchine anatomiche.
FINE II PARTE
Chi volesse conoscer la biografia
del misterioso ma geniale Principe e della sua famiglia
(I Parte del post) può cliccare qui giù.
CONTINUA
CON LE MIRABILI OPERE DELLA CAPPELLA… E NON SOLO.
LE IMMAGINI SONO PRESE DAL WEB E SARANNO SUBITO RIMOSSE SE CHI NE DETIENE IL COPYRIGHT LO CHIEDERA’
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L’enigmatica Cappella Sansevero
è uno dei luoghi più visitati di Napoli,
e riscuote notevole interesse e grande curiosità
da oltre duecento anni.
E’ altresì considerata, da un sondaggio fatto
tra tutti coloro che hanno visitato dei musei,
il museo più amato d’Italia ed è pure presente
nella top ten dei musei europei.
LA CAPPELLA ED IL PRINCIPE DI SANSEVERO
ARTE E… MISTERI…
a cura di Tony Kospan
Perché una piccola cappella suscita tanto interesse e tanta curiosità?
Perché visitarla è come fare 2 passi… nel mistero, 2 passi… nella grande arte, 2 passi… nella storia del ‘700 e 2 passi… . nel mondo umano e familiare di un geniale ed enigmatico principe ed alchimista… Raimondo de Sangro, Principe di Sansevero.
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Pur essendo il tema apparentemente semplice, la biografia di un Principe e la descrizione di una piccola cappella, per la notevole complessità e quantità di aspetti artistici, storici, scientifici, alchemici, esoterici… etc… il post dovrà esser diviso in parecchie parti.
Inizieremo dunque col parlare qui, in breve, della vita del Principe per passare poi ad esaminare la Cappella e le sue opere d’arte, le diverse stranissime invenzioni del Principe e ci soffermeremo anche su alcuni suoi contatti con personaggi europei altrettanto noti e misteriosi.
Questa prima parte, che possiamo definire essenzialmente di presentazione e biografica, è forse la meno affascinante ma è assolutamente necessaria per meglio comprender tutto quanto vedremo e conosceremo dopo.
I PARTE
DISSERO DEL PRINCIPE DI SANSEVERO
Ecco cosa scrisse di lui Benedetto Croce:
“Ammazzò sette cardinali e con le loro ossa costruì sette seggiole, mentre con la pelle, opportunamente conciata, ricoprì i sedili”
– Benedetto Croce-Storie e leggende napoletane -.
Per la gente del luogo era invece una specie di stregone ed ancora secoli dopo, al solo nominarlo, molti si facevano il segno della croce.
Wikipedia però lo definisce così… semplicemente
“Raimondo di Sangro (Torremaggiore 30.1.1710 – Napoli 22.3.1771) fu il VII principe di San Severo e studioso napoletano”.
Ma chi era e da dove veniva in verità costui?

LA FAMIGLIA D’ORIGINE DEL PRINCIPE
I conti dei Marsi e di Sangro vantavano, come si può evincere dal loro stemma, una discendenza “borgognona” dallo stesso Carlo Magno.
Inoltre la famiglia dei Sangro era molto legata al potente Ordine Benedettino, ed aveva avuto nei suoi ranghi, oltre ad abati ed altissimi prelati, anche i santi Oderisio, Bernardo e Rosalia e ben 4 Papi erano stati loro parenti.

Innocenzo III (1198-1216), Gregorio IX (1227-1241), Paolo IV Carafa (1555-1559) e Benedetto XIII (1724-1730).
Il padre di Raimondo, Antonio di Sangro, fu personaggio poco limpido, libertino e molto controverso.
Accusato dell’omicidio del padre di una ragazza di Sansevero, che era contrario alla loro relazione, scappò a Vienna dichiarandosi innocente ma, dopo che la Magistratura, forse corrotta, archiviò il caso, tornò e fece uccidere il Sindaco di Sansevero che era stato il suo accusatore.
Scappò di nuovo… stavolta a Roma dove infine prese i voti e si ritirò in un convento.

BIOGRAFIA DEL PRINCIPE RAIMONDO
A causa di un genitore così scapestrato il ragazzo visse un’infanzia un po’ disorientata con i nonni paterni che a 10 anni lo mandarono a studiare dai Gesuiti a Roma dove brillò negli studi ed acquisì una grande cultura di cui poté far sfoggio quando, tornato a Napoli, primeggiò tra i Nobili dell’epoca che erano molto poco inclini al sapere ed alla cultura.
Ma le sue non furono solo conoscenze scolastiche in quanto si estesero anche ad altre discipline ed alle lingue straniere.
Già da studente mostrò le sue capacità inventive.
Infatti quando per uno spettacolo a scuola bisognava smontare presto il palco per consentire un successivo spettacolo equestre superò “primi Ingegneri e valentuomini” creando un palco che “coll’aiuto di alcuni argani e di alcune nascoste rote” spariva in breve tempo.

