E’ di un’italiana la più bella poesia dedicata al “lockdown”
Ha iniziato in sordina a fare il giro nel web
ma poi pia piano è stata tradotta in diverse lingue
ed è ormai diventata la poesia regina
della nostra (e di tutto il mondo) “fermata” per la pandemia.
Ora però leggiamola e poi dirò qualche mio pensiero
sui motivi che l’hanno fatta accogliere con entusiasmo
dai lettori di ogni dove.
9 MARZO DUEMILAVENTI
– Mariangela Gualtieri –
Questo ti voglio dire
ci dovevamo fermare.
Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti
ch’era troppo furioso
il nostro fare. Stare dentro le cose.
Tutti fuori di noi.
Agitare ogni ora – farla fruttare.
Ci dovevamo fermare
e non ci riuscivamo.
Andava fatto insieme.
Rallentare la corsa.
Ma non ci riuscivamo.
Non c’era sforzo umano
che ci potesse bloccare.
E poiché questo
era desiderio tacito comune
come un inconscio volere –
forse la specie nostra ha ubbidito
slacciato le catene che tengono blindato
il nostro seme. Aperto
le fessure più segrete
e fatto entrare.
Forse per questo dopo c’è stato un salto
di specie – dal pipistrello a noi.
Qualcosa in noi ha voluto spalancare.
Forse, non so.
Adesso siamo a casa.
è portentoso quello che succede.
E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano.
Forse ci sono doni.
Pepite d’oro per noi. Se ci aiutiamo.
C’è un molto forte richiamo
della specie ora e come specie adesso
deve pensarsi ognuno. Un comune destino
ci tiene qui. Lo sapevamo. Ma non troppo bene.
O tutti quanti o nessuno.
è potente la terra. Viva per davvero.
Io la sento pensante d’un pensiero
che noi non conosciamo.
E quello che succede? Consideriamo
se non sia lei che muove.
Se la legge che tiene ben guidato
l’universo intero, se quanto accade mi chiedo
non sia piena espressione di quella legge
che governa anche noi – proprio come
ogni stella – ogni particella di cosmo.
Se la materia oscura fosse questo
tenersi insieme di tutto in un ardore
di vita, con la spazzina morte che viene
a equilibrare ogni specie.
Tenerla dentro la misura sua, al posto suo,
guidata. Non siamo noi
che abbiamo fatto il cielo.
Una voce imponente, senza parola
ci dice ora di stare a casa, come bambini
che l’hanno fatta grossa, senza sapere cosa,
e non avranno baci, non saranno abbracciati.
Ognuno dentro una frenata
che ci riporta indietro, forse nelle lentezze
delle antiche antenate, delle madri.
Guardare di più il cielo,
tingere d’ocra un morto. Fare per la prima volta
il pane. Guardare bene una faccia. Cantare
piano piano perché un bambino dorma. Per la prima volta
stringere con la mano un’altra mano
sentire forte l’intesa. Che siamo insieme.
Un organismo solo. Tutta la specie
la portiamo in noi. Dentro noi la salviamo.
A quella stretta
di un palmo col palmo di qualcuno
a quel semplice atto che ci è interdetto ora –
noi torneremo con una comprensione dilatata.
Saremo qui, più attenti credo. Più delicata
la nostra mano starà dentro il fare della vita.
Adesso lo sappiamo quanto è triste
stare lontani un metro.
BREVE MIA ANALISI
La poetessa osserva il rallentar dei convulsi ed affannosi battiti della moderna società e riflette sui limiti pericolosi che l’Umanità sta raggiungendo e ne evidenzia i rischi.
Questa “fermata”, ci dice, è sì dolorosa e però è anche un’occasione per tornare ai nostri valori più veri e profondi e per riscoprire la bellezza delle cose naturali e semplici.
Con parole forti, suggestive e significative ci parla di una nuova consapevolezza e della riscoperta di un comune desiderio di amore (in senso ampio), vicinanza, fratellanza, senso di comunità, e di visione di un possibile destino nuovo per l’Umanità.
