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Mi fa piacere ricordar Stendhal,
grande scrittore francese dell’ottocento ed innamorato dell’Italia,
attraverso un accenno alle sue opere letterarie
e poi con la storia del suo sfortunato amore milanese
indice comunque del suo grande impeto romantico.
BREVE RICORDO DELLO SCRITTORE
Amante dell’arte e appassionato dell’Italia, dove visse a lungo,
esordì in letteratura nel 1815 con le biografie su Haydn, Mozart e Metastasio,
seguite nel 1817 da una Storia della pittura in Italia
e dal libro di ricordi e d’impressioni su Roma, Napoli e Firenze.
Quest’ultimo fu firmato per la prima volta con lo pseudonimo di Stendhal,
nome forse ispirato alla città tedesca di Stendal,
dove nacque l’ammirato storico e critico d’arte Johann Joachim Winckelmann.
I suoi romanzi, caratterizzati dalla ricerca della verità psicologica
dei personaggi, fanno di Stendhal uno dei maggiori rappresentanti
del romanzo francese del XIX secolo.
I protagonisti dei suoi romanzi
“Il rosso e il nero”, “La Certosa di Parma e l’incompiuto “Lucien Leuwen”,
sono giovani romantici che aspirano alla realizzazione di sé
attraverso il desiderio della gloria e l’affermazione di sentimenti appassionati.
(da Wikipedia con modifiche)

Grenoble 23.1.1783 – Parigi 23.3.1842
IL GRANDE AMORE DI STENDHAL.. IL MILANESE..
Tony Kospan
Perché possiamo chiamare “milanese“ Stendhal pseudonimo dello scrittore francese Henri Beyle uno dei più grandi romanzieri dell’800?
Semplice… perché amava Milano (e l’Italia) al punto che sulla sua tomba volle che fosse scritto…
“Arrigo Beyle – Milanese – Scrisse – Amò – Visse“
Iniziò a frequentare Milano nel 1800 e dopo un po’ vi si stabilì vivendo alla grande la fervente vita milanese d’allora che oggi chiameremmo movida… fatta però di incontri artistici, letterari, musicali e… non ultimi… anzi… amorosi.

Stendhal giovane
Ma in verità amava tutta l’Italia che girò in lungo ed in largo per ammirarne le bellezze paesaggistiche storiche ed artistiche.
Dicevamo che la sua passione però era Milano che elesse a città della sua felicità, ma qui ebbe però anche forse la più grande delusione d’amore della sua vita, quella per Metilde.
Ma andiamo con ordine. Chi era Metilde?
Métilde Viscontini Dembowski è stata una notevole figura del Risorgimento italiano amica di Foscolo, Pellico, Confalonieri etc.
incerto ritratto di Metilde
Fu anche arrestata dagli Austriaci ma non rivelò mai i nomi degli altri patrioti.
Di ottima famiglia milanese Metilde ha 28 anni quando Stendhal, che ne ha 35, il 4.3.1818 la vede per la prima volta.
Madre di 2 figli è la moglie separata di un Ufficiale Napoleonico della Legione polacca ma di lei si hanno pochissime ed incerte immagini.

E’ per Stendhal un vero e proprio colpo di fulmime… per una donna davvero bella e cortese.
Ma non è affatto un colpo di fulmine per lei… che subito si mostra fredda.
Stendhal non capisce più niente… cerca in ogni modo di incontrarla di approcciarla arrivando a fermarla per strada… ma sempre senza esito.
Una volta lei, dopo aver ascoltato le sue parole d’amore, gli consigliò d’andar a veder il Duomo.
Sempre in preda alla passione allora le scrisse una lettera disperata in cui chiedeva almeno di poterla incontrare, anche solo da amico, una volta al giorno…
Lei gli concesse solo 2 incontri al mese ma nei salotti e tra altre persone.

Milano nell’800
Stendhal era convinto che la sua resistenza era dovuta al fatto che una sua cugina aveva parlato male di lui.
Ad un certo punto però le cose peggiorarono addirittura.
Egli venne a sapere che lei si sarebbe recata a Volterra per incontrare i figli che erano in collegio e lui la raggiunse lì nascosto da occhiali verdi.
Lei lo riconobbe subito e lo cacciò in malo modo… e per sempre.

