Archivio per 27 novembre 2021

Felice sabato sera in poesia “Taci, anima stanca” C. Sbarbaro – arte de Torres – canzone “Lilly” A. Venditti   Leave a comment

 
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Julio Romero de Torres – Carmen Otero

 

 
 
 
 
 
 
 
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L’amore non bisogna implorarlo e nemmeno esigerlo.
L’amore deve avere la forza di attingere la certezza in se stesso.
Allora non sarà trascinato, ma trascinerà.
– H. Hesse –

 
rosa 29rosa 29rosa 29
 
 
 
 
 
Julio Romero de Torres – La buona fortuna
 
 
 

TACI ANIMA STANCA DI GODERE
Camillo Sbarbaro
 
 
Taci, anima stanca di godere
e di soffrire
(all’uno e all’altro vai rassegnata).
Nessuna voce tua odo se ascolto:
non di rimpianto per la miserabile
giovinezza ,non d’ira o di speranza,
e neppure di tedio.
 
Giaci come
il corpo, ammutolita, tutta piena
d’una rassegnazione disperata.
 
Non ci stupiremmo,
non è vero, mia anima, se il cuore
si fermasse, sospeso se ci fosse
il fiato…
 
Invece camminiamo,
camminiamo io e te come sonnambuli.
 
E gli alberi son alberi, le case
sono case, le donne
che passano son donne, e tutto è quello
che è, soltanto quel che è.
 
La vicenda di gioia e di dolore
non ci tocca.

Perduto ha la voce
la sirena del mondo,
e il mondo è un grande deserto.
 
Nel deserto
io guardo con asciutti occhi me stesso.
 
 


 
 
Julio Romero de Torres – L’allegria



ROSA 561hROSA 561h





da Tony Kospan

 

 

oro 7
IL GRUPPO DI CHI AMA L’ARTE FIGURATIVA
(PITTURA, SCULTURA, FOTOGRAFIA E CINEMA)

 
 
 

 Julio Romero de Torres
 
 

“Pianefforte ‘e notte” e “Voce ‘e notte” – La Napoli notturna di un tempo in una grande poesia ed in una grande canzone   Leave a comment

 
 
 
 
 
 Ecco una delle poesie napoletane classiche
più belle di tutti i tempi…
insieme ad una altrettanto famosa e bellissima canzone, 
entrambe sul tema, notte. 
 
 
La poesia, amata anche da Pasolini
è tra le più famose in tutto il mondo 
per l’intrinseca dolcezza ed un tale malinconico trasporto 
che va oltre il tempo e lo spazio. 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
Pianefforte ‘e notte
 
 
 
 
Leggiamola…
 
 
 
 
 



PIANEFFORTE ‘E NOTTE
Salvatore di Giacomo


Nu pianefforte ‘e notte
sona luntanamente,
e ‘a museca se sente
pe ll’aria suspirà.

è ll’una: dorme ‘o vico
ncopp’ a nonna nonna
‘e nu mutivo antico
‘e tanto tiempo fa.

Dio, quanta stelle ‘n cielo!
Che luna! e c’aria doce!
Quanto na della voce
vurria sentì cantà!

Ma sulitario e lento
more ‘o mutivo antico;
se fa cchiù cupo ‘o vico
dint’a ll’oscurità.

Ll’anema mia surtanto
rummane a sta fenesta.
Aspetta ancora. E resta,
ncantannese, a pensà.



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Per chi non comprende il napoletano
ecco una traduzione d’eccezione,
quella di Pier Paolo Pasolini
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
PIANOFORTE DI NOTTE 

 

Un pianoforte di notte
suona in lontananza,
e la musica si sente
 per l’aria sospirare.
è l’una: dorme il vicolo
su questa ninna nanna
di un motivo antico
di tanto tempo fa.
Dio, quante stelle in cielo!
Che luna! e che aria dolce!
Quanto una bella voce
vorrei sentire cantare!
Ma solitario e lento
muore il motivo antico;
si fa più cupo il vicolo
dentro all’oscurità.
L’anima mia soltanto
rimane a questa finestra.
Aspetta ancora, e resta,
incantandosi, a pensare.
 
 
 
 
 
 
 

 

 
 
 
 
 
 
CHITARRA banjo notesCHITARRA banjo notesCHITARRA banjo notesCHITARRA banjo notesCHITARRA banjo notesCHITARRA banjo notesCHITARRA banjo notesCHITARRA banjo notes
 
 
 
 
 
 
 Voce ‘e notte
 
Ora,  se ci va, 
ascoltiamo questa canzone napoletana antica 
altrettanto dolcissima e notissima
prima cantata da Massimo Ranieri
 
 
 
 
 fre bia pouce     musicAnimata
 
 
 
 
 
 
 
 
e poi cantata da Peppino di Capri

 

(potendo anche leggerne il testo originale)
 
 
 
 
 
fre bia pouce    musicAnimata

 

 

 

 
 

 

 
Ciao da Orso Tony
 
 
 
 
 

 

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Quale emisfero del nostro cervello è dominante? Il test ci dirà se in noi domina la ragione o la fantasia   3 comments



TONY KOSPAN 3 



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Sappiamo tutti che il nostro cervello
è formato da 2 emisferi
ciascuno con specifiche competenze…
e che comunicano tra loro
attraverso il cd. corpo calloso.