Tornato all’età di 20 anni a Napoli, divenuta sede principale della famiglia, già con il titolo di VII° Principe di Sansevero per la morte del nonno, sposò per procura la giovanissima cugina Carlotta Gaetani residente nelle Fiandre che conobbe però solo 6 anni dopo a causa delle continue guerre di quegli anni.
Per le sue conoscenze dell’arte militare divenne Colonnello del Reggimento Capitanata e nel 1744 mostrò il suo valore nella Battaglia di Velletri contro gli Austriaci e gli apprezzamenti del Re Carlo di Borbone.

Il Re alla Battaglia di Velletri contro gli Austriaci
Nel frattempo scriveva libri, che editava egli stesso nella tipografia che aveva fatto costruire negli scantinati del suo palazzo, frequentava le migliori Accademie letterarie e culturali dell’epoca ed approfondiva studi, ricerche ed esperimenti in materia chimica ed alchemica.
I suoi libri di chiaro stampo massonico venivano spesso censurati dalle Autorità ecclesiastiche mentre la sua tipografia stampava libri di vario genere che nessuno pensava di pubblicare in Italia.

Nel 1744 il Principe iniziò quello che oggi possiamo definire il suo capolavoro principale e cioè il restauro e la risistemazione della Cappella familiare, oggi nota in tutto il mondo come “Cappella Sansevero” per la qual cosa chiamò i più grandi (e costosi) artisti dell’epoca come vedremo in seguito.
Sempre nel 1744 si iscrisse alla Massoneria ed in breve scalò tutti i gradini della Loggia Napoletana divenendone il Gran Maestro.

Questi sono però anche gli anni in cui, per impulso del Re Carlo III di Borbone, avvengono grandi scoperte archeologiche nelle aree soprattutto di Pompei, Ercolano e Paestum.
Scoperte che per la loro straordinarietà rafforzarono negli adepti della Loggia le loro convinzioni esoteriche.
Ma Re Carlo III, suo amico, nel 1759 fu chiamato a regnare sulla Spagna per la morte del fratello maggiore e lasciò così il Regno delle due Sicilie al giovane ed inesperto Re Ferdinando IV.

Re Carlo III di Borbone
Quest’ultimo, su consiglio del Ministro della Real Casa (e suo nemico), Bernardo Tanucci, lo fece arrestare perché aveva affittato delle stanze del suo palazzo ad una bisca per pagare i debiti contratti con gli artisti e le maestranze che lavoravano per la Cappella.
Dopo qualche mese però, per le sue importanti ed aristocratiche amicizie, fu liberato.

La Cappella in una antica stampa
Allora il Principe, per risolvere una volta per tutte i problemi economici, fece sposare il primogenito con la principessa Gaetana Mirelli di ricca famiglia che gli portò una considerevole dote che, non solo gli consentì di non aver più debiti, ma anche di continuare l’opera di completamento di quella che possiamo definire… la ragione della sua vita.
I suoi ultimi anni li passò, oltre che nella cura della Cappella, suo amato gioiello, anche a studiare, a fare esperimenti ed ad inventare come vedremo più avanti.
Morì nel 1771

FINE DELLA I PARTE
continua…
Fonti: vari siti web e… conoscenza diretta (della cappella eh eh)
Immagini dal web
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– Copyright: Tony Kospan
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IL CRISTO VELATO
E’ certo l’opera più bella e nel contempo più misteriosa ed è anche considerata uno dei massimi capolavori dell’arte mondiale.
Basterebbe da sola a giustificare una visita alla straordinaria Cappella.
Il grande Canova, quando la vide, ne rimase così entusiasta che era pronto a spender qualunque cifra per poterla acquistare… e studiare… ed affermò che avrebbe dato 10 o 20 anni di vita per poter dire d’esserne stato lui l’autore.

Il motivo di tanta stupefacente bellezza?
E’ soprattutto la presenza di un velo di marmo che lascia incredibilmente visibile sia il corpo sottostante che perfino le ferite ed i buchi fatti dai chiodi sul corpo di Gesù.
Molto si è scritto su quest’opera in quanto ci sono opposte versioni sull’origine di questo velo.
Secondo presunte clausole del contratto d’opera che sarebbero state ritrovate nell’Archivio Notarile di Napoli tra il Principe ed il Sammartino (e che potremo leggere nelle note in calce), allora apparirebbe certo che il “velo trasparente di marmo” sia stato un composto alchemico fornito dal Principe allo scultore.

Tuttavia sulla base di altri documenti c’è anche una tesi opposta e cioè che l’opera sia tutta un unico blocco di marmo finemente e favolosamente lavorato dallo scultore Sammartino.
In ogni caso, quando la vidi qualche anno fa, davvero mi sbalordì e mi sconvolse la trasparenza e l’aderenza del velo di marmo capace di mostrar con estrema e realistica precisione tutto quanto è da esso coperto… e cioè… la vena gonfia sulla fronte, i fori dei chiodi sui piedi e sulle mani, il costato scavato e l’aspetto rilassato del Cristo per la sopraggiunta morte liberatrice dal dolore.
Questi incredibili aspetti dell’opera si possono ammirare con stupore soltanto da vicino non potendo le foto dare l’esatta visione del realismo dell’opera.

