C’è un genere di poesia del tutto particolare… e poco noto
è…
la poesia delle (e nelle) immagini.
Non ne parlerò per esaltarla e diffonderla
né per denigrarla o disconoscerla ma solo per approfondire la conoscenza
di un genere poco noto ma che ha illustri genitori
ed in Apollinaire il massimo esponente.
Essa, pur non avendo una grande diffusione,
ha però ancor oggi poeti che si esprimono in tal modo
e diversi gruppi che l’apprezzano.
LA POESIA VISIVA O VISUALE
– DEFINIZIONE.. STORIA E QUALCHE ESEMPIO –
DEFINIZIONE
Essa si può definire come il punto d’incontro tra l’arte figurativa (in ogni suo aspetto) e la poesia così come la conosciamo.
Spesso la poesia visiva si associa anche al sonoro.
Ne tracceremo una sua breve storia a partire dalle prime avanguardie artistiche degli inizi del 20° secolo per giungere alla sua teorizzazione nel secondo dopoguerra fino all’esplosione tecnologica degli ultimi tempi.
La famosa poesia “IL PLEUT” di Apollinaire…
Pioggia di parole… Parole a pioggia…
Poesia visiva di Apollinaire
Poesia visiva di Apollinaire e la sua… musa
Un discorso a parte merita poi il noto poeta del primo ‘900
Thomas Dylan
per la vastità e complessità del suo mondo poetico.
La poesia visuale o poesia visiva, rinasce da sperimentazioni artistiche e letterarie compiute dalle “neoavanguardie”, dagli anni sessanta del XX secolo insieme all’Arte Concettuale ed alla Pop Art.
Il famoso libro di poesie visuali di Apollinaire “Calligrammes”
L’ORIGINE CON LE AVANGUARDIE DELL’INIZIO DEL XX SEC.
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In verità la ricerca di una sintesi verbo-immagine… ebbe inizio già con le avanguardie degli inizi del 20° secolo come il Dadaismo… il Futurismo ed il Surrealismo.
Tutte queste avanguardie avevano come scopo principale la ricerca di nuove forme in tutti i campi dell’arte rivoluzionando tutti i canoni che, a parer loro, avevano imprigionato la libera espressione dell’animo umano.
Poesia dadaista
Poesia futurista di Marinetti
Poesia futurista… Carlo Belloli – 2 poemi visuali
Il più illustre esponente di questa ricerca di sintesi tra immagine e parole fu senz’altro il grande poeta italo-francese Apollinaire che partecipò a tutte le avanguardie della sua epoca.
Ecco alcune sue opere… oltre quelle in alto.
Apollinaire
Apollinaire
LA POESIA VISUALE OGGI
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La poesia visuale attuale anche grazie ai progressi tecnologici, all’enorme diffusione dei media ed in particolare dei pc e di internet si esprime attraverso immagini, sonorità e testi utilizzando anche programmi di video, di grafica, etc..
Bisogna infine dire che quella della poesia visuale tuttavia è, a tutt’oggi, una corrente poco nota alle masse.
Qui di seguito alcuni altri esempi.
Poesia di Michele Perfetti
A.DeL.- Ne dis rien 2011
Poesia di Luciano Ori
Poesia di Maria Luisa Grimani
Poesia di Giuliano Bartolozzi
Diamo ora in conclusione un’occhiata a questo video che può aiutarci a comprendere ancor meglio il concetto di poesia visiva.
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Se vi fa piacere esprimete liberamente il vostro pensiero.
La competizione ha sempre un obiettivo… una meta da raggiungere… una vittoria da conseguire.
Il termine “competizione”, nel mondo moderno, ha avuto un’evoluzione verso un significato negativo per alcuni.
Per la precisione… per quelli che danno maggior valore alla serenità ed al benessere interiore… ed ai quali non interessa primeggiare.
Per altri, invece, essa ha un enorme significato positivo.
