Archivio per 27 ottobre 2014

Buonanotte con la bella minipoesia… Là ci nasconderemo… di Fernando Pessoa   Leave a comment

 
 
 
 
 
 
 
 
LA' CI NASCONDEREMO
 
Fernando Pessoa
 
 
 
Là ci nasconderemo e svaniremo,

 
tutti vanamente al confine della luna,

 
sentendo che ciò di cui siamo fatti

 
è stato qualche volta musicale.

 

 

 

 

 

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by Tony Kospan
 
 
 
 
 
 

IL MONDO DELL'ARTE
E DEGLI ARTISTI
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Arte e segreti – Scopriamo quelli della mitica opera del Bronzino… L’allegoria dell’amore e del tempo – II PARTE   1 comment

 
 




Ripartiamo, nell’analisi del dipinto,
dalle gambe della dea, dal pomo e dalle maschere
con le parole del Solimano.


 
 
 
 
 
 
 

L’ALLEGORIA DELL’AMORE E DEL TEMPO
ARTE E SEGRETI
II  PARTE

 
 
Ma soprattutto si vedono due maschere, una giovane donna ed un uomo anziano che ha l’aria trista (triste+cattiva).
Le maschere, dice Erwin Panofsky, da sempre simboleggiano “la mondanità, l’insincerità e la falsità”.
Un raccordo con la Frode (la fanciulla), ma anche con il Piacere ed il Gioco (il putto). 
Tutto continua ad essere chiaro ed ambiguo, duplice. 
Nel particolare qui sotto del quadro del Bronzino, si vedono in parte i corpi bellissimi dei due amanti, Venere e Cupido, e continuano a comparire dei simboli, dei sublimi feticci.
Ambiguamente, il voyeurismo si nasconde dietro il significato morale e viceversa.






Proprio nell’angolo in basso si vede una colomba, ma poi se si guarda bene, si vede anche spuntare il becco e la testa di un’altra colomba.
Tubare come colombi” si dice ancor oggi, ed Erwin Panofsky scrive che era un simbolo usuale di “tenera sollecitudine”, a cui è da aggiungere che le coppie di colombi sono note per la monogamia.
Il contesto non sembra quello, considerando il cuscino evidentemente morbidissimo sotto le ginocchia di Cupido, oggetto piuttosto raro allora.
Ancora oggi parliamo dei cuscini in “piumino d’oca” proprio per intendere che la morbidezza è il primo requisito del cuscino, che è un simbolo di lascivia e di mollezza.
“I Racconti del Cuscino” è il titolo di un film pregevole ed originale di Peter Greenaway, l’autore de “I misteri dei Giardini di Compton House”.
Il tema ricorrente di Greenaway è una acuta indagine sull’erotismo, un po’ quello che fa il Bronzino qui.
Dietro Cupido, si intravedono le foglie di un mirto, simbolo classico dell’amore.



 




Ma il corpo di Cupido, è maschile o femminile?
Ci tornerò alla fine. 
In alto c’è un vecchio assai vigoroso, attento e lucidamente iracondo, la testa pelata ed una strana barba assai folta, dove c’è. I baffi spioventi gli coprono le labbra.
Ancora più in alto si vede un’ala biancastra e, vicino alla testa del vecchio, si intravede parte di una clessidra.
Corrisponde con la colomba nell’angolo opposto, quella di cui si vede solo il becco e la testa – il Bronzino era assai lucido nell’organizzare, nel pesare la rappresentazione, ed in questo caso si tratta musicalmente di due note in minore, ma indispensabili.
Questo vecchio è il simbolo del tempo, lo comprendono tutti, ma è bene porsi due domande, una particolare, ed una generale.
Che cosa sta facendo il tempo, anzi il Tempo?



Il tempo 




Sta tirando in alto un drappo, una specie di grande tenda, sta svelando il quadro, con tutti i suoi significati e la loro ambiguità che, per il fatto stesso che ce ne accorgiamo, non c’è più, perché “Veritas filia Temporis”.
 
Perché il Tempo è vecchio? Una domanda ovvia, ma solo in apparenza.
 
Parrà strano, ma nella antichità classica il Tempo non era rappresentato come un vecchio, non c’era questa attenzione all’età del Tempo, anzi, spesso era rappresentato come un giovane con le ali ai piedi: Kairòs, l’Opportunità, che passa veloce e la devi cogliere subito, difatti aveva un gran ciuffo davanti e la nuca rasata.
Il Tempo è rappresentato come un vecchio per l’equivoco tardo-antico fra due parole greche che hanno significato diverso: Chronos, il tempo e Kronos, il padre di Zeus, vecchio e cattivissimo, un mangiabambini, alla lettera.
 
