Bè definire questa… una canzone poesia…
non è poi così difficile
considerato che l'autore è un grande poeta.
PALOMMA 'E NOTTE
LA STORIA – LA POESIA – LA CANZONE
a cura di Tony Kospan
Chi ha scritto questa classicissima canzone napoletana
è infatti il grande poeta Salvatore Di Giacomo
e la poesia è dedicata alla sua donna… Elisa.
La storia di questa canzone ce la racconta direttamente
il giornalista e scrittore Raffaele La Capria
che la raccontò sul “Corriere della Sera“
descrivendo così anche la storia del loro complicato amore.
LA STORIA DEL LORO AMORE
CHE ORIGINO' LA POESIA E POI LA CANZONE
“Quando si conobbero (nel 1905) Salvatore ed Elisa, lui era un uomo di quarantacinque anni, lei una ragazza di 26.
Salvatore era un bell' uomo, un vero napoletano dagli occhi sognanti, un poeta già celebre, riconosciuto, i suoi versi erano cantati dovunque, e tutto questo creava intorno alla sua persona un' aura romantica, un fascino che poteva fare innamorare qualsiasi ragazza, soprattutto una ragazza come Elisa.
Elisa era «' na giovane vestuta / cu ' na vesta granata, auta e brunetta» (una giovane vestita / con una veste granata, alta e brunetta ntk).
Studiava per diventare insegnante e ancor più per essere indipendente, per emanciparsi dalla protezione familiare, cosa poco comune a Napoli in quel tempo.
Ardita ed emancipata doveva essere davvero se, dopo qualche incontro con Salvatore Di Giacomo alla Biblioteca Lucchesi Palli – da lui diretta – gli scrisse una lettera talmente intraprendente per una ragazza di quell'ambiente e di quell' educazione, da lasciare stupiti.
«Mio buono e caro signor Di Giacomo… se non fossimo stati in mezzo alla gente ve lo avrei detto ieri stesso quanto sto per dirvi ora. Io vi amo: ecco la verità, e lo so e lo sapevo da un pezzo, e non volevo confessarlo né a voi né a me. Io vi amo, e ora ve lo dico così com' è. E' bene, è male dirvelo? Che cosa ne penserete? Io non so…
Sappiatela tutt'intera questa verità, sappiatela così rudemente, così bruscamente com'è sempre l' impeto dell'anima mia: sappiatela e fate quel che volete…».
Salvatore non era libero, Elisa aveva una rivale, una tremenda rivale: mammà.”
Per amor di brevità essendo l'articolo lunghetto ne sintetizzo la parte centrale per riprenderne poi il finale.
– Il loro amore fu molto tormentato prima per l'invadenza della madre e poi per le liti in cui il poeta accusava Elisa di civetterie… tradimenti etc…
Si amarono così d'un amore molto tormentato ma tenace per 11 anni e continuarono ad amarsi, sempre in questo modo, anche dopo il matrimonio… fino a quando Salvatore, costretto all'immobilità ed amorevolmente curato da lei, si spense…
Elisa impazzita dal dolore distrusse tutte le lettere che lui le aveva inviato ma per caso dimenticò in un cassetto “quelle che vanno dal luglio del 1906 al dicembre del 1911 e che ci hanno permesso di raccontare la storia di questo strano amore.”
Ecco l'ultima parte dell'articolo di La Capria che qui racconta anche la nascita di questa poesia:
“Voglio chiudere il mio racconto con una delle poesie scritte da Di Giacomo, una di quelle che più amo, e una di quelle certamente dedicate ad Elisa: Palomma 'e notte.
Il poeta una sera vede una farfallina girare e rigirare intorno a una candela accesa.
E l' avverte: questa è una fiamma, ti può bruciare le ali, non è una rosa e nemmeno un gelsomino.
Va' via, torna all' aria fresca, non vedi che anche io resto abbagliato dalla fiamma e per allontanarti mi brucio?
E' chiaro che la farfallina è Elisa e chi vorrebbe allontanarla bruciandosi la mano, è Salvatore.”
La poesia, scritta nel 1904, divenne una canzone nel 1907.
La musica fu composta da Francesco Buongiovanni… e direi che si tratta proprio di un'accoppiata sublime.
E' considerata una delle più belle canzoni della grande tradizione classica napoletana.
Qui di seguito possiamo ascoltarla cantata da Peppino di Capri potendo leggerne il testo in originale ed in italiano…
e poi se lo si desidera… la si può ascoltare anche nella versione più classica di Sergio Bruni…
ed infine anche in quest'altra versione ancora più raffinata e ricercata, benché moderna, di Gianni Lamagna che mi è stata segnalata, nei commenti, da un visitatore del Blog… che ringrazio.
CIAO DA TONY KOSPAN
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Non v’è, credo, chi non abbia notato
nella vita sua o in quella di persone conosciute…
delle strane ed incredibili coincidenze di nomi… date… luoghi
o di altro genere…
Il termine che descrive queste coincidenze significative è
Sincronicità.