Ecco un elenco (ma a grandi linee) 
delle competenze dei due emisferi:



TONY KOSPAN 3 


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In sintesi, ma molto ampia, possiamo dire
che uno è addetto alla razionalità, al metodo etc
e l’altro alla fantasia ed all’istinto.



TONY KOSPAN 3 



Noi utilizziamo entrambi gli emisferi a turno,
a seconda delle occasioni in cui ci troviamo ad agire
ma abbiamo anche naturalmente la tendenza
ad usare uno più dell’altro che pertanto
possiamo definire dominante.








Come possiamo stabilire quale facciamo lavorare di più
e quindi alla fin fine dominare?

Questo test può aiutarci a capirlo.




Frecce2039




Se ci va raccontiamo
qual è il nostro emisfero dominante.


Ciao


Tony Kospan





3
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“Il gregge” – Bello ed elegante questo racconto di Miriam Ballerini (con dipinti.. pastorali)   Leave a comment



Non ricordo più dove trovai,

parecchio tempo fa, questo racconto.


L’autrice in seguito l’ho poi conosciuta un po’ (virtualmente)

frequentando il sito di un’amica.


,

Francesco Paolo Michetti – Pastorella con il suo gregge




Grande fu quindi la mia sorpresa nel leggere il suo nome
come autrice di questo bel racconto quando mi tornò tra le mani…
(ohibò… ma si può dir ancora così dato che oggi
grazie al web tutti i documenti sono virtuali?).



Jules Dupré



Si tratta di un racconto che unisce eleganza di prosa,
a realismo, emozione,  dolcezza…
e grande tensione verso una visione positiva della vita.

Vi consiglio di tutto cuore di leggerlo.
 


 
 
Henri Jean Guillaume Martin

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IL GREGGE
Miriam Ballerini
 
 