Lascio a voi la riflessione su quanto questa identificazione negativa del Tempo abbia pesato sulla visione di vita di tutto l’Occidente.
 
Per gli antichi Greci, Chronos era una cosa e Kronos tutta un’altra cosa.
 
Kronos, il nostro Saturno, si è mangiato pure Chronos… ed è un bel guaio.









Sono rappresentate due donne, nella parte del dipinto in alto a sinistra.
La simbologia di una delle due, la donna che piange ed urla strappandosi i capelli, è stata sempre chiara, dal Vasari ad oggi, anzi ben prima del Vasari e del Bronzino: è il simbolo della Gelosia disperata, altro inconveniente dell’amore, forse quello che più fa soffrire.

Riguardo la donna più in alto ci sono state molte discussioni; Erwin Panofsky credette di essere arrivato nel giusto definendola come Verità che aiuta il Tempo ad alzare il velo: Veritas filia Temporis, appunto. 
Quindi ritenne che il titolo più appropriato del quadro era: “La lussuria smascherata“. 
Ma ebbe la correttezza di cambiare idea quando osservò che nel quadro c’è una contrapposizione fra questa donna ed il Tempo: si scambiano sguardi irosi e sembra che la donna cerchi più di continuare a coprire col drappo piuttosto che alzarlo. 
Oggi l’interpretazione più diffusa ritiene che questa donna rappresenti la Notte, colei che cela gli amanti ed in cui sembra che il tempo si fermi. 

 
 
 

 

 

Al centro del quadro Cupido e Venere si baciano e si carezzano lascivamente, ma le forme di Cupido hanno ben poco di maschile, sembra un androgino.
 
Qui c’è tutta la cultura neoplatonica di Firenze che tendeva ad una rappresentazione molto simile dei corpi maschili e femminili, lo si vede benissimo dai disegni di Leonardo, Michelangelo e Raffaello.
 
L’aspetto più sorprendente è la gestualità dei due amanti: Venere ha in mano una freccia, Cupido tiene una mano sui capelli di Venere, sino ad arrivare al diadema. 
 
Non possono essere gesti vacui, e l’interpretazione è singolare: entrambi stanno perseguendo la stessa finalità, che è quella di sottrarre qualcosa senza che l’altro se ne accorga.
 
Venere disarma Cupido privandolo della freccia, e Cupido disarma Venere privandola del suo diadema.
 
Entrambi operano in modo nascosto, difatti i loro gesti non possono essere reciprocamente visti.
 
Trovo convincente questa interpretazione, perché dopo che la si è sentita la prima volta non si può fare a meno di vedere la specularità dei due gesti, che sono fra di loro in corrispondenza fraudolenta.



 




Rivediamolo infine un’ultima volta e tutto intero, il quadro,
dopo gli spezzettamenti faticosi della spiegazione.


 

 

 

 


 

Un altro titolo dell’opera, forse più vicino alle intenzioni dell’artista, è “L’Allegoria del Trionfo di Venere”.
 
 
Il quadro è stato eseguito attorno al 1546 e segna la fine del periodo dei manieristi eroici e furiosi: il Parmigianino, il Rosso fiorentino, il Pontormo, i pittori della crisi politica italiana.
 
Due poteri politici assoluti, il Vaticano e la Spagna, hanno vinto, e “la lucida intenzionalità con cui il Bronzino dà forma incorrotta alla materia pittorica, fissando le immagini in una statica e aulica preziosità, si pone come superamento delle inquietudini della precedente generazione manieristica”.
 
E’ “un emblematico riflesso della volontà assolutistica della politica”.
 
Nel tempo succederà altre volte, ancora con grandi artisti: Guido Reni, dopo la tempesta sublime e terrestre del Caravaggio, e Jean Dominique Ingres, dopo la Rivoluzione francese, in piena Restaurazione.
 
Ma se seguiamo Erwin Panofsky, ci accorgiamo di quanta duplicità, ambiguità, insicurezza, ci sia dietro questo trionfo allegorico, ed il Bronzino ne era consapevole, solo che i tempi erano quelli.
 
La scialuppa di salvataggio non è il trionfo, è la consapevolezza, ed il sorriso che ne scaturisce, non ironico né grottesco, è il sorriso di chi ha capito, e va bene così, perché chi se ne accorge già è fuori dal gioco fraudolento della ipocrisia fatta sistema, dei disvalori elevati a valori.
 


