Archivio per 18 marzo 2023

Serata di sabato in poesia “Amare una persona è”O. Faworth – arte R. S. Bredin – musica “Hoy quiero sonar”   Leave a comment

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Rae Sloan Bredin
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ROSA q6
Si conobbero.
Lui conobbe lei e se stesso, 
perché in verità non s’era mai saputo. 
E lei conobbe lui e se stessa, 
perché pur essendosi saputa sempre 
mai s’era potuta riconoscere così.
– Italo Calvino 
ROSA q6


fre bia pouce     musicAnimata
Rae Sloan Bredin


AMARE UNA PERSONA E’…
 – Omar Faworth –

Averla senza possederla.
Dare il meglio di sé
senza pensare di ricevere.
Voler stare spesso con lei,
ma senza essere mossi dal bisogno
di alleviare la propria solitudine.
Temere di perderla,
ma senza essere gelosi.
Aver bisogno di lei,
ma senza dipendere.
Aiutar1a, ma senza aspettarsi gratitudine.
Essere legati a lei,
pur essendo liberi.
Essere un tutt’uno con lei,
pur essendo se stessi.
Ma per riuscire in tutto ciò,
la cosa più importante da fare è…
accettarla così com’è,
senza pretendere che sia come si vorrebbe.



Rae Sloan Bredin








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Frecce (174)




Rae Sloan Bredin


“Quando ho cominciato ad amarmi davvero” – Brevi.. belli e saggi questi pensieri di C. Chaplin   1 comment


 

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Già conosciamo la grandezza di Chaplin non solo

nella comicità e nell’arte cinematografica

ma anche nell’ambito del pensiero elevato.

 

 

 

 

 

 

Anche in queste sue riflessioni si manifesta,

 a mio parere,

la sua genialità e la sua grande saggezza

 

Penso che esse facciano bene alla mente ed al cuore

di tutti noi.

 

 

 

 

 

 

QUANDO HO COMINCIATO AD AMARMI DAVVERO

 Charlie Chaplin

 

 

Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
mi sono reso conto
che la sofferenza e il dolore emozionali
sono solo un avvertimento
che mi dice di non vivere contro la mia verità.
Oggi so che questo si chiama


AUTENTICITA’

 


Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
ho capito com’è imbarazzante
imporre a qualcuno i miei desideri,
pur sapendo che i tempi non sono maturi
e la persona non è pronta,
anche se quella persona sono io.
Oggi so che questo si chiama

RISPETTO PER SE STESSI

 

 

 


Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
ho smesso di desiderare un’altra vita
e mi sono accorto che tutto ciò che mi circonda
è un invito a crescere.
Oggi so che questo si chiama

MATURITA’

 

 

Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
ho capito di trovarmi sempre ed in ogni occasione
al posto giusto nel momento giusto
e che tutto quello che succede va bene.
Da allora ho potuto stare tranquillo.
Oggi so che questo si chiama

RISPETTO PER SE STESSI





Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
ho smesso di privarmi del mio tempo libero
e di concepire progetti grandiosi per il futuro.
Oggi faccio solo
ciò che mi procura gioia e divertimento,
ciò che amo e che mi fa ridere,
a modo mio e con i miei ritmi.
Oggi so che questo si chiama

SINCERITA’

 


Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
mi sono liberato di tutto ciò
che non mi faceva del bene:
cibi, persone, cose, situazioni
e da tutto ciò che mi tirava verso il basso
allontanandomi da me stesso,
all’inizio lo chiamavo “sano egoismo”,
ma oggi so che questo è

AMORE DI SE’


 

 


 


Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
ho smesso di voler avere sempre ragione.
E cosi ho commesso meno errori.
Oggi mi sono reso conto che questo si chiama

SEMPLICITA’

 


Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
mi sono rifiutato di vivere nel passato
e di preoccuparmi del mio futuro.
Ora vivo di più nel momento presente,
in cui TUTTO ha un luogo.
E’ la mia condizione di vita quotidiana
e la chiamo

