Non so più quale amica mi raccontò della sua visita
a questo famoso castello e della mano impressa nel muro…
Fatto sta che la cosa mi incuriosì… e mi spinse a fare una ricerca
che mi ha fatto conoscere questa storia simile
a quella di Paolo e Francesca… ma con un mistero in più.
La Baronessa di Carini e Luca
LA BARONESSA DI CARINI
LA STORIA – LA CRUDELTA’ – IL MISTERO – LA LEGGENDA
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La leggenda narra la morte di Donna Laura Lanza che a soli 14 anni andò sposa, per volere del padre, al barone di Carini.
Ben presto, delusa dalla vita matrimoniale e dai continui abbandoni del marito impegnato nella cura della sua proprietà, la baronessa si innamora di Ludovico Vernagallo, e ne diventa l’amante.
Scoperta dal marito e dal padre, Laura viene uccisa insieme a Ludovico.
La stanza dell’assassinio, situata nell’ala ovest del castello, è crollata completamente e si narra che su una parete vi fosse l’impronta insanguinata della baronessa.
Adesso tutto ciò che resta della leggenda sono: il fantasma di Laura, che si dice si aggiri ancora senza pace nel castello e un’enigma particolare… in una delle metope del torrione principale, proprio in direzione del luogo ove sorgeva l’ala ovest, appare… una manina!!!!
Fuori dalla leggenda si può affermare che Laura era una ragazza che poteva dar lustro sia ai La Grua – Talamanca che ai Vernagallo, ma i La Grua bruciando i tempi la chiedono in sposa per il figlio Vincenzo.
All’età’ di quattordici anni, il 21 dicembre 1543 viene celebrato il matrimonio.
Non era possibile farsi precedere dai Vernagallo, anche se era nota a tutti la grande tenerezza di Laura per Ludovico.
Tuttavia il fatto, almeno in apparenza, non turbò l’amicizia fra le famiglie.
Infatti, nonostante tutto, Ludovico era considerato come uno di famiglia.
A poco a poco però, gelosie e vecchi rancori emersero fra i La Grua, Lanza e Vernagallo, ed ecco le insinuazioni, le calunnie ed infine il tragico evento.
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Nella realtà, esistono dei documenti dai quali risulta che il Vicerè di Sicilia, informa, all’epoca, la Corte di Spagna che Cesare Lanza, barone di Trabia e conte di Mussomeli, ha ucciso la figlia Laura e Ludovico Vernagallo.
Questo documento avvalora l’atto di morte della baronessa, redatto il 4 dicembre 1563 e che si conserva nell’archivio della Chiesa Madre di Carini insieme a quello di Ludovico Vernagallo.
Non esiste, invece, alcuna prova che tra Laura Lanza e Ludovico Vernagallo ci fosse qualcosa di diverso dall’amicizia.
Quindi Cesare Lanza di Trabia, complice il genero, uccise per leso onore della famiglia, la figlia Laura e fece uccidere da un sicario Ludovico Vernagallo.
La leggenda racconta che fu un frate del vicino convento, infatti, ad informare il padre ed il marito della sposa, e questi, assieme, freddamente meditarono e prepararono l’assassinio.
Fu preparato l’agguato e quando l’ignobile spia si accorse che i due amanti stavano insieme, avvertì don Cesare Lanza, che corse nella stessa notte a Carini, accompagnato da una sua compagnia di cavalieri, e fatto circondare il castello, per evitare qualsiasi fuga dell’amante di sua figlia, vi irruppe all’improvviso, e sorpresili a letto, li uccise.
L’atto di morte di Laura Lanza e Lodovico Vernagallo, trascritto nei registri della chiesa Madre di Carini, reca la data del 4 dicembre 1563.
Nessun funerale fu celebrato per i due amanti, e la notizia della loro morte, o per paura o per rispetto, fu tenuta segreta.
La cronaca del tempo lo registrò con estrema cautela senza fare i nomi degli uccisori, scrive Luigi Maniscalco Basile, senza dire nemmeno che cosa era accaduto, mentre il Paruta riporta il fatto nel suo diario, così:
“sabato a 4 dicembre. Successe il caso della signora di Carini”.
Ma nonostante la riservatezza d’obbligo, la notizia si divulgò lo stesso ed il “caso” della baronessa di Carini divenne di dominio pubblico.
Castello di Carini
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Il Salomone Marino, nel secolo scorso,
raccolse da un “esaltatore” questi versi
in cui fa rivivere l’efferatezza del delitto:
“Vju viniri ‘na cavalleria
chistu è mè patri chi veni pri mia!
Signuri patri, chi vinistivu a fari?
Signura figghia, vi vegnu a ‘mmazzari.
Signuri patri, aspettatimi un pocu
Quantu mi chiamu lu me cunfissuri.
– Habi tant’anni ch’un t’ha confissatu,
ed ora vai circannu cunfissuri?
E, comu dici st’amari palori,
tira la spata e cassaci lu cori;
tira cumpagnu miu, nun la sgarràri,
l’appressu corpu chi cci hai di tirari!
Lu primu corpu la donna cadìu,
l’appressu corpu la donna muriu.”
Il viceré, appena venuto alla conoscenza dei delitti, immediatamente adottò per don Cesare Lanza ed il barone di Carini i provvedimenti previsti dalla legge; furono banditi ed i loro beni vennero sequestrati.
Don Cesare Lanza ancora una volta si rivolse a re Filippo II; spiegò i motivi che lo avevano portato assieme al genero a trucidare i due amanti ed avvalendosi delle norme, in quel tempo in vigore, sulla flagranza dell’adulterio, chiese il perdono che fu accordato.
