Archivio per 29 giugno 2017

I Campi Flegrei ed il loro fascino.. tra storia.. mito e letteratura – I Parte   2 comments

 

 

 

 


I CAMPI FLEGREI TRA STORIA.. MITO E LETTERATURA
 
 

I PARTE

 
 
 
Ad occidente di Napoli si estende un’ampia zona di origine vulcanica il cui nome è quello dei Campi Flegrei. 
L’origine del suo nome è greca (phlegreios:  ardenti) , quindi “campi ardenti” così appunto chiamata per la presenza di una miriade di vulcani grandi e piccoli ora assopiti.
 
 
 
 
 
La solfatara di Pozzuoli
 
 


E’ questa una delle zone più affascinanti della Campania, meta di un viaggio alla scoperta di un mondo sconosciuto, caratterizzato da fenomeni vulcanici, da antiche vestigia archeologiche, da opere d’arte singolari: una sintesi paesaggistica per gli amanti della storia, dell’archeologia e dei fenomeni naturali. 
Da fonti antichissime apprendiamo che in questa zona singolarmente vulcanica approdarono i primi coloni greci in cerca di nuove terre da colonizzare e che, quando giunsero qui, trovarono popolazioni indigene selvagge e a loro ostili.
Fonti ancora più antiche  di Pindaro collocano i ciclopi in questi luoghi (kykplops: volto dall’occhio tondo).
Ci sono territori che stimolano la storia del luogo e lo straordinario rapporto tra questo paesaggio ed il mito colloca lo scontro tra Ulisse e Polifemo in questi  luoghi. 
 
 
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Jakob Jordaens


 

 
A pochi chilometri da Napoli incontriamo la Solfatara, un cratere attivo al livello della strada: fumarole dense  s’innalzano direttamente dalle viscere della terra, strane alghe si diramano sul terreno di un paesaggio oscuro preistorico; solo che invece di palafitte incontriamo due cupole, la prima denominata Purgatorio,  da essa stillano vapori che arrivano a 60°, nella seconda chiamata Inferno la temperatura arriva a 90°.

 
 
 
 
 
 
 
 

In piccole polle esplodono bolle sulfuree di lava in un mondo primordiale fatto di zolfo e di vapori acri che si diffondono nell’aria di una vasta zona.  
Nel 1787 Goethe visitò  brevemente i Campi Flegrei e in una lettera li avrebbe definiti: 
“la regione da cui sono sorte tutte le antiche favole poetiche intorno al Paradiso e all’Inferno”.

 

 



Veduta dei Campi Flegrei – Jacob-Philipp Hackert amico di Goethe – 1797


 
 
 

Ancora racconta “ Rovine di una opulenza appena credibile, tristi, maledette. 
Acque bollenti, zolfo, grotte esalanti  vapore, montagne di scorie ribelli ad ogni vegetazione, lande deserte e malinconiche, ma alla fine una vegetazione lussureggiante che si insinua da per tutto dove appena è possibile e che si solleva sopra tutte le cose morte in riva ai laghi e ai ruscelli e arriva fino a conquistare la più superba selva di querce sulle pareti di un vulcano spento.” 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                                            
 

Procedendo verso occidente incontriamo  Pozzuoli, il cui porto era uno dei più importanti e strategici del Mediterraneo: si chiamava Puteoli, cioè “piccoli pozzi”, sia per la morfologia a crateri dell’area flegrea che per indicare il caratteristico odore di zolfo sprigionato dalle bocche sulfuree. 
Nella sua area si trovano luoghi profondamente suggestivi: l’Anfiteatro Flavio, il tempio di Serapide ed il Rione Terra, cioè la Pompei sotterranea.

 
 
 
 
 
Anfiteatro Flavio

 
 
 
L’ Anfiteatro Flavio, terzo in Italia per dimensioni e costruito sotto l’imperatore Vespasiano, era capace di ospitare fino a 40.000 spettatori. Qui si disputavano le spettacolari lotte tra mitici gladiatori e feroci belve. Percorrendo due ripide rampe si giunge nei grandi sotterranei dell’anfiteatro. Le celle delle belve ed il loro complesso sistema di sollevamento all’interno dell’arena,  gli ambienti  di deposito e di servizio fanno bene immaginare l’organizzazione della messa in scena del grande spettacolo.
 