Sono quelli che danno maggior valore al desiderio di primeggiare… anzi ne sentono un'assoluta necessità per soddisfare il proprio Ego.
Essi ritengono che nella vita bisogna continuamente “battere” gli altri, superarli… in qualunque campo (e spesso in qualunque modo).
Se questa è la situazione, soprattutto nel mondo occidentale, espongo una mia piccola riflessione sul punto.
UNA MIA CONSIDERAZIONE
Come sempre la cosa migliore sta nel mezzo… IN MEDIO STAT VIRTUS.
E’ errato vivere solo per competere.
E’ errato evitare sempre di competere.
La competizione ritengo sia necessaria soprattutto (o solo) per raggiungere l’obbiettivo di una vita degna d’essere vissuta.
Ciò però non deve avvenire a scapito di altri e senza danneggiare alcuno.
Essa quindi deve essere strumento di conoscenza, studio, tecnica, approfondimento ed accompagnata dalla perseveranza per raggiungere la meta.
A mio parere dunque non dobbiamo mai dimenticare, che, soddisfatti i nostri bisogni primari, nuove sfide possono esserci certo ma solo come optional ed evitando un'esasperante e continuo tentativo di superare gli altri.
L'ideale sarebbe, come ci insegna la saggezza e la filosofia orientale, (ma spesso non è facile) godere con calma del risultato raggiunto.
Il poeta tedesco Rilke abitò per un certo periodo a Parigi. Per andare all’Università percorreva ogni giorno, in compagnia di una sua amica francese, una strada molto frequentata. Un angolo di questa via era perennemente occupato da una mendicante che chiedeva l’elemosina ai passanti. La donna sedeva sempre allo stesso posto, immobile come una statua, con la mano tesa e gli occhi fissi al suolo. Rilke non le dava mai nulla, mentre la sua compagna le donava spesso qualche moneta. Un giorno la giovane francese, meravigliata domandò al poeta: – Ma perché non dai mai nulla a quella poveretta? – – Dovremmo regalare qualcosa al suo cuore, non alle sue mani – rispose il poeta. Il giorno dopo, Rilke arrivò con una splendida rosa appena sbocciata, la depose nella mano della mendicante e fece l’atto di andarsene. Allora accadde qualcosa d’inatteso: la mendicante alzò gli occhi, guardò il poeta, si sollevò a stento da terra, prese la mano dell’uomo e la baciò. Poi se ne andò stringendo la rosa al seno. Per un’intera settimana nessuno la vide più. Ma otto giorni dopo,la mendicante era di nuovo seduta nel solito angolo della via. Silenziosa e immobile come sempre. – Di che cosa avrà vissuto in tutti questi giorni in cui non ha ricevuto nulla? – chiese la giovane francese. – Della rosa – rispose il poeta.
Testo senza il nome dell’autore presente in vari siti web.
J. W. Waterhouse
La rosa, di cui parla Rilke nelle sue poesie, forse però non è solo un fiore, come mi segnalava un lettore del blog in una precedente versione del post, ma anche e forse soprattutto l’allegoria del mistero della natura… della vita.
“Rosa, oh, contraddizione pura!
Delizia d’essere il sonno di nessuno sotto tante palpebre”
Questo è infatti l’epitaffio autografo voluto dal poeta sulla sua tomba.
Praga 4.12.1875 – Montreux 29.12.1926
Se ci fa piacere ecco ora in questo video
alcune sue poesie dedicate dal poeta alla rosa
F I N E
Racconto e video dal Web – Presentazione ed impaginazione T.K
Giosuè Carducci grande poeta italiano, e vero mito letterario tra la fine dell'800 e l'inizio del '900, è stato il primo italiano a vincere il premio Nobel per la Letteratura.
(Valdicastello di Pietrasanta 27.71835 – Bologna, 16.2.1907)
Come ricordare un così grande poeta?
Lo farò semplicemente con una mini biografia e soprattutto con alcune sue mitiche poesie.