PERFEZIONE

 


 

 


 

Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
mi sono reso conto che il mio pensiero può
rendermi miserabile e malato.
Ma quando ho chiamato a raccolta
le energie del mio cuore,
l’intelletto è diventato un compagno importante.
Oggi a questa unione do il nome di

SAGGEZZA DEL CUORE

 


Non dobbiamo continuare a temere i contrasti,
i conflitti e i problemi con noi stessi e con gli altri
perché perfino le stelle, a volte,
si scontrano fra loro dando origine a nuovi mondi.

Oggi so che…

QUESTO E’ LA VITA!

 

 

 

 

 

 Charlie Chaplin




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La bella storia della Festa del Papà (in breve) e le sue dolci tradizioni   1 comment

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LE ORIGINI DELLA FESTA


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La Festa del papà ricorre il 19 Marzo in concomitanza con la Festa di San Giuseppe, che nella tradizione popolare oltre a proteggere i poveri, gli orfani e le ragazze nubili, in virtù della sua professione, è anche il protettore dei falegnami, che da sempre sono i principali promotori della sua festa. 







Pare che l’usanza ci pervenga dagli Stati Uniti e fu celebrata la prima volta intorno ai primi anni del 1900, quando una giovane donna decise di dedicare un giorno speciale a suo padre. 

Agli inizi la festa del papà ricorreva nel mese di giugno, in corrispondenza del compleanno del Signor Smart alla quale fu dedicata, poi solamente quando giunse anche in Italia si decise che sarebbe stato più adatta festeggiarla il giorno della Festa di San Giuseppe.







In principio nacque come festa nazionale, ma in seguito è stata abrogata anche se continua ad essere un’occasione per le famiglie, e sopratutto per i bambini, di festeggiare i loro amati padri. 

La festa del 19 marzo è caratterizzata inoltre da due tipiche manifestazioni, che si ritrovano un po’ in tutte le regioni d’Italia: i falò e le zeppole.







Poiché la celebrazione di San Giuseppe coincide con la fine dell’inverno, si è sovrapposta ai riti di purificazione agraria, effettuati nel passato pagano. In quest’occasione, infatti, si bruciano i residui del raccolto sui campi, ed enormi cataste di legna vengono accese ai margini delle piazze. 

Quando il fuoco sta per spegnersi, alcuni lo scavalcano con grandi salti, e le vecchiette, mentre filano, intonano inni per San Giuseppe. 

Questi riti sono accompagnati dalla preparazione delle zeppole, le famose frittelle, che pur variando nella ricetta da regione a regione, sono il piatto tipico di questa festa.






da Orso Tony… papà 

ed ora pure 3 volte nonno.

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Testo dal Web – Impaginazione di Orso Tony.

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L’affascinante storia dei numeri (anche con immagini) dall’antichità ad oggi   Leave a comment

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Sono accanto a noi tutta la vita come amici (o nemici)
ed in ogni caso non possiamo farne a meno
ma… ne conosciamo la storia?
 
 
Sì, anche loro hanno una lunga storia
e forse, leggendola, avremo qualche sorpresa. 
 
 
 

 

 
  
 
LA FANTASTICA STORIA DEI NUMERI

 

 

1. NOI ED… I NUMERI




“Dio creò gli INTERI, tutto il resto (cioè i numeri fratti, irrazionali, trascendenti, immaginari etc.) sono opera dell’uomo” questa è l’opinione di Leopold Kronecker, un matematico tedesco vissuto nell’Ottocento.


L’affermazione è perentoria e sembra quasi invitarci a non indagare troppo sulla natura dei numeri. 
Noi invece vogliamo confutare il pensiero di Kronecker perché siamo convinti che il Padreterno può aver creato tutt’al più le pecore e tutte le altre cose del mondo ma non i numeri, i quali invece sono stati inventati dall’uomo proprio perché si possano contare le pecore e tutte le altre cose create da Dio.
 