La sincronicità è un termine introdotto da Carl Jung nel 1950 per descrivere una connessione fra eventi, psichici o oggettivi, che avvengono in modo sincrono, cioè nello stesso tempo, e tra i quali non vi è una relazione di causa-effetto ma una evidente comunanza di significato.
La sincronicità è relativa quindi alle “coincidenze significative” che affascinarono Jung fin da giovane.
Il testo che segue mi appare dunque ampio ed interessante sia per l’ampia documentazione che per le tesi esposte su questo misterioso ma davvero affascinante tema.
Leggetelo… scoprirete storie assolutamente sorprendenti e vere… ed alcune anche di grandi e notissimi personaggi storici come quelle note di Lincoln e Kennedy.
Orso Tony

LE VITE PARALLELE
Giuseppe Cosco
Sono state rilevate analogie incredibili tra vicende umane totalmente estranee tra loro.
Dalla storia delle due donne di nome Edna, come da quella dei due presidenti Lincoln e Kennedy, si ricava la certezza che vi sono coincidenze troppo precise per essere casuali.
Forse ciascuno di noi ha un “sosia”, un altro che vive la nostra stessa vita come la fotocopia di un disegno già tracciato nel grande libro del destino.
Lo studioso J. Goodavage è riuscito a raccogliere, in molti anni di lavoro, numerose vicende degne di essere analizzate a fondo.
Egli ha infatti, in diversi casi, riscontrato un notevole parallelismo tre le vite di persone, anche molto lontane tra loro, o comunque che ignoravano ognuna l’esistenza dell’altra.

Le coincidenze prese in esame sono a volte davvero sorprendenti, non rientrano nel normale ordine delle cose. Goodavage, nel suo libro “Astrology: The Space Age Science“, racconta, ad esempio, di numerosi aspetti in comune tra la vita e la morte di due individui: Donald Chapman e Donald Brazill, entrambi nati il 5 settembre del 1933, il primo, nella cittadina di Eureka e, il secondo, a Ferndale in California.
Una domenica mattina del 10 settembre 1956, esattamente cinque giorni dopo il compleanno di Chapman e di Brazill, i due giovani guidavano la propria auto sulla statale 101 a sud di Eureka e ritornavano alle proprie abitazioni. Avevano riaccompagnato le proprie fidanzate, ciascuna delle quali risiedeva nella città dell’altra, quando, improvvisamente, si scontrarono frontalmente con le proprie auto morendo sul colpo. I certificati di morte indicano che tutti e due morirono per le gravi ferite riportate alla testa.
Un caso altrettanto evidente di parallelismo, narrato sempre da Goodavage, riguarda due donne nate nello stesso giorno e aventi lo stesso nome ma senza alcun rapporto di parentela: Edna Hanna e Edna Osborne.
Nel 1939, nell’ospedale di Hackensack nel New Jersey, tutte e due partorirono, nello stesso istante, due bambine, a cui diedero lo stesso nome: Patricia Edna. Goodavage, interrogate le due donne, scoprì dell’altro.
I loro mariti svolgevano lo stesso lavoro ed erano proprietari di un’automobile della stessa marca e di identico colore. Entrambe le coppie si erano sposate esattamente tre anni e mezzo prima, nello stesso giorno. I due uomini erano nati nello stesso anno, mese e giorno; identica circostanza per le loro mogli. Le due donne avevano i capelli castani e gli occhi azzurri, la stessa altezza e lo stesso peso. Entrambe le coppie avevano comprato nello stesso giorno un cane a cui avevano dato il nome di Spot.

