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Archivio per 27 luglio 2022
Mercoledì sera in poesia “Amore” Sodergan – arte Stillman – canzone “La forza che ci muove” Leave a comment
Una mia riflessione sull’importanza ed i limiti della competizione. Ma voi cosa ne pensate? 4 comments










La poesia visiva.. genere poco noto ma con un grande padre.. Apollinaire – Definizione.. storia ed esempi Leave a comment
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C’è un genere di poesia del tutto particolare… e poco noto
è…
la poesia delle (e nelle) immagini.
Non ne parlerò per esaltarla e diffonderla
né per denigrarla o disconoscerla ma solo per approfondire la conoscenza
di un genere poco noto ma che ha illustri genitori
ed in Apollinaire il massimo esponente.
Essa, pur non avendo una grande diffusione,
ha però ancor oggi poeti che si esprimono in tal modo
e diversi gruppi che l’apprezzano.

DEFINIZIONE
Essa si può definire come il punto d’incontro tra l’arte figurativa (in ogni suo aspetto) e la poesia così come la conosciamo.
Spesso la poesia visiva si associa anche al sonoro.
Ne tracceremo una sua breve storia a partire dalle prime avanguardie artistiche degli inizi del 20° secolo per giungere alla sua teorizzazione nel secondo dopoguerra fino all’esplosione tecnologica degli ultimi tempi.
La famosa poesia “IL PLEUT” di Apollinaire…
Pioggia di parole… Parole a pioggia…
Poesia visiva di Apollinaire
Poesia visiva di Apollinaire e la sua… musa
Un discorso a parte merita poi il noto poeta del primo ‘900
Thomas Dylan
per la vastità e complessità del suo mondo poetico.
Il famoso libro di poesie visuali di Apollinaire “Calligrammes”












Sì anche la vocale che usi per ridere.. parla di te! – Scopri cosa rivela con questo mini test! Leave a comment


Ma sono uguali tutte le risate?
La vocale che usiamo… parla di noi

Il modo di ridere è un’importante via di comunicazione:
VEDIAMO DUNQUE I SIGNIFICATI DI OGNI SINGOLA VOCALE…
A A A A A A A A
la “a” è la vocale delle risate di vero cuore, vitale, aperta e solare come la personalità di chi ride in questo modo.
– la risata “oh, oh, oh”:
caratteristica di chi apprezza la buona cucina e si sente a proprio agio soprattutto in una tavolata di amici.
U U U U U U U U
– la risata “uh, uh, uh”:
è la più profonda , la più vicina agli istinti.
– la risata “eh, eh, eh”:
risuona nella gola, che fa da ponte tra la testa e il cuore, tra le emozioni e la razionalità.
Può esprimere cinismo, difficoltà di contatto affettivo, tendenza a fuggire le emozioni.
I I I I I I I I
– la risata “ih, ih, ih”:
vibra nel naso e nella testa, ed è piuttosto mentale e controllata.
E tu con che vocale ridi?

Giosuè Carducci.. monumento della poesia italiana – Biografia poetica ed alcune sue mitiche liriche Leave a comment

e vero mito letterario tra la fine dell’800
e l’inizio del ‘900, è stato il primo italiano
a vincere il premio Nobel per la Letteratura.

e soprattutto con alcune sue mitiche poesie.

le cui atmosfere rivivranno poi in tante sue poesie.
iniziò ad insegnare in un Ginnasio di Pistoia.
di Letteratura Italiana nell’Università di Bologna.

e la passione politica, con l’amore per la vita
la famiglia e la natura sono le linee guida
della sua notevole produzione poetica.
che esaltano il Romanticismo, sceglie il Classicismo.
storiche, culturali e poetiche italiane e far rivivere
idee di orgoglio patrio per un futuro glorioso.

pur non paludati e pesanti, tuttavia esplorano
in modo raffinato tutte le potenzialità
della lingua italiana del passato e del mondo classico.
“romantiche” e “simboliste”.
le prime 3 classicissime e studiatissime a scuola
e la 4° è una bella poesia d’amore.

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la pargoletta mano,
il verde melograno
da’ bei vermigli fior,
rinverdì tutto or ora
e giugno lo ristora
di luce e di calor.
percossa e inaridita,
tu dell’inutil vita
estremo unico fior,
sei ne la terra negra;
né il sol più ti rallegra
né ti risveglia amor.

piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;
dal ribollir de’ tini
va l’aspro odor de i vini
l’anime a rallegrar.
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
sull’uscio a rimirar
stormi d’uccelli neri,
com’esuli pensieri,
nel vespero migrar.

