Se tu hai una mela, e io ho una mela, e ce le scambiamo,
allora tu ed io abbiamo sempre una mela per uno.
Ma se tu hai un’idea, ed io ho un’idea, e ce le scambiamo,
allora abbiamo entrambi due idee. – George Bernard Shaw –
William McGregor Paxton
COME TE
Roque Dalton
Io, come te,
amo l’amore, la vita, il dolce incanto
delle cose, il paesaggio
celeste dei giorni di gennaio.
Anche il mio sangue freme
e rido attraverso occhi
che hanno conosciuto il germinare delle lacrime.
Credo che il mondo è bello,
che la poesia è come il pane, di tutti.
E che le mie vene non finiscono in me
ma nel sangue unanime
di coloro che lottano per la vita,
l’amore,
le cose,
il paesaggio e il pane,
la poesia di tutti.
L’iniziatore della corrente è unanimemente ritenuto il Bamboccio.
Conosciamolo e potremo farci una prima idea della corrente.
Pieter van Laer – Haarlem 1599 / 1675
IL BAMBOCCIO
Pieter van Laer, detto il Bamboccio, era un pittore olandese in auge a Roma tra il 1625 ed il 1639.
Il soprannome di Bamboccio gli fu dato a Roma, forse per il suo viso tondo e colorito (amava il vino e le osterie) e la piccola statura.
Dopo essersi formato come pittore in Olanda, affinò il suo stile a Roma accanto agli artisti dell’epoca.
Qui frequentò diversi pittori, tra cui altri olandesi, e divenne anche uno dei leader di questi ultimi.
Pieter van Laer
Creò un suo stile, consistente in una versione “morbida” dello stile caravaggesco, che ebbe un buon successo commerciale ed anche dei seguaci.
Riordiamoci che proprio in quell’epoca nasceva e si diffondeva anche a Roma un fiorente mercato dell’arte.
Tornò poi in Olanda, ad Haarlem, dove morì nel 1675.
Johannes Lingelbach – Mercato italiano con dentista ciarlatano (1651)
I BAMBOCCIANTI (O SCUOLA DEI BAMBOCCIANTI)
Questa corrente o scuola ebbe vita breve (con qualche eccezione) ed una limitata estensione territoriale ma una forte presenza nel ‘600 a Roma.
Nacque, in contrapposizione (o in alternativa) all’arte accademica del tempo, sulle orme del Bamboccio che si era specializzato in piccoli dipinti, quasi dei bozzetti, in cui ritraeva normali scene di vita romana, spesso di gente semplice ed umile.
Pieter van Laer dunque, pur partendo dall’idea del Caravaggio di ritrarre la realtà umana, creò un suo stile che, pur essendo alquanto bozzettistico, ebbe grande successo presso la nobiltà, il clero romano ed i mercanti d’arte.
Le sue opere, quasi sempre di piccole dimensioni, erano chiamate “bambocciate” ed i suoi seguaci “bamboccianti“.
Pieter van Laer
Nei dipinti della corrente non ci fu mai alcun intento di critica o di protesta sociale mentre non mancava invece una più o meno celata presa in giro dei costumi popolari.
I dipinti della “Scuola dei Bamboccianti“, in auge nell’arte del ‘600 romano, si caratterizzavano dunque per le scene di vita popolare e per la loro ridotta dimensione.
Tuttavia, nonostante i successi romani, la corrente non si estese ad altre regioni né furono creati capolavori degni di nota di cui sia rimasta traccia nel tempo.
I seguaci più noti furono: Andries Both, Karel Dujardin, Johannes Lingelbach, Jan Miel, Jan Asselyn, Keil Eberhard, Michiel Sweerts e tra gli italiani Viviano Codazzi, Michelangelo Cerquozzi e Filippo Gannetto.
Michelangelo Cerquozzi
LA CRITICA DELL’EPOCA E… SALVATOR ROSA
Giuseppe Passeri, un critico d’arte dell’epoca, diede, forse inconsapevolmente, la migliore definizione di questo genere di pittura meravigliandosi che non venivano mai ritratti nobili e clero ma gente del popolo.
Eccola: “perché costui (Pieter Van Laer) era singolare nel rappresentare la verità schietta e pura nell’esser suo, ché i suoi quadri parevano una finestra aperta (sulla realtà).”
Pieter van Laer
Di ben altro avviso però fu il pittore napoletano Salvator Rosa che, da artista davvero controcorrente e semianarchico, pur essendo stato per breve tempo tra i bamboccianti li definì così: “… falsari e guitti facchini, monelli, tagliaborse, stuol d’imbriachi e gente ghiotta, tignosi, tabaccari e barbierie…”.
Non solo, il Rosa se la prese pure con i mercanti d’arte, nobiltà e clero che amavano le bambocciate e li attaccò con una poesia simpatica e satirica che evidenziava come essi amavano spendere molti denari per questi dipinti che ritraevano la povera gente ma poi non spendevano nemmeno un soldo per aiutarla in concreto.