Liberato da ogni molestia, don Cesare Lanza riebbe i suoi beni; ancora una volta la Giustizia non lo aveva neanche toccato e, come giustamente scrisse il Dentici, “l’aristocrazia del tempo era al di sopra delle leggi e della giustizia”.
Anche il barone di Carini, marito di Laura, fu assolto con formula piena, e visse indebitato sino alla sua morte, dopo avere portato al Monte dei Pegni gli ultimi gioielli della sua famiglia.
Qui giù il memoriale presentato da Cesare Lanza al Re di Spagna per discolparsi del delitto della figlia Laura
Sacra Catholica Real Maestà,don Cesare Lanza, conte di Mussomeli, fa intendere a Vostra Maestà come essendo andato al castello di Carini a videre la baronessa di Carini, sua figlia, come era suo costume, trovò il barone di Carini, suo genero, molto alterato perchè avia trovato in mismo istante nella sua camera Ludovico Vernagallo suo innamorato con la detta baronessa, onde detto esponente mosso da iuxsto sdegno in compagnia di detto barone andorno e trovorno detti baronessa et suo amante nella ditta camera serrati insieme et cussì subito in quello stanti foro ambodoi ammazzati.
Don Cesare Lanza conte di Mussomeli
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(testo presente in molti siti web con qualche mia modifica )
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QUALCHE CONSIDERAZIONE
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Le ricerche storiche non confermano, ma nemmeno escludono, che tra Laura Lanza e Ludovico Varnagallo ci fosse una relazione d’amore per cui sul punto resta il mistero.
Quel che è certo è che da questo delitto nacquero tante leggende popolari.
LE LEGGENDE SUL CASO DELLA BARONESSA
Secondo le fonti e le tradizioni orali dell’epoca la Baronessa appena colpita appoggiò al muro la mano sanguinante creando quel fenomeno che ancor oggi si nota in quel luogo buio.
Così pure molti affermano di aver visto chiaramente il fantasma dell’infelice Baronessa, con un elegante abito del ‘500,girare tra i ruderi del Castello alla ricerca del padre che l’avrebbe uccisa ingiustamente.
Molti poi raccontano che ogni anno, nella ricorrenza della sua morte, sul muro comparirebbe la sua mano sanguinante e si sentirebbero fra le mura del castello pianti e grida strazianti
Hilde – La baronessa di Carini
LA LEGGENDA NELLE BALLATE E NEL FILM TV
Come si può immaginare questa storia non finisce ancora di colpire la fantasia ed il cuore di tutti…
Essa diventò quindi anche un pezzo forte dei famosi cantastorie siciliani e da essa sono anche nate diverse ballate, dei musical ed infine anche uno sceneggiato tv.
Leggeremo qui giù il testo e vedremo ora la ballata cantata da Gigi Proietti.
LA BALLATA DELLA BARONESSA DI CARINI
Cantata da Gigi Proietti
Chianci Palermu…
Chianci Siracusa…
A Carini c’è lu luttu nd’ogni casa…
Attorno allo casteddu di Carini
Ci passa e spassa u beddu cavaleri
Lo Vernagallu, di sangu gentili
Ca di la gioventù l’unuri teni
“Amuri chi mi veni a domanni…
Unni mi porti, duci amuri, unni!”
“Vidu viniri na cavallaria
Chistu è mè patri chi veni pì mia
Tuttu vistutu alla cavallarizza
Chistu è mè patri, chi mi veni ammazza!”
NA NA NA ……
“Signuri patri, chi vinisti a fari?”
“Signura figlia, ti vegnu a ammazzari!”
Lu primu corpu la donna cadiu
L’appressu corpu la donna muriu
Nu corpu a lu cori, nu corpu ‘ntra li rini
Povira Barunissa di Carini…
e questo è il video della ballata
Infine qui possiamo vedere alcune scene dello sceneggiato
in cui gli autori fecero prevalere la tesi dell’amore.
Tony Kospan
Fonti: vari siti web – impaginazione e rielaborazione Tony Kospan…
Come rendere omaggio ad una grande poetessa del '900,
ed amica di Montale, scomparsa qualche anno fa
se non con una breve biografia, una piccola analisi della sua poetica
ed alcune sue belle poesie?
Personalmente l'ammiro molto per lo stile ed i contenuti
dei suoi versi che colpiscono ed emozionano.
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Torino 7.12.1924 – 30.6.2014
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BREVE BIOGRAFIA
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Io non trovo mai l'ispirazione
è lei che trova me
M. L. Spaziani
Nata nel 1922 a Torino in una famiglia benestante
a 19 anni già dirige una rivista culturale…
ed inizia ad aver contatti con grandi poeti dell'epoca come
Sandro Penna… Umberto Saba ed altri…
A 27 anni, nel 1949,
avviene un grande incontro…
quello con Montale…
Spaziani e Montale
La loro fu un'amicizia molto ma molto stretta…
ed anche molto ma molto intensa e profonda…
nonché densa di scambi sentimentali, culturali e poetici.
Definirono questo loro rapporto come un “sodalizio”.
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Dopo il 1950 Maria Luisa inizia a pubblicare diversi libri di poesie.
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Si dedica però anche all'insegnamento,
alla scrittura di saggi ed articoli su giornali e riviste,
a partecipare come giurata in diversi premi letterari…
e nel contempo intesse numerosi rapporti intellettuali
con grandi personaggi della cultura dell'epoca
come Picasso, Ezra Pound, Borges ed altri…
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Nel '78 crea il Centro Eugenio Montale in onore del grande poeta.
