Quando i figli lasciano gli ormeggi
e prendono il largo
più vuota è la banchina
più fioca è la luce del faro
più silenzioso è il nostro cuore.
Ma aperto resta il nostro porto,
a rattoppar vele sempre pronto,
in attesa d’attracchi seppur brevi,
in attesa di sbarchi che rechin gioia,
in attesa d’approdi che dian conforto
alle barche ormai d’alto mare
alla marina madre ed al cantiere padre.
L’arte non è solo bellezza… sogno… fantasia ma anche impietosa ed efficace rivelazione di realtà a volte amare di una società.
In tal modo essa ha un effetto di denuncia spesso superiore e più incisivo di altri mezzi oltre a rappresentare un momento storico.
Un dipinto bello, anche se triste, e molto particolare nella composizione è “I morticelli” del pittore e fotografo abruzzese Francesco Paolo Michetti appassionato cantore del mondo rurale e del folklore della sua regione.
Rappresenta la scena molto dolorosa di un funerale di un neonato sul mare.
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Più che un dipinto sembra mostrare la storia dell’intero percorso di coloro che partecipano in varie forme all’evento ed è paragonabile ad una scena cinematografica.
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Questa particolare impressione è evidenziata anche dalla forma del dipinto, rettangolare e lunga, che lo fa apparire come un fregio.
In verità non si vedono manifestazioni forti di dolore tranne quella del vecchio incurvato che regge il catafalco.
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La dolorosa scena contrasta in modo evidente con i colori del mare, della natura, dei vestiti e dei volti dei personaggi.
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Questo contrasto però ci dice che il pittore vuol donarci una visione dell’evento come di un fatto naturale benché amaro.
Ricordiamo che all’epoca, fine ‘800, la mortalità infantile in Italia era ancora molto, molto frequente.
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Un altro aspetto infine risalta agli occhi.
Il dipinto, essendo molto lungo, ci mostra precise scene di gruppi di persone che possono essere viste anche come dipinti a sé stanti.
Il dipinto fu replicato quasi identico dall’autore 4 anni dopo (“Il morticino”).
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L’amico D’annunzio, abruzzese come lui, colpito dal dipinto lo apprezzò a tal punto da dedicargli i versi che seguono:
“Stagna l’azzurra caldura (…)
Vien per la spiaggia lento il funereo
corteo seguendo croce e cadavere:
sol qualche risucchio di fiotto,
qualche singhiozzo di strozza umana
a tratti a tratti rompe il silenzio
greve (…)
Dietro la croce, dietro il cadavere,
con litanie lunghe, allontanasi,
va va va la pia carovana
sotto la tragica luce immensa.”
da Canto Novo, 1882
SE AMI LA STORIA ED I RICORDI QUESTO E’ IL TUO GRUPPO DI FB
Francesco Paolo Michetti – Autoritratto (Tocco da Casauria 4.8.1851 – Francavilla al Mare 5.3.1929)
Non so più quale amica mi raccontò della sua visita
a questo famoso castello e della mano impressa nel muro…
Fatto sta che la cosa mi incuriosì… e mi spinse a fare una ricerca
che mi ha fatto conoscere questa storia simile
a quella di Paolo e Francesca… ma con un mistero in più.
La Baronessa di Carini e Luca
LA BARONESSA DI CARINI
LA STORIA – LA CRUDELTA’ – IL MISTERO – LA LEGGENDA
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La leggenda narra la morte di Donna Laura Lanza che a soli 14 anni andò sposa, per volere del padre, al barone di Carini.
Ben presto, delusa dalla vita matrimoniale e dai continui abbandoni del marito impegnato nella cura della sua proprietà, la baronessa si innamora di Ludovico Vernagallo, e ne diventa l’amante.
Scoperta dal marito e dal padre, Laura viene uccisa insieme a Ludovico.
La stanza dell’assassinio, situata nell’ala ovest del castello, è crollata completamente e si narra che su una parete vi fosse l’impronta insanguinata della baronessa.