BREVISSIMA BIOGRAFIA
Visse la sua fanciullezza in Maremma le cui atmosfere rivivranno poi in tante sue poesie.
Laureatosi alla Scuola normale superiore di Pisa nel 1856 iniziò ad insegnare in un Ginnasio di Pistoia.
Dopo qualche anno, nel 1860, ottenne la Cattedra di Letteratura Italiana nell'Università di Bologna.
Nel 1906 fu insignito del Premio Nobel
LA POETICA
L’amore per la patria (siamo in epoca risorgimentale) e la passione politica, con l'amore per la vita la famiglia e la natura sono le linee guida della sua notevole produzione poetica.
Egli a differenza di molti altri poeti del suo tempo, che esaltano il Romanticismo, sceglie il Classicismo.
Ciò vuol dire per lui esaltare le tradizioni storiche, culturali e poetiche italiane e far rivivere idee di orgoglio patrio per un futuro glorioso.
Questo appare chiaro nei suoi versi che, pur non paludati e pesanti, tuttavia esplorano in modo raffinato tutte le potenzialità della lingua italiana del passato e del mondo classico.
Tuttavia non mancano nelle sue opere contaminazioni “romantiche” e “simboliste”.
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LE POESIE
Quelle da me scelte sono: le prime 3 classicissime e studiatissime a scuola e la 4° è una bella poesia d'amore.
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Pianto antico
L'albero a cui tendevi la pargoletta mano, il verde melograno da' bei vermigli fior,
nel muto orto solingo rinverdì tutto or ora e giugno lo ristora di luce e di calor.
Tu fior della mia pianta percossa e inaridita, tu dell'inutil vita estremo unico fior,
sei ne la terra fredda, sei ne la terra negra; né il sol più ti rallegra né ti risveglia amor.
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San Martino
La nebbia a gl'irti colli piovigginando sale, e sotto il maestrale urla e biancheggia il mar;
ma per le vie del borgo dal ribollir de' tini va l'aspro odor de i vini l'anime a rallegrar.
Gira su' ceppi accesi lo spiedo scoppiettando: sta il cacciator fischiando sull'uscio a rimirar
tra le rossastre nubi stormi d'uccelli neri, com'esuli pensieri, nel vespero migrar.
Davanti a San Guido
I cipressi che a Bólgheri alti e schietti Van da San Guido in duplice filar, Quasi in corsa giganti giovinetti Mi balzarono incontro e mi guardar. Mi riconobbero, e— Ben torni omai — Bisbigliaron vèr' me co 'l capo chino — Perché non scendi ? Perché non ristai ? Fresca è la sera e a te noto il cammino. Oh sièditi a le nostre ombre odorate Ove soffia dal mare il maestrale: Ira non ti serbiam de le sassate Tue d'una volta: oh non facean già male! Nidi portiamo ancor di rusignoli: Deh perché fuggi rapido cosí ? Le passere la sera intreccian voli A noi d'intorno ancora. Oh resta qui! — — Bei cipressetti, cipressetti miei, Fedeli amici d'un tempo migliore, Oh di che cuor con voi mi resterei— Guardando lor rispondeva — oh di che cuore ! Ma, cipressetti miei, lasciatem'ire: Or non è piú quel tempo e quell'età. Se voi sapeste!… via, non fo per dire, Ma oggi sono una celebrità. E so legger di greco e di latino, E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtú: Non son piú, cipressetti, un birichino, E sassi in specie non ne tiro piú. E massime a le piante. — Un mormorio Pe' dubitanti vertici ondeggiò E il dí cadente con un ghigno pio Tra i verdi cupi roseo brillò. Intesi allora che i cipressi e il sole Una gentil pietade avean di me, E presto il mormorio si fe' parole: — Ben lo sappiamo: un pover uom tu se'. Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse Che rapisce de gli uomini i sospir, Come dentro al tuo petto eterne risse Ardon che tu né sai né puoi lenir. A le querce ed a noi qui puoi contare L'umana tua tristezza e il vostro duol. Vedi come pacato e azzurro è il mare, Come ridente a lui discende il sol! E come questo occaso è pien di voli, Com'è allegro de' passeri il garrire! A notte canteranno i rusignoli: Rimanti, e i rei fantasmi oh non seguire; I rei fantasmi che da' fondi neri De i cuor vostri battuti dal pensier Guizzan come da i vostri cimiteri Putride fiamme innanzi al passegger. Rimanti; e noi, dimani, a mezzo il giorno, Che de le grandi querce a l'ombra stan Ammusando i cavalli e intorno intorno Tutto è silenzio ne l'ardente pian, Ti canteremo noi cipressi i cori Che vanno eterni fra la terra e il cielo: Da quegli olmi le ninfe usciran fuori Te ventilando co 'l lor bianco velo; E Pan l'eterno che su l'erme alture A quell'ora e ne i pian solingo va Il dissidio, o mortal, de le tue cure Ne la diva armonia sommergerà. — Ed io—Lontano, oltre Apennin, m'aspetta La Tittí — rispondea; — lasciatem'ire. è la Tittí come una passeretta, Ma non ha penne per il suo vestire. E mangia altro che bacche di cipresso; Né io sono per anche un manzoniano Che tiri quattro paghe per il lesso. Addio, cipressi! addio, dolce mio piano! — — Che vuoi che diciam dunque al cimitero Dove la nonna tua sepolta sta? — E fuggíano, e pareano un corteo nero Che brontolando in fretta in fretta va. Di cima al poggio allor, dal cimitero, Giú de' cipressi per la verde via, Alta, solenne, vestita di nero Parvemi riveder nonna Lucia: La signora Lucia, da la cui bocca, Tra l'ondeggiar de i candidi capelli, La favella toscana, ch'è sí sciocca Nel manzonismo de gli stenterelli, Canora discendea, co 'l mesto accento De la Versilia che nel cuor mi sta, Come da un sirventese del trecento, Piena di forza e di soavità. O nonna, o nonna! deh com'era bella Quand'ero bimbo! ditemela ancor, Ditela a quest'uom savio la novella Di lei che cerca il suo perduto amor! — Sette paia di scarpe ho consumate Di tutto ferro per te ritrovare: Sette verghe di ferro ho logorate Per appoggiarmi nel fatale andare: Sette fiasche di lacrime ho colmate, Sette lunghi anni, di lacrime amare: Tu dormi a le mie grida disperate, E il gallo canta, e non ti vuoi svegliare. — Deh come bella, o nonna, e come vera è la novella ancor! Proprio cosí. E quello che cercai mattina e sera Tanti e tanti anni in vano, è forse qui, Sotto questi cipressi, ove non spero, Ove non penso di posarmi piú: Forse, nonna, è nel vostro cimitero Tra quegli altri cipressi ermo là su. Ansimando fuggía la vaporiera Mentr'io cosí piangeva entro il mio cuore; E di polledri una leggiadra schiera Annitrendo correa lieta al rumore. Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo Rosso e turchino, non si scomodò: Tutto quel chiasso ei non degnò d'un guardo E a brucar serio e lento seguitò.
Qui regna amore
Ove sei? de' sereni occhi ridenti A chi tempri il bel raggio, o donna mia? E l'intima del cor tuo melodia A chi armonizzi ne' soavi accenti?
Siedi tra l'erbe e i fiori e a' freschi venti Dài la dolce e pensosa alma in balía? O le membra concesso hai de la pia Onda a gli amplessi di vigor frementi?
Oh, dovunque tu sei, voluttuosa Se l'aura o l'onda con mormorio lento Ti sfiora il viso o a' bianchi omeri posa,
è l'amor mio che in ogni sentimento Vive e ti cerca in ogni bella cosa E ti cinge d'eterno abbracciamento.