Van da San Guido in duplice filar,
Quasi in corsa giganti giovinetti
Mi balzarono incontro e mi guardar.
Mi riconobbero, e— Ben torni omai —
Bisbigliaron vèr’ me co ‘l capo chino —
Perché non scendi ? Perché non ristai ?
Fresca è la sera e a te noto il cammino.
Oh sièditi a le nostre ombre odorate
Ove soffia dal mare il maestrale:
Ira non ti serbiam de le sassate
Tue d’una volta: oh non facean già male!
Nidi portiamo ancor di rusignoli:
Deh perché fuggi rapido cosí ?
Le passere la sera intreccian voli
A noi d’intorno ancora. Oh resta qui! —
— Bei cipressetti, cipressetti miei,
Fedeli amici d’un tempo migliore,
Oh di che cuor con voi mi resterei—
Guardando lor rispondeva — oh di che cuore !
Ma, cipressetti miei, lasciatem’ire:
Or non è piú quel tempo e quell’età.
Se voi sapeste!… via, non fo per dire,
Ma oggi sono una celebrità.
E so legger di greco e di latino,
E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtú:
Non son piú, cipressetti, un birichino,
E sassi in specie non ne tiro piú.
E massime a le piante. — Un mormorio
Pe’ dubitanti vertici ondeggiò
E il dí cadente con un ghigno pio
Tra i verdi cupi roseo brillò.
Intesi allora che i cipressi e il sole
Una gentil pietade avean di me,
E presto il mormorio si fe’ parole:
— Ben lo sappiamo: un pover uom tu se’.
Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse
Che rapisce de gli uomini i sospir,
Come dentro al tuo petto eterne risse
Ardon che tu né sai né puoi lenir.
A le querce ed a noi qui puoi contare
L’umana tua tristezza e il vostro duol.
Vedi come pacato e azzurro è il mare,
Come ridente a lui discende il sol!
E come questo occaso è pien di voli,
Com’è allegro de’ passeri il garrire!
A notte canteranno i rusignoli:
Rimanti, e i rei fantasmi oh non seguire;
I rei fantasmi che da’ fondi neri
De i cuor vostri battuti dal pensier
Guizzan come da i vostri cimiteri
Putride fiamme innanzi al passegger.
Rimanti; e noi, dimani, a mezzo il giorno,
Che de le grandi querce a l’ombra stan
Ammusando i cavalli e intorno intorno
Tutto è silenzio ne l’ardente pian,
Ti canteremo noi cipressi i cori
Che vanno eterni fra la terra e il cielo:
Da quegli olmi le ninfe usciran fuori
Te ventilando co ‘l lor bianco velo;
E Pan l’eterno che su l’erme alture
A quell’ora e ne i pian solingo va
Il dissidio, o mortal, de le tue cure
Ne la diva armonia sommergerà. —
Ed io—Lontano, oltre Apennin, m’aspetta
La Tittí — rispondea; — lasciatem’ire.
è la Tittí come una passeretta,
Ma non ha penne per il suo vestire.
E mangia altro che bacche di cipresso;
Né io sono per anche un manzoniano
Che tiri quattro paghe per il lesso.
Addio, cipressi! addio, dolce mio piano! —
— Che vuoi che diciam dunque al cimitero
Dove la nonna tua sepolta sta? —
E fuggíano, e pareano un corteo nero
Che brontolando in fretta in fretta va.
Di cima al poggio allor, dal cimitero,
Giú de’ cipressi per la verde via,
Alta, solenne, vestita di nero
Parvemi riveder nonna Lucia:
La signora Lucia, da la cui bocca,
Tra l’ondeggiar de i candidi capelli,
La favella toscana, ch’è sí sciocca
Nel manzonismo de gli stenterelli,
Canora discendea, co ‘l mesto accento
De la Versilia che nel cuor mi sta,
Come da un sirventese del trecento,
Piena di forza e di soavità.
O nonna, o nonna! deh com’era bella
Quand’ero bimbo! ditemela ancor,
Ditela a quest’uom savio la novella
Di lei che cerca il suo perduto amor!
— Sette paia di scarpe ho consumate
Di tutto ferro per te ritrovare:
Sette verghe di ferro ho logorate
Per appoggiarmi nel fatale andare:
Sette fiasche di lacrime ho colmate,
Sette lunghi anni, di lacrime amare:
Tu dormi a le mie grida disperate,
E il gallo canta, e non ti vuoi svegliare.
— Deh come bella, o nonna, e come vera
è la novella ancor! Proprio cosí.
E quello che cercai mattina e sera
Tanti e tanti anni in vano, è forse qui,
Sotto questi cipressi, ove non spero,
Ove non penso di posarmi piú:
Forse, nonna, è nel vostro cimitero
Tra quegli altri cipressi ermo là su.
Ansimando fuggía la vaporiera
Mentr’io cosí piangeva entro il mio cuore;
E di polledri una leggiadra schiera
Annitrendo correa lieta al rumore.
Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo
Rosso e turchino, non si scomodò:
Tutto quel chiasso ei non degnò d’un guardo
E a brucar serio e lento seguitò.
A chi tempri il bel raggio, o donna mia?
E l’intima del cor tuo melodia
A chi armonizzi ne’ soavi accenti?
Dài la dolce e pensosa alma in balía?
O le membra concesso hai de la pia
Onda a gli amplessi di vigor frementi?
Se l’aura o l’onda con mormorio lento
Ti sfiora il viso o a’ bianchi omeri posa,
Vive e ti cerca in ogni bella cosa
E ti cinge d’eterno abbracciamento.


