Archivio per 27 luglio 2021
La nostra meta non è di trasformarci l’un l’altro,
ma di conoscerci l’un l’altro e d’imparar a vedere
e a rispettare nell’altro ciò che egli è:
il nostro opposto e il nostro completamento.
~ Hermann Hesse – Narciso e Boccadoro ~


Alfred Stevens
I CINQUE SENSI
Joao Baptista Almeida Garrett
Sono bellissime le stelle, lo so.
Mille colori divini hanno quei fiori,
ma io per essi non ho occhi, né amore.
Altra bellezza non vedo nella natura,
che te, mio bene, solo te!
Divina è la voce che suona triste
tra i rami che rivestono l’albero,
ma io nemmeno dell’usignolo
che trilla sento la melodia,
né odo altra armonia
che te, mio bene, solo te!
L’aria che bacia i bei fiori respira
celeste incenso di profumi agresti.
Io non sento, l’anima mia non coglie,
non avverte né aspira altro profumo fragrante
che te, mio bene, solo te!
Belli sono quei frutti saporiti,
prelibato il nettare del grappolo.
Ho fame e sete… assetato
affamato sono tanto… ma di baci
tuoi, mio bene, di te!
Tenera al tocco è una zolla fiorita
morbida al petto mio che si distende,
ma chi, vicino a te, ricerca ansioso un’altra carezza
o un altro piacere prova
che non sia tu, mio bene, solo tu?
A te tutti i miei sensi
accorrono fusi in uno solo.
Sento, odo, respiro,
in te, per te deliro.
Con te sta la mia morte,
a te la mia vita ho dato,
se giungerà la morte,
sarà un morire per te!


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LA TUA PAGINA DELLA CULTURA
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LA COMPETIZIONE E… NOI…
La competizione ha sempre un obiettivo… una meta da raggiungere… una vittoria da conseguire.
Il termine “competizione”, nel mondo moderno, ha avuto però un’evoluzione verso un significato negativo per alcuni.
Per la precisione… per quelli che danno maggior valore alla serenità ed al benessere interiore ed ai quali non interessa affatto primeggiare.
Per altri, invece, essa ha sempre avuto, ed ha ancora oggi, un enorme significato positivo.
Sono quelli che danno maggior valore al desiderio di primeggiare, anzi ne sentono un’assoluta necessità, per soddisfare il proprio Ego.
Essi ritengono che nella vita bisogna continuamente “battere” gli altri, superarli in qualunque campo (e spesso anche in qualunque modo).
Se questa è la situazione, soprattutto nel mondo occidentale, espongo una mia piccola riflessione sul punto.
LA MIA CONSIDERAZIONE
Come sempre la cosa migliore sta nel mezzo… IN MEDIO STAT VIRTUS.
E’ errato vivere solo per competere.
E’ errato evitare sempre di competere.
La competizione ritengo sia necessaria soprattutto (o solo) per raggiungere l’obbiettivo di una vita degna d’essere vissuta.
Ciò però non deve avvenire a scapito di altri e senza danneggiare alcuno.
Essa quindi deve essere strumento di conoscenza, studio, tecnica, approfondimento e deve essere accompagnata dalla tenacia e dalla perseveranza per raggiungere la meta.
A mio parere dunque non dobbiamo mai dimenticare, che, soddisfatti in buona misura i nostri bisogni primari, nuove sfide possono esserci certo ma solo come un optional evitando così un esasperante e continuo tentativo di primeggiare sugli altri.
L’ideale sarebbe, come ci insegna la saggezza e la filosofia orientale, (ma spesso non è facile) godere con calma, ed a lungo, del risultato raggiunto.
E voi cosa ne pensate?
Tony Kospan
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Pare… dico pare… che chi riesce a sorridere spesso
ha meno possibilità d’ammalarsi!
Ne sono convinti i medici, ma a parte ciò,
quel che è certo è che chi riesce a sorridere spesso
vive senz’altro meglio.
Ma sono uguali tutte le risate?
NO!
La vocale che usiamo… parla di noi
e del momento che stiamo vivendo.
Il modo di ridere è un’importante via di comunicazione:
e, a seconda delle vocali che usiamo,
la risata comunica stati d’animo differenti e modi diversi di essere.

