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Archivio per 20 febbraio 2017
Buon lunedì sera in poesia “T’amo” P. Eluard – arte.. Childe Hassam – canzone.. “In assenza di te” 4 comments
La spada nella roccia.. solo una leggenda? No! Esiste davvero ed è in Italia.. nell’Abbazia di San Galgano! 2 comments
Molti pensano che si tratti solo di una leggenda medievale
ma la spada nella roccia la possiamo ammirare davvero
ed è in Italia nell’Abbazia di San Galgano.

“Un Cavaliere è devoto al valore,
il suo cuore conosce solo la virtù,
la sua spada difende i bisognosi,
la sua forza sostiene i deboli,
le sue parole dicono solo verità,
la sua ira si abbatte sui malvagi.”

LA SPADA NELLA ROCCIA
– LA LEGGENDA E’… REALTA’ –
Ma andiamo con ordine.
Tra le tante leggende quella di Re Artù è sicuramente una delle più affascinanti.
Tanti sono i personaggi e le storie che ruotano intorno al Re, nato, secondo la leggenda, grazie ad un incantesimo di Merlino.
Il mago permise infatti a Uther Pendragon, re di Britannia, di giacere con la bella Igerna, trasformando i suoi lineamenti in quelli del marito di lei.

La spada nella roccia di San Galgano
Merlino pretese che, in cambio dell’incantesimo, Re Uther gli consegnasse il bambino non appena fosse nato.
Al momento della nascita, Merlino reclamò il neonato e lo affidò ad una famiglia per allevarlo.
Ma il mago aveva grandi progetti per il piccolo, che infatti, apparentemente per caso divenne Re di Britannia, dopo essere riuscito a estrarre la Spada nella Roccia.
Fin qui la leggenda arturiana, ma la leggenda della spada nella roccia si intreccia in maniera decisamente affascinante con la realtà, e per l’esattezza con una realtà tutta italiana.
Siamo nella Toscana del XII secolo, poco lontani da Siena, in un paesino chiamato Chiusdino.
Qui, nel 1148, nasce Galgano Guidotti.
La cavalleria lo affascina al punto che, dopo una prima visione di San Michele, decide di diventare egli stesso un cavaliere, e la sua vita viene segnata da un comportamento libertino e dissoluto.
I suoi genitori avevano per lungo tempo atteso l’arrivo di un figlio, tanto da recarsi in pellegrinaggio verso la Basilica di San Michele sul Monte Gargano in Puglia, (da qui forse il nome del santo).
Ma si abbandonano allo sconforto per i suoi comportamenti.
Il destino ha, però, riservato loro una sorpresa.

Un’antica immagine raffigurante Galgano e la sua spada nella roccia
Galgano, dopo una seconda visione di San Michele, si interroga sulla sua vita e decide di dedicare i suoi anni a venire a Dio e di vivere come un eremita.
Impugnata la sua spada, la conficca in una roccia, e davanti all’elsa, che si erge come una croce, egli pregherà (una variante della storia narra che fu lo stesso San Michele a conficcare la spada).
Era il 1180 e l’intero anno successivo viene segnato dai miracoli di Galgano, che muore di stenti nel 1181.
La sua beatificazione avviene in soli 3 giorni e nel 1185 papa Urbano III lo proclama Santo.
Di lui rimane solo il teschio, conservato nella chiesa di Chiusdino, da cui si racconta crescessero capelli biondi, tanto da nominare San Galgano protettore dei calvi.
Il resto del corpo non è mai stato trovato, sebbene alcuni testi indichino come luogo di sepoltura l’area intorno alla spada.
Sul luogo è stata poi costruita una chiesetta, con una particolare volta dipinta con cerchi concentrici bianchi e neri.

Si potrebbe pensare ad una variazione della leggenda Arturiana, ma c’è una testimonianza incontestabile: la spada è ancora oggi conficcata nella roccia.
E su questo mistero sono iniziate le indagini di alcuni ricercatori delle Università di Pavia, Milano, Padova e Siena.
I risultati hanno confermato che l’elsa che emerge dalla roccia appartiene a una intera spada realmente conficcata nella roccia.
Le ricerche hanno anche permesso di datare con precisione la chiesa e alcuni resti ossei trovati in una piccola scatola, anche se purtroppo i risultati non sono stati resi pubblici.
La cronologia degli eventi, e delle diverse opere che hanno reso celebre Re Artù, testimoniano come in realtà si potrebbe vedere in Galgano un vero e proprio ispiratore del famoso ciclo Arturiano.
Lo stesso nome Galgano pare sia stato mutato in Galvano, uno dei cavalieri della tavola rotonda.
Il ciclo Arturiano inoltre risale alla fine del XII secolo, esattamente dopo la morte del santo senese.

