Il simbolo della festa della donna è, com'è noto, la mimosa, ovvero l'acacia dealbata, ma ciò accade soprattutto in Italia.
Ma perché e da chi fu scelta?
La storia… tutta italiana risale al 1946
Siamo in Italia a Roma e l'UDI (Unione Donne Italiane) doveva scegliere un simbolo floreale per festeggiare il primo 8 marzo postbellico così come il garofano rosso era stato scelto per la Festa del lavoro.
Le donne, essendo i giardini pieni di mimose, fiori durevoli e profumati, (e dunque sempre facilmente reperibili in marzo) optarono per le mimose.
Ma non fu una scelta semplice, bensì complessa, che a raccontarla oggi appare come una bella leggenda.
Infatti le donne volevano scegliere l'orchidea ma Teresa Mattei, che l'anno dopo avrebbe fatto parte dell'Assemblea Costituente, per evitar la scelta di un fiore costoso come quello, s'inventò una leggenda cinese… raccontando che la mimosa per quel popolo rappresentava il calore della famiglia ed era il simbolo la gentilezza femminile.
La cosa piacque molto e convinse tutte le donne.
Fu così che la mimosa… vinse.
LA PIANTA
LA MIMOSA – ACACIA DEALBATA
Pianta originaria della Tasmania, fa parte del genere Acacia e della famiglia delle Leguminose, ed in particolare alla sottosspecie delle Mimosacee.
E' un albero da fiori gialli e a grappolo, con un profumo dolce e fragrante che fu Introdotto in Europa nel 1800.
U S I
(MEDICINALI E PROFUMI)
La sua corteccia è stata adoperata, nell'uso medicinale, come astringente e antidiarroica mentre i fiori nella ccreazione di profumi.
Inoltre possiede tannini ed un olio usato per l'aromaterapia e per il trattamento di alcune malattie cutanee.
COLTIVAZIONE
E' possibile acquistare un piccolo alberello di mimosa e piantarlo in giardino o in un vaso.
Così ogni anno avrete la mimosa pronta per la festa della Donna.
CONSERVAZIONE
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Eliminare del tutto le foglie dagli steli poi appendere il mazzolino a testa in giù in un locale asciutto, poco luminoso e con buon ricambio d' aria e tenerlo così finché non è seccato.
LA CANZONE
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Auspico però una festa che non sia vista in modo banale, come purtroppo spesso accade, ma come omaggio al ricordo delle lotte fatte per il raggiungimento dell'uguaglianza e per cancellare i residui di vetero maschilismo ancora radicati nella nostra società… solo apparentementeevoluta.
Quando ci penso, che il tempo è passato, le vecchie madri che ci hanno portato, poi le ragazze, che furono amore, e poi le mogli e le figlie e le nuore, femmina penso, se penso alla gioia pensare al maschio, pensarci mi annoia.
Quando ci penso, che il tempo è venuto, la partigiana che qui ha combattuto, quella colpita, ferita una volta, e quella morta, che abbiamo sepolta, femmina penso, se penso alla pace pensare al maschio, pensarci non piace.
Quando ci penso, che il tempo ritorna, che arriva il giorno che il giorno raggiorna, penso che è culla una pancia di donna, e casa è pancia che tiene una gonna, e pancia è cassa, che viene al finire, che arriva il giorno che si va a dormire.
Perché la donna non è cielo, è terra carne di terra che non vuole guerra ed è la terra, in cui fui seminato, vita vissuta che dentro ho piantato, qui cerco il caldo che il cuore ci sente, la lunga notte che divento niente.
Femmina penso, se penso l'umano la mia compagna, la prendo per mano.
ANNA MAGNANI… il suo nome ma per tutti… era NANNARELLA…
E' stata una donna che ha lasciato una traccia indelebile
nella storia del cinema italiano e mondiale
(Roma 7.3.1908 – Roma 26.9.1973)
Oltre ad essere una delle più grandi attrici italiane di sempre
è stata anche un eccezionale simbolo della romanità.
Vera e propria STAR del cinema internazionale,
vincitrice dell'Oscar nel 1956,
ha interpretato film memorabili come Roma città aperta, di Rossellini;
Bellissima di Visconti, Mamma Roma, di Pasolini… etc…
Ha anche lavorato con altri grandi registi
come Fellini, Monicelli e Kramer.
Ricordiamola con questo magnifico video omaggio
contenente diverse scene da film nelle quali, tra l'altro,
canta e recita anche in lingua napoletana…
('O surdato 'nnamurato)
Per il suo urlo nella scena finale di ROMA CITTA' APERTA,
capolavoro del Neorealismo italiano, che vinse il NASTRO D'ARGENTO,
e di cui possiamo vedere qui una famosissima… drammatica scena,
Pier Paolo Pasolini le dedicò la poesia che possiamo leggere più giù.
“Quasi emblema, in noi l’urlo della Magnani sotto le ciocche disordinatamente assolute, rinnova nelle disperate panoramiche, e nelle occhiate vive e mute si addensa il senso della tragedia. E’ lì che si dissolve e mutila il presente, e assorda il canto degli aedi”.
P. P. Pasolini
Era sì grande artista,ma anche donna vera, schietta.