VEDIAMO DUNQUE I SIGNIFICATI DI OGNI SINGOLA VOCALE…
A A A A A A A A
– la risata “ah, ah, ah”:
la “a” è la vocale delle risate di vero cuore, vitale, aperta e solare come la personalità di chi ride in questo modo.
Fa bene al cuore apre la respirazione e aiuta la circolazione; è quindi utilissima per stress a stati d’ansia.
O O O O O O O O
– la risata “oh, oh, oh”:
caratteristica di chi apprezza la buona cucina e si sente a proprio agio soprattutto in una tavolata di amici.
La risata in “o” è grassa o di pancia, risuona nel ventre e dà benefici all’apparato digerente.
U U U U U U U U
– la risata “uh, uh, uh”:
è la più profonda , la più vicina agli istinti.
E’ preziosa per sciogliere la tensione, soprattutto quando si accumula nella schiena.
E E E E E E E E
– la risata “eh, eh, eh”:
risuona nella gola, che fa da ponte tra la testa e il cuore, tra le emozioni e la razionalità.
E’ la risata caratteristica di chi privilegia la razionalità nel lavoro e nelle relazioni.
Sarcastica e pungente ha spesso per bersaglio qualcosa o qualcuno.
Può esprimere cinismo, difficoltà di contatto affettivo, tendenza a fuggire le emozioni.
Attenzione a non controllare troppo con la testa; lasciate andare un po’ di più la vostra parte emozionale, ne trarranno beneficio mente e corpo.
I I I I I I I I
– la risata “ih, ih, ih”:
vibra nel naso e nella testa, ed è piuttosto mentale e controllata.
Così è la risata del sarcastico, di chi sta reprimendo l’aggressività.
Sembra più una scarica nervosa che un atto piacevole.
Comunica spesso disagio, tensione o nervosismo, e può significare un’aggressività repressa che sceglie questo modo per esprimersi.
E tu con che vocale ridi?

Copyright Test e Testo Antonella Lucato 2005 – Impaginazione e piccole modificheT.K.
Ed ora – quale che sia la vostra vocale –
facciamoci delle gran belle risate
con Totò in questo video.
Ciao da Tony Kospan
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C’è un genere di poesia del tutto particolare… e poco noto
è…
la poesia delle (e nelle) immagini.

Non ne parlerò per esaltarla e diffonderla
né per denigrarla o disconoscerla ma solo per approfondire la conoscenza
di un genere poco noto ma che ha illustri genitori
ed in Apollinaire il massimo esponente.
Essa, pur non avendo una grande diffusione,
ha però ancor oggi poeti che si esprimono in tal modo
e diversi gruppi che l’apprezzano.

LA POESIA VISIVA O VISUALE
– DEFINIZIONE.. STORIA E QUALCHE ESEMPIO –
DEFINIZIONE
Essa si può definire come il punto d’incontro tra l’arte figurativa (in ogni suo aspetto) e la poesia così come la conosciamo.
Spesso la poesia visiva si associa anche al sonoro.
Ne tracceremo una sua breve storia a partire dalle prime avanguardie artistiche degli inizi del 20° secolo per giungere alla sua teorizzazione nel secondo dopoguerra fino all’esplosione tecnologica degli ultimi tempi.

La famosa poesia “IL PLEUT” di Apollinaire…
Pioggia di parole… Parole a pioggia…

Poesia visiva di Apollinaire

Poesia visiva di Apollinaire e la sua… musa
Un discorso a parte merita poi il noto poeta del primo ‘900
Thomas Dylan
per la vastità e complessità del suo mondo poetico.


La poesia visuale o poesia visiva, rinasce da sperimentazioni artistiche e letterarie compiute dalle “neoavanguardie”, dagli anni sessanta del XX secolo insieme all’Arte Concettuale ed alla Pop Art.