L'ultima sua opera poetica è del 1990
La Giovanna D'Arco
dedicata a questo personaggio da lei molto amato.
POETICA
I temi ed i generi da lei curati
nella sua lunghissima vita letteraria
(durata oltre 60 anni)
si presentano nella massima varietà.
Tuttavia l'eleganza della sua scrittura,
la capacità di sintetizzare nelle parole mondi di pensieri
ed uno stile tutto particolare
rendono subito facilmente riconoscibili
le sue poesie ed in genere tutte le sue opere.
Carlo Emilio Gadda, M. L. Spaziani, Giuseppe Ungaretti (1950)
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ALCUNE SUE POESIE
SAREBBE
Sarebbe, il mondo, un fresco castagneto se tutto mi guardasse coi tuoi occhi. Marroni, intensi, laghetti dorati ai raggi dolcemente declinanti. Così gli occhi degli angeli, castagne che hanno perso il riccio. Il Paradiso è quella svestizione, ogni segreto è arrivare al cuore
ENTRO IN QUESTO AMORE
Entro in questo amore come in una cattedrale, come in un ventre oscuro di balena. Mi risucchia un’eco di mare, e dalle grandi volte scende un corale antico che è fuso alla mia voce. Tu, scelto a caso dalla sorte, ora sei l’unico, il padre, il figlio, l’angelo e il demonio. Mi immergo a fondo in te, il più essenziale abbraccio, e le tue labbra restano evanescenti sogni. Prima di entrare nella grande navata, vivevo lieta, ero contenta di poco. Ma il tuo fascio di luce, come un’immensa spada, relega nel nulla tutto quanto non sei.
E LUI MI ASPETTERA'
E lui mi aspetterà nell’ipertempo, sorridente e puntuale, con saluti e storie che alle poverette orecchie dell’arrivata parranno incredibili.
Ma riconoscerà, lui, ciò che gli dico? In poche note o versi qui raccolgo i messaggi essenziali. Un altro raggio, aria diversa glieli tradurrà.
A GIORNI ALTERNI
A giorni alterni sono io la luna e tu l'immensa terra che mi attira, e questa notte tu, tu sei la luna – io ti tengo al guinzaglio –
so che mi stai sognando, mi accarezzi, i globuli lo sanno del mio sangue, ogni mio nervo teso come un arco o un'arpa eolia che vibra al respiro.
QUANDO TI AMAVO
Quando ti amavo sognavo i tuoi sogni. Ti guardavo le palpebre dormire, le ciglia in lieve tremito. Talvolta, é a sipario abbassato che si snoda con inauditi attori e luminarie, – la meraviglia.
Una riflessione quasi filosofica che sembra scritta oggi…
e che ci fa comprendere quanto sia importante
non trascurare il nostro impegno civile..
nell’interesse di tutta la società…
Tirarsi fuori dalla realtà sociale in cui viviamo
per assoluto disinteresse per la nostra comunità
o con la facile scusa di criticare tutto e tutti…
è molto facile… e forse comodo…
ma non ci porta da nessuna parte
Il grande scrittore vuol rimarcare il fatto
che così facendo non solo si viene meno
ad un impegno civile ma addirittura
si danneggia la Società perché la si priva
di un nostro consapevole contributo…
Questa poetica riflessione dall’alto valore sociale…
cerca di combattere un male presente in molte nazioni
ma che ultimamente dilaga in Italia…
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Nel riproporre questo noto brano
non intendo affrontare in questa sede “culturale“
nessun discorso relativo alla politica degli schieramenti
(ciascuno ovviamente avrà le sue idee)
ma solo quello della necessità, per il bene comune,
di difendere i nostri ideali
e di dare un vero e sincero contributo
nel tentativo (difficile) di migliorare la società…
Ma ora leggiamolo…
L’ANALFABETA POLITICO
Bertoldt Brecht *
Il peggior analfabeta è l’analfabeta politico.
Egli non ascolta, non parla nè partecipa agli avvenimenti politici.
Non sa che il costo della vita, il prezzo dei fagioli, del pesce, della farina, dell’ affitto, delle scarpe e delle medicine dipendono dalle decisioni politiche.
Un analfabeta politico è tanto animale che si inorgoglisce e gonfia il petto nel dire che odia la politica.
Non sa l’imbecille che dalla sua ignoranza politica proviene la prostituta, il minore abbandonato, il rapinatore ed il peggiore di tutti i banditi, che è il politico disonesto, ingannatore e corrotto, leccapiedi delle imprese nazionali e multinazionali.
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*Bertoldt Brecht
– Augusta, 10 febbraio 1898 – Berlino, 14 agosto 1956
Ad occidente di Napoli si estende un’ampia zona di origine vulcanica il cui nome è quello dei Campi Flegrei.
L’origine del suo nome è greca (phlegreios: ardenti) , quindi “campi ardenti” così appunto chiamata per la presenza di una miriade di vulcani grandi e piccoli ora assopiti.
La solfatara di Pozzuoli
E’ questa una delle zone più affascinanti della Campania, meta di un viaggio alla scoperta di un mondo sconosciuto, caratterizzato da fenomeni vulcanici, da antiche vestigia archeologiche, da opere d’arte singolari: una sintesi paesaggistica per gli amanti della storia, dell’archeologia e dei fenomeni naturali.
Da fonti antichissime apprendiamo che in questa zona singolarmente vulcanica approdarono i primi coloni greci in cerca di nuove terre da colonizzare e che, quando giunsero qui, trovarono popolazioni indigene selvagge e a loro ostili.
Fonti ancora più antiche di Pindaro collocano i ciclopi in questi luoghi (kykplops: volto dall’occhio tondo).