Il foro nel piede
Ma cosa voleva dirci il Principe volendo realizzare quest’opera?
Innanzitutto c’è da dire che questa è forse l’unica scultura della Cappella che ha chiaramente un rilievo solo artistico e religioso non potendo ravvisarsi in essa aspetti esoterici (a parte la discussa storia del velo) o riferimenti alla famiglia del Principe.
Potrebbe però aver avuto lo scopo di dimostrare la possibilità di una felice unione tra arte ed alchimia oppure richiamare l’attenzione sulla Sindone quale simbolo esoterico di perfezione.
A mio modesto parere, con essa il Principe ha voluto soprattutto evidenziare la grandezza della sua potenza (in tutti i sensi) in quanto capace di pensare e di far realizzare (con o senza alchimie) un’opera davvero mitica ed unica al mondo.

NOTE
Tra le virgolette ecco degli estratti dalle clausole del contratto per la realizzazione del Cristo Velato rinvenute in alcuni siti in cui si afferma che siano state ritrovate nell’Archivio Notarile di Napoli ma delle quali non sono in grado di confermare l’autenticità:
– Lo scultore s’impegna a realizzare una ” statua raffigurante Nostro Signore Morto al Naturale da porre situata nella cappella Gentilizia del Principe, un Cristo Velato steso sopra un materasso che sta sopra un panneggio e appoggia la testa su due cuscini, apprè del medesimo vi stanno scolpiti una Corona di spine tre chiodi e una tenaglia“.
Il Principe s’impegna a fornire il marmo ed a realizzare una “Sindone, una tela tessuta la quale dovrà essere depositata sovra la scultura, dopo che il Principe l’haverà lavorata secondo sua propria creazione e cioè una deposizione di strato minutioso di marmo composito in grana finissima sovrapposta al telo; Il quale strato di marmo da usa idea, farà apparire per la sua finezza il sembiante di Nostro Signore dinotante come fosse scolpito di tutto con la statua“.
Lo scultore avrebbe però dovuto mantenere il segreto sulla “maniera escogitata dal Principe per la Sindone ricovrente la statua” e però l’opera sarebbe stata attribuita solo allo scultore.
FINE III PARTE
Chi volesse conoscer la biografia
del misterioso ma geniale Principe e della sua famiglia
(I PARTE) può cliccare qui giù.
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Chi volesse conoscer la storia, la composizione
e le caratteristiche generali della Cappella (II PARTE)
CONTINUA
Le prossime opere della Cappella di cui parlerò in modo ampio sono:
La pudicizia (IV)
Il disinganno (V)
Le incredibili macchine anatomiche (VI).
LE IMMAGINI SONO PRESE DAL WEB E SARANNO SUBITO RIMOSSE SE CHI NE DETIENE IL COPYRIGHT LO CHIEDERA’.
PER LE NOVITA’
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LE ALTRE OPERE DELLA CAPPELLA
IL DISINGANNO
a cura di Tony Kospan
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che di recente è stata eletta
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Alcune delle incredibili opere della Cappella
Il disinganno
è considerato il capolavoro di Francesco Queirolo
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anche l’autore del bozzetto preparatorio.
Anche stavolta ne approfondiremo i 4 aspetti
familiari, artistici, religiosi ed esoterici
seguendo le diverse opinioni dei tanti studiosi
che si sono impegnati nel cercar
di comprendere il vero significato dell’opera.
DESCRIZIONE ED ASPETTO FAMILIARE
L’opera ha quale scopo dichiarato ridar lustro al padre del Principe
per mondarlo dalla sua pessima fama.
Mostra un uomo (il padre di Raimondo) nell’atto di liberarsi
da una pesante rete da cui è avvolto.
In questo è aiutato da un genietto (o putto) alato
con in testa una coroncina, con fiamma sulla fronte,
e che tiene un piede su di un globo
al quale è poi appoggiato un libro.
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Il bassorilievo su cui è posata la scultura rappresenta
la parabola di Gesù che ridà la vista ad un cieco
con la scritta “Qui non vident videant” .
(Coloro che non vedono… vedano)
Il Principe con questa opera vuol esaltare la grande forza morale
del padre che era sì stato un grandissimo peccatore,
“Asservito alle giovanili brame” così è scritto sulla lapide,
ma che poi alla fine era riuscito a comprender gli errori commessi
ed a pentirsi rinunciando alle ricchezze ed al titolo nobiliare
(proprio a favore di Raimondo) ritirandosi in convento
e così liberandosi dalle tenebre del male.
(V. la sua biografia nella I parte)
VISIONE ARTISTICA
La scultura mostra una evidente forza intrinseca
che si apre in un movimento potente che coinvolge chi l’osserva.
Ma la cosa che maggiormente colpisce e colpì fin dal ‘700
lasciando a bocca aperta tutti coloro che l’osservano
è l’incredibile rete che morbidamente avvolge l’uomo.
Questo della rete è indubitabilmente
un caso senza precedenti nella storia della scultura
e frutto di una lavorazione davvero geniale.
Essa infatti è il risultato di un grande virtuosismo tecnico,
quello di trasformare il marmo in una plastica rete,
così meticoloso da esser paragonato alla precisione degli orafi.
Si racconta anche che gli artigiani che collaboravano con l’artista
non se la sentirono di aiutar il Queirolo, per paura di romperla,
per cui lo scultore dovette far tutto da solo.
INTERPRETAZIONE RELIGIOSA
L’opera simboleggia il grande sforzo necessario
per la liberazione dal peccato e dall’illusione di dominio
per giungere infine a ritrovare la vera fede.
Anche il passo biblico scritto sul libro e la parabola
scolpita sul basamento (Gesù che dona la vista al cieco)
confermano questa tesi.
Inoltre l’opera può aver un’ulteriore lettura
religiosa in quanto può anche rappresentare
il pentimento dello stesso Principe per le sue attività esoteriche.
Pentimento che egli stesso dichiarò con suppliche
alle autorità religiose (che lo consideravano eretico e massonico)
con le quali affermava con forza la sincerità del suo pentimento.
INTERPRETAZIONE ESOTERICA
.
La lotta tra luce e tenebre è l’immediato e chiaro messaggio
che ci giunge da una semplice osservazione dell’opera
fortemente ideata e voluta dal Principe in tutti i suoi particolari
al punto che, per alcuni, non il padre…
ma proprio lui potrebbe essere il vero soggetto rappresentato.
Infatti fu totale il suo controllo, sia sulla realizzazione dell’opera
che sul Queirolo, al punto che nel contratto si legge
“a tutto piacimento, genio e gusto d’esso Signor Principe,
di non poter lavorare per nessun’altra persona,
e collo stretto ligame di non potersi licenziare”
che dimostra quanta poca libertà d’azione avesse l’artista.
E’ noto a tutti anche che l’iniziazione massonica avviene
con la bendatura dell’adepto per poi esserne liberato
per poter finalmente conoscere la Luce della Verità della Loggia.
La fiamma sulla fronte del putto alato è poi notoriamente
un simbolo dell’Illuminismo mentre il libro aperto
è un chiaro accenno alle grandi luci esoteriche che,
consentendo di vedere oltre l’apparente ed ingannatrice realtà,
portano all’uso della razionalità ed a vivere secondo virtù.
tra lui e le Autorità della Chiesa
vi furono non pochi e non semplici conflitti per salvarsi dai quali
egli fu costretto a denunciare al RE Carlo III (suo amico)
tutti i Liberi Muratori delle Logge del Regno.
Il Re emise (a malincuore) l’editto che cancellava tutte le Logge massoniche
ma questo, a parte un rimprovero, non causò a loro alcun reale problema
e le Logge continuarono ad operare tranquillamente come prima.
Gli storici ritengono che si sia trattato di una abiura strategica
servita per metter a tacere i nemici, soprattutto Gesuiti,
che il Principe aveva all’interno della Chiesa,
e così salvare sé ed i “Fratelli”.
Infine l’impatto visivo è così forte da farci “sentire”
che qualcosa di misterioso e segreto aleggia in essa.
UNA PERSONALE OPINIONE
Come ho accennato parlando delle altre opere,
anche qui i vari concetti e simboli impressi nella scultura si affiancano,
si sovrappongono, si fondono
in una sintesi sia tra aspetti simili ma anche tra opposti
con un risultato alla fine davvero mirabile.
La complessità degli elementi costitutivi dell’opera
non è infatti diversa da quella della personalità del Principe.
Egli era nel contempo massone e devoto a San Gennaro,
scienziato ma amante dell’arte, alchimista e generale dell’esercito,
bigotto ed eretico, nobile ma anche incline a contrar debiti,
colto ma anche superstizioso etc etc…
Per questi motivi attribuir all’opera un unico significato
mi appare fatica improba, se non del tutto inutile e senza senso,
in quanto appaiono presenti, in modo più o meno evidente,
tutti i simboli allegorici su elencati (e forse anche altri).
Continua
Tony Kospan




Chi volesse legger la I parte
– Presentazione e biografia del Principe di Sansevero –
Chi volesse legger la II parte
– Il Cristo Velato –