Cominciamo allora con l’osservare che il sistema di numerazione che usiamo abitualmente è quello decimale, cioè contiamo e scriviamo i numeri per decine; ciò potrebbe non essere casuale.
L’uomo primitivo, per contare, potrebbe essersi servito di parti del proprio corpo, per esempio delle mani e delle relative dita.
Tutti abbiamo sperimentato che il modo più naturale di contare è quello di chiudere le mani (o anche una sola mano) a pugno e quindi sollevare un dito per volta in corrispondenza di ogni oggetto dell’insieme che si vuol contare.
Se l’evoluzione avesse sviluppato solo quattro dita per mano, l’uomo avrebbe probabilmente elaborato un sistema di numerazione «quaternario» o «ottale», cioè a base quattro o a base otto.

Questo convincimento poggia anche sul fatto che sono esistiti in passato ed esistono anche attualmente, presso alcune popolazioni, conteggi e registrazioni dei numeri basati sulle dita di una sola mano (sistema di numerazione «quinario»), o sulle venti dita complessive delle mani e dei piedi (sistema di numerazione «vigesimale»). 

La numerazione celtica, ad esempio, era una numerazione a base venti e i francesi, nella loro lingua, conservano il ricordo del modo di indicare i numeri di quell’antica popolazione: per dire ad esempio ottanta, i francesi dicono quatre-vings, cioè quattro volte venti. 

Esistono anche delle basi di numerazione che non derivano dall’anatomia del nostro corpo, ma dall’astronomia, come le numerazioni per dozzine o per sessantine, che si usano ad esempio quando si conteggia il tempo, dove, come tutti sanno, sessanta secondi sono un minuto e sessanta minuti sono un’ora e dove un giorno consta di ventiquattro ore ed un anno di dodici mesi.




 

 

2. GLI ANTICHI ED I NUMERI

 
 
I Caldei, gli antichi abitanti della Mesopotamia, avevano osservato che il Sole sorgeva nei vari periodi dell’anno in punti del cielo via via diversi e che dopo un anno, cioè dopo circa 360 giorni, il ciclo ricominciava. 
Essi notarono anche che la Luna riduceva le sue dimensioni giorno dopo giorno per poi ritornare a crescere ed assumere nuovamente l’aspetto di “Luna piena” dopo 30 giorni circa. 
Ora, 360 diviso 30 fa 12 e 12 erano appunto le costellazioni dello zodiaco, ossia i settori del cielo occupati da stelle che la fantasia degli antichi assimilava prevalentemente ad animali, entro i quali trovava sistemazione il Sole nei dodici periodi nei quali era stato diviso l’anno. 
L’anno in realtà non dura 360 giorni, ma 365 e 6 ore circa, né vi sono 12 “lune”, cioè 12 mesi di trenta giorni in un anno, e quindi la divisione dell’anno suggerita dai Caldei dovette essere successiva­mente corretta, ma rimase inalterata la suddivisione della circonferenza in 360 parti, chiamate «gradi». 
La ripartizione della circonferenza in gradi è legata quindi alla divisione della linea dell’orizzonte in 360 parti, e pertanto ha origine astronomica. 
Trecentosessanta però è un numero troppo grande perché esso serva come unità di misura e i Caldei preferirono, come base per una numerazione, la sua sesta parte, cioè il numero sessanta.
Una volta risolto il problema di come contare rimaneva quello di registrare i numeri, cioè di scrivere ciò che si era contato.
 
 
 
 

Numeri cuneiformi

 

 

 
I primi simboli utilizzati per scrivere i numeri erano delle raffigurazioni schematiche dette cuneiformi, perché venivano ottenute affondando, su tavolette d’argilla, la punta di uno stilo metallico.
Essi furono introdotti dai Babilonesi circa tremila anni prima di Cristo.
 