Adesso tutto ciò che resta della leggenda sono: il fantasma di Laura, che si dice si aggiri ancora senza pace nel castello e un’enigma particolare… in una delle metope del torrione principale, proprio in direzione del luogo ove sorgeva l’ala ovest, appare… una manina!!!!
Fuori dalla leggenda si può affermare che Laura era una ragazza che poteva dar lustro sia ai La Grua – Talamanca che ai Vernagallo, ma i La Grua bruciando i tempi la chiedono in sposa per il figlio Vincenzo.
All’età’ di quattordici anni, il 21 dicembre 1543 viene celebrato il matrimonio.
Non era possibile farsi precedere dai Vernagallo, anche se era nota a tutti la grande tenerezza di Laura per Ludovico.
Tuttavia il fatto, almeno in apparenza, non turbò l’amicizia fra le famiglie.
Infatti, nonostante tutto, Ludovico era considerato come uno di famiglia.
A poco a poco però, gelosie e vecchi rancori emersero fra i La Grua, Lanza e Vernagallo, ed ecco le insinuazioni, le calunnie ed infine il tragico evento.
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Nella realtà, esistono dei documenti dai quali risulta che il Vicerè di Sicilia, informa, all’epoca, la Corte di Spagna che Cesare Lanza, barone di Trabia e conte di Mussomeli, ha ucciso la figlia Laura e Ludovico Vernagallo.
Questo documento avvalora l’atto di morte della baronessa, redatto il 4 dicembre 1563 e che si conserva nell’archivio della Chiesa Madre di Carini insieme a quello di Ludovico Vernagallo.
Non esiste, invece, alcuna prova che tra Laura Lanza e Ludovico Vernagallo ci fosse qualcosa di diverso dall’amicizia.
Quindi Cesare Lanza di Trabia, complice il genero, uccise per leso onore della famiglia, la figlia Laura e fece uccidere da un sicario Ludovico Vernagallo.
La leggenda racconta che fu un frate del vicino convento, infatti, ad informare il padre ed il marito della sposa, e questi, assieme, freddamente meditarono e prepararono l’assassinio.
Fu preparato l’agguato e quando l’ignobile spia si accorse che i due amanti stavano insieme, avvertì don Cesare Lanza, che corse nella stessa notte a Carini, accompagnato da una sua compagnia di cavalieri, e fatto circondare il castello, per evitare qualsiasi fuga dell’amante di sua figlia, vi irruppe all’improvviso, e sorpresili a letto, li uccise.
L’atto di morte di Laura Lanza e Lodovico Vernagallo, trascritto nei registri della chiesa Madre di Carini, reca la data del 4 dicembre 1563.
Nessun funerale fu celebrato per i due amanti, e la notizia della loro morte, o per paura o per rispetto, fu tenuta segreta.
La cronaca del tempo lo registrò con estrema cautela senza fare i nomi degli uccisori, scrive Luigi Maniscalco Basile, senza dire nemmeno che cosa era accaduto, mentre il Paruta riporta il fatto nel suo diario, così:
“sabato a 4 dicembre. Successe il caso della signora di Carini”.
Ma nonostante la riservatezza d’obbligo, la notizia si divulgò lo stesso ed il “caso” della baronessa di Carini divenne di dominio pubblico.
Castello di Carini
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Il Salomone Marino, nel secolo scorso,
raccolse da un “esaltatore” questi versi
in cui fa rivivere l’efferatezza del delitto:
“Vju viniri ‘na cavalleria
chistu è mè patri chi veni pri mia!
Signuri patri, chi vinistivu a fari?
Signura figghia, vi vegnu a ‘mmazzari.
Signuri patri, aspettatimi un pocu
Quantu mi chiamu lu me cunfissuri.
– Habi tant’anni ch’un t’ha confissatu,
ed ora vai circannu cunfissuri?
E, comu dici st’amari palori,
tira la spata e cassaci lu cori;
tira cumpagnu miu, nun la sgarràri,
l’appressu corpu chi cci hai di tirari!
Lu primu corpu la donna cadìu,
l’appressu corpu la donna muriu.”
