Anna Dittmann
L’amore non dà nulla.. se non se stesso,
non coglie nulla.. se non da se stesso.
L’amore non possiede.. né è posseduto:
l’amore basta all’amore.
– Gibran Kahlil Gibran –



Anna Dittmann
L’amore non dà nulla.. se non se stesso,
non coglie nulla.. se non da se stesso.
L’amore non possiede.. né è posseduto:
l’amore basta all’amore.
– Gibran Kahlil Gibran –
ANGKOR METROPOLI PREINDUSTRIALE
E GIOIELLO DI INGEGNERIA IDRAULICA
Un’immensa metropoli, nata e sviluppatasi su un sistema idraulico complesso, nel cuore della foresta tropicale: quello che sorgeva anticamente intorno al tempio di Angkor Vat, in Cambogia, capolavoro dell’architettura khmer e oggi patrimonio dell’umanità, era il più grande insediamento urbano dell’epoca preindustriale, almeno tre volte più vasto di quanto si era creduto finora.
A gettare nuova luce sulla storia della città sorta intorno al complesso monumentale-religioso che il Guinness dei primati classifica come il più esteso al mondo, è un’équipe internazionale di archeologi.
Tracciando una nuova mappa con l’aiuto anche dei radar della Nasa, i ricercatori hanno “rivisto” le dimensioni di quella che fu la capitale dell’impero khmer dal nono al sedicesimo secolo: la sua superficie si estendeva su un’area di circa 3.000 chilometri quadrati ed ospitava una popolazione di un milione di persone, secondo gli autori dello studio appena pubblicato sui Pnas, la rivista dell’Accademia nazionale delle Scienze americana.
Il tutto grazie a un’avanzatissima rete idraulica, che permetteva di conservare l’acqua per utilizzarla nelle stagioni secche, arrivando anche a deviare il corso di un fiume, il Siem Reap, facendolo arrivare fino al cuore dell’insediamento.
Ma lo stesso miracolo di ingegneria idraulica che permise alla città di fiorire e prosperare nei secoli, fu, con ogni probabilità, anche causa della sua rovina.
Divenne ingestibile e ciò, sommato alla sovrappopolazione e all’eccessiva deforestazione, portò al collasso dell’intero sistema.
La storia di Angkor affascina la comunità scientifica dagli anni ’50.
Ma le prove per determinare cosa causò il suo declino sono state finora molto difficili da reperire.
Nel 2000 un gruppo di archeologi cambogiani, francesi e australiani chiese aiuto alla Nasa.
Grazie alle immagini ottenute dai satelliti in orbita, in grado di scrutare con i radar anche il sottosuolo, sono stati identificati nuovi sentieri e canali sotterranei, che hanno dato un quadro nuovo della reale estensione della città.
Combinando quelle immagini con altre fotografie aeree e rilievi topografici, gli archeologi hanno individuato tracce di migliaia di bacini d’acqua e di 74 templi finora ignoti.
E hanno ipotizzato che il complesso sistema di irrigazione permettesse di alimentare colture di riso su superfici molto estese, fino a 25 chilometri a sud e a nord di Angkor.
Un capolavoro di idraulica che potrebbe, però, essersi trasformato in una maledizione, giocando un ruolo chiave nel crollo della civiltà khmer, terminata nel 1431 con l’invasione dei Thai e l’abbandono dei luoghi.
Secondo una delle teorie più accerditate, che questa ricerca avalla ulteriormente, a decretarne la fine fu una catastrofe ambientale dovuta all’eccessiva manipolazione dell’ambiente, insieme alla deforestazione, all’erosione del suolo e a una serie di fatali inondazioni.
(testo: repubblica.it – impaginazione Tony Kospan)
Qui potremo ora legger sia la sua riflessione
che la poesia del grande scrittore e poeta britannico
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Foto Giovanni Dall’Orto (partic.)
Saverio Landolina
VENERE LANDOLINA O ANADIOMENE
Guy de Maupassant
Varcando la soglia del museo, la scorsi in fondo una sala, bella come l’avevo immaginata. Le manca la testa, non possiede un braccio; eppure, giammai una figura umana mi è apparsa più stupenda e fascinosa. Non è affatto la donna dei poeti, la donna favoleggiata, la donna divina e maestosa, come la Venere di Milo, è la donna tale come è, come la si ama, come la si desidera, come la si vuole stringere. E’ prosperosa, col seno florido, l’anca robusta e la gamba vigorosa; è una Venere carnale che quando la si vede , in piedi, è naturale immaginarla coricata. Il braccio perduto celava i seni; con la mano rimasta solleva un panno col quale copre, con grazia, i fascini più intimi. Tutto il corpo è fatto, ideato, inclinato per questo movimento, tutte le linee vi confluiscono, tutto il pensiero vi concorre. Questo gesto semplice e naturale, pregno di pudore e di sensualità, che nasconde e mostra, che vela e svela,che attrae e allontana, sembra definire tutti i caratteri della donna sulla terra.
Il marmo è vivo. ……. La Venere di Siracusa è una donna, ed è pure il simbolo della carne……..è l’espressione perfetta della bellezza esuberante, sana e semplice……Non ha la testa! E che importa? Il simbolo ne è uscito più completo. E’ un corpo di donna che esprime tutta la reale poesia della carezza……La figura di marmo che ho veduto a Siracusa è proprio l’umana trappola intuita dall’artista antico: è la donna che copre e rivela a un tempo lo stupefacente mistero della vita.
fonti: vari siti web indicati – ricerche coordinam. e impaginaz. t.k