Infine aggiungo questo bel video che ci consente una rilettura accompagnata da belle immagini e da una soffusa musica di sottofondo.
In una notte senza luna un derviscio, passando vicino a un pozzo prosciugato, sentì un grido: una voce cavernosa chiedeva aiuto.
“Chi c’è laggiù?”, chiese il derviscio, sporgendosi.
“Sono un grammatico e, poiché non conosco la strada, sono caduto inavvertitamente in questo profondo pozzo dove mi trovo ora, praticamente immobilizzato”, rispose la voce.
“Tieniti, amico, vado a prendere una scala e corda”, disse il derviscio.
“Un momento, prego”, rispose il grammatico. “La tua sintassi e la tua pronuncia sono difettose; ti prego di correggerle”.
“Se questo è così importante per te, più importante dell’essenziale”, gridò il derviscio, “allora è meglio che tu rimanga lì dove sei finché io non imparo a parlare correttamente”.
E proseguì per la sua strada.
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Questa storia è stata raccontata da ]alaludin Rumi grande poeta Sufi.
La si può trovare nel Munaqib El-Arifin di Aflaki pubblicato in Inghilterra nel 1965.
Alcune delle storie ivi contenute non sono altro che meravigliose favole, mentre altre sono fatti storici.
Altre ancora appartengono a quella strana categoria che i Sufi chiamano “storie illustrative”: una serie di eventi combinati per mettere in evidenza dei processi psicologici.
dedicato al passo più famoso della Divina Commedia,
e comunque quello per me (ma non solo per me),
il più bello ed emozionante…
omaggiare il nostro Somma Poeta
nell’anniversario della scomparsa.
Lo farò, oltre che con il testo completo ed una breve analisi,
anche con la geniale e coinvolgente lettura di Benigni
per iscritto ed anche in video.
T. K.
Henry Holiday – Dante incontra Beatrice
PAOLO E FRANCESCA
Benigni:
Omissis
“E’ un libro tutto al femminile la Divina Commedia, è un libro tutto sull’amore, basato tutto sull’amore.
Ora, quando parla di Paolo e Francesca, che sono i passi più famosi, sentiamo che è il primo dannato con il quale parla, Francesca.
E per la prima volta nella storia – un’invenzione di lui, uomo del Medio Evo – per descrivere tutto un personaggio, prende un momento della sua vita. Questa è un’idea che mi ha sempre affascinato.
Prende un solo momento della sua vita e quel personaggio è scolpito per l’eternità.
E’ un’invenzione di Dante Alighieri.
Per Paolo e Francesca prende il momento in cui loro due non sapevano di essere innamorati e vengono trafitti dall’amore
e quel momento rimarrà scolpito per sempre.
Lui sceglie quel momento e sarà il momento dell’eternità.
Mentre noi sentiamo Francesca che parla e piange e dice, soffriamo. Mentre che l’uno spirto questo disse, l’altro piangea; sì che di pietade io venni men così com’io morisse. E caddi come corpo morto cade.
Ma quando si sente: l’altro piangea, il cuore sobbalza, e quel verso che dice quando hanno scoperto…
Dante vuol sapere come hanno fatto a capire che erano innamorati. Gli interessa a lui personalmente, è proprio la sua domanda: come accadde che voi vi scopriste innamorati?
E lei dice: Quando leggemmo il disiato riso esser basciato da cotanto amante, questi, che mai da me non fia diviso, la bocca mi basciò tutto tremante.
Sono versi che lasciano…
Siamo nel primo girone dell’Inferno – il primo, vero – dove Dante ci ha messo (non a caso in quello dove si soffre meno, per modo di dire) quelli che sono morti per amore, i lussuriosi, ma anche quelli che sono morti per amore perché si amavano l’uno con l’altro. Proprio perché lui stesso c’aveva paura di andarci: “Meglio che faccio un posto un po’ meno sofferente!” Quindi in questo canto si parla di questa storia. Di questi due amanti che so’ stati presi mentre stavano leggendo una storia che li riguardava – erano quasi loro – un libro.
