
Jean-Marc Nattier

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La verità era uno specchio che cadendo dal cielo si ruppe.
Ciascuno ne prese un pezzo
e vedendo riflessa in esso la propria immagine,
credette di possedere l’intera verità
Rumi – Sec. XIII

Jean-Marc Nattier – Adelaide di Francia nelle vesti di Diana
VITA DELLA MIA VITA
Rabindranath Tagore
Vita della mia vita,
sempre cercherò di conservare
puro il mio corpo,
sapendo che la tua carezza vivente
mi sfiora tutte le membra.
Sempre cercherò di allontanare
ogni falsità dai miei pensieri,
sapendo che tu sei la verità
che nella mente
mi ha acceso la luce della ragione.
Sempre cercherò di scacciare
ogni malvagità dal mio cuore,
e di farvi fiorire l’amore,
sapendo che hai la tua dimora
nel più profondo del cuore.
E sempre cercherò nelle mie azioni
di rivelare te,
sapendo che è il tuo potere
che mi dà la forza di agire.

Jean-Marc Nattier – La musa della Commedia


Jean-Marc Nattier – Alleanza tra Amore e Vino
IL GRUPPO DI CHI AMA VIVER L’ARTE
INSIEME
Jean-Marc Nattier – Adelaide di Francia nelle vesti di Flora
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Molti non sanno che l’istituto della Confessione
è davvero molto antico
molto più antico di quanto si possa pensare.
Tratteremo qui,
sulla base della documentazione archeologica a noi giunta,
il modo in cui l’istituto della Confessione
giunse nell’antico Egitto
e la particolare forma che ebbe presso di loro.
LA CONFESSIONE
a cura di Tony Kospan
Un primo completo elenco di peccati o meglio ancora…
l’affermazione di non averli commessi si trova tra gli Egizi…
nel famoso Libro dei Morti.
Questo istituto però era già presente nella religione degli Ittiti
che ebbero frequenti rapporti sia pacifici che bellicosi con gli Egizi.
Questi ultimi dunque la fecero propria…
riducendola però ad una formula soprattutto rituale
per passare nel miglior modo alla vita ultraterrena.
Nella religione Ittita il peccato per eccellenza,
anzi il “reato” data la sua punibilità,
era la trasgressione alle norme o agli ordini divini.
Proprio per la ricerca dei peccati
e per l’espiazione di eventuali trasgressioni,
essendo ciò di fondamentale importanza,
acquistò particolare rilievo tra gli Ittiti l’istituto della confessione.
L’idea stessa del peccato fu personificata in un dio, Wastulassis,
che assieme ad altre divinità astratte quali
Hantassas (equità) e Istamanassas (esaudimento),
a differenza degli altri dei che ordinavano il territorio,
regolavano i rapporti tra uomini e dei,
e quindi il comportamento umano.

Gli Egizi quindi fecero loro questo istituto e ne fecero largo uso
Ecco ora il testo completo della formula che gli egizi recitavano
e che portavano con sé nel sarcofago scritta su amuleti
(in genere lo scarabeo scacro)
e spesso era inserita tra le bende della mummia.
La confessione presentava in sé, visti i peccati che l’anima negava d’aver commesso,
un alto carattere morale ma, in realtà, bastava saperla recitare a memoria o leggerla
dopo essersela scritta nella tomba, per essere sicuri di ricevere l’assoluzione
anche nel caso che si fossero commessi tutti i peccati nominati nel corso dell’atto di discolpa:
LA CONFESSIONE
Non ho detto il falso
Non ho commesso razzie
Non ho rubato
Non ho ucciso uomini
Non ho commesso slealtà
Non ho sottratto le offerte al dio
Non ho detto bugie
Non ho sottratto cibo
Non ho disonorato la mia reputazione
Non ho commesso trasgressioni
Non ho ucciso tori sacri
Non ho commesso spergiuro
Non ho rubato il pane
Non ho origliato
Non ho parlato male di altri
Non ho litigato se non per cose giuste
Non ho commesso atti omosessuali
Non ho avuto comportamenti riprovevoli
Non ho spaventato nessuno
Non ho ceduto all’ ira
Non sono stato sordo alle parole di verità
Non ho arrecato disturbo
Non ho compiuto inganni
Non ho avuto una condotta cattiva
Non mi sono accoppiato (con un ragazzo)
Non sono stato negligente
Non sono stato litigioso
Non sono stato esageratamente attivo
Non sono stato impaziente
Non ho commesso affronti contro l’immagine di un dio
Non ho mancato alla mia parola
Non ho commesso cose malvagie
Non ho avuto visioni di demoni
Non ho congiurato contro il re
Non ho proceduto a stento nell’acqua
Non ho alzato la voce
Non ho ingiuriato dio
Non ho avuto dei privilegi a mio vantaggio
Non sono ricco se non grazie a ciò che mi appartiene
Non ho bestemmiato il nome del dio della città.