Questo può essere il senso catartico del capolavoro del Bronzino.

 

F i n e

 

Testo di Solimano – Impaginazione note e coordinam. di Tony Kospan




PER CHI VOLESSE LEGGER LA I PARTE




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L’Impressionismo e la moda – La straordinaria connessione tra la pittura ed i modi di vestire del 2° ottocento   Leave a comment

 
 
 
 
 
 
 
 
Il mondo della moda ed il mondo dell'arte
non sono nè distanti nè antagonisti.
 
 
In generale il rapporto tra arte e moda è biunivoco
nel senso che gli artisti ritraggono
quel che vedono ma nel contempo
diffondono per il mondo stili, tagli, costumi, colori… etc…  
 
 
 
 
 
 
 

In questo post osserveremo in particolare come si è svolto
 questo rapporto tra impressionisti e modi di vestire
e nel contempo ci tuffiamo in una bella raccolta di capolavori.
 
 
Lo faremo esaminando questi mitici dipinti con occhio
più attento agli abiti ed agli ambienti ritratti,  
e capiremo, forse meglio che con altri documenti,
i cambiamenti nella moda e nella vita francese
della seconda metà dell'800.
 
 
 
 
 
 
 
 
 ARTE E MODA
L'HAUTE COUTURE E GLI IMPRESSIONISTI
a cura di Tony Kospan
per il blog
IL MONDO DI ORSOSOGNANTE
 
 
 
 
Sappiamo già che l'arte, oltre ad esser un mezzo di trasmissione
di emozioni idee visioni filosofie (in senso lato) etc.,
spesso svolge anche altre sorprendenti funzioni…
 
 
 
 
Tissot – I Marchesi Miramon con i figli – 1865
 
 
 
 
 
Manet – Giovane donna -1866

 

 

In questa occasione avremo la possibilità di esaminare con attenzione,
attraverso le pennellate degli impressionisti,
i vestiti delle persone ed i loro accessori, gli spazi esterni ed interni
della vita  francese, mondana ma non solo, in quegli anni.

 
 
 
 
Manet – La cappellaia – 1866
 
 
 
 
Bazille – Riunione di famiglia – 1867
 


 
 
All'epoca non era certo ancora nata l'Haute Couture,
nel significato che oggi diamo a questa parola,
(o se preferite l'Alta Moda, ma parlando di Parigi mi pare più giusta la prima)
eppure “in fieri”, dai dipinti traspare chiaro un avanzare prepotente,
certo più nell'alta società,
della ricercatezza nel vestire e di stili riconosciuti come distintivi
di un elegante modo di apparire e di vivere.

 
 
 
 
Manet – Il balcone – 1868/9
 
 
 
 
 

Giorno di pioggia a Parigi – Gustave Caillebotte – 1877
 
 
 
 
 

Stava per nascere, proprio in quel periodo, la moda…
così come l'intendiamo oggi…
benché negli ultimi decenni sembra si sia affermata
(ma è proprio così?) un'assoluta libertà nel vestire…

 
 
 
 
Renoir – Giovane donna con veletta – 1870
 
 
 
 
Edgar Degas – Davanti allo specchio – 1889
 
 
 
 
Tornando agli impressionisti essi ci testimoniano quindi,
 persino meglio delle prime immagini fotografiche nelle quali la posa prevale su tutto,
la reale evoluzione del modo di vestire maschile e femminile dal 1860 al 1890.
 
 
 
 
Manet – Dama con ventagli – 1873
 
 
 
 
Edouard Manet – Il bar alle Folies-Bergère
 
 
 
 

Certo in passato nell'osservare i dipinti, in genere, noi ci siamo soffermiati
 su tanti aspetti tralasciando però importanti particolari.. come appunto
i vestiti, gli accessori, le scene di vita e gli ambienti rappresentati.

 
 
 
 

Jean Béraud – Une soirée – 1878
 
 
 
 

Albert Bartholomé – Nella serra -1881

 
 
 
 
Penso però che ora, dopo questa riflessione,
 molti di noi li guarderanno con occhi diversi non trascurando
questi altri interessanti aspetti storici, sociologici e culturali.
 
 
 
 

 
 
 
 
Proprio sul rapporto tra moda ed arte… in particolare l'impressionismo…
ci sono state recenti mostre a Parigi, al Musée d'Orsay ed a Chicago
a cui hanno partecipato anche case di Alta Moda…

con modelli, documenti, disegni, incisioni, stampe e riviste dell'epoca.