Il viceré, appena venuto alla conoscenza dei delitti, immediatamente adottò per don Cesare Lanza ed il barone di Carini i provvedimenti previsti dalla legge; furono banditi ed i loro beni vennero sequestrati.
Don Cesare Lanza ancora una volta si rivolse a re Filippo II; spiegò i motivi che lo avevano portato assieme al genero a trucidare i due amanti ed avvalendosi delle norme, in quel tempo in vigore, sulla flagranza dell’adulterio, chiese il perdono che fu accordato.
Liberato da ogni molestia, don Cesare Lanza riebbe i suoi beni; ancora una volta la Giustizia non lo aveva neanche toccato e, come giustamente scrisse il Dentici, “l’aristocrazia del tempo era al di sopra delle leggi e della giustizia”.
Anche il barone di Carini, marito di Laura, fu assolto con formula piena, e visse indebitato sino alla sua morte, dopo avere portato al Monte dei Pegni gli ultimi gioielli della sua famiglia.
Qui giù il memoriale presentato da Cesare Lanza al Re di Spagna per discolparsi del delitto della figlia Laura
Sacra Catholica Real Maestà,don Cesare Lanza, conte di Mussomeli, fa intendere a Vostra Maestà come essendo andato al castello di Carini a videre la baronessa di Carini, sua figlia, come era suo costume, trovò il barone di Carini, suo genero, molto alterato perchè avia trovato in mismo istante nella sua camera Ludovico Vernagallo suo innamorato con la detta baronessa, onde detto esponente mosso da iuxsto sdegno in compagnia di detto barone andorno e trovorno detti baronessa et suo amante nella ditta camera serrati insieme et cussì subito in quello stanti foro ambodoi ammazzati.
Don Cesare Lanza conte di Mussomeli
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(testo presente in molti siti web con qualche mia modifica )
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QUALCHE CONSIDERAZIONE
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Le ricerche storiche non confermano, ma nemmeno escludono, che tra Laura Lanza e Ludovico Varnagallo ci fosse una relazione d’amore per cui sul punto resta il mistero.
Quel che è certo è che da questo delitto nacquero tante leggende popolari.
LE LEGGENDE SUL CASO DELLA BARONESSA
Secondo le fonti e le tradizioni orali dell’epoca la Baronessa appena colpita appoggiò al muro la mano sanguinante creando quel fenomeno che ancor oggi si nota in quel luogo buio.
Così pure molti affermano di aver visto chiaramente il fantasma dell’infelice Baronessa, con un elegante abito del ‘500,girare tra i ruderi del Castello alla ricerca del padre che l’avrebbe uccisa ingiustamente.
Molti poi raccontano che ogni anno, nella ricorrenza della sua morte, sul muro comparirebbe la sua mano sanguinante e si sentirebbero fra le mura del castello pianti e grida strazianti
Hilde – La baronessa di Carini
LA LEGGENDA NELLE BALLATE E NEL FILM TV
Come si può immaginare questa storia non finisce ancora di colpire la fantasia ed il cuore di tutti…
Essa diventò quindi anche un pezzo forte dei famosi cantastorie siciliani e da essa sono anche nate diverse ballate, dei musical ed infine anche uno sceneggiato tv.
Leggeremo qui giù il testo e vedremo ora la ballata cantata da Gigi Proietti.
LA BALLATA DELLA BARONESSA DI CARINI
Cantata da Gigi Proietti
Chianci Palermu…
Chianci Siracusa…
A Carini c’è lu luttu nd’ogni casa…
Attorno allo casteddu di Carini
Ci passa e spassa u beddu cavaleri
Lo Vernagallu, di sangu gentili
Ca di la gioventù l’unuri teni
“Amuri chi mi veni a domanni…
Unni mi porti, duci amuri, unni!”
“Vidu viniri na cavallaria
Chistu è mè patri chi veni pì mia
Tuttu vistutu alla cavallarizza
Chistu è mè patri, chi mi veni ammazza!”