Chi volesse legger la III parte
STORIA.. RICORDI E ATMOSFERE DI UN TEMPO
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Quest’opera, con il Cristo velato di cui abbiamo già parlato
ed il Disinganno di cui parleremo più avanti,
forma la triade delle opere della Cappella più apprezzate
fin dal ‘700 dai visitatori e dagli storici dell’arte
ed è oggi un’immagine che vediamo molto spesso nel web.
LE ALTRE OPERE DELLA CAPPELLA
LA PUDICIZIA
a cura di Tony Kospan
Il Principe Raimondo l’ha dedicata alla memoria
della “incomparabile madre”, la nobildonna Cecilia Gaetani,
morta quando Raimondo aveva meno di un anno.
L’autore, il veneto Antonio Corradini noto per le sue figure velate,
è davvero un grande della scultura dell’epoca.
Aveva lavorato con successo in diverse parti d’Europa
ma morì proprio poco dopo averla terminata.
La prima cosa che salta all’occhio nell’osservarla
è che il titolo “La pudicizia” è davvero strano
tanto la statua appare… maestosamente “impudica“!
Anche qui il “velo corradiniano” appare fantastico
con quelle pieghe trasparenti del tessuto
che aderiscono elegantemente e morbidamente alla pelle.
L’arte del velo nella scultura era già nota agli antichi
ed era molto amata dal Principe anche per il suo significato esoterico
del… velare e… svelare (la verità).
La donna ha una cintura di rose intrecciate
ed uno sguardo perso nel vuoto ed ha poi accanto a sé
l’albero della vita e una lapide divisa in 2 parti
simbolo indiscusso di una vita troppo presto spezzata
ed ancor più confermato dalla mano lì appoggiata.
La base infine su cui essa è situata
mostra un bassorilievo in cui è raffigurato
l’episodio evangelico del Noli me tangere.
Abbiamo dunque visto e descritto la statua
sia come “significato familiare“,
omaggio alla madre prematuramente morta,
che da un punto di vista artistico,
la genialità dell’arte del Corradini.
Ora esaminiamola anche secondo
le differenti ed opposte interpretazioni
esoteriche e cristiane della stessa.
INTERPRETAZIONE ESOTERICA
Appare chiaro che se la scultura voleva rappresentare
solo un omaggio alla madre morta così giovane
qui c’è molto… ma molto di più
a partire da quel velo di cui abbiamo già parlato,
riferimento alla sapienza nascosta ai non iniziati,
e per la figura accostabile alla dea egizia Iside.
Inoltre tanto gli arbusti di quercia,
albero della conoscenza del Bene e del Male per gli antichi,
l’opulenza delle forme, la cintura di rose (Rosa mistica?) etc
evidenziano che l’opera
non è altro che un’allegoria della sapienza esoterica.
INTERPRETAZIONE RELIGIOSA O CLASSICA
Tutti i simboli dell’opera non sono altro
che espressione della fede cristiana.
La quercia è anche un simbolo cristiano,
il vaso sotto la statua è un contenitore di incenso,
la cintura di rose rappresenta la nascita della vita,
la lapide rotta fa riferimento alla resurrezione
(lapide del sepolcro di Cristo trovata rotta )
ed il velo null’altro è che un omaggio
alla nuda castità e/o alla nudità di Eva.
UNA PERSONALE OPINIONE
Tanta religiosità nel Principe, noto massone
e duramente perseguitato a più riprese dalla Chiesa
mi sfugge proprio del tutto e mi appare incomprensibile.
Lo stesso Corradini, l’autore, era poi un iniziato.
Come pure non mi convince l’idea che un figlio
voglia ricordare la madre precocemente scomparsa
mostrandola con forme così procaci
e coperte solo da un leggero velo trasparente.
Però penso anche che sia innegabile
la presenza di diversi riferimenti religiosi.
Dunque ritengo che nell’opera siano presenti
entrambi gli aspetti che forse sono stati volutamente
tenuti insieme principalmente per 2 motivi.
Il primo è quello di renderla ancor più misteriosa
ed il secondo per evitare le ire delle Autorità ecclesiastiche.
In ogni caso è indubitabile che si tratta
di un vero e proprio fantastico capolavoro…
FINE DELLA IV PARTE
(LA CAPPELLA SANSEVERO
E LE 4 INTERPRETAZIONI
DELLE SUE MISTERIOSE OPERE)
La visita virtuale della Cappella
continuerà con le altre misteriose opere
Chi volesse legger la I parte
– Presentazione e biografia del Principe di Sansevero –
Chi volesse legger la II parte
– La storia fella misteriosa Cappella –
Chi volesse legger la III parte
– Il mitico Cristo Velato –
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Ripartiamo, nell’analisi del dipinto,
dalle gambe della dea, dal pomo e dalle maschere
con le parole del Solimano.
L’ALLEGORIA DELL’AMORE E DEL TEMPO
ARTE E SEGRETI
II PARTE
Ma soprattutto si vedono due maschere, una giovane donna ed un uomo anziano che ha l’aria trista (triste+cattiva).