 
 
 
Tony Kospan
 
 
 
 
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Ridere è contagioso? Sì! Ma è un bellissimo ed utilissimo contagio   Leave a comment

 
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Lo ha dimostrato uno studio scientifico,
che spiega i meccanismi con cui il cervello
risponde agli stimoli emotivi
provocati da sorrisi e risate.

 

 




  

La ricerca pubblicata un po' di tempo fa, da un gruppo di scienziati della “University College e dell’Imperial College di Londra”, su “The Journal of Neuroscience” , sostiene che quando qualcuno ride o scoppia in un sussulto di gioia, nel cervello di chi ascolta si attivano le stesse aree che si “accendono” quando siamo noi stessi a ridere.





 

In pratica, quando vediamo qualcuno che ride il nostro cervello istintivamente lo imita, mettendo in moto i muscoli facciali che permettono il sorriso.

E’ un meccanismo di “specchio”, spiegano.

Ridere è contagioso!

Quando qualcuno inizia, non si può resistere.

Scatta un automatismo in tutti i presenti, ma nessuno era ancora riuscito a capire da che cosa era motivato.

 


 

 

 

Quelli che si attivano sono i centri neurali formati dai “neuroni specchio”, quelli che ci permettono di osservare le azioni degli altri e di imitarle, che svolgono un ruolo chiave nella socializzazione.

SOLO I SUONI “positivi” fanno scattare il meccanismo di imitazione.

E solo la risata, produce nel nostro cervello un effetto così marcato, come se in quel momento fossimo noi in prima persona a ridere.

E’ possibile che questa risposta automatica si sia creata per favorire l’interazione sociale, consentendoci così di capire ed empatizzare con la felicità altrui, quando questa si esprime con una risata.

 

 

 






 
 
 
BEH QUEL CHE E’ CERTO E’ CHE LA RISATA FA BENE…
AL CORPO ED ALLO SPIRITO…
COME ANCHE ALTRI STUDI CI CONFERMANO…
 


 
 


 
 
 
 
ED ALLORA…
SOLI O IN COMPAGNIA… CON O SENZA CONTAGIO…
MOLTIPLICHIAMO LE OCCASIONI…
PER RIDERE… O SORRIDERE…

SICURAMENTE STAREMO MEGLIO…

 
 
 
 






 

 

CIAOOOOOOOO DA TONY KOSPAN

CON UN… SORRISO…

 

 

 

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Augurissimi Benigni… con Dante (Paolo e Francesca) ed una sua poesia   Leave a comment

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Come fare gli auguri
ad uno dei più poliedrici artisti dei nostri giorni?









Eh sì egli è attore… regista… comico… showman…
amico della poesia,  studioso di Dante etc.


Ebbene per i temi che trattiamo in genere opterò  
 per la sua mitica lettura
del passo più famoso della Divina Commedia
sia in forma di testo che in… video…
ed aggiungerò una sua poesia scritta per l'amico Troisi.

T.K.




Louis Rubio – Paolo e Francesca – 1833






Roberto Benigni recita e…
ci racconta Dante che qui ci parla anche del…
 
mistero dell'amore
 
 
 
PAOLO E FRANCESCA
 
 
 
 
 (Castiglion Fiorentino – 27.10.1952)
 
 
 