Successivamente vennero utilizzati anche dagli Egizi, che per scrivere i numeri adottarono un sistema a base decimale.
Vi era un simbolo speciale per ogni potenza del dieci e per scrivere gli altri numeri si ricorreva ad una legge additiva che consisteva nel ripetere più volte lo stesso simbolo (al massimo però fino a nove volte, perché poi c’era un apposito simbolo per scrivere il numero superiore).



Numeri egizi
 



I Greci furono pessimi matematici, pur essendo stati ottimi geometri, tanto che la geometria che si studia oggi nelle scuole è la cosiddetta geometria euclidea, formulata dal greco Euclide circa 300 anni prima di Cristo. 
I greci per scrivere i numeri si avvalsero di diversi sistemi, tutti molto approssimativi e di difficile impiego. 
Il più diffuso utilizzava le lettere dell’alfabeto che, a quel tempo, era costituito di ventisette simboli. 
Il motivo per il quale i greci erano piuttosto arretrati nella scrittura dei numeri e conseguentemente nella pratica del conteggio risiede nel fatto che nella loro cultura le arti pratiche, cioè le attività di cui si occupavano i commercianti e gli artigiani, erano considerate attività di minor valore rispetto a quelle prive di fini utilitaristici come la filosofia e la poesia alle quali si dedicava la classe di­rigente. 
Questa specie di indifferenza o addirittura di disprezzo verso il “far di conto” si protrarrà nei Paesi d’Europa per tutto il Medioevo e, secondo alcuni, dura tutt’oggi.
 
 
 
 
 

Numeri antica Grecia




I Romani adottarono un sistema di numerazione a base decimale i cui simboli, i cosiddetti «numeri romani», erano una modificazione dei simboli adoperati dagli Etruschi, gli antichi abitanti dell’Italia centrale, i quali si ispirarono, per la loro rappresentazione, alla forma delle mani e delle dita.

I primi tre simboli della numerazione romana rappresentano una (I), due (II) o tre (III) dita distese della mano, il cinque (V) ravvisa il disegno schematico della mano aperta e il dieci (X) potrebbe essere la rappresentazione approssimativa di due mani a­perte e congiunte, attraverso i polsi, in senso opposto.
I Romani per scrivere i numeri riuscirono ad utilizzare meno simboli dei loro predecessori in quanto si avvalsero sia dell’addizione che della sottrazione. Quando i simboli si susseguivano da sinistra a destra in ordine di valore crescente si sommavano, se invece una cifra di minor valore precedeva una di maggior valore veniva sottratta. Così, ad esempio, “XVI” significava dieci più cinque più uno, cioè sedici, mentre “IV” significava cinque meno uno, cioè quattro.


 
 
 

 

 

 

3. COME FU RISOLTO IL PROBLEMA

DEL”FAR DI CONTO”

 


Le numerazioni dell’antichità non erano molto adatte per fare calcoli, e specialmente non lo era quella romana. 

Immaginiamo di dover sommare il numero XVI al numero IV o peggio ancora di dover moltiplicare il primo per il secondo senza trasformarli prima nel sistema decimale. 

L’operazione, come è facile comprendere, risulta tecnicamente pressoché impossibile.


Gli antichi, in verità, per fare i calcoli usavano i cosiddetti «abachi», cioè tavolette divise in scomparti nei quali venivano sistemati dei sassolini che corrispondevano alle cifre di cui erano composti i numeri; essi funzionavano un poco come funzionano i pallottolieri. 

In ciascuno scomparto veniva sistemata una serie di sassolini a seconda delle unità, delle decine, delle centinaia e così via, di cui era composto il numero. 

Negli stessi scomparti, in modo coerente, venivano aggiunti i sassolini corrispondenti al numero che doveva essere sommato. 

Si contavano quindi tutti i sassolini presenti nel comparto delle unità e, se superavano il dieci, si lasciavano solo quelli eccedenti tale numero, mentre, nel secondo scomparto, quello delle decine, si aggiungeva un sassolino che valeva pertanto quanto dieci del primo scomparto. 