Ci sono territori che stimolano la storia del luogo e lo straordinario rapporto tra questo paesaggio ed il mito colloca lo scontro tra Ulisse e Polifemo in questi luoghi.
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Jakob Jordaens
A pochi chilometri da Napoli incontriamo la Solfatara, un cratere attivo al livello della strada: fumarole dense s’innalzano direttamente dalle viscere della terra, strane alghe si diramano sul terreno di un paesaggio oscuro preistorico; solo che invece di palafitte incontriamo due cupole, la prima denominata Purgatorio, da essa stillano vapori che arrivano a 60°, nella seconda chiamata Inferno la temperatura arriva a 90°.
In piccole polle esplodono bolle sulfuree di lava in un mondo primordiale fatto di zolfo e di vapori acri che si diffondono nell’aria di una vasta zona.
Nel 1787 Goethe visitò brevemente i Campi Flegrei e in una lettera li avrebbe definiti:
“la regione da cui sono sorte tutte le antiche favole poetiche intorno al Paradiso e all’Inferno”.
Veduta dei Campi Flegrei – Jacob-Philipp Hackert amico di Goethe – 1797
Ancora racconta “ Rovine di una opulenza appena credibile, tristi, maledette.
Acque bollenti, zolfo, grotte esalanti vapore, montagne di scorie ribelli ad ogni vegetazione, lande deserte e malinconiche, ma alla fine una vegetazione lussureggiante che si insinua da per tutto dove appena è possibile e che si solleva sopra tutte le cose morte in riva ai laghi e ai ruscelli e arriva fino a conquistare la più superba selva di querce sulle pareti di un vulcano spento.”
Procedendo verso occidente incontriamo Pozzuoli, il cui porto era uno dei più importanti e strategici del Mediterraneo: si chiamava Puteoli, cioè “piccoli pozzi”, sia per la morfologia a crateri dell’area flegrea che per indicare il caratteristico odore di zolfo sprigionato dalle bocche sulfuree.
Nella sua area si trovano luoghi profondamente suggestivi: l’Anfiteatro Flavio, il tempio di Serapide ed il Rione Terra, cioè la Pompei sotterranea.
Anfiteatro Flavio
L’ Anfiteatro Flavio, terzo in Italia per dimensioni e costruito sotto l’imperatore Vespasiano, era capace di ospitare fino a 40.000 spettatori. Qui si disputavano le spettacolari lotte tra mitici gladiatori e feroci belve. Percorrendo due ripide rampe si giunge nei grandi sotterranei dell’anfiteatro. Le celle delle belve ed il loro complesso sistema di sollevamento all’interno dell’arena, gli ambienti di deposito e di servizio fanno bene immaginare l’organizzazione della messa in scena del grande spettacolo.
Accanto al teatro, fioriva un altrettanto ricco commercio, come testimonia il Tempio di Serapide o Macellum, uno dei più ampi ed imponenti esempi di mercato pubblico del I sec. a.C.; ancora si possono vedere le gradinate con balaustre a forma di delfino, marmi rosa, fregi raffiguranti mostri marini, colonne decorate con figure di tritoni e nereidi che splendono ancora tra quelle che erano le botteghe dei commercianti.
Tempio di Serapide
Nei periodi antichi gli abitanti della zona flegrea e di Pozzuoli in particolare, sono stati testimoni e vittime di un fenomeno di abbassamento e di sollevamento del suolo.
Solo ultimamente, tra il 1969 ed il 1984, esso si è sollevato di circa 3,5 metri.
Soprattutto il tempio di Serapide a Pozzuoli è il luogo che più di ogni altro è stato testimone nei secoli del fenomeno del bradisismo flegreo. Le colonne di questo tempio sono state di grande utilità per la testimonianza delle variazioni del suolo rispetto al livello marino.
Rione Terra
Su uno sperone di tufo, a 33 metri sopra il mare , si trova la grande città sotterranea in cui abitavano gli antichissimi Sami: il Rione Terra, un insediamento urbano durato quasi duemila anni ed interrotto solo dalla violenza del bradisismo nel 1970, che ne causò l’abbandono.
Parlare di Leopardi è per me come parlare di un proprio Padre spirituale.
Penso però che questa possa essere la sensazione che vivono tutti coloro che sentono di far parte davvero della grande e comune famiglia della Poesia.
GIACOMO LEOPARDI
(Recanati 29.6.1798 – Napoli, 14.6.1837)
Per questo, per la sua immensa grandezza, la sua intramontabile notorietà e per la geniale profondità dei suoi versi e delle sue opere in genere, qualunque cosa io possa scrivere sembrerebbe (e sarebbe) vecchia e banale.
La sua infatti è certamente una delle più grandi figure di tutti tempi nell’ambito della letteratura mondiale.
Mi astengo dunque dal parlare della sua poetica e della sua biografia e mi limiterò a condividere con te, lettore amante della poesia, alcune tra le sue più note e stupende liriche.
Aggiungo solo che da ragazzo mi sentivo tanto profondamente vicino a lui ed al suo animo da giungere a scrivere sulla copertina di un mio diario questi miei modestissimi versi (eravamo nell’epoca della contestazione giovanile e delle battaglie per il divorzio etc…)
Qui la sensibil alma
di colui che singolar vita visse
nel borghese mondo
che la bestia umana crear seppe
per ritener valori
che pur già morti
vissero ancora a rovinar le genti
la fraterna dolorosa psiche
dell’amico Leopardi ammirando
all’ignara pagina
tutta si svelò…
Ma torniamo al Sommo Conte Giacomo, che non era, come sembrerebbe, solo dedito a profondissimi pensieri ma aveva passioncelle umanissime come ad es. il piacere di viaggiare, lo star in bella compagnia, l’amore per i dolci (che gli rovinarono i denti) ed una finissima, e come sempre geniale, autoironia.