Però anche tra i vivi si ha notizia di una confessione dello stesso genere
che veniva pronunciata dal sacerdote dopo l’apertura del naos, al mattino,
durante il culto divino quotidiano, nell’ora destinata all’adorazione del dio.
Questo era dunque l’istituto della Confessione nell’antico Egitto
prima della sua successiva profonda trasformazione
avvenuta con il Cristianesimo.
FINE
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Tutti abbiamo sentito parlare dei poeti maledetti
ma spesso ne abbiamo solo una vaghissima conoscenza.
Stavolta parleremo del poeta dalla faccia da bambino,
vero e proprio grande innovatore in poesia
attraverso l’esaltazione senza alcun limite
di ogni genere di emozioni e sensazioni.
Charleville 20.10.1854 – Marsiglia 10.11.1891
BREVE BIOGRAFIA
Arthur Rimbaud, il più maledetto dei poeti maledetti,
nacque a Charleville nel 1854 in una buona famiglia borghese
ma restò presto senza padre (scappato) e con una madre severissima.
Ebbe la classica educazione e ben presto,
già a 10 anni iniziò a scriver poesie.
Ma a 16 si rivoltò contro le forme tradizionali
della buona società iniziando a vagabondare per la città
e vivendo esperienze di ogni tipo
comprese quelle della droga, dell’alcool e del carcere
ma anche leggendo di tutto.
L’incontro con Paul Verlaine, di cui divenne amico,
rappresentò per lui un momento decisivo di consapevolezza
delle sue capacità poetiche e letterarie.
Nel 1870 fu ospitato a Parigi da Verlaine a casa sua
dove viveva con la moglie.
Verlaine e Rimbaud
Verlaine l’introdusse negli ambienti letterari parigini
(circolo di poeti parnassiani)
ed ecco come lo definì tal Léon Valade
«poeta terrificante e selvaggio più che timido».
In pratica il poeta dalla faccia di bambino
affascinava e addirittura sconvolgeva il circolo
per le capacità artistiche e per la sua incontenibile depravazione.
Henri Fantin Latour – I poeti maledetti – (Verlaine e Rimbaud a sinistra)
Proprio dal ’70 e per 5 anni scrisse tutte le sue opere letterarie
frequentando Verlaine, con cui fece dei viaggi a Londra e Bruxelles,
fino al 1873 quando l’amico poeta mise fine alla loro relazione
sparandogli un colpo di pistola e ferendolo.
Dopo di ciò abbandonò la poesia ed addirittura distrusse tutti i suoi scritti
iniziando una vita di avventure e peripezie in giro per il mondo.
Fece l’insegnante, lo scaricatore di porto, il mercenario,
il capomastro etc… ed infine il commerciante in Abissinia
Intanto Verlaine pubblicava le sue “Illuminazioni” nel 1886.
Tornato in Francia per curar un tumore al ginocchio
vi morì a soli 32 anni.
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LA SUA RIVOLUZIONARIA POETICA
Oscillando tra Victor Hugo ed i parnassiani ma soprattutto
volendo cambiare tutti i canoni preesistenti
perfino quelli degli innovatori prima di lui come Baudelaire
giunse ad una poesia detta della sensazione
ovvero delle emozioni totali senza filtri né controlli.
Nei suoi versi si uniscono pensieri, odori, musiche e colori
in modo talmente libero da farlo considerare assolutamente unico
e l’iniziatore dell’audacia assoluta in poesia.
ALCUNE SUE POESIE
SOGNATO PER L’INVERNO
Andremo, d’inverno, in un vagoncino rosa
con tanti cuscini blu.
Sarà dolce. Un nido di baci folli
posa nei cantucci molli.
Tu chiuderai gli occhi,
per non vedere dai vetri
smorfiare l’ombre delle sere,
la plebaglia di demoni e di lupi tetri,
mostruosità arcigne e nere.
Poi la tua guancia graffiare si sentirà…
un piccolo bacio, un ragno matto,
ti correrà sul collo…
Intanto tu mi dirai:
“Cerca!”, chinando a me la testa
prenderemo tempo a scovare quella bestia
che viaggia così tanto…
PRIMA SERATA
Ella era ben poco vestita
E degli alberi grandi e indiscreti
Flettevano i rami sui vetri
Con malizia, vicino, vicino…
Seduta sul mio seggiolone,
Seminuda, giungeva le mani.
Al suolo fremevano lieti
i suoi piccolissimi piedi.
Io guardavo, colore di cera,
un piccolo raggio di luce
sfarfallare nel suo sorriso
e sul suo seno, mosca al rosaio.
Le baciai le caviglie sottili.
Ebbe un ridere dolce e brutale
Che si sciolse in un limpido trillo,
Un ridere grazioso di cristallo.
I suoi piedini sotto la camicia
Si salvarono: “Beh, vuoi finirla?”.
La prima audacia era stata permessa,
Ma ridendo fingeva di punirla!
Baciai, palpitanti al mio labbro,
I suoi timidissimi occhi;
Lei ritrasse la sua testolina
Esclamando: “Ma questo è ancor meglio!…
Signore, ho qualcosa da dirvi…”
Tutto il resto gettai sul suo seno
In un bacio, del quale ella rise
D’un riso che fu generoso…
Ella era ben poco vestita
E degli alberi grandi e indiscreti
Flettevano i rami sui vetri
Con malizia, vicino, vicino…