NA NA NA ……
“Signuri patri, chi vinisti a fari?”
“Signura figlia, ti vegnu a ammazzari!”
Lu primu corpu la donna cadiu
L’appressu corpu la donna muriu
Nu corpu a lu cori, nu corpu ‘ntra li rini
Povira Barunissa di Carini…
e questo è il video della ballata
Infine qui possiamo vedere alcune scene dello sceneggiato
in cui gli autori fecero prevalere la tesi dell’amore.
Tony Kospan
Fonti: vari siti web – impaginazione e rielaborazione Tony Kospan
Come rendere omaggio ad una grande poetessa del ‘900,
ed amica di Montale, scomparsa qualche anno fa
se non con una breve biografia, una piccola analisi della sua poetica
ed alcune sue belle poesie?
Personalmente l’ammiro molto per lo stile ed i contenuti
dei suoi versi che colpiscono ed emozionano.
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BREVE BIOGRAFIA
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Io non trovo mai l’ispirazione
è lei che trova me
M. L. Spaziani
Nata nel 1922 a Torino in una famiglia benestante
a 19 anni già dirige una rivista culturale
ed inizia ad aver contatti con grandi poeti dell’epoca come
Sandro Penna, Umberto Saba ed altri.
Torino 7.12.1924 – 30.6.2014
A 27 anni, nel 1949,
avviene un grande incontro…
quello con Montale.
Spaziani e Montale
La loro fu un’amicizia molto ma molto stretta
ed anche molto ma molto intensa e profonda
nonché densa di scambi sentimentali, culturali e poetici.
Definirono questo loro rapporto come un “sodalizio”.
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Dopo il 1950 Maria Luisa inizia a pubblicare diversi libri di poesie.
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Si dedica però anche all’insegnamento,
alla scrittura di saggi ed articoli su giornali e riviste,
a partecipare come giurata in diversi premi letterari
e nel contempo intesse numerosi rapporti intellettuali
con grandi personaggi della cultura dell’epoca
come Picasso, Ezra Pound, Borges ed altri.
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Nel ’78 crea il Centro Eugenio Montale in onore del grande poeta.
L’ultima sua opera poetica è del 1990
La Giovanna D’Arco
dedicata a questo personaggio da lei molto amato.
POETICA
I temi ed i generi da lei curati
nella sua lunghissima vita letteraria
(durata oltre 60 anni)
si presentano nella massima varietà.
Tuttavia l’eleganza della sua scrittura,
la capacità di sintetizzare nelle parole mondi di pensieri
ed uno stile tutto particolare
rendono subito facilmente riconoscibili
le sue poesie ed in genere tutte le sue opere.
Carlo Emilio Gadda, M. L. Spaziani, Giuseppe Ungaretti (1950)
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ALCUNE SUE POESIE
SAREBBE
Sarebbe, il mondo, un fresco castagneto
se tutto mi guardasse coi tuoi occhi.
Marroni, intensi, laghetti dorati
ai raggi dolcemente declinanti.
Così gli occhi degli angeli, castagne
che hanno perso il riccio. Il Paradiso
è quella svestizione, ogni segreto
è arrivare al cuore
ENTRO IN QUESTO AMORE
Entro in questo amore come in una cattedrale,
come in un ventre oscuro di balena.
Mi risucchia un’eco di mare, e dalle grandi volte
scende un corale antico che è fuso alla mia voce.
Tu, scelto a caso dalla sorte, ora sei l’unico,
il padre, il figlio, l’angelo e il demonio.
Mi immergo a fondo in te, il più essenziale abbraccio,
e le tue labbra restano evanescenti sogni.
Prima di entrare nella grande navata,
vivevo lieta, ero contenta di poco.
Ma il tuo fascio di luce, come un’immensa spada,
relega nel nulla tutto quanto non sei.
E LUI MI ASPETTERA’
E lui mi aspetterà nell’ipertempo,
sorridente e puntuale, con saluti
e storie che alle poverette orecchie
dell’arrivata parranno incredibili.