Ah, signora!
Quello che lei crede una gobba
è l’astuccio delle mie ali!
Giacomo Leopardi
Immagine dal film a lui dedicato “Il giovane favoloso”
Ma veniamo alle sue mitiche liriche.
Quelle che ho scelto e che possiamo leggere qui di seguito sono tra quelle che considero più belle e comunque, anche se note, sempre belle da rileggere.
Se vi va, potete aggiungere o indicare le sue poesie che amate di più.
LA SERA DEL DI’ DI FESTA
Dolce e chiara è la notte e senza vento,
E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Posa la luna, e di lontan rivela
Serena ogni montagna. O donna mia,
Già tace ogni sentiero, e pei balconi
Rara traluce la notturna lampa:
Tu dormi, che t’accolse agevol sonno
Nelle tue chete stanze; e non ti morde
Cura nessuna; e già non sai nè pensi
Quanta piaga m’apristi in mezzo al petto.
Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
Appare in vista, a salutar m’affaccio,
E l’antica natura onnipossente,
Che mi fece all’affanno. A te la speme
Nego, mi disse, anche la speme; e d’altro
Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.
Questo dì fu solenne: or da’ trastulli
Prendi riposo; e forse ti rimembra
In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
Piacquero a te: non io, non già, ch’io speri,
Al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo
Quanto a viver mi resti, e qui per terra
Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi
In così verde etate! Ahi, per la via
Odo non lunge il solitario canto
Dell’artigian, che riede a tarda notte,
Dopo i sollazzi, al suo povero ostello;
E fieramente mi si stringe il core,
A pensar come tutto al mondo passa,
E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito
Il dì festivo, ed al festivo il giorno
Volgar succede, e se ne porta il tempo
Ogni umano accidente. Or dov’è il suono
Di que’ popoli antichi? or dov’è il grido
De’ nostri avi famosi, e il grande impero
Di quella Roma, e l’armi, e il fragorio
Che n’andò per la terra e l’oceano?
Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
Il mondo, e più di lor non si ragiona.
Nella mia prima età, quando s’aspetta
Bramosamente il dì festivo, or poscia
Ch’egli era spento, io doloroso, in veglia,
Premea le piume; ed alla tarda notte
Un canto che s’udia per li sentieri
Lontanando morire a poco a poco,
Già similmente mi stringeva il core.
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A SILVIA
Silvia, rimembri ancora
Quel tempo della tua vita mortale,
Quando beltà splendea
Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
E tu, lieta e pensosa, il limitare
Di gioventù salivi?
Sonavan le quiete
Stanze, e le vie dintorno,
Al tuo perpetuo canto,
Allor che all’opre femminili intenta
Sedevi, assai contenta
Di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
Così menare il giorno.
Io gli studi leggiadri
Talor lasciando e le sudate carte,
Ove il tempo mio primo
E di me si spendea la miglior parte,
D’in su i veroni del paterno ostello
Porgea gli orecchi al suon della tua voce,
Ed alla man veloce
Che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
Le vie dorate e gli orti,
E quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
Quel ch’io sentiva in seno.
Che pensieri soavi,
Che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
La vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
Un affetto mi preme
Acerbo e sconsolato,
E tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
Perchè non rendi poi
Quel che prometti allor perchè di tanto
Inganni i figli tuoi?
Tu pria che l’erbe inaridisse il verno,
Da chiuso morbo combattuta e vinta,
Perivi, o tenerella. E non vedevi
Il fior degli anni tuoi;
Non ti molceva il core
La dolce lode or delle negre chiome,
Or degli sguardi innamorati e schivi;
Nè teco le compagne ai dì festivi
Ragionavan d’amore.
Anche peria fra poco
La speranza mia dolce: agli anni miei
Anche negaro i fati
La giovanezza. Ahi come,
Come passata sei,
Cara compagna dell’età mia nova,
Mia lacrimata speme!
Questo è quel mondo? questi
I diletti, l’amor, l’opre, gli eventi
Onde cotanto ragionammo insieme?
Questa la sorte dell’umane genti?
All’apparir del vero
Tu, misera, cadesti: e con la mano
La fredda morte ed una tomba ignuda
Mostravi di lontano.
L’INFINITO
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Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo mare.
ALLA LUNA
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O graziosa luna, io mi rammento
Che, or volge l’anno, sovra questo colle
Io venia pien d’angoscia a rimirarti:
E tu pendevi allor su quella selva
Siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
Il tuo volto apparia, che travagliosa
Era mia vita: ed è, nè cangia stile
O mia diletta luna. E pur mi giova
La ricordanza, e il noverar l’etate
Del mio dolore. Oh come grato occorre
Nel tempo giovanil, quando ancor lungo
La speme e breve ha la memoria il corso
Il rimembrar delle passate cose,
Ancor che triste, e che l’affanno duri!
Passiamo ora a 2 video davvero belli
dedicati ad altre 2 bellissime sue opere.