La storia di Paolo e Francesca la sapete tutti, insomma che… lei doveva sposare Gianciotto Malatesta e naturalmente era bruttissimo, era anche zoppo.
Gli è arrivato brutto e zoppo, ma brutto, una personaccia! Gli portò la cosa di matrimonio il su’ fratello che era bellissimo. Lei pensava fosse quello suo marito. Pensate quando è arrivato quell’altro, che era cattivo, brutto e zoppo, ma proprio ignorante come una capra e quindi… Non è che poi l’ha tradito, solamente che il primo afflato d’amore con il primo che vedi… magari se vedeva prima quell’altro si sarebbe innamorata. Ha visto prima quello, allora… Aspettava l’amore. Quando aspetti l’amore non si vede più niente, diventa tutto meraviglioso.
Questo afflato d’amore, Dante gli chiede, vuol sapere da loro come fecero a ‘nnamorarsi.
Perché a Dante gli interessa come si fa a ‘nnamorarsi:
“Voglio sapere come scatta questo mistero dell’universo dell’amore”,
che può scattare tra chiunque, con chiunque e in qualsiasi momento.
E quella è una cosa che dentro ci sono… c’è Semiramide, che era una talmente lussuriosa che aveva fatto un editto dove imponeva a tutti di fare all’amore per la strada dalla mattina alla sera, di modo che anche lei fosse normale.
Siccome questa Semiramide faceva all’amore dalla mattina alla sera con tutti, ha fatto un editto…
E’ come se anche qui in Italia si dovesse tutti…
Non facciamo riferimenti che è sempre brutto e terribile…
C’è Minosse in questo canto, con tutte le similitudini…
Caterina Boratto nel film “Giulietta degli spiriti” di Fellini
Moltissimi non sapranno nemmeno chi sia il personaggio
di cui ora parlerò…
eppure
Caterina Boratto
è stata una delle più belle ed affascinanti donne del nostro Cinema…
e grande diva negli anni 30… all'epoca dei… “telefoni bianchi”.
(Torino 15 3 1915 – Roma 14 9 2010)
CATERINA BORATTO
BELLEZZA… CINEMA E… STORIA
a cura di Tony Kospan
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DAI TELEFONI BIANCHI A VILLA ARZILLA
– Durante la guerra perse il fidanzato e 2 fratelli –
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Era nata a Torino il 15 marzo 1915… e lì già giovanissima, al liceo musicale, si fece subito notare per le innate doti di fascino e classe.
Su segnalazione dell'attrice Evelina Paoli, nel 1937, le fu assegnata la parte principale nel film VIVERE.. dove recitava il celebre tenore Tito Schipa… entrando dunque nel mondo della celluloide dalla porta principale.
Scoppiò lì sul set, tra lei e Schipa, subito il classico… colpo di fulmine… ed ebbero una storia d'amore.
Nel '38 recitò in “Chi è più felice di me?” sempre con Tito Schipa e la stessa regia di Brignonee poi in “Hanno rapito un uomo” con Vittorio de Sica.
Tito Schipa
Il successo di “Vivere” la rese famosa anche in America e nel 1939 fu scritturata dalla famosissima casa di produzione cinematografica Metro Goldwyn Mayer.
Lì fu subito amata ed ammirata… ma ormai sopraggiungevano gli anni della guerra che la costrinsero a tornare in Italia.
senza nemmeno riuscire a partecipare ad un film.
Tornata a Torino sotto i bombardamenti iniziò, in quegli anni drammatici, una bella storia d'amore con il conte Guidi di Romena che però mori poco dopo in un incidente aereo.
Visse quindi davvero momenti difficili e le furono vicini soprattuttoVittorio De Sicae Giuditta Rissone.
Le cose migliorarono con la chiamata a recitare nel 1942 in alcuni film di genere melò (melodrammatici) dove il mattattore era Amedeo Nazzari con cui ebbe una breve storia e soprattutto con la partecipazione al film “Campo de' Fiori” (1943).
Qui ebbe rapporti difficili con Anna Magnani e conobbe Aldo Fabrizi, Peppino De Filippo ed il regista Mario Bonnard.