Ma riconoscerà, lui, ciò che gli dico?
In poche note o versi qui raccolgo
i messaggi essenziali. Un altro raggio,
aria diversa glieli tradurrà.
A GIORNI ALTERNI
A giorni alterni sono io la luna
e tu l’immensa terra che mi attira,
e questa notte tu, tu sei la luna
– io ti tengo al guinzaglio –
so che mi stai sognando, mi accarezzi,
i globuli lo sanno del mio sangue,
ogni mio nervo teso come un arco
o un’arpa eolia che vibra al respiro.
QUANDO TI AMAVO
Quando ti amavo sognavo i tuoi sogni.
Ti guardavo le palpebre dormire,
le ciglia in lieve tremito.
Talvolta,
é a sipario abbassato che si snoda
con inauditi attori e luminarie,
– la meraviglia.
Lo sai, io amo l’ombra come amo la luce.
Perché esistano la bellezza del volto,
la chiarezza del discorso,
la bontà e fermezza del carattere,
l’ombra è necessaria quanto la luce.
Esse non sono avversarie:
anzi si tengono amorevolmente per mano,
e quando la luce scompare l’ombra le scivola dentro. – Friedrich Nietzsche –
Fernand Khnopff – Carezze
IL TUO SORRISO
Pablo Neruda
Toglimi il pane, se vuoi,
toglimi l’aria, ma
non togliermi il tuo sorriso.
Non togliermi la rosa,
la lancia che sgrani,
l’acqua che d’improvviso
scoppia nella tua gioia,
la repentina onda
d’argento che ti nasce.
Dura è la mia lotta e torno
con gli occhi stanchi,
a volte, d’aver visto
la terra che non cambia,
ma entrando il tuo sorriso
sale al cielo cercandomi
ed apre per me tutte
le porte della vita.
Amor mio, nell’ora
più oscura sgrana
il tuo sorriso, e se d’improvviso
vedi che il mio sangue macchia
le pietre della strada,
ridi, perché il tuo riso
sarà per le mie mani
come una spada fresca.
Vicino al mare, d’autunno,
il tuo riso deve innalzare
la sua cascata di spuma,
e in primavera, amore,
voglio il tuo riso come
il fiore che attendevo,
il fiore azzurro, la rosa
della mia patria sonora.
Riditela della notte,
del giorno, della luna,
riditela delle strade
contorte dell’isola,
riditela di questo rozzo
ragazzo che ti ama,
ma quando apro gli occhi
e quando li richiudo,
quando i miei passi vanno,
quando tornano i miei passi,
negami il pane, l’aria,
la luce, la primavera,
ma il tuo sorriso mai,
perché io ne morrei.
*Fernand Khnopff – Ricordi
A VOI TUTTI… OVUNQUE SIATE…
(Luglio)
* Fernand Edmond Jean Marie Khnopff (Autoritratto)
Grembergen 12.9.1858 – Bruxelles 12.11.1921
è stato un pittore belga della corrente Simbolista.
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Fernand Khnopff – 1899 – Testa di donna (Simbolismo)
Dopo aver parlato della nascita del Futurismo (I) e della Pittura Futurista (II)
proseguiamo la conoscenza, sintetica ma non sommaria,
di questa unica corrente italiana d’avanguardia dei primi del ‘900,
parlando ora delle modalità in cui essa si manifestò nella Scultura.
LA SCULTURA FUTURISTA
– MANIFESTO ANALISI ED OPERE – (III)
a cura di Tony Kospan
Anche la scultura si rifà ovviamente alla “filosofia” futurista… e bisogna dire che raggiunge sovente notevoli ed originali risultati caratterizzati anche da grande valore artistico.
Pure in questo campo uno dei massimi esponenti è il Boccioni, non solo in quanto autore nel 1912 del “Manifesto tecnico sulla scultura futurista” (che leggeremo tra poco), ma anche perché con le sue opere effettua sperimentazioni di dinamismo e simultaneità apparentemente “impossibili”… se pensiamo che ci riferiamo ad un oggetto… fermo.