Il primo… è “LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA” letta da Vittorio Gassman
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e l’altro il “CANTO NOTTURNO DI UN PASTORE ERRANTE DELL’ASIA” letto da Arnoldo Foà
probabilmente non capirà nemmeno le tue parole. Elbert Hubbard
Catherine Alexandre
TI VOGLIO AMARE
Ivano Malcotti
Ti voglio amare nell’utopia invalicabile dentro la pura realtà della natura varcando ogni spazio temporale voglio disvelare alla ragione la febbre dell’estasi la simbiosi di due essenze fecondate Ti voglio amare nel cromatismo abbagliante pioniere delle tue emozioni eremita dei chiassosi desideri creativo estemporaneo di ogni moto pulsionale Ti voglio guardare senza vincoli di leggi ottiche desiderarti nuda alla tridimensionalità cubista magnifica generatrice della mia metamorfosi Ti voglio guardare nella debolezza delle sensazioni voglio fremere congiungermi col tuo seme onirico liberare l’inconscio l’irrazionale dissetarmi delle intime realtà occultate saremo anime astratte percezioni visive in movimento saremo l’eterna suggestione della libertà.
Dopo aver parlato della nascita del Futurismo (I) e della Pittura Futurista (II)
proseguiamo la conoscenza, sintetica ma non sommaria,
di questa unica corrente italiana d’avanguardia dei primi del ‘900,
parlando ora delle modalità in cui essa si manifestò nella Scultura.
LA SCULTURA FUTURISTA
– MANIFESTO ANALISI ED OPERE – (III)
a cura di Tony Kospan
Anche la scultura si rifà ovviamente alla “filosofia” futurista… e bisogna dire che raggiunge sovente notevoli ed originali risultati caratterizzati anche da grande valore artistico.
Pure in questo campo uno dei massimi esponenti è il Boccioni, non solo in quanto autore nel 1912 del “Manifesto tecnico sulla scultura futurista” (che leggeremo tra poco), ma anche perché con le sue opere effettua sperimentazioni di dinamismo e simultaneità apparentemente “impossibili”… se pensiamo che ci riferiamo ad un oggetto… fermo.
Boccioni, considerato quasi unanimemente il più grande artista del Futurismo, nonostante la prematura scomparsa, merita, per le sue qualità, un post tutto per sè che pubblicherò più avanti.
IL MANIFESTO DELLA SCULTURA FUTURISTA
Umberto Boccioni
1. Proclamare che la scultura si prefigge la ricostruzione astratta dei piani e dei volumi che determinano le forme, non il loro valore figurativo.
2. Abolire in scultura come in qualsiasi altra arte il sublime tradizionale dei soggetti.
3. Negare alla scultura qualsiasi scopo di costruzione episodica veristica, ma affermare la necessità assoluta di servirsi di tutte le realtà per tornare agli elementi essenziali della sensibilità plastica.
Quindi percependo i corpi e le loro parti come zone plastiche, avremo in una composizione scultoria futurista, piani di legno o di metallo, immobili o meccanicamente mobili, per un oggetto, forme sferiche pelose per i capelli, semicerchi di vetro per un vaso, fili di ferro e reticolati per un piano atmosferico, ecc.
4. Distruggere la nobiltà tutta letteraria e tradizionale del marmo e del bronzo. Negare l’esclusività di una materia per la intera costruzione d’un insieme scultorio. Affermare che anche venti materie diverse possono concorrere in una sola opera allo scopo dell’emozione plastica.
Ne enumeriamo alcune: vetro, legno, cartone, ferro, cemento, crine, cuoio, stoffa, specchi, luce elettrica, ecc. ecc.
5. Proclamare che nell’intersecazione dei piani di un libro con gli angoli d’una tavola, nelle rette di un fiammifero, nel telaio di una finestra, v’è più verità che in tutti i grovigli di muscoli, in tutti i seni e in tutte le natiche di eroi o di veneri che ispirano la moderna idiozia scultoria.
6. Che solo una modernissima scelta di soggetti potrà portare alla scoperta di nuove idee plastiche.
7. Che la linea retta è il solo mezzo che possa condurre alla verginità primitiva di una nuova costruzione architettonica delle masse o zone scultorie.
8. Che non vi può essere rinnovamento se non attraverso la scultura d’ambiente, perché con essa la plastica si svilupperà, prolungandosi potrà modellare l’atmosfera che circonda le cose.
9. La cosa che si crea non è che il ponte tra l’infinito plastico esteriore e l’infinito plastico interiore, quindi gli oggetti non finiscono mai e si intersecano con infinite combinazioni di simpatia e urti di avversione.
10. Bisogna distruggere il nudo sistematico, il concetto tradizionale della statua e del monumento!
11. Rifiutare coraggiosamente qualsiasi lavoro, a qualsiasi prezzo, che non abbia in sé una pura costruzione di elementi plastici completamente rinnovati.
Boccioni – Costruzione dinamica di un galoppo
BREVE ANALISI DELLA SCULTURA FUTURISTA
Dunque in che modo è possibile prolungare gli oggetti nello spazio e dar a loro il senso del movimento?
Ce lo spiega lo stesso Boccioni… “La nuova plastica sarà dunque la traduzione nel gesso, nel bronzo, nel vetro e in qualsiasi altra materia dei piani atmosferici che legano e intersecano le cose.”
L’intento è quindi quello di raggiungere una sintesi plastica tra figura scolpita e lo spazio in cui è inserita.
Qui sotto possiamo osservare come il Boccioni realizza quanto affermato in teoria…
Boccioni – Forme uniche nella continuità dello spazio
Si tratta di un’opera famosissima, che possiamo anche osservare guardando una nostra moneta da 20 cent. di euro.
Un’altra importante, e nuova, caratteristica fu poi l’uso di più materiali nella creazione di un’opera….
Questo aspetto fu ancor più esaltato, nei periodi successivi, sia dal Balla che dal Depero che arrivarono perfino a creare opere… “mobili”!
La più famosa scultura di Boccioni (e del Futurismo) vista da diverse angolazioni
SCULTURE FUTURISTE
Non sono stati molti gli artisti futuristi che hanno lasciato un segno anche nella scultura, a parte Boccioni e, in parte, Balla e Depero.