Esistono molti altri casi ancora in cui le vite di alcuni individui presentano somiglianze impressionanti. L’ 8 novembre del 1981 “Il Giornale d’Italia” riportò un fatto incredibile relativo alla morte contemporanea di due fratelli. Ada e Guido P. cessarono di vivere alla stessa ora, in circostanze analoghe e per cause identiche.
I fratelli morirono l’uno distante dall’altro circa 300 chilometri.
Il professore Guido P. docente alla “Normale” di Pisa con la sua “127” nei pressi di Pisa, causa un probabile malore, perde il controllo dell’auto e va a schiantarsi contro un albero.
Soccorso, muore prima di arrivare in ospedale, sono le tredici.
Alla stessa ora, a Milano, sua sorella Ida, pure insegnante, mentre guida la sua auto veniva colta da un malore e andava a sbattere violentemente contro un albero, morendo.
Non meno sconcertante è il caso narrato dal professor T. Bouchard dell’Università del Minnesota sul “Corriere del Medico” del 12 giugno del 1980.
I gemelli Jim Springer e Jim Lewis erano stati adottati da due famiglie dell’Ohio e nessuno dei due sapeva dell’esistenza dell’altro.
Entrambi si laurearono in legge e iniziarono a lavorare part-time come aiuto sceriffo. Tutti e due scelgono la Florida per trascorrere le ferie.
Acquistano un cane che chiamano Toy. Le loro mogli si chiamano, entrambe, Linda.
Divorziati, sposano due ragazze di nome Betty.
I figli si chiamano James Allan. Fumano le stesse sigarette e si intendono tutti e due di falegnameria.

LE FOTO DEL DIAVOLO
Un altro fatto che merita di essere raccontato si è verificato recentemente in Germania.
Franz Block, un professore tedesco, si è accorto con raccapriccio di essere venuto in possesso, casualmente, di una macchina fotografica, che getta il malocchio alle persone ritratte con essa.
Il signor Block ha scoperto che dei dieci amici fotografati: sei erano morti in incidenti stradali, uno in un incendio, due annegati mentre erano a pescare con la barca e il decimo morto strozzato da un ossicino del pollo che stava mangiando.
La scoperta più agghiacciante il professore l’ha fatta quando, indagando per curiosità su uno dei tanti passanti che apparivano per caso sulle foto, ha saputo che era stato stroncato, due giorni dopo la foto, da un’emorragia cerebrale.
Franz Block ha subito donato l’apparecchio fotografico ad alcuni studiosi di parapsicologia e, terrorizzato, ha detto: “Questa macchina fotografica è stata fabbricata dal diavolo in persona e viene direttamente dall’inferno”.

ABRAMO LINCOLN E JOHN KENNEDY
Misteri analoghi a quelli finora raccontati costellarono persino la vita e la morte dei presidenti americani Abraham Lincoln (1809-1865) e John Fitzgerald Kennedy (1917-1963).
Si racconta inoltre che Lincoln appaia sempre alla vigilia della morte di un altro presidente e pare, infatti, che sia apparso anche a John Kennedy il giorno prima di partire per Dallas, sua ultima fatale visita.
Tantissime e straordinarie furono le coincidenze, che costellarono la vita e la morte di questi due presidenti.
Troppe, per essere sbrigativamente attribuite al caso.
Innanzitutto, Lincoln venne eletto presidente nel 1860. Kennedy, esattamente 100 anni dopo, nel 1960.
Lincoln fu ucciso di venerdì, alla presenza della moglie.
Anche Kennedy venne assassinato mentre era al fianco di sua moglie, e di venerdì.

Ad entrambi i presidenti spararono, e tutti e due furono colpiti da dietro e alla nuca.
Subito dopo l’attentato, ricevettero i primi soccorsi dalla propria moglie.
Lincoln e Kennedy morirono senza riprendere conoscenza.
Oltre ai particolari della morte in comune, ne esistono altri.
La moglie del presidente Lincoln perse un figlio, mentre risiedeva alla Casa Bianca.
La stessa cosa accadde alla moglie di Kennedy.
Sia Lincoln che Kennedy avevano avuto 4 figli e, al momento della loro uccisione, solo 2 di questi erano vivi.
Il vice di Lincoln si chiamava Johnson ed era nato nel 1808.
Il vice di Kennedy si chiamava, pure, Johnson ed era nato nel 1908, a distanza di 100 anni esatti dall’altro.
L’assassino di Lincoln si chiamava John Wilkes Bootk ed era nato nel 1839. L’assassino di Kennedy, Lee Harvey Oswald, era nato nel 1939, 100 anni dopo l’altro.
E’, pure, perlomeno curioso osservare che la somma delle lettere che compongono nome e cognome dell’assassino di Lincoln dà 15 come totale e così è anche per l’assassino di Kennedy.
Ma le coincidenze straordinarie non finiscono qui.
John Wilkes Booth e Lee Harvey Oswald erano entrambi sudisti.
Tutti e due i presidenti avevano condotto aspre battaglie per i diritti civili dei neri:
Lincoln con il Proclama di Emancipazione e Kennedy con la legge sui Diritti Civili.