Johannes Lingelbach
Leggiamola.
E questi quadri son tanto apprezzati
che si vedono de’ grandi entro gli studi
di superbi ornamenti incorniciati:
così i vivi mendichi, afflitti e nudi
non trovan da coloro un solo denaro
che ne’ dipinti poi spendon gli scudi;
così ancor io da quelli stracci imparo
che de’ moderni principi l’instinto
prodigo è ai lussi, a la pietade avaro
quel che aborriscon vivo aman dipinto
perch’ormai de le corti è vecchia usanza
d’avere in prezzo solamente il finto.
Michelangelo Cerquozzi – Scena della Commedia dell’arte
L’iniziatore della corrente è unanimemente ritenuto il Bamboccio.
Conosciamolo e potremo farci una prima idea della corrente.
Pieter van Laer – Haarlem 1599 / 1675
IL BAMBOCCIO
Pieter van Laer, detto il Bamboccio, era un pittore olandese in auge a Roma tra il 1625 ed il 1639.
Il soprannome di Bamboccio gli fu dato a Roma, forse per il suo viso tondo e colorito (amava il vino e le osterie) e la piccola statura.
Dopo essersi formato come pittore in Olanda, affinò il suo stile a Roma accanto agli artisti dell’epoca.
Qui frequentò diversi pittori, tra cui altri olandesi, e divenne anche uno dei leader di questi ultimi.
Pieter van Laer
Creò un suo stile, consistente in una versione “morbida” dello stile caravaggesco, che ebbe un buon successo commerciale ed anche dei seguaci.
Riordiamoci che proprio in quell’epoca nasceva e si diffondeva anche a Roma un fiorente mercato dell’arte.
Tornò poi in Olanda, ad Haarlem, dove morì nel 1675.
Johannes Lingelbach – Mercato italiano con dentista ciarlatano (1651)
I BAMBOCCIANTI (O SCUOLA DEI BAMBOCCIANTI)
Questa corrente o scuola ebbe vita breve (con qualche eccezione) ed una limitata estensione territoriale ma una forte presenza nel ‘600 a Roma.
Nacque, in contrapposizione (o in alternativa) all’arte accademica del tempo, sulle orme del Bamboccio che si era specializzato in piccoli dipinti, quasi dei bozzetti, in cui ritraeva normali scene di vita romana, spesso di gente semplice ed umile.
Pieter van Laer dunque, pur partendo dall’idea del Caravaggio di ritrarre la realtà umana, creò un suo stile che, pur essendo alquanto bozzettistico, ebbe grande successo presso la nobiltà, il clero romano ed i mercanti d’arte.
Le sue opere, quasi sempre di piccole dimensioni, erano chiamate “bambocciate” ed i suoi seguaci “bamboccianti“.
Pieter van Laer
Nei dipinti della corrente non ci fu mai alcun intento di critica o di protesta sociale mentre non mancava invece una più o meno celata presa in giro dei costumi popolari.
I dipinti della “Scuola dei Bamboccianti“, in auge nell’arte del ‘600 romano, si caratterizzavano dunque per le scene di vita popolare e per la loro ridotta dimensione.
Tuttavia, nonostante i successi romani, la corrente non si estese ad altre regioni né furono creati capolavori degni di nota di cui sia rimasta traccia nel tempo.
I seguaci più noti furono: Andries Both, Karel Dujardin, Johannes Lingelbach, Jan Miel, Jan Asselyn, Keil Eberhard, Michiel Sweerts e tra gli italiani Viviano Codazzi, Michelangelo Cerquozzi e Filippo Gannetto.
Michelangelo Cerquozzi
LA CRITICA DELL’EPOCA E… SALVATOR ROSA
Giuseppe Passeri, un critico d’arte dell’epoca, diede, forse inconsapevolmente, la migliore definizione di questo genere di pittura meravigliandosi che non venivano mai ritratti nobili e clero ma gente del popolo.
Eccola: “perché costui (Pieter Van Laer) era singolare nel rappresentare la verità schietta e pura nell’esser suo, ché i suoi quadri parevano una finestra aperta (sulla realtà).”
Pieter van Laer
Di ben altro avviso però fu il pittore napoletano Salvator Rosa che, da artista davvero controcorrente e semianarchico, pur essendo stato per breve tempo tra i bamboccianti li definì così: “… falsari e guitti facchini, monelli, tagliaborse, stuol d’imbriachi e gente ghiotta, tignosi, tabaccari e barbierie…”.
Non solo, il Rosa se la prese pure con i mercanti d’arte, nobiltà e clero che amavano le bambocciate e li attaccò con una poesia simpatica e satirica che evidenziava come essi amavano spendere molti denari per questi dipinti che ritraevano la povera gente ma poi non spendevano nemmeno un soldo per aiutarla in concreto.