Si raggruppavano quindi i sassolini dello scomparto delle decine e, come nel caso precedente, se superavano il dieci, se ne toglieva appunto tale numero lasciandone il resto e si aggiungeva quindi un sassolino nello scomparto delle centinaia e così di seguito.


Successivamente, vennero introdotti dei simboli speciali per ciascun numero da 1 a 9. 

Con l’introduzione dei nuovi simboli che probabilmente arrivarono dall’India, e furono chiamati «numeri d’abaco», invece che sistemare negli scomparti i sassolini corrispondenti al numero che si voleva rappresentare, si piazzava direttamente il simbolo equivalente a quella cifra. 




Numeri d’abaco


In questo modo si arrivò praticamente all’introduzione del sistema moderno di numerazione.


Questo è detto posizionale perché ogni cifra di un numero ha un certo significato a seconda della posizione che occupa all’interno del numero stesso. L’adozione del sistema posizionale riduce la quantità dei simboli necessari per rappresentare i numeri. 

Senza questo artifizio la registrazione di un numero non sarebbe niente di più di una specie di stenografia, cioè una sequenza di simboli senza senso logico che certamente non avrebbe consentito alla matematica alcun progresso. 

 

 4. LA NASCITA DELLO… ZERO


 

Lo guardi e non lo vedi

 lo ascolti e non lo senti 

ma se lo adoperi è inesauribile


 

Mancava, tuttavia, per arrivare alla scrittura moderna dei numeri, un perfezionamento di non secondaria importanza: l’introduzione dello zero, una cifra alla quale nessuno, fino a quel tempo, aveva ancora pensato.

Lo zero venne introdotto, come simbolo della numerazione, dai mercanti indiani del IX secolo dopo Cristo, poiché essi si erano accorti che lasciando degli spazi vuoti, nella scrittura dei numeri, c’era il rischio di incorrere in equivoci molto seri. Due cifre, per esempio l’uno e il due, potrebbero indicare nella numerazione decimale numeri diversi, a seconda della posizione assunta dai simboli stessi. 

Essi potrebbero indicare, ad esempio, il numero 12, ma anche il numero 102 se rimanesse vuoto uno spazio fra le due cifre. Il pericolo maggiore di errore si sarebbe verificato tuttavia se gli spazi vuoti fossero stati quelli finali, quindi ad esempio per i numeri 120 o 1200. 

I mercanti indiani, che erano gente pratica che non andava troppo per il sottile, al contrario di quanto avveniva per i filosofi greci per i quali la scienza era un raffinato gioco intellettuale, introdussero, senza farsi troppi scrupoli, un simbolo specifico per indicare il vuoto. 

Del nuovo modo di scrivere i numeri vennero a conoscenza gli Arabi, i quali, essendo anch’essi dei mercanti, assimilarono immediatamente l’innovazione indiana, e successivamente la diffusero anche in Europa.

Come mai ci volle tanto tempo per capire che lo zero rappresentava una cifra fondamentale per la scrittura dei numeri? 

Il fatto è che i numeri vennero introdotti per contare gli elementi di una collezione e lo zero, all’interno di questa operazione, rappresenta il nulla, il vuoto. 

Era quindi difficile pensare allo zero come a qualche cosa di concreto.

Prima dell’invenzione dello zero fu introdotto, in verità, il punto per indicare lo spazio vuoto. 

Il punto è il simbolo visibile di più piccole dimensioni che si possa utilizzare per mostrare qualche cosa di immateriale e quindi era ciò che più si avvicinava al concetto di niente. 

Il punto però non rappresentava un numero, e quindi non poteva dare una risposta concreta ad un’operazione matematica del tipo, ad esempio, di due meno due.