 
Benigni:
Omissis
“E’ un libro tutto al femminile la Divina Commedia, è un libro tutto sull’amore, basato tutto sull’amore.
Ora, quando parla di Paolo e Francesca, che sono i passi più famosi, sentiamo che è il primo dannato con il quale parla, Francesca.
E per la prima volta nella storia – un’invenzione di lui, uomo del Medio Evo – per descrivere tutto un personaggio, prende un momento della sua vita. Questa è un’idea che mi ha sempre affascinato.
Prende un solo momento della sua vita e quel personaggio è scolpito per l’eternità.
E’ un’invenzione di Dante Alighieri.
Per Paolo e Francesca prende il momento in cui loro due non sapevano di essere innamorati e vengono trafitti dall’amore
e quel momento rimarrà scolpito per sempre.
Lui sceglie quel momento e sarà il momento dell’eternità.
Mentre noi sentiamo Francesca che parla e piange e dice, soffriamo.
Mentre che l’uno spirto questo disse,
l’altro piangea; sì che di pietade
io venni men così com’io morisse.
E caddi come corpo morto cade.
Ma quando si sente: l’altro piangea, il cuore sobbalza, e quel verso che dice quando hanno scoperto…
Dante vuol sapere come hanno fatto a capire che erano innamorati. Gli interessa a lui personalmente, è proprio la sua domanda: come accadde che voi vi scopriste innamorati?
E lei dice:
Quando leggemmo il disiato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante.
Sono versi che lasciano…
(applauso)
Siamo nel primo girone dellInferno – il primo, vero – dove Dante ci ha messo (non a caso in quello dove si soffre meno, per modo di dire) quelli che sono morti per amore, i lussuriosi, ma anche quelli che sono morti per amore perché si amavano l’uno con l’altro. Proprio perché lui stesso c’aveva paura di andarci: “Meglio che faccio un posto un po’ meno sofferente!” Quindi in questo canto si parla di questa storia. Di questi due amanti che so’ stati presi mentre stavano leggendo una storia che li riguardava – erano quasi loro – un libro.
La storia di Paolo e Francesca la sapete tutti, insomma che… lei doveva sposare Gianciotto Malatesta e naturalmente era bruttissimo, era anche zoppo.
Gli è arrivato brutto e zoppo, ma brutto, una personaccia! Gli portò la cosa di matrimonio il su’ fratello che era bellissimo. Lei pensava fosse quello suo marito. Pensate quando è arrivato quell’altro, che era cattivo, brutto e zoppo, ma proprio ignorante come una capra e quindi… Non è che poi l’ha tradito, solamente che il primo afflato d’amore con il primo che vedi… magari se vedeva prima quell’altro si sarebbe innamorata. Ha visto prima quello, allora… Aspettava l’amore. Quando aspetti l’amore non si vede più niente, diventa tutto meraviglioso.
 
 
 
 

 
 
 
 
 
Questo afflato d’amore, Dante gli chiede, vuol sapere da loro come fecero a ‘nnamorarsi.
Perché a Dante gli interessa come si fa a ‘nnamorarsi:
“Voglio sapere come scatta questo mistero dell’universo dell’amore”,
che può scattare tra chiunque, con chiunque e in qualsiasi momento.
E quella è una cosa che dentro ci sono… c’è Semiramide, che era una talmente lussuriosa che aveva fatto un editto dove imponeva a tutti di fare all’amore per la strada dalla mattina alla sera, di modo che anche lei fosse normale.
Siccome questa Semiramide faceva all’amore dalla mattina alla sera con tutti, ha fatto un editto…
E’ come se anche qui in Italia si dovesse tutti…
Non facciamo riferimenti che è sempre brutto e terribile…
C’è Minosse in questo canto, con tutte le similitudini…
“Vabbè Benigni, abbiamo capito, facci ‘sto canto”.






Ary Scheffer






Qui possiamo ora leggere questo mitico passo dantesco,
e volendo, possiamo farlo mentre ascoltiamo
l'interpretazione di Benigni col video che segue…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
INFERNO – CANTO V
 
OMISSIS
 
 
così vid’io venir, traendo guai,
ombre portate da la detta briga;

per ch’i’ dissi: “Maestro, chi son quelle

51 genti che l’aura nera sì gastiga?”.
“La prima di color di cui novelle
tu vuo’ saper”, mi disse quelli allotta,

54 “fu imperadrice di molte favelle.
A vizio di lussuria fu sì rotta,
che libito fé licito in sua legge,

57 per tòrre il biasmo in che era condotta.
Ell’è Semiramìs, di cui si legge
che succedette a Nino e fu sua sposa:

60 tenne la terra che ’l Soldan corregge.
L’altra è colei che s’ancise amorosa,
e ruppe fede al cener di Sicheo;

63 poi è Cleopatràs lussurïosa.
Elena vedi, per cui tanto reo
tempo si volse, e vedi ’l grande Achille,

66 che con amore al fine combatteo.
Vedi Parìs, Tristano”; e più di mille
ombre mostrommi e nominommi a dito,

69 ch’amor di nostra vita dipartille.
Poscia ch’io ebbi il mio dottore udito
nomar le donne antiche e ’ cavalieri,

72 pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.
I’ cominciai: “Poeta, volontieri
parlerei a quei due che ’nsieme vanno,

75 e paion sì al vento esser leggeri”.
Ed elli a me: “Vedrai quando saranno
più presso a noi; e tu allor li priega

78 per quello amor che i mena, ed ei verranno”.
Sì tosto come il vento a noi li piega,
mossi la voce: “O anime affannate,