Tobia subì l’ennesimo strepito di urla della madre. Nascosto, seduto in cima alle scale, sull’ultimo gradino di legno, quello che scricchiolava meno degli altri; assisteva a un nuovo litigio dei genitori. 
O, forse, era sempre lo stesso che veniva ripresentato in una nuova versione.
“Non ne posso più della tua gelosia!”, gridò suo padre. 
La sua voce salì per la scala a chiocciola, fino a scontrarsi coi suoi piedi imbacuccati in un paio di pantofole a forma di cane.
“E io sono stanca delle tue bugie!” 
Sua madre, se possibile, urlò più forte di prima. 
Il bambino provò a coprirsi le orecchie con le mani, stringendo forte gli occhi, sperando in un qualche rifugio interiore, dove rintanarsi. 
“Basta! Me ne vado!”
“No, caro! Non sei tu che te ne vai, sono io che ti caccio via!” 
Tobia scalciò l’aria nel tentativo di rialzarsi velocemente. 
Rinculò fino alla sua camera, dove indossò le scarpe da ginnastica e il giubbetto che da poco si era tolto, tornando da scuola. 
Dall’alto delle scale vide l’ombra di suo padre stagliata sul muro: un lungo braccio nero che si allungò per aprire la porta, poi, solo il rumore dei suoi passi sul vialetto e l’accendersi del motore dell’auto. 
Tobia discese qualche gradino; sua madre piangeva in cucina, sentiva i suoi singhiozzi, nonostante cercasse di coprirne il suono lavando i piatti, sbattendoli fra loro nell’acqua saponata. 
Percorse il corridoio piano; delicatamente aprì la porta e la richiuse adagio. 
Aveva otto anni e il pensiero che gli si era presentato alla mente, era semplice e lineare: sottrarsi con la fuga ai litigi dei suoi genitori. 
Si sentiva svigorito, a furia di passare sempre più giornate ad ascoltare le loro urla, inerpicarsi sui gradini fino a raggiungerlo. 
Aveva paura, di un timore semplice che solo una parola sapeva racchiudere interamente: divorzio. 
A scuola sentiva i discorsi degli altri bambini, figli di divorziati: prima erano le urla, poi il silenzio della divisione. 
E loro, i bambini, rimanevano in quella terra di mezzo – una terra di nessuno – sbatacchiati ora da un genitore, ora dall’altro. 
E questo quando ti andava bene: a volte, venivi affidato a mamma e, papà, non si faceva più vivo. 
Senza accorgersene, Tobia camminò per le strade del paese, con le lacrime che a forza di pungergli gli occhi, avevano finito per trovare la loro via d’uscita. 
Si avviò verso la campagna, passando da un sentiero che a volte percorreva con papà, quando uscivano a raccogliere more; con i guanti per non pungersi le mani e i cestini di vimini che finivano per tingersi di blu. 
Superata una modesta altura, venne accolto dal latrare di alcuni cani e si ritrovò circondato da pecore, agnellini e un paio d’asini! 
Due pastori sedevano su dei massi, intenti a mangiarsi un panino, mentre custodivano il loro gregge. 
Quando i loro animali avessero ripulito a dovere quel campo, si sarebbero spostati in cerca di una nuova pastura. 
Tobia si soffermò ai margini di quell’insieme bianco sporco, belante, ad osservare gli agnellini che trotterellavano intorno alle zampe degli adulti. 
Trascorse così alcune ore, divertendosi ad accarezzare la lana sporca delle pecore e quella più candida dei loro cuccioli. 
I quali si avvicinavano giusto il tempo per farsi accarezzare il muso rosa, e poi scappare via. 
I suoi genitori, nel frattempo, si erano riconciliati, come sempre accadeva dopo le loro liti. 
Per il bene di Tobia, perché non c’erano davvero questi grandi motivi di contrasto. 
Erano la tensione, i malumori raccolti sul lavoro che andavano sfogati in qualche futile scontro; per liberarsi da quel catarro vischioso prodotto dallo stress. 
E poi, ancora si guardavano con negli occhi il velo dell’amore. 
Forse era un po’ rattoppato, logoro, ma pur sempre lì, a fungere da mantello per ripararsi l’un l’altro. 
La donna scese le scale di corsa, allarmata: “Tobia non c’è!”
“Non c’è?”
“Era in camera sua a fare i compiti. Non ci sono nemmeno più le sue scarpe!” 
Si guardarono, lei con le guance arrossate per la corsa, lui pallido, sbiancato dall’ angoscia.
Uscirono di casa, scordandosi di coprirsi.
Il freddo di dicembre li avvinghiò appena li ebbe fra le sue braccia.
Cominciarono a cercarlo dai vicini, nei negozi, nei bar. 
Fra le vie del paese agghindate con file di luci colorate e alberi di Natale, a recitare auguri con le scritte a intermittenza. 
Infine, udirono dei belati giungere dalla campagna, e le voci di alcuni uomini che chiedevano aiuto. 
I due coniugi di precipitarono verso quei suoni, davanti ai loro occhi si presentò una scena tremenda: le pecore erano discese tutte insieme da una collina che era franata sotto al loro peso, fra rovi e alberelli. 
Le bestie che erano scese per prime, stavano distese a terra, schiacciate dalle altre. 
I pastori tentavano di allontanare il resto del gregge, per impedirgli di finire anch’essi soffocati. 
Tobia corse loro incontro: “Mamma! Papà! Dobbiamo aiutarli!”
La madre lo afferrò per le spalle: “Io e te stiamo qui, è pericoloso”. 
Il padre si gettò fra le ressa di animali spaventati, sbattendo le mani e urlando, per far allontanare le altre pecore. 
Nonostante gli sforzi di tutte le persone accorse, e i pastori che provarono a rianimare le pecore praticando loro la respirazione bocca a bocca, per venti animali non ci fu nulla da fare. 
Tobia, stretto fra i genitori, rimase lì a guardare gli agnellini che richiamavano le loro madri defunte, distese in mezzo all’erba con le zampe levate in aria. 
La madre lo abbracciò stretto: “Vieni, torniamo a casa”.
“E adesso?”
Il padre si incamminò con loro, esausto, sporco. “Adesso ci penseranno i pastori. 
Ai piccoli rimasti orfani daranno loro il latte”. 
Entrarono in casa e il padre sedette con Tobia sul primo gradino della scala. “Tesoro, perché sei scappato?”
“Litigavate”.
Il bambino volse verso di lui due occhioni pieni di lacrime: “Litigate sempre! Io non voglio che divorziate”. 
La madre gli si inginocchiò accanto: “Tobia, papà e io ci vogliamo bene. Siamo un po’ nervosi, è vero, ma non abbiamo nessuna intenzione di lasciarci”. 
“E di lasciare me?” pensò alle zampe di quelle povere bestie, coi piccoli zoccoli appuntiti a indicare un posto lontano del campo. 
“Ma cosa dici?” Suo padre gli accarezzò i capelli. “Non pensarlo nemmeno”.
“Io e papà siamo un po’ come quei pastori che hai conosciuto oggi: per la nostra famiglia faremmo di tutto. 
Hai visto come hanno tentato di salvare il loro gregge? Noi faremmo lo stesso per te. Tu sei il nostro agnellino!” 
Sua madre lo baciò sulla fronte. “Il più bell’agnellino che abbia mai visto!” 
Tobia rise fra le lacrime, tirando su col naso gli ultimi singhiozzi che ancora aveva in gola. “E tu e papà siete due pecore?” 
“Bhè…io un bell’ariete, e mamma una pecora con tanta lana!” 
Risero, abbracciandosi, ritrovandosi in quell’amara esperienza.
********* 
Il giorno dopo degli uomini caricarono su di un camion le carcasse degli animali morti, per portarli all’inceneritore. 
Il gregge, nonostante la tremenda sciagura, proseguì nel suo viaggio. 
Tobia, divenuto adulto, non scordò mai quelle povere bestie morte schiacciate e l’impegno messo dai pastori per salvarle. 
Divenne padre di famiglia e, un giorno, si ritrovò a raccontare questa storia ai suoi figli. 
“… i miei genitori mi consolarono facendo questo esempio, da allora, ho sempre pensato alla famiglia come a un gregge: unita”.