Il famoso libro di poesie visuali di Apollinaire “Calligrammes”
L’ORIGINE CON LE AVANGUARDIE DELL’INIZIO DEL XX SEC.
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In verità la ricerca di una sintesi verbo-immagine… ebbe inizio già con le avanguardie degli inizi del 20° secolo come il Dadaismo… il Futurismo ed il Surrealismo.
Tutte queste avanguardie avevano come scopo principale la ricerca di nuove forme in tutti i campi dell’arte rivoluzionando tutti i canoni che, a parer loro, avevano imprigionato la libera espressione dell’animo umano.
Poesia dadaista
Poesia futurista di Marinetti
Poesia futurista… Carlo Belloli – 2 poemi visuali
Il più illustre esponente di questa ricerca di sintesi tra immagine e parole fu senz’altro il grande poeta italo-francese Apollinaire che partecipò a tutte le avanguardie della sua epoca.
Ecco alcune sue opere… oltre quelle in alto.
Apollinaire
Apollinaire
LA POESIA VISUALE OGGI
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La poesia visuale attuale anche grazie ai progressi tecnologici, all’enorme diffusione dei media ed in particolare dei pc e di internet si esprime attraverso immagini, sonorità e testi utilizzando anche programmi di video, di grafica, etc..
Bisogna infine dire che quella della poesia visuale tuttavia è, a tutt’oggi, una corrente poco nota alle masse.
Qui di seguito alcuni altri esempi.
Poesia di Michele Perfetti
A.DeL.- Ne dis rien 2011
Poesia di Luciano Ori
Poesia di Maria Luisa Grimani
Poesia di Giuliano Bartolozzi
Diamo ora in conclusione un’occhiata a questo video che può aiutarci a comprendere ancor meglio il concetto di poesia visiva.
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Se vi fa piacere esprimete liberamente il vostro pensiero.
CIAO DA TONY KOSPAN
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Carmen de Visini
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Giosuè Carducci grande poeta italiano,
e vero mito letterario tra la fine dell’800
e l’inizio del ‘900, è stato il primo italiano
a vincere il premio Nobel per la Letteratura.
(Valdicastello di Pietrasanta 27.71835 – Bologna, 16.2.1907)
Come ricordare un così grande poeta?
Lo farò semplicemente con una mini biografia
e soprattutto con alcune sue mitiche poesie.
BREVISSIMA BIOGRAFIA
Visse la sua fanciullezza in Maremma
le cui atmosfere rivivranno poi in tante sue poesie.
Laureatosi alla Scuola normale superiore di Pisa nel 1856
iniziò ad insegnare in un Ginnasio di Pistoia.
Dopo qualche anno, nel 1860, ottenne la Cattedra
di Letteratura Italiana nell’Università di Bologna.
Nel 1906 fu insignito del Premio Nobel
LA POETICA
L’amore per la patria (siamo in epoca risorgimentale)
e la passione politica, con l’amore per la vita
la famiglia e la natura sono le linee guida
della sua notevole produzione poetica.
Egli a differenza di molti altri poeti del suo tempo,
che esaltano il Romanticismo, sceglie il Classicismo.
Ciò vuol dire per lui esaltare le tradizioni
storiche, culturali e poetiche italiane e far rivivere
idee di orgoglio patrio per un futuro glorioso.
Questo appare chiaro nei suoi versi che,
pur non paludati e pesanti, tuttavia esplorano
in modo raffinato tutte le potenzialità
della lingua italiana del passato e del mondo classico.
Tuttavia non mancano nelle sue opere contaminazioni
“romantiche” e “simboliste”.
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LE POESIE
Quelle da me scelte sono:
le prime 3 classicissime e studiatissime a scuola
e la 4° è una bella poesia d’amore.
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Pianto antico
L’albero a cui tendevi
la pargoletta mano,
il verde melograno
da’ bei vermigli fior,
nel muto orto solingo
rinverdì tutto or ora
e giugno lo ristora
di luce e di calor.
Tu fior della mia pianta
percossa e inaridita,
tu dell’inutil vita
estremo unico fior,
sei ne la terra fredda,
sei ne la terra negra;
né il sol più ti rallegra
né ti risveglia amor.
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San Martino
La nebbia a gl’irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;
ma per le vie del borgo
dal ribollir de’ tini
va l’aspro odor de i vini
l’anime a rallegrar.
Gira su’ ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
sull’uscio a rimirar
tra le rossastre nubi
stormi d’uccelli neri,
com’esuli pensieri,
nel vespero migrar.
Davanti a San Guido
I cipressi che a Bólgheri alti e schietti
Van da San Guido in duplice filar,
Quasi in corsa giganti giovinetti
Mi balzarono incontro e mi guardar.
Mi riconobbero, e— Ben torni omai —
Bisbigliaron vèr’ me co ‘l capo chino —
Perché non scendi ? Perché non ristai ?