Con la sua romanità… universale… ha lasciato un segno indelebile non solo nella Storia del Cinema ma anche nei cuori di milioni di persone che l'hanno seguita, ammirata ed amata.
Mi piace però ricordarlo ora con alcune sue citazioni
e con una sua mitica poesia dalle tante valenze…
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A F O R I S M I
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Immagine giovanile
Il vero male non è quello che si soffre, ma quello che si fa.
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La vita non deve essere una festa per alcuni e un peso per altri,
ma dev'essere un impegno per tutti.
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Non sempre quello che viene dopo è progresso.
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La ragione e il torto non si dividono mai con un taglio così netto
che ogni parte abbia soltanto dell'uno e dell'altra.
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É men male l'agitarsi nel dubbio, che il riposar nell'errore.
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Bisogna sempre dire francamente e chiaramente le cose al proprio avvocato:
sarà lui ad imbrogliarle.
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Uno dei benefici dell'amicizia è di sapere a chi confidare un segreto.
IL CINQUE MAGGIO
Poesia che oltre ad esser nota a tutti perché ce la fanno studiare a scuola è certamente storica… e non solo perché ci parla di Napoleone… ed inoltre è densa di significati spirituali…
Il Manzoni, la scrisse quasi di getto (4 o 5 gg) dopo aver saputo che Napoleone era morto ma soprattutto perché commosso dal fatto che si era convertito poco prima di morire…
Infatti il Manzoni,
quando il Bonaparte dominava l'Europa non era stato tra i suoi ammiratori…, per cui appare chiaro che questa poesia in cui ne riconosce comunque la grandezza
(all'epoca Napoleone era amatissimo o odiatissimo) ormai non poteva certo portargli vantaggi…
Questo il foglio su cui fu scritta
In realtà egli si astiene da un preciso formale giudizio storico limitandosi a dire… con i mitici versi… “Fu vera Gloria?
Ai posteri l'ardua sentenza” (vv 31-32), frase poi entrata a far parte del nostro comune dire…
La poesia fu censurata dalle Autorità Austriache che governavano all'epoca la Lombardia ma, grazie a Goethe, che la fece pubblicare su una rivista tedesca, ebbe un'eco immediata in tutta Europa…
Ma ora leggiamola… rileggiamola…
IL CINQUE MAGGIO Alessandro Manzoni
Ei fu. Siccome immobile, dato il mortal sospiro, stette la spoglia immemore orba di tanto spiro, così percossa, attonita la terra al nunzio sta, muta pensando all'ultima ora dell'uom fatale; né sa quando una simile orma di pie' mortale la sua cruenta polvere a calpestar verrà. Lui folgorante in solio vide il mio genio e tacque; quando, con vece assidua, cadde, risorse e giacque, di mille voci al sònito mista la sua non ha: vergin di servo encomio e di codardo oltraggio, sorge or commosso al sùbito sparir di tanto raggio; e scioglie all'urna un cantico che forse non morrà. Dall'Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno, di quel securo il fulmine tenea dietro al baleno; scoppiò da Scilla al Tanai, dall'uno all'altro mar. Fu vera gloria? Ai posteri l'ardua sentenza: nui chiniam la fronte al Massimo Fattor, che volle in lui del creator suo spirito più vasta orma stampar. La procellosa e trepida gioia d'un gran disegno, l'ansia d'un cor che indocile serve, pensando al regno; e il giunge, e tiene un premio ch'era follia sperar; tutto ei provò: la gloria maggior dopo il periglio, la fuga e la vittoria, la reggia e il tristo esiglio; due volte nella polvere, due volte sull'altar. Ei si nomò: due secoli, l'un contro l'altro armato, sommessi a lui si volsero, come aspettando il fato; ei fe' silenzio, ed arbitro s'assise in mezzo a lor. E sparve, e i dì nell'ozio chiuse in sì breve sponda, segno d'immensa invidia e di pietà profonda, d'inestinguibil odio e d'indomato amor. Come sul capo al naufrago l'onda s'avvolve e pesa, l'onda su cui del misero, alta pur dianzi e tesa, scorrea la vista a scernere prode remote invan; tal su quell'alma il cumulo delle memorie scese. Oh quante volte ai posteri narrar se stesso imprese, e sull'eterne pagine cadde la stanca man! Oh quante volte, al tacito morir d'un giorno inerte, chinati i rai fulminei, le braccia al sen conserte, stette, e dei dì che furono l'assalse il sovvenir! E ripensò le mobili tende, e i percossi valli, e il lampo de' manipoli, e l'onda dei cavalli, e il concitato imperio e il celere ubbidir. Ahi! forse a tanto strazio cadde lo spirto anelo, e disperò; ma valida venne una man dal cielo, e in più spirabil aere pietosa il trasportò; e l'avvïò, pei floridi sentier della speranza, ai campi eterni, al premio che i desideri avanza, dov'è silenzio e tenebre la gloria che passò. Bella Immortal! benefica Fede ai trïonfi avvezza! Scrivi ancor questo, allegrati; ché più superba altezza al disonor del Gòlgota giammai non si chinò. Tu dalle stanche ceneri sperdi ogni ria parola: il Dio che atterra e suscita, che affanna e che consola, sulla deserta coltrice accanto a lui posò.