Al momento dell’attentato Lincoln e Kennedy si trovavano assieme, oltre alle proprie mogli, ad una coppia di amici.
Per quanto riguarda le coppie di amici, le donne rimasero illese, gli uomini furono feriti dagli attentatori (il maggiore Rathbone nel 1865 e il governatore Connally nel 1973).
Il segretario di Lincoln si chiamava Kennedy e cercò di dissuadere il presidente dall’andare a teatro quella sera.
La segretaria di Kennedy si chiamava Lincoln e, anche lei, tentò di convincere il presidente a non andare a Dallas.
Un altro fatto abbastanza singolare è che il marito della donna si chiamava Abraham, come Lincoln. Quando avvenne l’attentato, Kennedy stava attraversando le vie di Dallas su un’auto – guarda caso – di marca Lincoln, prodotta dal gruppo Ford.
Booth assassinò Lincoln in un teatro e si rifugiò in un magazzino. Oswald sparò a Kennedy da un magazzino e si rifugiò in un teatro.
Booth spirò 11 giorni dopo Abramo Lincoln, entrambi alle 7,20 del mattino. Oswald morì 48 ore dopo Kennedy, pure, alla stessa ora, le 13.
A Lincoln successe Andrew Johnson e a Kennedy Lindon Johnson.
Durante il loro ultimo anno di presidenza, sia Andrew sia Lindon Johnson furono travolti da uno scandalo politico, che impedì loro di candidarsi per un nuovo mandato.

L’articolo prosegue con altre tesi, a parere mio e di altri, meno convincenti sui numeri e le loro combinazioni nella storia.
Infatti esse appaiono solo casuali in quanto ricercate e ritrovate a posteriori.
Per questo mi fermo qua.
Direi però che ce n’è abbastanza per farci riflettere su queste incredibili coincidenze e lascio ovviamente libero ciascuno di valutarle come crede.
CIAO DA TONY KOSPAN
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Nei suoi 3000 anni circa
la civiltà egizia ha avuto tantissime forme culturali e letterarie…
Non potendo approfondire, nello stretto spazio di un post,
tutta l'enorme mole di documentazione giunta a noi…
ecco un breve excursus sulla storia letteraria
di quella grandissima civiltà…
MINI STORIA LETTERARIA DEGLI EGIZI
La storia letteraria dei popoli egizi riflette la complessità di uno sviluppo storico caratterizzato da continuità culturali ma anche da cesure, riprese, periodi di ricchezza e vigore e periodi di regresso e decadenza.
E’ un processo che ha radici antichissime: gli egizi sono tra i popoli di cui sappiamo di più , per cui riusciamo ad “arrivare” più indietro nel tempo.
E anche per la sua posizione geografica è stata una cultura di cui i popoli europei hanno conosciuto nei suoi elementi principale, anche se non sappiamo esattamente quanto ne siano stati influenzati.
Sinteticamente, per quanto riguarda i prodotti letterari di questi popoli nelle epoche precedenti le prime testimonianze letterarie conosciute dei popoli europei, si distinguono cinque periodi.

Al periodo 2778/2250 (-) circa appartengono testi delle piramidi e delle mastaba. I “Testi delle piramidi” sono iscrizioni funerarie: inni, rituali, frasi magiche, testi religiosi scolpite in geroglifico sulle pareti della camera sepolcrale dei sovrani della V dinastia (secolo XXV-) e di re e regine successive. I testi furono scoperti a Saqqarah da *A. Mariette nel 1880-1+ e pubblicati per la prima volta da G. Maspero nel 1894.
Si tratta di più di 700 formule. Dovevano servire per aiutare il sovrano a superare gli ostacoli nel suo viaggio verso il cielo per essere assunto tra gli dei.
I mastaba erano tumuli bassi, con due stele e una camera per le offerte, in cui erano sepolti personaggi illustri e nobili.
Vi sono testi che esplicitano quanto è raffigurato sulle pareti, ma anche testi biografici (l’autobiografia di Uni).
A questo periodo appartengono raccolte sapienziali di detti di saggi: di Imhotep e Hardedef, di Ptahotep, uno attribuito al figlio del faraone Cheope.