Fresca è la sera e a te noto il cammino.
Oh sièditi a le nostre ombre odorate
Ove soffia dal mare il maestrale:
Ira non ti serbiam de le sassate
Tue d’una volta: oh non facean già male!
Nidi portiamo ancor di rusignoli:
Deh perché fuggi rapido cosí ?
Le passere la sera intreccian voli
A noi d’intorno ancora. Oh resta qui! —
— Bei cipressetti, cipressetti miei,
Fedeli amici d’un tempo migliore,
Oh di che cuor con voi mi resterei—
Guardando lor rispondeva — oh di che cuore !
Ma, cipressetti miei, lasciatem’ire:
Or non è piú quel tempo e quell’età.
Se voi sapeste!… via, non fo per dire,
Ma oggi sono una celebrità.
E so legger di greco e di latino,
E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtú:
Non son piú, cipressetti, un birichino,
E sassi in specie non ne tiro piú.
E massime a le piante. — Un mormorio
Pe’ dubitanti vertici ondeggiò
E il dí cadente con un ghigno pio
Tra i verdi cupi roseo brillò.
Intesi allora che i cipressi e il sole
Una gentil pietade avean di me,
E presto il mormorio si fe’ parole:
— Ben lo sappiamo: un pover uom tu se’.
Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse
Che rapisce de gli uomini i sospir,
Come dentro al tuo petto eterne risse
Ardon che tu né sai né puoi lenir.
A le querce ed a noi qui puoi contare
L’umana tua tristezza e il vostro duol.
Vedi come pacato e azzurro è il mare,
Come ridente a lui discende il sol!
E come questo occaso è pien di voli,
Com’è allegro de’ passeri il garrire!
A notte canteranno i rusignoli:
Rimanti, e i rei fantasmi oh non seguire;
I rei fantasmi che da’ fondi neri
De i cuor vostri battuti dal pensier
Guizzan come da i vostri cimiteri
Putride fiamme innanzi al passegger.
Rimanti; e noi, dimani, a mezzo il giorno,
Che de le grandi querce a l’ombra stan
Ammusando i cavalli e intorno intorno
Tutto è silenzio ne l’ardente pian,
Ti canteremo noi cipressi i cori
Che vanno eterni fra la terra e il cielo:
Da quegli olmi le ninfe usciran fuori
Te ventilando co ‘l lor bianco velo;
E Pan l’eterno che su l’erme alture
A quell’ora e ne i pian solingo va
Il dissidio, o mortal, de le tue cure
Ne la diva armonia sommergerà. —
Ed io—Lontano, oltre Apennin, m’aspetta
La Tittí — rispondea; — lasciatem’ire.
è la Tittí come una passeretta,
Ma non ha penne per il suo vestire.
E mangia altro che bacche di cipresso;
Né io sono per anche un manzoniano
Che tiri quattro paghe per il lesso.
Addio, cipressi! addio, dolce mio piano! —
— Che vuoi che diciam dunque al cimitero
Dove la nonna tua sepolta sta? —
E fuggíano, e pareano un corteo nero
Che brontolando in fretta in fretta va.
Di cima al poggio allor, dal cimitero,
Giú de’ cipressi per la verde via,
Alta, solenne, vestita di nero
Parvemi riveder nonna Lucia:
La signora Lucia, da la cui bocca,
Tra l’ondeggiar de i candidi capelli,
La favella toscana, ch’è sí sciocca
Nel manzonismo de gli stenterelli,
Canora discendea, co ‘l mesto accento
De la Versilia che nel cuor mi sta,
Come da un sirventese del trecento,
Piena di forza e di soavità.
O nonna, o nonna! deh com’era bella
Quand’ero bimbo! ditemela ancor,
Ditela a quest’uom savio la novella
Di lei che cerca il suo perduto amor!
— Sette paia di scarpe ho consumate
Di tutto ferro per te ritrovare:
Sette verghe di ferro ho logorate
Per appoggiarmi nel fatale andare:
Sette fiasche di lacrime ho colmate,
Sette lunghi anni, di lacrime amare:
Tu dormi a le mie grida disperate,
E il gallo canta, e non ti vuoi svegliare.
— Deh come bella, o nonna, e come vera
è la novella ancor! Proprio cosí.
E quello che cercai mattina e sera
Tanti e tanti anni in vano, è forse qui,
Sotto questi cipressi, ove non spero,
Ove non penso di posarmi piú:
Forse, nonna, è nel vostro cimitero
Tra quegli altri cipressi ermo là su.
Ansimando fuggía la vaporiera
Mentr’io cosí piangeva entro il mio cuore;
E di polledri una leggiadra schiera
Annitrendo correa lieta al rumore.
Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo
Rosso e turchino, non si scomodò:
Tutto quel chiasso ei non degnò d’un guardo
E a brucar serio e lento seguitò.

Qui regna amore
Ove sei? de’ sereni occhi ridenti
A chi tempri il bel raggio, o donna mia?
E l’intima del cor tuo melodia
A chi armonizzi ne’ soavi accenti?
Siedi tra l’erbe e i fiori e a’ freschi venti
Dài la dolce e pensosa alma in balía?
O le membra concesso hai de la pia
Onda a gli amplessi di vigor frementi?
Oh, dovunque tu sei, voluttuosa
Se l’aura o l’onda con mormorio lento
Ti sfiora il viso o a’ bianchi omeri posa,
è l’amor mio che in ogni sentimento
Vive e ti cerca in ogni bella cosa
E ti cinge d’eterno abbracciamento.
F I N E
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