Accanto al teatro, fioriva un altrettanto ricco commercio, come testimonia il Tempio di Serapide o Macellum, uno dei più ampi ed imponenti  esempi di mercato pubblico del I sec. a.C.; ancora si possono vedere le gradinate con balaustre a forma di delfino, marmi rosa, fregi raffiguranti mostri marini, colonne decorate con figure di tritoni e nereidi che splendono ancora tra quelle che erano le botteghe dei commercianti.

 
 
 
 

Tempio di Serapide 

 

 
 

Nei periodi antichi gli abitanti della zona flegrea e di Pozzuoli in particolare, sono stati testimoni e vittime di un fenomeno di abbassamento  e di sollevamento del suolo.
Solo ultimamente, tra il 1969 ed il 1984, esso si è sollevato di circa 3,5 metri.
Soprattutto il tempio di Serapide a Pozzuoli è il luogo che più di ogni altro è stato testimone nei secoli del fenomeno del bradisismo flegreo.

Le colonne di questo tempio sono state di grande utilità per la testimonianza delle variazioni del suolo rispetto al livello marino.

 
 
 

Rione Terra

 

 
 
Su uno sperone  di tufo, a 33 metri sopra il mare , si trova la grande città sotterranea in cui abitavano gli antichissimi Sami: il Rione Terra, un insediamento urbano durato quasi duemila anni ed interrotto solo dalla violenza del bradisismo nel 1970, che ne causò l’abbandono.  
 
 
 
Continua…
 
 
 

Testo di Valentine… Impaginazione di Tony Kospan



cuorecuorecuorecuorecuorecuorecuore

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Leopardi.. mito della cultura italiana e mondiale – Un breve ricordo con le sue più belle poesie   1 comment

 
 
 
 
 
 



Parlare di Leopardi è per me come parlare di un proprio Padre spirituale.

Penso però che questa possa essere la sensazione che vivono tutti coloro che sentono di far parte davvero della grande e comune famiglia della Poesia.

 
 
 
 

GIACOMO LEOPARDI

(Recanati 29.6.1798 – Napoli, 14.6.1837) 
 

 


Per questo, per la sua immensa grandezza, la sua intramontabile notorietà e per la geniale profondità dei suoi versi e delle sue opere in genere, qualunque cosa io possa scrivere sembrerebbe (e sarebbe) vecchia e banale.



La sua infatti è certamente una delle più grandi figure di tutti tempi nell’ambito della letteratura mondiale.


 
 
 

 
 
 


Mi astengo dunque dal parlare della sua poetica e della sua biografia e mi limiterò a condividere con te, lettore amante della poesia, alcune tra le sue più note e stupende liriche.


Aggiungo solo che da ragazzo mi sentivo tanto profondamente vicino a lui ed al suo animo da giungere a scrivere sulla copertina di un mio diario questi miei modestissimi versi (eravamo nell’epoca della contestazione giovanile e delle battaglie per il divorzio etc…)

 
 
 
Qui la sensibil alma
di colui che singolar vita visse
nel borghese mondo
che la bestia umana crear seppe
per ritener valori
che pur già morti
vissero ancora a rovinar le genti
la fraterna dolorosa psiche
dell’amico Leopardi ammirando
all’ignara pagina
tutta si svelò…






 
 

Ma torniamo al Sommo Conte Giacomo, che non era, come sembrerebbe, solo dedito a profondissimi pensieri ma aveva passioncelle umanissime come ad es. il piacere di viaggiare, lo star in bella compagnia, l’amore per i dolci (che gli rovinarono i denti) ed una finissima, e come sempre geniale, autoironia.




Ah, signora!
Quello che lei crede una gobba
è l’astuccio delle mie ali! 
Giacomo Leopardi





Immagine dal film a lui dedicato “Il giovane favoloso”





Ma veniamo alle sue mitiche liriche.
 
Quelle che ho scelto e che possiamo leggere qui di seguito sono tra quelle che considero più belle e comunque, anche se note, sempre belle da rileggere.

Se vi va, potete aggiungere o indicare le sue poesie che amate di più.