In preda al suo immenso dolore scrisse allora di getto il breve romanzo “Roman“ in cui lo stesso Stendhal ci racconta tutto il suo amore e tutto il suo dolore… che però lei non lesse mai.
Metilde morì giovanissima a 35 anni… ma lui non la dimenticherà mai e ne parlerà ogni tanto nei suoi romanzi.
Tony Kospan
(Copyright T.K.)
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Un profondo ed originale pensiero filosofico
sui concetti di bene e male
IL BENE E IL MALE
~ Massimo Cacciari ~
Dice Platone – e qui la sua risposta diventa canonica -: “del male, e quindi del nostro far male, il Dio non può essere ritenuto causa.
Dio è bene, Dio è immutabile, è semplice, è veritiero, ed è causa di tutti i beni. ‘Theòs anàitios’, Dio è innocente”.
Tutta la riflessione teologica successiva si fonda su questo presupposto platonico: Dio deve essere ritenuto innocente dei mali del mondo, del nostro far male; e quindi è per nostra scelta, è per nostra libertà che noi facciamo male.
Noi non siamo determinati dal Divino ad agire male; le nostre imperfezioni le nostre miserie sono frutto e prodotto della nostra libertà.
Dio è innocente, è l’uomo che è causa del male, è l’uomo – secondo il grande mito che Platone narra nella Repubblica – che si sceglie il proprio ‘dàimon’, il proprio carattere, il proprio demone.
Ma non solo nel momento della scelta nella cultura classica greca l’uomo è libero, non solo nel momento supremo – come lo chiama Platone -: il momento supremo in cui io scelgo il mio carattere, il mio ‘dàimon’.
Io sono in qualche modo libero anche durante la mia vita, e la mia libertà, però, coincide nel corso della mia vita con il conoscere; cioè io sono libero nel corso della mia vita di accumulare tutte le conoscenze necessarie perché poi nel momento supremo della decisione io possa essere consapevole del destino che scelgo.
Questo è un tema caratteristico della cultura greca, è la sua dominante – come dire – intellettualistica: la libertà dell’uomo si esplica essenzialmente nella sua volontà di conoscere.
Soltanto qui sta la mia – come dire – possibile salvezza: io posso conoscere il destino, posso conoscere ciò che mi destina.
Solo la conoscenza può salvarmi dal seguire – un’immagine che ricorre in tutta la cultura ellenistica, e anche nella cultura latina, non solo greca – il carro del destino in ceppi come uno schiavo oppresso.
Ciò che sta a me non ha nulla a che vedere con la possibilità di sfuggire il destino; ma ciò che sta a me è essenzialmente la possibilità di conoscere il destino, e dunque di seguirlo volentieri, non come gli schiavi seguono il carro dei vincitori, in catene.
Se la mia libertà consiste nel farmi una ragione dell’unica ragione, dell’unico ‘lògos’ che pervade tutto il cosmo?
Quando io mi son fatto questa ragione che cosa succede del male?
Il male non consiste più, perché tutto è ragione e male e bene non diventano altro che due punti di vista soggettivi: il male non diventa nient’altro che ciò che fa male a me, ma che non riguarda affatto la ragione del tutto; il bene diventa soltanto ciò che fa bene a me, ciò che mi aiuta a vivere, ciò che aiuta il mio benessere, ma non riguarda la ragione del tutto in cui il male e il bene cessano di avere alcun significato, perché ciò che ha significato è nient’altro che il necessario, il ‘lògos’ onnipervadente; male e bene hanno una consistenza veramente soggettiva.
In fondo, se noi rimanessimo fissi a valutazioni di male e di bene, non faremmo altro che dimostrare la nostra mancanza di sapere, perché colui che sa non sa né di male né di bene: sa il necessario.

Il bene ed il male quindi, secondo la tesi del filosofo veneziano,
non esisterebbero quali realtà a sé stanti
ma solo nella misura in cui sono percepiti da ciascuno.
Cosa ne pensate?
Tony Kospan
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Cari amici… sì… oggi il mio blog
è in festa!





Compie oggi 12 anni (23 marzo 2008) e dopo esser ripartito ex novo
col passaggio da Msn a WordPress il 30/9/2010
ha superato di il numero di 17.800.000 di visitatori…
e questo dunque in circa 9 anni e 6 mesi…

Renoir – Bal au Moulin de la Galette
Ringrazio di cuore tutti coloro (e siete in tanti)
che via Google, via Facebook, via Twitter o iscrivendosi…
visitano quotidianamente il blog…
con un forte abbraccio ed un grande sorriso…

Il mio ringraziamento è doveroso in quanto,
senza il vostro calore e senza la vostra assidua presenza,
ben diversa sarebbe stata questa mia virtuale esperienza.

Aggiungo con grande piacere ed un po' di sorpresa
che le pagine più lette sono
quelle d’arte, storia, musica classica, poesie sublimi…
e canzoni d’un tempo…

Renoir
Sinceramente commosso dalle vostre tante visite
rinnoverò il mio impegno… se Dio vorrà…
(non piccolo eh eh… ma vissuto con piacere)
seguendo la consueta linea “pluritematica”
ma restando ancorato al campo
dell’arte, della musica, della poesia,
ma anche del buonumore e della cultura in genere
e sempre con lo stesso stile denso di immagini “multicolor”.
(LA HOME PAGE)

Permettetemi dunque di festeggiare insieme a voi questo
bel momento con una poesia di un autore inglese
vissuto a cavallo tra il '700 e l'800 che mi affascina…

CANZONE RIDENTE
William Blake
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Quando i boschi verdi di gioia ridono,
E corrugandosi il ruscello
Li accompagna colle sue risa;
Quando l’aria si mette a ridere
Col nostro spirito folletto,
E ride di quel chiasso il verde colle;
Quando di vivo verde
i prati ridono e la cavalletta
ride in mezzo a quell’allegria,
quando Susanna, Emilia e la Mari’
colle loro dolci bocche rotonde
cantano “Ah ah hi”.
Quando gli uccelli colorati
nell’ombra ridono,
e la nostra tavola è sparsa
di ciliegie e noci,
vieni a vivere, e sii gaio, e uniti
cantiamo in dolce coro “Ah ah hi”!
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Consuelo Venturi – Angelo Della Gioia
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ed altri 2 aforismi che adoro…
di cui il 2° poi può ben rappresentare lo spirito del blog
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Anche se la felicità ti dimentica un po',
tu non dimenticarla mai del tutto
Jacques Prévert

Si dovrebbe, almeno ogni giorno,
ascoltare qualche canzone,
leggere una bella poesia,
vedere un bel quadro,
e, se possibile, …
dire qualche parola ragionevole.
Johann Wolfgang Goethe

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ed infine con le note dell'Inno alla gioia…
di Beethoven
Marina Novelli – Inno alla gioia
Grazie di cuore a tutti voi
e ciao da Orso Tony
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