Johannes Lingelbach
Leggiamola.
E questi quadri son tanto apprezzati
che si vedono de’ grandi entro gli studi
di superbi ornamenti incorniciati:
così i vivi mendichi, afflitti e nudi
non trovan da coloro un solo denaro
che ne’ dipinti poi spendon gli scudi;
così ancor io da quelli stracci imparo
che de’ moderni principi l’instinto
prodigo è ai lussi, a la pietade avaro
quel che aborriscon vivo aman dipinto
perch’ormai de le corti è vecchia usanza
d’avere in prezzo solamente il finto.
Michelangelo Cerquozzi – Scena della Commedia dell’arte
Perché la cittadina dell’Etiopia presenta undici chiese rupestri non costruite bensì scolpite interamente da un unico blocco di granito ed il cui tetto è situato al livello del suolo.
LA STORIA
La cittadina anticamente si chiamava Roha.
Cambiò il nome nel 12 ° secolo quando il Re Lalibela volle che si scolpissero queste chiese straordinarie e pertanto la città prese il nome di chi volle creare queste incredibili architetture.
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Narra la leggenda che il Re, da bambino, andò in coma per un tentativo di avvelenamento per cui una volta salvatosi decise di creare un grande complesso religioso.
Il Re però non volle copiare alcun tipo di chiesa precedente bensì creare solo costruzioni completamente diverse dalle altre… assolutamente uniche.
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Per realizzare ciascuna chiesa il lavoro consisteva prima nell’isolare un enorme pezzo di roccia, scavandovi tutto intorno, e poi passare ad un enorme lavoro di scalpello e martello per creare e cesellare gli interni.
La chiesa più grande è alta 40 mt.
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Un’altra leggenda vuole che di notte l’immane lavoro fosse continuato dagli angeli per aiutare gli esausti operai.
Una delle chiese contiene un pilastro in cui sono nascosti i segreti ed i progetti di costruzione visibili solo dai sacerdoti.
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Il desiderio del Re era anche quello di creare una Nuova Gerusalemme per evitare ai sudditi il lungo pellegrinaggio in Terra Santa e di costruire una nuova Città sacra che potesse competere con la famosa Axum che nasconde o nasconderebbe la vera ed originale Arca dell’Alleanza.
Lo stile delle decorazioni è di tipo bizantino.
Il risultato come possiamo vedere da queste immagini è stupefacente.
Una giovane donna ha appena saputo di avere una malattia terribile e che le restano solo tre mesi di vita.
Chiama il parroco per le sue ultime volontà.
Sceglie gli abiti che indosserà, la musica, le parole e le canzoni.
Quando il parroco sta per andarsene lo trattiene per un braccio.
– “C’è un’altra cosa …”
– “Dica”
– “Questo è importante. Voglio che mi si sotterrino con una forchetta nella mano destra!”
Il parroco è molto sorpreso…
– “La cosa la meraviglia, vero?”
– “Per essere sincero sono piuttosto perplesso dalla sua richiesta”
– “Dunque! Mia nonna mi ha raccontato questa storia ed io ho sempre provato a trasmettere questo messaggio a tutti quelli che amo ed hanno bisogno di incoraggiamento.
” In tutti i miei anni di partecipazione ad eventi sociali e pranzi ricordo che sempre c’era qualcuno che piegandosi verso di me diceva – tenga la sua forchetta! – ed era il momento che preferivo perché sapevo che qualcosa di meglio sarebbe arrivato, come una torta, una mousse al cioccolato od una torta di mele. Qualcosa di meraviglioso e di sostanza.”
Quando la gente mi vedrà nella cassa da morto con una forchetta nella mano, voglio che si chiedano:
– Perché quella forchetta? – ed allora lei potrà rispondere:
– Tenete sempre la vostra forchetta perché il meglio deve ancora arrivare! -”
Il parroco, con le lacrime agli occhi, stringe forte la giovane donna per darle l’arrivederci.
Sa che non la rivedrà mai più viva.
E sa che quella donna aveva un’idea del paradiso molto migliore sia della sua che di tanta altra gente.
Lei SAPEVA che qualcosa di meglio sarebbe successo.
Ai funerali la gente sfilava davanti alla cassa della giovane donna e vedevano sia il suo bel vestito che la forchetta nella mano destra.
Tutt’a un tratto il parroco sentì l’attesa domanda:
– “Perché la forchetta?” e sorrise.
Durante la predica, il parroco raccontò la conversazione avuta con la giovane donna alla vigilia della sua morte e raccontò loro la storia della forchetta dicendo che non riusciva a smettere di pensarci e che da allora in poi anche loro, ogni volta che avessero avuto nella mano una forchetta, avrebbero dovuto permetterle di ricordar loro che il meglio doveva ancora avvenire.