I resti dell’Abbazia di San Galgano
Se ci si fa trasportare dalla leggenda non si può ignorare uno dei sogni fatti da Galgano, in cui egli incontrò Gesù e i dodici Apostoli seduti intorno ad una tavola rotonda e vide il Santo Graal.
Coincidenze si potrebbe dire, ma è facile cedere al fascino dei miti celtici e ambientazioni medievali che fanno da sfondo alla storia e di Galgano.
A poca distanza dalla collinetta su cui sorge la chiesetta, infatti, si trovano i resti di un’antica abbazia cistercense, ormai senza tetto, a causa del crollo del campanile, e con un prato al posto del pavimento.
Un paesaggio che sembra essere tratto dalle più antiche e famose leggende dei cavalieri medievali, un luogo quasi magico in cui circa 750 anni fa si svolsero eventi straordinari.
TESTO DI GIANLUCA MARRAS

Stonehenge? Il noto sito megalitico è stato ricostruito nei primi anni del ‘900! Storia ed immagini 1 comment
Prima pietra, 3000 avanti Cristo.
Ultima pietra, 1964 dopo Cristo!!!!!
STONEHENGE
– L’ATTUALE SITO E’ STATO TUTTO RICOSTRUITO –
ANTONIO POLITO
E’ stato ricostruito in epoca vittoriana
uno dei più famosi siti archeologici del mondo!

All’alba del solstizio d’estate, quando sacerdoti druidi, guerrieri New Age e hippies randagi fanno a botte per vedere il perfetto allineamento del sole che sorge sulle pietre millenarie di Stonehenge, potrebbero anche mettere su un disco dei Beatles, se proprio vogliono celebrare i mitici costruttori del misterioso circolo.
Perché l’ultimo esoterico allineamento è opera di una prosaica gru degli anni ’60.
Il velo sul mistero meglio pubblicizzato d’Inghilterra l’ha sollevato un ragazzo di Bristol, Brian Edwards, alle prese con una tesi di storia.
Ha trovato le foto.
Risalgono al 1901, hanno il fascino sabbiato di un dagherrotipo, ma documentano spietate le approssimative tecniche edilizie di un gruppo di operai vittoriani con cazzuola.
Sono solo le prime di una serie: il ’900 è stato tutto un cantiere, che ha rifatto e “migliorato” il volto di Stonehenge, come in una plastica facciale su una signora un po’ invecchiata.
Scavatrici, corde e cemento hanno ricostruito, spostato, innalzato, sistemato, riallineato quei monoliti che milioni di “fedeli” presumono intatti, e ne adorano la mistica geometria, credendola un computer preistorico, un orologio neolitico, un osservatorio celtico, o addirittura il regalo fantascientifico di una civiltà superiore, sbarcata da un’astronave sulla Terra cinquemila anni fa per consegnarci la Conoscenza.
Sistemare un monumento traballante non è un reato.
Gli archeologi l’hanno fatto sempre e dovunque.
Quelli inglesi in modo un po’ più vigoroso degli altri.
Nel 1919, l’anno dopo che Sir Cecil Chubb, proprietario del terreno, vendette il tutto al governo per poco più di 6000 sterline, sei grandi pietre furono rimosse e innalzate in posizione verticale, agli ordini dell’energico Colonnello William Hawley, entusiasta membro della “Stonehenge Society”.
Altri tre monoliti furono spostati da una gru nel 1959, a uno dei giganteschi “trilithons” venne messo un cappello di pietra nel 1958, e ai tempi di John Lennon, 1964 per l’appunto, quattro pilastri neolitici cambiarono di posto.
La Stonehenge che vediamo oggi è un’opera del XX secolo.
Senza tutti questi lavori, ammettono ora gli archeologi dell’English Heritage, «avrebbe un aspetto molto diverso.
Pochissime pietre sono ancora esattamente nel posto dove furono erette millenni fa».
Non era difficile da sospettare.
Bastava indagare nell’arte, dove il fascino di Stonehenge ha lasciato dettagliate testimonianze, nei dipinti di Constable e Turner, che raffigurano una distesa di enormi pietre rovesciate, sradicate dal tempo, smosse dalle intemperie, e non quel circolo perfetto che pseudoscienziati e creduloni New Age pensano innalzato per calcolare le eclissi lunari, o i solstizi del sole.
Gli archeologi seri già lo sapevano, e l’hanno pure scritto nei loro libri.
Ma a noi, poveri mortali, nessuno l’aveva mai detto.
Anzi, ce l’avevano accuratamente nascosto.
Sulle guide e gli audiovisivi del “trust” che cura la conservazione del luogo e incassa i proventi di un milione di turisti all’anno, c’è appena un vago accenno a generici lavori di «rafforzamento delle pietre».
Fino agli anni ’60, per la verità, i depliant erano un po’ più chiari.
Poi, l’esplosione di massa del fenomeno Stonehenge dovette consigliare una robusta censura.
Il fatto è che il mistero di questa mitica costruzione si gioca tutto in pochi millimetri.
Per essere un osservatorio astronomico preistorico, le pietre devono puntare con precisione matematica al primo sole d’estate, devono riprodurre alla perfezione le costellazioni celesti, devono seguire a intervalli implacabili di 46 mesi le evoluzioni lunari.
Un’intera nuova scienza, la “archeometria”, ha calcolato all’infinito i dettagli di Stonehenge.
Un immenso tam tam su Internet ne ha diffuso il credo in tutto il mondo.
E’ per mettersi in asse con quei pochi millimetri che ogni anno, il 21 di giugno, migliaia di giovani in cerca di un’esotica trascendenza si azzuffano a sangue, abbattono le barriere, si arrampicano sulle pietre, e le cospargono di rifiuti; al punto che per sedici anni l’alba fatale è stata proibita al pubblico dalla polizia in assetto di guerra ed è stata riaperta solo l’anno scorso, in omaggio al Terzo Millennio.
E’ per celebrare quella perfetta geometria che austeri signori gallesi in tunica bianca, sacerdoti druidi, vi si danno convegno come i bossiani in riva al “dio Po”, alla riscoperta delle antiche radici celtiche della loro etnia.
Se quei pochi millimetri sono stati “aggiustati” da una mano umana, il gioco e il business è finito.
Il più gigantesco teatro di posa di “X Files” rischia di essere degradato a quello che è sempre stato, uno straordinario sito archeologico senza particolari messaggi spirituali.
Intendiamoci, a Stonehenge vale sempre la pena di andare, almeno una volta nella vita.
La delusione rivelata dallo studente di Bristol non è colpa delle popolazioni primitive che con sforzo sovrumano innalzarono ciò che forse era un luogo di culto:
non potevano certo prevedere l’esplosione della New Age.
Nonostante i lavori edili del ’900, furono loro, i primi “britons” di cinquemila anni fa, a orientare queste immense pietre verso il sorgere del sole.
Come l’uomo in preghiera ha sempre fatto.
Anche le chiese cristiane sono allineate all’orizzonte orientale, dove sorge il sole, eppure non sono né osservatori scientifici né templi di adoratori degli astri.
A Stonehenge, per chi la cerca, si può sempre vedere la mano di Dio.
A patto di sapere che il Diavolo si nasconde nei dettagli.
fonte: la Repubblica del 23/02/01 – impaginazione dell’Orso
CIAO DA TONY KOSPAN
Buon compleanno Johnny Dorelli con 2 tuoi grandi successi.. “Aggiungi un posto a tavola” e “L’immensità” Leave a comment

