Diamo uno sguardo all’evoluzione, nel corso dei millenni,
della pizza…
uno degli alimenti più amati in tutto il mondo.
Partirò però dalla simpatica storia della nascita
della mitica Margherita, regina delle pizze
e poi parlerò di quella specie di pane schiacciato
che rappresenta l’antichissimo antesignano della pizza.
Il post poi si concluderà…
con una simpatica canzoncina a lei dedicata.
LA VERA STORIA DELLA PIZZA MARGHERITA (E NON SOLO)
a cura di Tony Kospan
In verità questa pizza condita da mozzarella, pomodoro e basilico, già esisteva… ed era amata dalla Regina Carolina moglie di Re Ferdinando di Borbone… che, essendone ghiotta, aveva perfino fatto costruire, nella reggia, un bel forno a legna.
Non sapeva però la regina borbonica Carolina che i 3 colori sarebbero stati quelli di un’altra dinastia, quella dei Savoia, che avrebbe poi esautorato la sua.
Ma andiamo con ordine
Nell’estate del 1889 il re d’Italia Umberto I e la regina Margherita erano in vacanza a Napoli nella reggia di Capodimonte.
La regina, avendo saputo delle bontà della pizza da qualche personaggio del seguito mandò a chiamare a corte il pizzaiolo Don Raffaele Esposito.
I coniugi Esposito, utilizzando i forni della Reggia, non prepararono solo la pizza in questione ma anche diverse altre… con vari ingredienti: una con sugna, formaggio e basilico; una con l’aglio, olio e pomodoro etc.
La Regina Margherita
Ma la Regina Margherita si entusiasmò soprattutto per quella con mozzarella, pomodoro e basilico, cioè con i colori della bandiera italiana, e però… non solo per motivi patriottici.
Don Raffaele, colse al volo l’occasione di farsi pubblicità (e farsi benvolere dai Reali) e quindi chiamò questa pizza, in onore della Regina, “alla Margherita“.
Nel menu della sua pizzeria, già il giorno dopo, essa troneggiava richiestissima ed al primo posto.
Era nata la pizza Margherita…
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La storia della pizza – in senso lato –
però ha origini molto più antiche..
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LE LONTANISSIME ORIGINI DELLA PIZZA
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Diversi storici ritengono che una specie di pizza, molto simile al pane, era presente già nell’alimentazione etrusca, egizia e di altri popoli antichi con forme e condimenti ovviamente molto diversi.
Era un alimento semplice che necessitava solo di componenti facilmente reperibili: farina, olio, sale e lievito.
La pizza inizia ad avvicinarsi a quella che intendiamo oggi a Napoli, nel medioevo, per cercare di rendere più saporita e condita la preesistente schiacciata di pane;
Dunque in origine è simile al pane, cotta in forni a legna e condita con aglio, strutto e sale grosso… a cui alcuni poi aggiungevano formaggio (caciocavallo) e basilico.
Bisogna ricordare che fu la pizza, anche nella forma più povera, a far sì che nei territori del Regno delle 2 Sicilie le popolazioni riuscissero a superare, in modo meno drammatico di altre zone, le tante diverse carestie… avvenute nel corso dei secoli (in Germania questo stesso ruolo lo ebbe invece la patata).
La pizza infine proprio come oggi la conosciamo, e cioè non più simile al pane ma con impasto morbido e gustoso, appare a Napoli tra il ‘500 e il ‘600.
Era preparata a forma di disco sul quale venivano aggiunti i condimenti più diversi disponibili all’epoca.
Il definitivo trionfo della pizza moderna avviene però con la scoperta del pomodoro che, importato dal Perù solo come pianta ornamentale, rivelò poi la sua capacità di trasformarsi in una gustosa salsa.
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Dunque solo in un momento successivo qualcuno ebbe l’idea di guarnire la pizza con la salsa… e fu… subito grandissimo amore.
Incomincia cosi l’era della pizza moderna che, partendo da Napoli, si diffonde dappertuttodiventando uno dei cibi più amati e… mangiati… nel mondo… assumendo però poi forme, cotture… spessore… e condimenti d’ogni genere secondo i diversi gusti dei popoli.
Molto recentemente… il 7.12.2017… l’Unesco ha proclamato la pizza napoletana “patrimonio dell’umanità“.
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LA PIZZA IN… MUSICA
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Dopo questo breve excursus storico – pizzaiolo,
vi saluto con questa canzoncina a lei dedicata…
e fantasticamente interpretata da Aurelio Fierro
e… vado a farmi una bella… pizza.
Mi dispiace non poterla mangiare insieme a voi.
Questo, per ora, non c’è concesso nel mondo virtuale
ma… col pensiero… forse sì.