MERIKARA
Nel 2250/2160 (-) circa, un periodo di crisi caratterizzato da profondi mutamenti sociali. Nelle Ammonizioni di un saggio il principe Ipu con passione rimpiange il passato e descrive incisivamente il presente.
Nel Dialogo di un disperato con la sua anima un saggio discute dell’inutilità di restare in vita in un mondo triste e duro.
Nel Canto dell’arpista le traversie della vita fanno parte delle leggi naturali per cui è inutile rimpiangere il passato e non si deve disperare del presente.
L’Insegnamento per Merikara presenta il sovrano nelle sue qualità umane e approfondisce il senso del divino.
L’Oasita eloquente è la storia di un contadino defraudato da un funzionario che chiede giustizia a un alto dignitario della corte e viene posto nell’ufficio del funzionario che lo aveva defraudato.

SCRIBA
Nel 2160/1580 (-) due generi letterari: politico e narrativo. Significativo l’elegante testo ‘profetico’ di Neferty per l’avvento al trono di Amenemhet I fondatore della XII dinastia.
Kethy è autore dell’Insegnamento di Amenemhet I al figlio Sesostri I imperniato sul concetto amaro che chi fa del bene non raccoglie bene, e della Satira dei mestieri, elogio della carriera di scriba e satira delle altre professioni.
Testo narrativo è Avventure di Sinuhe, divenuto poi un classico nelle scuole egizie.
E’ stato rinvenuto in vari papiri. Dopo la morte misteriosa di Amenemhet I (20001970), Sinuhe fugge, visita i paesi dell’Asia vicina.
Si stabilisce nel paese di Retenu (Siria), diventa un ricco capo tribù amato e stimato da tutti, ma diventato vecchio la nostalgia della sua terra e il desiderio di conquistare il favore del nuovo sovrano Sesostri I (figlio e successore di Amenemhet I) lo spingono a tornare in Egitto.
Accolto con grandi onori dal faraone, Sinuhe attende serenamente la morte. Il racconto, svolto sotto la forma di un’epigrafe autobiografica in cui Sinuhe parla in prima persona, era considerato presso gli antichi egizi capolavoro della narrativa antica per vivacità descrittiva e eleganza di stile. Simile è il Racconto di un naufrago.
I Racconti del papiro Westcar sono una raccolta di storie meravigliose del passato, narrate a turno da principi, alla presenza del faraone Cheope.

INNO AL SOLE
Nel 1580/1320 (-) il periodo dei faraoni liberatori del delta del Nilo dagli asiatici e conquistatori: Ahmose, Tutmosi I, Tutmosi III, Tutankhamon.
Anche in letteratura è un periodo di splendore.
Alla letteratura di corte appartiene il racconto della concezione divina della regina Hatshepsut, la narrazione dell’impresa di Tutmosi III a Meghiddo.
Alla produzione religiosa… l’istruzione al sommo sacerdote di Ptahotep, l’Inno al sole, il grande Inno al dio Amon, e il celebre Inno ad Aton dio solare.
Di carattere morale è l’Insegnamento di Any.

A partire dal XVI secolo (-) e cioè dalla 18° dinastia, cominciarono a essere deposti nelle tombe, appoggiato al sarcofago oppure meso tra le bende che avvolgevano il morto delle formule magico-funerarie su papiro.
Convenzionalmente si dà il nome di “Libro dei morti” a queste iscrizioni, ma gli egizi le chiamavano Libro dell’uscire alla luce. Destinate a assicurare un aldilà senza incertezze, i manoscritti del “libro” furono scritti prima in geroglifico corsivo, poi in ieratico (dalla 21° dinastia), poi in demotico.
Ne sono pervenuti in gran numero, per lo più illustrati con vignette, vere e proprie miniature. I temi erano incentrati sul mito di Osiri signore dell’oltretomba, sul giudizio del defunto (psicostasia) e sulla esistenza dopo la morte.
L’esemplare più antico del “Libro dei morti” è il Papiro di Torino, di epoca tolemaica. Suddiviso in 165 formule. E’ stato edito da K.R. Lepsius (1842+).