 

 

 

Numeri Maya 

 

 

Per la verità quasi certamente i primi ad adottare lo zero come numero, da un punto di vista storico-cronologico, furono invece i Maya, con il loro sistema vigesimale, cioè in base venti ma la loro storia rimase nel chiuso delle Americhe – N.T.K. 

 

 

 

F I N E

 

 

TESTO SENZA AUTORE PRESENTE IN VARI SITI WEB – IMPAGINAZIONE T.K. 

 

 

CIAO DA TONY KOSPAN 

 

 

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Tamara de Lempicka.. regina dell’Art Deco – Breve biografia ed alcuni capolavori   1 comment

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Risultato immagine




Un’artista dallo stile unico, raffinato, affascinante ed inconfondibile,

ed una donna dalla vita avventurosa e libera.




Tamara de Lempicka – Autoritratto sulla Bugatti




TAMARA DE LEMPICKA
LA VITA… L’ARTISTA
Tony Kospan




Il vestito rosso



BREVE BIOGRAFIA


Nata in Polonia in una famiglia agiata (ma complicata)
fin da giovanissima mostra un carattere curioso ed intraprendente
con frequenti viaggi per l’Europa e grande interesse per l’arte.

A San Pietroburgo in casa di una zia conobbe
l’avvocato Tadeusz Łempicki che sposò nel 1916.




(Varsavia 16.5.1898 – Cuernavaca 18.3.1980)



Nel corso della rivoluzione russa
grazie al suo impegno ed alle sue conoscenze
riuscì a liberare il marito che era stato arrestato dai bolscevichi.

Vista la situazione russa tutta la famiglia si trasferì
a Parigi dove, nel 1920, nacque sua figlia Kizette.
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Con Dalì


 
Qui iniziò un corso di pittura vero e proprio
presso l’Académie Ranson.

Ben presto s’innamorò dello stile dell’Art Déco interpretandolo
però in un modo tutto suo e con assoluta originalità.






Nel 1922 ci fu la sua prima mostra e ben presto divenne famosa.

Nel corso dei suoi tanti viaggi fu anche ospite di Gabriele D’Annunzio
ma rifiutò sempre le sue insistenti avances.

Con lo scoppio della II Guerra Mondiale si trasferì negli USA
col 2° marito (il barone Raoul Kuffner de Diószegh).



Tamara de Lempicka – Arlette Boucard



Le opere “americane” tendenti all’astrattismo, a cui si era avvicinata,
però non ebbero lo stesso successo che avevano avuto quelle precedenti
al punto che non volle più mostrarle.

Morì il 18 marzo 1980 in Messico dove si era trasferita da poco
e le sue ceneri furono disperse, secondo il suo desiderio,
sul vulcano Popocatepetl.



Tamara de Lempicka – Ragazza che dorme – 1935




LO STILE

Le sue opere, pur nel solco della corrente dell’Art Déco,
appaiono originalissime ed uniche 
per il suo stile pittorico affascinante ed inconfondibile…

Lei percepisce e rielabora nei suoi dipinti
la vita e le mode del suo tempo con fantasia e maestria
ma non senza rigore formale.



POST VARI ARTE E NON CLASSIFIC,
Tamara de Lempicka – Ritratto del marchese D’Afflitto – 1925



Numerosi sono poi i ritratti dedicati a personaggi
della sua epoca.

Le sue opere affrontano con chiarezza,
ma senza volgarità, 
anche il tema dell’amore tra donne
(si è sempre affermata bisessuale).






I soggetti ritratti da lei si stagliano vivi, vigorosi,
quasi capaci di crear soggezione, 
tanto forte e tanto nitida
appare l’immagine, quasi un trompe-l’oeil.

Lei affermava di non voler copiare nessuno
e di voler avere uno stile tutto suo.



Il bacio



Possiamo dire che c’è riuscita in pieno
se le sue opere sono ancor oggi ammirate dappertutto
e vanno per la maggiore anche nel web.







F I N E





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