Le opere del primo futurismo in verità, anche per la sua breve durata, in ogni caso non furono molte se a noi ne sono giunte così poche.
Quelle che ora vedremo, e che sono il risultato delle mie ricerche, penso che ci possano consentire comunque d’aver una buona conoscenza, anche visiva, di cosa sia stata e quali caratteristiche abbia avuto, in concreto, la scultura futurista.
Eccole…
Boccioni – Sviluppo di una bottiglia nello spazio (1912-13)
Boccioni – Antigrazioso ritratto della madre
Boccioni –Dinamismo di cavallo in corsa e case – 1914-15.
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Balla
Balla – Linee – forza del pugno di Boccioni
Balla
Depero – Scultura per pubblicità
Depero – Pupazzo
Tony Kospan
F I N E
Seguirà l’analisi delle altre espressioni artistiche futuriste. T. K.
L’esplosione nel mondo di una violenza totale e senza freni che vediamo in questi giorni ma che in realtà, in forme diverse c’è sempre stata… mi porta a creare questo post composto da:
– Una piccola riflessione… – una domanda… ed – una poesia…
NELL’UMANITA’ PREVALE IL BENE O IL MALE? O COESISTONO L’UNO E L’ALTRO?
La mia è forse una riflessione banale ma in realtà su questo tema si discute da millenni senza esito.
Nessun uomo, anche quello che compie le azioni più efferate, è malvagio al 100%.
Anch’egli ha le sue emozioni i suoi dolori le sue debolezze… e perfino le sue bontà… verso i figli… gli amici etc.
Certo ha commesso azioni tremende ed esecrabili e deve pagare il suo debito alla giustizia completamente e senza sconti… a parer mio… ma da sempre l’umanità è questa come ci raccontano gli antichissimi miti di Caino ed Abele, Romolo e Remo, Angeli e Demoni etc.
Tanto per citare un esempio “neutro” … anche il truffatore più spietato… può amare ed avere un grande affetto verso la sua donna, i suoi figli… etc. ed esser con loro ed altri buono e generoso…
Infatti seppur ritengo una favola mitologica la storia di Caino ed Abele tuttavia essa è come dire una favola… vera… e saggia perché riconosce una sacrosanta verità:
da sempre in tutta l’umanità ma attenzione… anche in ognuno di noi… c’è un Abele… ed un… Caino…
Cioè in tutti noi esiste una “naturale“, consapevole o meno, pulsione verso il bene e nel contempo un’altra verso il male…
Come sappiamo le filosofie orientali esprimono concetti simili ad es. con i noti principi yin e yang.
Certo In alcuni fa capolino di più Caino… in altri di più Abele…
Ciascuno di noi è infatti del tutto uguale ma nel contempo del tutto diverso dagli altri.
LA DOMANDA
Ciò detto la domanda non può che essere:
Cosa ne pensate?
LA MIA POESIA
Sono così convinto dell’esistenza di questo eterno dualismo,
in noi e fuori di noi, che mi nacque questa poesia… forse non facile…
in cui il tema è visto però in forma molto allegorica.
Nell’estate del 1946, quando Edda, non più sottoposta al confino, per effetto dell’amnistia firmata da Togliatti, lascia l’isola, nonostante lo strazio della lontananza (e della gelosia), il loro rapporto non si interrompe:
“Mio carissimo e unico comunista”, Edda scrive a Leonida “vi amo assai”.
Edda Ciano e lo scultore Francesco Messina accanto al volto scolpito di Edda
Si continuano a scrivere, tra gelosie e colpi di testa.
Lei si raperà a zero per protesta contro la nuova fidanzata, e futura moglie, di Leonida, Angela Cusolito, soprannominata “Chevelue” per i capelli ricci, e gli manderà una ciocca con un messaggio: «E’ tutto ciò che resta d’una razza che s’è spenta.
Qualcosa di simile all’ultimo dei Moicani, si incontrano però di nuovo a Lipari per tre settimane, fanno un viaggio clandestino al Nord…
Leonida negli anni ’50
Il loro è amore vero forte, ma i percorsi di partenza ed arrivo sono del tutto diversi.
Le opposte storie di vita, personali, familiari ed ambientali alla fine schiacciano questo amore pur pervicace.
Edda e Leonida diversi anni dopo la fine del confino
Lui non avrebbe mai lasciato la sua isola, lei non sarebbe mai andata a vivere laggiù…
Il muro fatto erigere da Leonida Buongiorno con i versi dell’Odissea
Del loro amore resta un muro, scolpito nel 1971, a pochi metri dal ristorante “Filippino”, con i versi del canto XII dell’Odissea, in cui Circe indica a Ulisse due rotte impossibili per tornare a Itaca…
Ristorante Filippino – Lipari
Questa storia d’amore un po’ folle ma sincera, appassionata e forse pirandellianamente vissuta nell’ambiguità fra il teatro e la vita,
sfuma pian piano in un’amicizia dolce, malinconica, appesa a un raggio di sole ma che continua fino al tramonto.
Edda Mussolini
ORA LA PAROLA…
ALLO SCOPRITORE ED AUTORE DEL LIBRO
MARCELLO SORGI
Marcello Sorgi
Il libro:
“Edda Ciano e il comunista. L’inconfessabile passione della figlia del duce” .
Si tratta di un saggio storico, edito da Rizzoli, che fa luce su una vicenda storico-sentimentale che per oltre sessant’anni é stata custodita gelosamente dagli eoliani, con questa intervista.