Le maschere, dice Erwin Panofsky, da sempre simboleggiano “la mondanità, l’insincerità e la falsità”.
Un raccordo con la Frode (la fanciulla), ma anche con il Piacere ed il Gioco (il putto).
Tutto continua ad essere chiaro ed ambiguo, duplice.
Nel particolare qui sotto del quadro del Bronzino, si vedono in parte i corpi bellissimi dei due amanti, Venere e Cupido, e continuano a comparire dei simboli, dei sublimi feticci.
Ambiguamente, il voyeurismo si nasconde dietro il significato morale e viceversa.
Proprio nell’angolo in basso si vede una colomba, ma poi se si guarda bene, si vede anche spuntare il becco e la testa di un’altra colomba.
“Tubare come colombi” si dice ancor oggi, ed Erwin Panofsky scrive che era un simbolo usuale di “tenera sollecitudine”, a cui è da aggiungere che le coppie di colombi sono note per la monogamia.
Il contesto non sembra quello, considerando il cuscino evidentemente morbidissimo sotto le ginocchia di Cupido, oggetto piuttosto raro allora.
Ancora oggi parliamo dei cuscini in “piumino d’oca” proprio per intendere che la morbidezza è il primo requisito del cuscino, che è un simbolo di lascivia e di mollezza.
“I Racconti del Cuscino” è il titolo di un film pregevole ed originale di Peter Greenaway, l’autore de “I misteri dei Giardini di Compton House”.
Il tema ricorrente di Greenaway è una acuta indagine sull’erotismo, un po’ quello che fa il Bronzino qui.
Dietro Cupido, si intravedono le foglie di un mirto, simbolo classico dell’amore.
Ma il corpo di Cupido, è maschile o femminile?
Ci tornerò alla fine.
In alto c’è un vecchio assai vigoroso, attento e lucidamente iracondo, la testa pelata ed una strana barba assai folta, dove c’è. I baffi spioventi gli coprono le labbra.
Ancora più in alto si vede un’ala biancastra e, vicino alla testa del vecchio, si intravede parte di una clessidra.
Corrisponde con la colomba nell’angolo opposto, quella di cui si vede solo il becco e la testa – il Bronzino era assai lucido nell’organizzare, nel pesare la rappresentazione, ed in questo caso si tratta musicalmente di due note in minore, ma indispensabili.
Questo vecchio è il simbolo del tempo, lo comprendono tutti, ma è bene porsi due domande, una particolare, ed una generale.
Che cosa sta facendo il tempo, anzi il Tempo?
Il tempo
Sta tirando in alto un drappo, una specie di grande tenda, sta svelando il quadro, con tutti i suoi significati e la loro ambiguità che, per il fatto stesso che ce ne accorgiamo, non c’è più, perché “Veritas filia Temporis”.
Perché il Tempo è vecchio? Una domanda ovvia, ma solo in apparenza.
Parrà strano, ma nella antichità classica il Tempo non era rappresentato come un vecchio, non c’era questa attenzione all’età del Tempo, anzi, spesso era rappresentato come un giovane con le ali ai piedi: Kairòs, l’Opportunità, che passa veloce e la devi cogliere subito, difatti aveva un gran ciuffo davanti e la nuca rasata.
Il Tempo è rappresentato come un vecchio per l’equivoco tardo-antico fra due parole greche che hanno significato diverso: Chronos, il tempo e Kronos, il padre di Zeus, vecchio e cattivissimo, un mangiabambini, alla lettera.
Lascio a voi la riflessione su quanto questa identificazione negativa del Tempo abbia pesato sulla visione di vita di tutto l’Occidente.
Per gli antichi Greci, Chronos era una cosa e Kronos tutta un’altra cosa.
Kronos, il nostro Saturno, si è mangiato pure Chronos… ed è un bel guaio.
Sono rappresentate due donne, nella parte del dipinto in alto a sinistra.
La simbologia di una delle due, la donna che piange ed urla strappandosi i capelli, è stata sempre chiara, dal Vasari ad oggi, anzi ben prima del Vasari e del Bronzino: è il simbolo della Gelosia disperata, altro inconveniente dell’amore, forse quello che più fa soffrire.
Riguardo la donna più in alto ci sono state molte discussioni; Erwin Panofsky credette di essere arrivato nel giusto definendola come Verità che aiuta il Tempo ad alzare il velo: Veritas filia Temporis, appunto.
Quindi ritenne che il titolo più appropriato del quadro era: “La lussuria smascherata“.
Ma ebbe la correttezza di cambiare idea quando osservò che nel quadro c’è una contrapposizione fra questa donna ed il Tempo: si scambiano sguardi irosi e sembra che la donna cerchi più di continuare a coprire col drappo piuttosto che alzarlo.
Oggi l’interpretazione più diffusa ritiene che questa donna rappresenti la Notte, colei che cela gli amanti ed in cui sembra che il tempo si fermi.