Pellizza da Volpedo


 Ciao da Tony Kospan




Barra21CAhomeiwao

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Francesco Paolo Michetti – Ritorno all’ovile




Davvero simpaticissime e divertenti queste letterine inviate dai bambini a Gesù Bambino   Leave a comment


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Sono note le simpaticissime e sorprendenti espressioni, 

domande e riflessioni dei bambini.



Non da meno sono quelle 

rinvenute nelle letterine a Gesù Bambino

di cui ora possiamo leggere una piccola antologia.




 

 


LETTERINE A GESU’



Sono alcune frasi raccolte dal libro:


“Caro Gesù, puoi cambiare il sapore degli asparagi?”

Ed. Sonzogno
 

 





* Caro Gesù, per noi la messa è molto noiosa.
Perché non ci aggiungi anche dei cartoni?
(Andrea)

* Caro Gesù, ti prego, prenditi cura del mondo.
Ci sono due grandi problemi, l’inquinamento e la guerra.
Comincia pure con quello che vuoi
(Nicola)

* Caro Gesù, con chi ti vedi nel tempo libero, con gli apostoli?
(Valentina)

* Caro Gesù, sei stato forte ad inventare la religione.
Tutti parlano di te
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Anche io vorrei diventare famoso.
Spero di avere un’idea come la tua.
(Mattia)

* Caro Gesù, che faccia facevano tutti quando facevi i miracoli?
Non ti veniva da ridere?
(Carolina)







* Caro Gesù, posso mandare delle preghiere per il campionato?
(Edoardo)

* Caro Gesù bambino, grazie per i gormiti che mi hai portato, scometto che piacciono anche a te.
Chi è il tuo preferito?
Il mio è helicon
(Leo)

* Caro Gesù, perché hai fatto quelle bestie brutte come gli scarafaggi e i ragni?
Ti servivano a qualcosa?
(Teresa)

* Caro Gesù, cosa ne pensi di chi dice che non esisti?
Li consideri come tifosi di un’altra squadra? Per esempio interisti?
(Paolo)

* Caro Gesù, mi piace tanto disegnare e vorrei farti un ritratto.
Puoi venire giù dal cielo così ti guardo bene da vicino?
(Carolina)







* Caro Gesù bambino, ci vediamo a Natale, non vedo l’ora…
(Clara)

* Caro Gesù Bambino, era bella la sveglia di Pooh che hai portato a me e a mia sorella.
Peccato che era rotta.
La prossima volta puoi controllare prima, per favore?
(Amalia)

* Caro Gesù, secondo me il wrestling è tutto una finta.
Giusto?
(Giovanna)

* Caro Gesù, il papà dice che il calcio è diventato brutto perché girano troppi soldi.
Puoi prenderne un po’?
Così ritorna più bello (non dire che sono stato io a darti l’idea)
(Enrico)

* Caro Gesù, la mamma dice che posso stare fuori fino al tramonto.
Sabato puoi fermare il sole?
(Erica)







* Caro amico Gesù, per me tu sei uno come noi.
Non ci credo che sei morto e risorto.
Magari abiti dalle mie parti.
(Giovanni)

* Caro Gesù, vado in una scuola di suore.
Sono gentili, ma non potevi farle vestire un po’ meglio?
I preti invece sono eleganti secondo me
(Lucia)

* Caro Gesù, ti voglio chiedere una cosa: più pace nel mondo.
E già che ci siamo, un paio di Reebok per Natale
(Edoardo)

* Caro Gesù, eri forte quando camminavi sulle acque.
Ma dovresti vedermi sciare
(Debora)

* Caro Gesù, per favore mi fai l’autografo?
Faccio la raccolta
(Cristina)








(LE FRASI SONO STATE RINVENUTE NEL WEB – IMPAGINAZ. TK)



CIAO DA TONY KOSPAN




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