Ciao da Orso Tony
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per colorare insieme e non banalmente le nostre ore
Un elefantino staccatosi per qualche motivo dal suo gruppo viene visto da 14 leonesse adulte ed attaccato.
E' evidente l'inferiorità numerica di Hercules, questo il nome dell'elefantino forse datogli dopo la bellissima vittoria, ma lui con orgoglio e forse disperazione è riuscito a respingere alla grande l'attacco del gruppo nonostante una leonessa gli fosse saltata sulla schiena.
Egli nel difendersi ha capito che le leonesse avevano paura dell'acqua ed ha utilizzato questo per rispondere all'attacco e perfino a farle allontanare.
Si era ormai al tramonto quando alcuni turisti del safari “Norman Carr Safaris”, al Chinzombo Camp in Zambia, si sono trovati davanti a questa incredibile scena.
Essi sono precisamente: Jesse Nash giornalista e docente del CW Post College di New York, Dan Christoffel naturalista inglese e Nina Krakowski personaggio televisivo australiano che erano lì per un documentario e stavano andando via.
“Nei tanti anni che sono stato una guida safari in Zambia al South Luangwa, non ho mai visto nulla di simile” ha detto Innocent una delle migliori guide safari del Norman Carr Safaris
Nell’ambito della personale antologia delle poesie sublimi…
non può mancare questa che forse, ad una lettura frettolosa,
può nascondere il tesoro insito nei suoi versi.
Elizabeth Barrett Browning (Durham, 6.3.1806 – Firenze, 29.06.1861)
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SE DEVI AMARMI
ELIZABETH BROWNING
POESIA SUBLIME
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La poesia non è che un inno sublime della poetessa inglese al suo amore per Robert Browning di cui si innamorò a 32 anni, nonostante una grave malattia, e con il quale si trasferì a Firenze a causa dell’opposizione della famiglia.
Lì poi, oltre a sostenere il Risorgimento italiano, Elizabeth a 42 anni migliorando la malattia divenne anche madre di un bimbo.
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Robert Browning
Essa come sempre accade quando una poesia è sublime, con parole semplici ma precise e suggestive, ci inoltra in questo mondo assoluto e celeste in cui far viver il sentimento più bello che c’è…
Il Vero Amore, ci dice Elizabeth, non può esser legato a fattori esterni o concreti o a nostre comodità… o interessi… ma si nutre di assoluta interiorità… al di là di ogni contingenza… ed in tal modo esso potrà non aver mai fine…
Questo dipinto (L’omaggio dell’uomo semplice – 1288/1292) fa parte della serie degli episodi della vita di S. Francesco affrescati nella Basilica di Assisi.
L’importanza di questi affreschi nel mondo dell’arte italiana è paragonabile a quella della Divina Commedia nel campo della Lingua e della Letteratura.
Giotto ufficializza in pratica la grandezza del santo circa 60 anni dopo la sua scomparsa… e per farlo sceglie un luogo preciso… la piazza… che da sempre è il centro della vita pubblica delle città grandi e piccole.
Giotto (1267 – 1337)
La piazza infatti fin dai tempi dell’antica Grecia (agorà) e dell’antica Roma (forum) è il 4° luogo dopo la casa, il luogo di lavoro e quello del culto in cui le persone svolgevano e svolgono una delle più importanti funzioni umane, quella politica, intesa però nel senso più ampio.
Infatti la piazza era, è e forse sarà, sempre il centro di diffusione delle notizie e delle idee, lo spazio in cui nascono le amicizie e gli amori o quello in cui si prendono le decisioni, o quello in cui i cittadini protestano (ancora oggi si dice “scendere in piazza”) anche se oggi conosciamo un altro genere di piazza che sembra stia prendendo il sopravvento, quella virtuale.
Ma torniamo al dipinto.
Mostra un uomo umilmente vestito che stende un abito, a mò di tappeto, dinanzi all’incedere del Santo in una piazza, che è quella di Assisi, nell’indifferenza dei presenti, elegantemente abbigliati.
La piazza che Giotto dipinge non è una piazza qualunque… ma quella di Assisi.
Egli la vuole rendere riconoscibile ed ecco sulla sinistra il palazzo civico con la sua torre, l’antico tempio di Minerva divenuto chiesa e per descriverla come tale vi aggiunge 2 angeli ed un frontone che in realtà non c’erano, ed un altro palazzo.
Il dipinto simboleggia l’abbandono da parte di S. Francesco del mondo dei ricchi per abbracciare quello degli umili e dei poveri che a loro volta ne riconoscono la grandezza umana e la santità rendendogli un profondo omaggio che è raffigurato dall’inchino e dalla veste appoggiata a terra.
Quest’opera inoltre è ritenuta la prima rappresentazione di una piazza nella Storia dell’Arte Italiana.
Tony Kospan
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