Al centro del quadro Cupido e Venere si baciano e si carezzano lascivamente, ma le forme di Cupido hanno ben poco di maschile, sembra un androgino.
Qui c’è tutta la cultura neoplatonica di Firenze che tendeva ad una rappresentazione molto simile dei corpi maschili e femminili, lo si vede benissimo dai disegni di Leonardo, Michelangelo e Raffaello.
L’aspetto più sorprendente è la gestualità dei due amanti: Venere ha in mano una freccia, Cupido tiene una mano sui capelli di Venere, sino ad arrivare al diadema.
Non possono essere gesti vacui, e l’interpretazione è singolare: entrambi stanno perseguendo la stessa finalità, che è quella di sottrarre qualcosa senza che l’altro se ne accorga.
Venere disarma Cupido privandolo della freccia, e Cupido disarma Venere privandola del suo diadema.
Entrambi operano in modo nascosto, difatti i loro gesti non possono essere reciprocamente visti.
Trovo convincente questa interpretazione, perché dopo che la si è sentita la prima volta non si può fare a meno di vedere la specularità dei due gesti, che sono fra di loro in corrispondenza fraudolenta.
Rivediamolo infine un’ultima volta e tutto intero, il quadro,
dopo gli spezzettamenti faticosi della spiegazione.