Boccioni, considerato quasi unanimemente il più grande artista del Futurismo, nonostante la prematura scomparsa, merita, per le sue qualità, un post tutto per sè che pubblicherò più avanti.
IL MANIFESTO DELLA SCULTURA FUTURISTA
Umberto Boccioni
1. Proclamare che la scultura si prefigge la ricostruzione astratta dei piani e dei volumi che determinano le forme, non il loro valore figurativo.
2. Abolire in scultura come in qualsiasi altra arte il sublime tradizionale dei soggetti.
3. Negare alla scultura qualsiasi scopo di costruzione episodica veristica, ma affermare la necessità assoluta di servirsi di tutte le realtà per tornare agli elementi essenziali della sensibilità plastica.
Quindi percependo i corpi e le loro parti come zone plastiche, avremo in una composizione scultoria futurista, piani di legno o di metallo, immobili o meccanicamente mobili, per un oggetto, forme sferiche pelose per i capelli, semicerchi di vetro per un vaso, fili di ferro e reticolati per un piano atmosferico, ecc.
4. Distruggere la nobiltà tutta letteraria e tradizionale del marmo e del bronzo. Negare l’esclusività di una materia per la intera costruzione d’un insieme scultorio. Affermare che anche venti materie diverse possono concorrere in una sola opera allo scopo dell’emozione plastica.
Ne enumeriamo alcune: vetro, legno, cartone, ferro, cemento, crine, cuoio, stoffa, specchi, luce elettrica, ecc. ecc.
5. Proclamare che nell’intersecazione dei piani di un libro con gli angoli d’una tavola, nelle rette di un fiammifero, nel telaio di una finestra, v’è più verità che in tutti i grovigli di muscoli, in tutti i seni e in tutte le natiche di eroi o di veneri che ispirano la moderna idiozia scultoria.
6. Che solo una modernissima scelta di soggetti potrà portare alla scoperta di nuove idee plastiche.
7. Che la linea retta è il solo mezzo che possa condurre alla verginità primitiva di una nuova costruzione architettonica delle masse o zone scultorie.
8. Che non vi può essere rinnovamento se non attraverso la scultura d’ambiente, perché con essa la plastica si svilupperà, prolungandosi potrà modellare l’atmosfera che circonda le cose.
9. La cosa che si crea non è che il ponte tra l’infinito plastico esteriore e l’infinito plastico interiore, quindi gli oggetti non finiscono mai e si intersecano con infinite combinazioni di simpatia e urti di avversione.
10. Bisogna distruggere il nudo sistematico, il concetto tradizionale della statua e del monumento!
11. Rifiutare coraggiosamente qualsiasi lavoro, a qualsiasi prezzo, che non abbia in sé una pura costruzione di elementi plastici completamente rinnovati.
Boccioni – Costruzione dinamica di un galoppo
BREVE ANALISI DELLA SCULTURA FUTURISTA
Dunque in che modo è possibile prolungare gli oggetti nello spazio e dar a loro il senso del movimento?
Ce lo spiega lo stesso Boccioni… “La nuova plastica sarà dunque la traduzione nel gesso, nel bronzo, nel vetro e in qualsiasi altra materia dei piani atmosferici che legano e intersecano le cose.”
L’intento è quindi quello di raggiungere una sintesi plastica tra figura scolpita e lo spazio in cui è inserita.
Qui sotto possiamo osservare come il Boccioni realizza quanto affermato in teoria…
Boccioni – Forme uniche nella continuità dello spazio
Si tratta di un’opera famosissima, che possiamo anche osservare guardando una nostra moneta da 20 cent. di euro.
Un’altra importante, e nuova, caratteristica fu poi l’uso di più materiali nella creazione di un’opera….
Questo aspetto fu ancor più esaltato, nei periodi successivi, sia dal Balla che dal Depero che arrivarono perfino a creare opere… “mobili”!
La più famosa scultura di Boccioni (e del Futurismo) vista da diverse angolazioni
SCULTURE FUTURISTE
Non sono stati molti gli artisti futuristi che hanno lasciato un segno anche nella scultura, a parte Boccioni e, in parte, Balla e Depero.