Nel 1320/950, l’inserimento della borghesia mercantile e artigiana in posti di responsabilità, la diffusione della cultura media con la formazione di un gran numero di funzionari, i maggiori contatti con le culture asiatiche produce nuovi generi letterari e forme espressive.
La lingua usata aveva conservato lo stesso tipo di struttura morfologica: ora muta sotto l’influsso del parlato.
A proposito di questa lingua nuova e di questa nuova letteratura si parla di neoegizio.
Tra i testi di questo periodo sono Il racconto dei due fratelli e La disputa tra Horo e Seth aspiranti all’eredità del defunto Osiri.
E una vasta produzione letteraria di carattere amoroso, idillica, sensuale, erotica.
testo dal web – impaginazione t.k.
CIAO DA TONY KOSPAN

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Angkor è stata una città immensa,
nata intorno ad un grande centro religioso.
che ha prosperato fra il IX ed il XV secolo anche grazie
ad una un enorme ma efficiente rete di canali.
La capitale dell’impero Khmer nel 1400 d.C., in Cambogia,
si estendeva infatti su circa 3.000 km quadrati…
Ma proprio il geniale sistema di canali su cui si reggeva
potrebbe averne decretato la fine.
Ma… conosciamola
ANGKOR METROPOLI PREINDUSTRIALE
E GIOIELLO DI INGEGNERIA IDRAULICA
Alessia Manfredi
Un’immensa metropoli, nata e sviluppatasi su un sistema idraulico complesso, nel cuore della foresta tropicale: quello che sorgeva anticamente intorno al tempio di Angkor Vat, in Cambogia, capolavoro dell’architettura khmer e oggi patrimonio dell’umanità, era il più grande insediamento urbano dell’epoca preindustriale, almeno tre volte più vasto di quanto si era creduto finora.

A gettare nuova luce sulla storia della città sorta intorno al complesso monumentale-religioso che il Guinness dei primati classifica come il più esteso al mondo, è un’équipe internazionale di archeologi.
Tracciando una nuova mappa con l’aiuto anche dei radar della Nasa, i ricercatori hanno “rivisto” le dimensioni di quella che fu la capitale dell’impero khmer dal nono al sedicesimo secolo: la sua superficie si estendeva su un’area di circa 3.000 chilometri quadrati ed ospitava una popolazione di un milione di persone, secondo gli autori dello studio appena pubblicato sui Pnas, la rivista dell’Accademia nazionale delle Scienze americana.

Il tutto grazie a un’avanzatissima rete idraulica, che permetteva di conservare l’acqua per utilizzarla nelle stagioni secche, arrivando anche a deviare il corso di un fiume, il Siem Reap, facendolo arrivare fino al cuore dell’insediamento.
Ma lo stesso miracolo di ingegneria idraulica che permise alla città di fiorire e prosperare nei secoli, fu, con ogni probabilità, anche causa della sua rovina.
Divenne ingestibile e ciò, sommato alla sovrappopolazione e all’eccessiva deforestazione, portò al collasso dell’intero sistema.

La storia di Angkor affascina la comunità scientifica dagli anni ’50.
Ma le prove per determinare cosa causò il suo declino sono state finora molto difficili da reperire.
Nel 2000 un gruppo di archeologi cambogiani, francesi e australiani chiese aiuto alla Nasa.
Grazie alle immagini ottenute dai satelliti in orbita, in grado di scrutare con i radar anche il sottosuolo, sono stati identificati nuovi sentieri e canali sotterranei, che hanno dato un quadro nuovo della reale estensione della città.

Combinando quelle immagini con altre fotografie aeree e rilievi topografici, gli archeologi hanno individuato tracce di migliaia di bacini d’acqua e di 74 templi finora ignoti.
E hanno ipotizzato che il complesso sistema di irrigazione permettesse di alimentare colture di riso su superfici molto estese, fino a 25 chilometri a sud e a nord di Angkor.

Un capolavoro di idraulica che potrebbe, però, essersi trasformato in una maledizione, giocando un ruolo chiave nel crollo della civiltà khmer, terminata nel 1431 con l’invasione dei Thai e l’abbandono dei luoghi.
Secondo una delle teorie più accerditate, che questa ricerca avalla ulteriormente, a decretarne la fine fu una catastrofe ambientale dovuta all’eccessiva manipolazione dell’ambiente, insieme alla deforestazione, all’erosione del suolo e a una serie di fatali inondazioni.
(testo: repubblica.it – impaginazione Tony Kospan)
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