Un altro titolo dell’opera, forse più vicino alle intenzioni dell’artista, è “L’Allegoria del Trionfo di Venere”.
Il quadro è stato eseguito attorno al 1546 e segna la fine del periodo dei manieristi eroici e furiosi: il Parmigianino, il Rosso fiorentino, il Pontormo, i pittori della crisi politica italiana.
Due poteri politici assoluti, il Vaticano e la Spagna, hanno vinto, e “la lucida intenzionalità con cui il Bronzino dà forma incorrotta alla materia pittorica, fissando le immagini in una statica e aulica preziosità, si pone come superamento delle inquietudini della precedente generazione manieristica”.
E’ “un emblematico riflesso della volontà assolutistica della politica”.
Nel tempo succederà altre volte, ancora con grandi artisti: Guido Reni, dopo la tempesta sublime e terrestre del Caravaggio, e Jean Dominique Ingres, dopo la Rivoluzione francese, in piena Restaurazione.
Ma se seguiamo Erwin Panofsky, ci accorgiamo di quanta duplicità, ambiguità, insicurezza, ci sia dietro questo trionfo allegorico, ed il Bronzino ne era consapevole, solo che i tempi erano quelli.
La scialuppa di salvataggio non è il trionfo, è la consapevolezza, ed il sorriso che ne scaturisce, non ironico né grottesco, è il sorriso di chi ha capito, e va bene così, perché chi se ne accorge già è fuori dal gioco fraudolento della ipocrisia fatta sistema, dei disvalori elevati a valori.
Questo può essere il senso catartico del capolavoro del Bronzino.
F i n e
Testo di Solimano – Impaginazione note e coordinam. di Tony Kospan
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La più importante opera del Principe Raimondo de Sangro è certamente questa Cappella da lui abbellita ed arricchita da eccezionali opere d’arte.
STORIA DELLA CAPPELLA DI SANSEVERO
Costruita già nel 1590 per ospitare le tombe della famiglia fu del tutto restaurata nel corso del ‘700 dal Principe.

La Cappella in una antica stampa
E’ situata in pieno centro storico a pochi metri dalla piazza San Domenico Maggiore, ed è accanto al palazzo di famiglia dei Principi di Sansevero, ma divisa da un vicoletto che era però sormontato da un ponticello sospeso che consentiva ai membri della famiglia di accedere direttamente alla Cappella.

La piantina della Cappella
La prima cosa che stupisce è che nella Cappella sono presenti soprattutto sculture ed infatti gli unici dipinti sono:
il soffitto affrescato da F. M. Russo nel 1749 con le immagini allegoriche dei Santi della famiglia ed i medaglioni monocromatici con i Santi protettori del Casato.
Tutti presentano ancor oggi colori vivissimi grazie all’uso di una cd. pittura “oloidrica” che consisterebbe nell’uso, al posto della colla, di sostanze create dal Principe ed il cui segreto avrebbe portato con sé nella tomba.
Questa massiccia preponderanza di sculture e di parti architettoniche rappresenta un vero e proprio “unicum” nell’ambito delle Chiese e delle grandi Cappelle (benché questa sia ora sconsacrata).

LE 4 CHIAVI DI LETTURA DELLE OPERE
Prima dare un’occhiata alle opere più rappresentative presenti nella Cappella bisogna precisare che esse presentano, a mio parere ma non solo, ben 4 chiavi di lettura:
– La prima è quella religiosa, certo è una Cappella con statue e qualche dipinto di carattere religioso… eppure forse è la chiave meno importante.
– La seconda è quella della rappresentazione della storia della famiglia del Principe e dei personaggi che più le diedero lustro.
– La terza è quella artistica, per la presenza di fantastiche opere di grandi maestri dell’epoca inserite in un contesto tutto barocco ed in un trionfo (quasi musicale) di marmi e stucchi.
– La quarta, la più misteriosa e per molti la più affascinante, è quella esoterica in quanto il Principe avrebbe “fatto nascondere ma non troppo” nelle diverse opere i suoi principi e le sue conoscenze ermetiche ed alchemiche (qualcosa di vero certamente ci deve essere se si pensa alla persecuzione che il Principe subì da parte delle gerarchie ecclesiastiche.