Le opere del primo futurismo in verità, anche per la sua breve durata, in ogni caso non furono molte se a noi ne sono giunte così poche.
Quelle che ora vedremo, e che sono il risultato delle mie ricerche, penso che ci possano consentire comunque d’aver una buona conoscenza, anche visiva, di cosa sia stata e quali caratteristiche abbia avuto, in concreto, la scultura futurista.
Eccole…
Boccioni – Sviluppo di una bottiglia nello spazio (1912-13)
Boccioni – Antigrazioso ritratto della madre
Boccioni –Dinamismo di cavallo in corsa e case – 1914-15.
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Balla
Balla – Linee – forza del pugno di Boccioni
Balla
Depero – Scultura per pubblicità
Depero – Pupazzo
Tony Kospan
F I N E
Seguirà l’analisi delle altre espressioni artistiche futuriste. T. K.
Ad occidente di Napoli si estende un’ampia zona di origine vulcanica il cui nome è quello dei Campi Flegrei.
L’origine del suo nome è greca (phlegreios: ardenti) , quindi “campi ardenti” così appunto chiamata per la presenza di una miriade di vulcani grandi e piccoli ora assopiti.
La solfatara di Pozzuoli
E’ questa una delle zone più affascinanti della Campania, meta di un viaggio alla scoperta di un mondo sconosciuto, caratterizzato da fenomeni vulcanici, da antiche vestigia archeologiche, da opere d’arte singolari: una sintesi paesaggistica per gli amanti della storia, dell’archeologia e dei fenomeni naturali.
Da fonti antichissime apprendiamo che in questa zona singolarmente vulcanica approdarono i primi coloni greci in cerca di nuove terre da colonizzare e che, quando giunsero qui, trovarono popolazioni indigene selvagge e a loro ostili.
Fonti ancora più antiche di Pindaro collocano i ciclopi in questi luoghi (kykplops: volto dall’occhio tondo).
Ci sono territori che stimolano la storia del luogo e lo straordinario rapporto tra questo paesaggio ed il mito colloca lo scontro tra Ulisse e Polifemo in questi luoghi.
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Jakob Jordaens
A pochi chilometri da Napoli incontriamo la Solfatara, un cratere attivo al livello della strada: fumarole dense s’innalzano direttamente dalle viscere della terra, strane alghe si diramano sul terreno di un paesaggio oscuro preistorico; solo che invece di palafitte incontriamo due cupole, la prima denominata Purgatorio, da essa stillano vapori che arrivano a 60°, nella seconda chiamata Inferno la temperatura arriva a 90°.
In piccole polle esplodono bolle sulfuree di lava in un mondo primordiale fatto di zolfo e di vapori acri che si diffondono nell’aria di una vasta zona.
Nel 1787 Goethe visitò brevemente i Campi Flegrei e in una lettera li avrebbe definiti:
“la regione da cui sono sorte tutte le antiche favole poetiche intorno al Paradiso e all’Inferno”.
Veduta dei Campi Flegrei – Jacob-Philipp Hackert amico di Goethe – 1797
Ancora racconta “ Rovine di una opulenza appena credibile, tristi, maledette.
Acque bollenti, zolfo, grotte esalanti vapore, montagne di scorie ribelli ad ogni vegetazione, lande deserte e malinconiche, ma alla fine una vegetazione lussureggiante che si insinua da per tutto dove appena è possibile e che si solleva sopra tutte le cose morte in riva ai laghi e ai ruscelli e arriva fino a conquistare la più superba selva di querce sulle pareti di un vulcano spento.”
Procedendo verso occidente incontriamo Pozzuoli, il cui porto era uno dei più importanti e strategici del Mediterraneo: si chiamava Puteoli, cioè “piccoli pozzi”, sia per la morfologia a crateri dell’area flegrea che per indicare il caratteristico odore di zolfo sprigionato dalle bocche sulfuree.