Oggi è il compleanno di Johnny Dorelli, grande cantante di genere confidenziale, ma anche attore di cinema e di teatro nonché showman radiofonico e televisivo che è stato presente a lungo, grazie alla tv, accanto a coloro che hanno qualche anno in più…

Meda – 20 febbraio 1937
La sua carriera si è svolta soprattutto dalla fine degli anni 50 fino alla fine degli anni 90.

Mi fa piacere fargli gli auguri con un ricordo della sua mitica commedia musicale “Aggiungi un posto a tavola“, e con la canzone “L'immensità“ che hanno rappresentato l'apice del suo successo.

L'IMMENSITA'


AGGIUNGI UN POSTO A TAVOLA
La ricordate?
E' una commedia musicale in due atti di Garinei e Giovannini, liberamente ispirata al romanzo After me the Deluge di David Forrest musicata da Armando Trovajoli.
Nella versione originaria le scene ed i costumi erano di Giulio Coltellacci e le coreografie di Gino Landi.

Il personaggio principale era interpretato in modo brillante da Johnny Dorelli ed insieme agli altri attori, le scene, le musiche etc… compresa la simpatica “voce” di Dio ne sancirono il successo.

LA TRAMA IN BREVE
Don Silvestro parroco di un paesino di montagna riceve una telefonata da Dio che gli ordina di cotruire un'arca dato che ha deciso un nuovo Diluvio Universale.
Il parroco tra dubbi e difficoltà la costruisce ma poi il paese per il veto di un cardinale lo lascia solo nell'arca con Clementina la figlia del sindaco.
Inizia il diluvio ma il parroco per non lasciar solii suoi fedeli scende dall'arca ed allora Dio si decide a bloccar il diluvio.
All'interno della trama poisi innestano tante altre simpatiche minitrame con diversi personaggi.

IL SUCCESSO DELLA COMMEDIA
La commedia nella versione originaria battè tutti i record di durata e di incasso rimanendo in cartellone per 3 stagioni 630 repliche sempre con il tutto esaurito.
Fu rappresentata per la prima volta a Roma, al Teatro Sistina, l'8 Dicembre 1974 ma poi nel tempo, grazie al suo successo, girò per il mondo e le TV.

UNA FAMOSA SCENA E LA CANZONE
Riviviamone bellezza ed atmosfera… prima con una significativa scena (quella del bacio) in cui Johnny Dorelli dà il meglio di sé…
e poi ascoltando una sua perfetta interpretazione della canzone che è il filo conduttore della commedia musicale.



ANCHE DA TONY KOSPAN