Dunque nell’esaminare ciascuna opera, cercherò di evidenziare le diverse chiavi apparenti o nascoste, per quanto è a mia conoscenza.
Le opere di cui parlerò in modo ampio sono:
Il Cristo velato;
La pudicizia;
Il disinganno;
Le incredibili macchine anatomiche.
FINE II PARTE
Chi volesse conoscer la biografia
del misterioso ma geniale Principe e della sua famiglia
(I Parte del post) può cliccare qui giù…
CONTINUA
CON LE MIRABILI OPERE DELLA CAPPELLA… E NON SOLO…
LE IMMAGINI SONO PRESE DAL WEB E SARANNO SUBITO RIMOSSE SE CHI NE DETIENE IL COPYRIGHT LO CHIEDERA’
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IL CRISTO VELATO
E’ certo l’opera più bella e nel contempo più misteriosa ed è anche considerata uno dei massimi capolavori dell’arte mondiale.
Basterebbe da sola a giustificare una visita alla straordinaria Cappella.
Il grande Canova, quando la vide, ne rimase così entusiasta che era pronto a spender qualunque cifra per poterla acquistare… e studiare… ed affermò che avrebbe dato 10 o 20 anni di vita per poter dire d’esserne stato lui l’autore.

Il motivo di tanta stupefacente bellezza?
E’ soprattutto la presenza di un velo di marmo che lascia incredibilmente visibile sia il corpo sottostante che perfino le ferite ed i buchi fatti dai chiodi sul corpo di Gesù.
Molto si è scritto su quest’opera in quanto ci sono opposte versioni sull’origine di questo velo.
Secondo presunte clausole del contratto d’opera che sarebbero state ritrovate nell’Archivio Notarile di Napoli tra il Principe ed il Sammartino (e che potremo leggere nelle note in calce), allora apparirebbe certo che il “velo trasparente di marmo” sia stato un composto alchemico fornito dal Principe allo scultore.

Tuttavia sulla base di altri documenti c’è anche una tesi opposta e cioè che l’opera sia tutta un unico blocco di marmo finemente e favolosamente lavorato dallo scultore Sammartino.
In ogni caso, quando la vidi qualche anno fa, davvero mi sbalordì e mi sconvolse la trasparenza e l’aderenza del velo di marmo capace di mostrar con estrema e realistica precisione tutto quanto è da esso coperto… e cioè… la vena gonfia sulla fronte, i fori dei chiodi sui piedi e sulle mani, il costato scavato e l’aspetto rilassato del Cristo per la sopraggiunta morte liberatrice dal dolore.
Questi incredibili aspetti dell’opera si possono ammirare con stupore soltanto da vicino non potendo le foto dare l’esatta visione del realismo dell’opera.

Il foro nel piede
Ma cosa voleva dirci il Principe volendo realizzare quest’opera?
Innanzitutto c’è da dire che questa è forse l’unica scultura della Cappella che ha chiaramente un rilievo solo artistico e religioso non potendo ravvisarsi in essa aspetti esoterici (a parte la discussa storia del velo) o riferimenti alla famiglia del Principe.
Potrebbe però aver avuto lo scopo di dimostrare la possibilità di una felice unione tra arte ed alchimia oppure richiamare l’attenzione sulla Sindone quale simbolo esoterico di perfezione.
A mio modesto parere, con essa il Principe ha voluto soprattutto evidenziare la grandezza della sua potenza (in tutti i sensi) in quanto capace di pensare e di far realizzare (con o senza alchimie) un’opera davvero mitica ed unica al mondo.

NOTE
Tra le virgolette ecco degli estratti dalle clausole del contratto per la realizzazione del Cristo Velato rinvenute in alcuni siti in cui si afferma che siano state ritrovate nell’Archivio Notarile di Napoli ma delle quali non sono in grado di confermare l’autenticità:
– Lo scultore s’impegna a realizzare una ” statua raffigurante Nostro Signore Morto al Naturale da porre situata nella cappella Gentilizia del Principe, un Cristo Velato steso sopra un materasso che sta sopra un panneggio e appoggia la testa su due cuscini, apprè del medesimo vi stanno scolpiti una Corona di spine tre chiodi e una tenaglia“.
Il Principe s’impegna a fornire il marmo ed a realizzare una “Sindone, una tela tessuta la quale dovrà essere depositata sovra la scultura, dopo che il Principe l’haverà lavorata secondo sua propria creazione e cioè una deposizione di strato minutioso di marmo composito in grana finissima sovrapposta al telo; Il quale strato di marmo da usa idea, farà apparire per la sua finezza il sembiante di Nostro Signore dinotante come fosse scolpito di tutto con la statua“.
Lo scultore avrebbe però dovuto mantenere il segreto sulla “maniera escogitata dal Principe per la Sindone ricovrente la statua” e però l’opera sarebbe stata attribuita solo allo scultore.
FINE III PARTE
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e le caratteristiche generali della Cappella (II PARTE)
CONTINUA
Le prossime opere della Cappella di cui parlerò in modo ampio sono:
La pudicizia (IV)
Il disinganno (V)
Le incredibili macchine anatomiche (VI).
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