Nella sua area si trovano luoghi profondamente suggestivi: l’Anfiteatro Flavio, il tempio di Serapide ed il Rione Terra, cioè la Pompei sotterranea.
Anfiteatro Flavio
L’ Anfiteatro Flavio, terzo in Italia per dimensioni e costruito sotto l’imperatore Vespasiano, era capace di ospitare fino a 40.000 spettatori. Qui si disputavano le spettacolari lotte tra mitici gladiatori e feroci belve. Percorrendo due ripide rampe si giunge nei grandi sotterranei dell’anfiteatro. Le celle delle belve ed il loro complesso sistema di sollevamento all’interno dell’arena, gli ambienti di deposito e di servizio fanno bene immaginare l’organizzazione della messa in scena del grande spettacolo.
Accanto al teatro, fioriva un altrettanto ricco commercio, come testimonia il Tempio di Serapide o Macellum, uno dei più ampi ed imponenti esempi di mercato pubblico del I sec. a.C.; ancora si possono vedere le gradinate con balaustre a forma di delfino, marmi rosa, fregi raffiguranti mostri marini, colonne decorate con figure di tritoni e nereidi che splendono ancora tra quelle che erano le botteghe dei commercianti.
Tempio di Serapide
Nei periodi antichi gli abitanti della zona flegrea e di Pozzuoli in particolare, sono stati testimoni e vittime di un fenomeno di abbassamento e di sollevamento del suolo.
Solo ultimamente, tra il 1969 ed il 1984, esso si è sollevato di circa 3,5 metri.
Soprattutto il tempio di Serapide a Pozzuoli è il luogo che più di ogni altro è stato testimone nei secoli del fenomeno del bradisismo flegreo. Le colonne di questo tempio sono state di grande utilità per la testimonianza delle variazioni del suolo rispetto al livello marino.
Rione Terra
Su uno sperone di tufo, a 33 metri sopra il mare , si trova la grande città sotterranea in cui abitavano gli antichissimi Sami: il Rione Terra, un insediamento urbano durato quasi duemila anni ed interrotto solo dalla violenza del bradisismo nel 1970, che ne causò l’abbandono.
molto impegnata anche nella divulgazione scientifica
ma si è anche distinta per una strenua difesa
dei diritti civili sia delle persone che degli animali.
Una sua immagine da giovane quando si è anche distinta nello sport
E’ stata fino alla fine una figura prestigiosa e limpida
del mondo scientifico italiano,
ma anche, da sincera democratica, sempre in prima fila
per i diritti delle donne e per la laicità dello Stato..
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Bella anche la sua storia d’amore con il marito
che è durata tutta la vita
Ora alcune sue note ed interessanti riflessioni
Nella nostra galassia ci sono 400 miliardi di stelle,
e nell’universo ci sono più di cento miliardi di galassie.
Pensare di essere unici è molto improbabile.
Tutta la materia di cui siamo fatti noi
l’hanno costruita le stelle,
tutti gli elementi dall’idrogeno all’uranio
sono stati fatti nelle reazioni nucleari
che avvengono nelle supernove,
cioè queste stelle molto più grosse del Sole
che alla fine della loro vita esplodono
e sparpagliano nello spazio
il risultano di tutte le reazioni nucleari
avvenute al loro interno.
Per cui noi siamo veramente figli delle stelle.
Quando vedo un animale,
quando vedo il suo comportamento,
soprattutto dal punto di vista affettivo e istintivo,
mi riconosco.
Son tanto simili a noi.
Cerchiamo di vivere in pace,
qualunque sia la nostra origine,
la nostra fede,
il colore della nostra pelle,
la nostra lingua e le nostre tradizioni.
Impariamo a tollerare e ad apprezzare le differenze.
Rigettiamo con forza ogni forma di violenza,
di sopraffazione, la peggiore delle quali è la guerra.
In questo video omaggio, tratto da una intervista televisiva,
possiamo ora rivederla ed ascoltarla
MI fa piacere ricordarla ed omaggiarla
con quella che forse era la sua canzone preferita…