D: Questa storia è rimasta un segreto isolano per più di 60 anni, cosa l’ha spinta a rompere il “muro del silenzio” e soprattutto come ci è riuscito?
R: Mi ha spinto la curiosità, sono un giornalista e quindi è inevitabile che, se uno viene a conoscenza di una bella storia, cerca di ricostruirla.
E’ rimasta segreta stranamente perché io ho trovato anche un articolo del Corriere della Sera, che ho riportato nel libro, di quando Edda riceve la notizia che il suo confino è stato revocato. L’articolo racconta la vita di Edda Ciano a Lipari fra cui il fatto che lei faceva delle passeggiate con le amiche, andava nei ristoranti e “non disdegnava la compagnia di un noto esponente di un noto partito politico, l’aitante Leonida Buongiorno“. Lo stile giornalistico allora era un po’ più paludato di quello di oggi, il gossip non esisteva ancora però l’indizio c’era.
Alla fine della storia Leonida farà erigere un muro in memoria della sua storia con Edda Ciano: la ragione per cui è rimasto un segreto a Lipari è che il muro riporta una dedica a “Ellenica”, che è il soprannome che lui le aveva dato, ma non tutti sapevano a Lipari che Ellenica in realtà era Edda Ciano. Anche lui aveva dei soprannomi, lei lo chiamava Baiardo come il cavallo dell’Orlando Furioso o Lecret, che è il cognome di un generale che fece la guerra di liberazione di Cuba nell’800.
Leonida fa erigere questo muro anche per spiegare perché questa storia era finita: il muro contiene i versi del canto XII dell’Odissea in cui la maga Circe, che era innamorata di Ulisse, per trattenerlo gli dice che se parte qualunque rotta prenderà per tornare a Itaca, affonderà anche se prende la rotta più vicino a Lipari. Con un pizzico di interpretazione è abbastanza facile capire che se Circe era Edda e se Ulisse era Leonida, lui l’ha lasciata perché ha capito che comunque con lei sarebbe affondato. E’ stata una scelta di saggezza e prudenza perché poi lui ha potuto riprendere una vita normale, ha sposato una donna di Lipari, ha avuto un figlio, ha lavorato tutta la vita a Lipari. E’ stata anche una scelta dettata dalla paura perché a volte le storie d’amore troppo impegnative fanno anche paura.
Edda Ciano
D: Dal punto di vista storico questa vicenda è inquadrata nelle complesse vicende del tramonto del fascismo e della famiglia del Duce: quali elementi aggiunge il suo libro alle conoscenze storiche preesistenti?
R: Intanto aggiunge un capitolo inedito nella storia della vita di Edda; di Edda si sanno tante cose, lei stessa aveva fatto una sorta di autobiografia durante una lunga intervista televisiva che da cui è stato ricavato un libro, ma questo capitolo del confino e della sua storia con Leonida non si conosceva: è un inedito assoluto e aggiunge un pezzo che mancava alla sua biografia. Il libro aggiunge qualcosa anche al ritratto dell’Italia quando il fascismo è caduto: in quell’Italia lì Edda viene mandata al confino e, pur avendo lei delle responsabilità oggettive perché era la moglie di Ciano e la figlia di Mussolini, viene trattata con scarso rispetto dei diritti umani. Viene confinata a Lipari in un modo peggiore di quello con cui oggi vengono trattati i detenuti di Guantanamo; per usare i termini della madre di Edda, donna Rachele, “la gettano in un lurido tugurio“.
Un angolo di Lipari
Se lei non avesse conosciuto Leonida e non fosse stata “adottata” dalla sua famiglia, forse non sarebbe sopravvissuta al confino.
Parliamo di una persona che era uscita da una malattia nervosa, una depressione molto molto pesante, che era stata anche in manicomio in Svizzera e all’arrivo pesava 42 chili ed era quindi in uno stato di cattiva salute di cui non è stato tenuto conto prima di mandarla al confino.
E poi le accuse: lei era andata al confino con un’ ordinanza che l’accusava di aver provocato la seconda guerra mondiale. C’è un eccesso di retorica, ovviamente: se Edda avesse provocato la seconda guerra mondiale avrebbe meritato il tribunale di Norimberga, non il confino di Lipari
Accanto all’aspetto sentimentale della storia poi c’è un aspetto politico in questa storia: ciò che trattiene Leonida dal legarsi completamente a Edda è anche il fatto di essere comunista. Lui ha perfettamente presente il dubbio di mettersi con la figlia del Duce, capisce che la sua coscienza politica entra in contraddizione.
Lei invece è divertita, lo prende in giro perché considera il comunismo una sciocchezza, lo usa per intestare le lettere “mio caro e unico comunista ti amo assai“, e ancora “mio caro fidanzato non pensate che l’amore sia molto più importante della politica“.
Lei lo sfotte abbastanza anche perché ha alle spalle un’esperienza politica incredibile: ha conosciuto il Fuhrer e Churchill, è stata una donna che ha girato nelle cancellerie di mezza Europa mentre c’era la seconda guerra mondiale.
E’ abituata a misurare la realtà e la politica con un metro completamente diverso dalle illusioni di un giovane che ha fatto il partigiano, sogna la rivoluzione e che pensa che in Italia la sinistra vincerà e si farà una specie di partito socialista, c’è una distanza incredibile tra lei e lui.
Anche in questo senso il libro ci dà un’idea del clima politico dell’epoca.
IL VIDEO
Segnalo infine che dal libro è stata tratta una fiction della RAI
di cui possiamo vedere alcune scene in questo video.
Tony Kospan
F I N E
FONTI WEB – COORDINAM. IMPAGINAZ. E ADATTAM. T. K.