Amedeo Nazzari
Giungiamo agli ultimi anni di guerra e di nuovo il dramma la colpisce duramente… perdendo 2 fratelli… uno caduto da partigiano e l'altro martire di Cefalonia quando si rifiutò, con tutti gli ufficiali e soldati italiani presenti sull'isola greca…, di continuare la guerra (che per l'Italia era terminata) accanto ai tedeschi.
Un po' di sollievo le giunse dall'ospitalità offertale nella clinica di lusso torinese “Sanatrix” .
Lì conobbe il proprietario Armando Ceratto che sposò.
Il dopoguerra la vede al centro di alterne vicende personali… belle come la nascita della figlia Marina… ma anche brutte come il fallimento del marito.
Una ripresa vera e propria in campo artistico avviene grazie alla chiamata di Fellini in Otto e mezzo (1963) e Giulietta degli spiriti (1965). .. ed altre importanti partecipazioni come “Io, io, io… e gli altri ” nel 1965 di Alessandro Blasetti con Franca Valeri, “Ardenne '44: un inferno” nel 1969 e il controverso “Salò o le 120 giornate di Sodoma” nel 1975 di Pier Paolo Pasolini.
Negli anni successivi quando sembra ormai finita la sua carriera d'artista eccola di nuovo tornare in auge negli anni anni '90 con il divertente serial televisivo “Villa Arzilla”.
La sua vita, come abbiamo visto, appare densa sia di gioie che di dolori… ma in ogni caso ha certamente lasciato un segno nella storia del cinema.
Apparentemente altera e distaccata, ma in realtà timida, ribelle e sognante aveva una bellezza aristocratica… e un po' malinconica, ed anche “statuaria” come possiamo vedere ed ammirare nelle foto… ed in questo video tributo.
ma in cui si respirava in pieno la musica essendo la madre
un soprano naturale…
Fin da piccola si esercitò nel canto.
(Palermo 7.9.1951 – Milano 14.9.2004)
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Grandissima cantante per la critica e per gli amanti del bel canto
per la sua mitica voce, pur avendo avuto parecchi successi fin da giovanissima con la vittoria a Castrocaro tuttavia non entrò mai nel cuore del grande pubblico
se non con qualche canzone come
“Un'estate al mare” e “Mediterranea“.
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Avrebbe in realtà meritato molto… ma molto di più…
per la perfezione, armoniosità e bellezza del suo canto
che colpiva diretto al cuore
ma fu amata e stimata soltanto e soprattutto
dai cultori della bella musica di qualità e d'élite.
Lei voleva, e senza dubbio poteva, volare alto…
ma le fu impedito… da un amaro destino.
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In verità lei stessa non solo non amava lo star system ma preferiva uno stile di vita abbastanza riservato…
Inoltre era molto esigente nella scelta dei brani musicali
ed appariva una persona intrisa di grande spiritualità.
E' ancor oggi molto amata e le sue canzoni
vengono spesso ascoltate ed apprezzate dagli amanti dell'arte musicale
grazie alle modalità che il web ci offre.
La sua voce (come possiamo ascoltare in questi 2 video)
per timbro, forza e tonalità era infatti davvero straordinaria ed unica, al punto che è giudicata tra le più belle di sempre della canzone italiana.
Per questo è stata considerata “La voce” della canzone Italiana.
E' stata anche molto amica di Franco Battiato ed ha lavorato con tanti grandi artisti del suo tempo…
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Un brutto male ci ha privati di lei
e della sua affascinante voce… a soli 53 anni…
A lei va il nostro grato ricordo per le forti emozioni che ci ha donato e che possiamo rivivere con i 2 brani musicali che corredano questo post
L’anima si sceglie il proprio compagno
poi chiude la porta
così che la maggioranza divina
non possa più turbarla.
Impassibile vede i cocchi che si fermano
laggiù al cancello.
Impassibile vede un Re inginocchiarsi
alla sua soglia.
Io so che tra tantissimi
l’anima ne scelse uno
per poi sigillare come fossero pietra
le valve della sua attenzione.