 
 



LA SERA DEL DI’ DI FESTA

Dolce e chiara è la notte e senza vento,
E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Posa la luna, e di lontan rivela
Serena ogni montagna. O donna mia,
Già tace ogni sentiero, e pei balconi
Rara traluce la notturna lampa:
Tu dormi, che t’accolse agevol sonno
Nelle tue chete stanze; e non ti morde
Cura nessuna; e già non sai nè pensi
Quanta piaga m’apristi in mezzo al petto.
Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
Appare in vista, a salutar m’affaccio,
E l’antica natura onnipossente,
Che mi fece all’affanno. A te la speme
Nego, mi disse, anche la speme; e d’altro
Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.
Questo dì fu solenne: or da’ trastulli
Prendi riposo; e forse ti rimembra
In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
Piacquero a te: non io, non già, ch’io speri,
Al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo
Quanto a viver mi resti, e qui per terra
Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi
In così verde etate! Ahi, per la via
Odo non lunge il solitario canto
Dell’artigian, che riede a tarda notte,
Dopo i sollazzi, al suo povero ostello;
E fieramente mi si stringe il core,
A pensar come tutto al mondo passa,
E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito
Il dì festivo, ed al festivo il giorno
Volgar succede, e se ne porta il tempo
Ogni umano accidente. Or dov’è il suono
Di que’ popoli antichi? or dov’è il grido
De’ nostri avi famosi, e il grande impero
Di quella Roma, e l’armi, e il fragorio
Che n’andò per la terra e l’oceano?
Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
Il mondo, e più di lor non si ragiona.
Nella mia prima età, quando s’aspetta
Bramosamente il dì festivo, or poscia
Ch’egli era spento, io doloroso, in veglia,
Premea le piume; ed alla tarda notte
Un canto che s’udia per li sentieri
Lontanando morire a poco a poco,
Già similmente mi stringeva il core.



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 A SILVIA

Silvia, rimembri ancora
Quel tempo della tua vita mortale,
Quando beltà splendea
Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
E tu, lieta e pensosa, il limitare
Di gioventù salivi?
Sonavan le quiete
Stanze, e le vie dintorno,
Al tuo perpetuo canto,
Allor che all’opre femminili intenta
Sedevi, assai contenta
Di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
Così menare il giorno.
Io gli studi leggiadri
Talor lasciando e le sudate carte,
Ove il tempo mio primo
E di me si spendea la miglior parte,
D’in su i veroni del paterno ostello
Porgea gli orecchi al suon della tua voce,
Ed alla man veloce
Che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
Le vie dorate e gli orti,
E quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
Quel ch’io sentiva in seno.
Che pensieri soavi,
Che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
La vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
Un affetto mi preme
Acerbo e sconsolato,
E tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
Perchè non rendi poi
Quel che prometti allor perchè di tanto
Inganni i figli tuoi?
Tu pria che l’erbe inaridisse il verno,
Da chiuso morbo combattuta e vinta,
Perivi, o tenerella. E non vedevi
Il fior degli anni tuoi;
Non ti molceva il core
La dolce lode or delle negre chiome,
Or degli sguardi innamorati e schivi;
Nè teco le compagne ai dì festivi
Ragionavan d’amore.
Anche peria fra poco
La speranza mia dolce: agli anni miei
Anche negaro i fati
La giovanezza. Ahi come,
Come passata sei,
Cara compagna dell’età mia nova,
Mia lacrimata speme!
Questo è quel mondo? questi
I diletti, l’amor, l’opre, gli eventi
Onde cotanto ragionammo insieme?
Questa la sorte dell’umane genti?
All’apparir del vero
Tu, misera, cadesti: e con la mano
La fredda morte ed una tomba ignuda
Mostravi di lontano.



 

L’INFINITO
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Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo mare.






ALLA LUNA
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O graziosa luna, io mi rammento
Che, or volge l’anno, sovra questo colle
Io venia pien d’angoscia a rimirarti:
E tu pendevi allor su quella selva
Siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
Il tuo volto apparia, che travagliosa
Era mia vita: ed è, nè cangia stile
O mia diletta luna. E pur mi giova
La ricordanza, e il noverar l’etate
Del mio dolore. Oh come grato occorre
Nel tempo giovanil, quando ancor lungo
La speme e breve ha la memoria il corso
Il rimembrar delle passate cose,
Ancor che triste, e che l’affanno duri!






Passiamo ora a 2 video davvero belli
dedicati ad altre 2 bellissime sue opere.



Il primoè “LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA” letta da Vittorio Gassman
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e l’altro il “CANTO NOTTURNO DI UN PASTORE ERRANTE DELL’ASIA” letto da Arnoldo Foà
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CIAO DA TONY KOSPAN










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