Berthe Morisot – Giovane donna
SENSAZIONE
Nelle azzurre sere d’estate, andrò per i sentieri,
punzecchiato dal grano, a pestar l’erba tenera:
trasognato sentirò la frescura sotto i piedi
e lascerò che il vento mi bagni il capo nudo.
Io non parlerò, non penserò più a nulla:
ma l’amore infinito mi salirà nell’anima,
e me ne andrò lontano, molto lontano come uno zingaro,
nella Natura, lieto come con una donna.
Ma Boheme – Jean-Paul Surin
LA MIA BOHEME (Fantasia)
Me ne andavo, i pugni nelle tasche sfondate;
E anche il mio cappotto diventava ideale;
Andavo sotto il cielo, Musa! ed ero il tuo fedele;
Oh! quanti amori splendidi ho sognato!
I miei unici pantaloni avevano un largo squarcio.
Pollicino sognante, nella mia corsa sgranavo
Rime. La mia locanda era sull’Orsa Maggiore.
Nel cielo le mie stelle facevano un dolce fru-fru
Le ascoltavo, seduto sul ciglio delle strade
In quelle belle sere di settembre in cui sentivo gocce
Di rugiada sulla fronte, come un vino di vigore;
Oppure, rimando in mezzo a fantastiche ombre,
Come lire tiravo gli elastici
Delle mie scarpe ferite, un piede vicino al cuore!
F I N E
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