81 venite a noi parlar, s’altri nol niega!”.
Quali colombe dal disio chiamate
con l’ali alzate e ferme al dolce nido

84 vegnon per l’aere dal voler portate;
cotali uscir de la schiera ov’è Dido,
a noi venendo per l’aere maligno,

87 sì forte fu l’affettüoso grido.
“O animal grazioso e benigno
che visitando vai per l’aere perso

90 noi che tignemmo il mondo di sanguigno,
se fosse amico il re de l’universo,
noi pregheremmo lui de la tua pace,

93 poi c’hai pietà del nostro mal perverso.
Di quel che udire e che parlar vi piace,
noi udiremo e parleremo a voi,

96 mentre che ’l vento, come fa, ci tace.
Siede la terra dove nata fui
su la marina dove ’l Po discende

99 per aver pace co’ seguaci sui.
Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,
prese costui de la bella persona

102 che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,

mi prese del costui piacer sì forte,

105 che, come vedi, ancor non m’abbandona.
Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense”.

108 Queste parole da lor ci fuor porte.
Quand’io intesi quell’anime offense,
china’ il viso e tanto il tenni basso,

111 fin che ’l poeta mi disse: “Che pense?”.
Quando rispuosi, cominciai: “Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio

114 menù costoro al doloroso passo!”.
Poi mi rivolsi a loro e parla’ io,
e cominciai: “Francesca, i tuoi martiri

117 a lagrimar mi fanno tristo e pio.
Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri,
a che e come concedette amore

120 che conosceste i dubbiosi disiri?”.
E quella a me: “Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice

123 ne la miseria; e ciò sa ’l tuo dottore.
Ma s’a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,

126 dirò come colui che piange e dice.
Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;

129 soli eravamo e sanza alcun sospetto.
Per più fiate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;

132 ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disiato riso
esser basciato da cotanto amante,

135 questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:

138 quel giorno più non vi leggemmo avante”.
Mentre che l’uno spirto questo disse,

l’altro piangëa; sì che di pietade

141 io venni men così com’io morisse.
E caddi come corpo morto cade.

 

 

 


IL VIDEO DI BENIGNI CHE RECITA DANTE

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E QUELLO DELLA POESIA DEDICATA A TROISI


Poesia di Benigni – Omaggio a Troisi

 
 
ANCORA







 DA TONY KOSPAN

 
 
 
 
 
TESTO LETTURA BENIGNI DAL WEB
 
 
 
 
 
IL GRUPPO DI CHI AMA LA POESIA

FANTMONDOPOESIA.jpg picture by orsotony21



Le scarpe – La storia della loro nascita e la loro influenza sulle ossa dei nostri piedi   Leave a comment

 
 
 
Scarpa in pelle di 5500 anni fa
 
 
 
 
LA NASCITA DELLE… SCARPE…
 
 
Uno studio affronta il problema 
del periodo in cui gli uomini primitivi
iniziarono ad usare scarpe…
 
 
 
 
Scarpa persiana 6° sec a.C.
(SCARPA PERSIANA)
 
 
 

Lo studio dimostra che le prime rudimentali scarpe
apparvero circa 40.000 anni fa
e modificarono le ossa dei piedi dei nostri antenati

 
 
 
 
 

Il professor Trinkaus al lavoro
NEW YORK Gli uomini primitivi avrebbero indossate le prime rudimentali scarpe tra 40.000 e 26.000 anni fa.
 
 Lo ha stabilito uno studio pubblicato sulla rivista «Journal Archaelogical Science» dallo scienziato americano Erik Trinkaus, professore della Washington University a St Louis, che ha studiato le ossa di alcuni nostri antenati.
 
 
 
 
 
 

SCARPE
 
 
 
 
Secondo Trinkaus la presenza di scanalature nelle ossa dei piedi dei nostri antenati testimonia l’invenzioni delle prime scarpe, che con il tempo resero le osse meno forti e resistenti.
I primi uomini che comparvero sulla terra, circa 500 mila anni fa, sentirono presto il bisogno di coprire i loro piedi a causa per difenderli dal caldo e dal freddo. 
Ma solo molti anni dopo, furono create vere e proprie calzature protettive comparabili alle moderne scarpe.

Lo scienziato afferma che non è possibile stabilire l’epoca esatta nella quale gli uomini non andarono più scalzi, 
e costruirono le prime scarpe perché il materiale animale e vegetale allora usato… adesso non è più reperibile.

«Oggi le più antiche scarpe nel mondo sono di 9.000 anni fa, e sono state trovate in California» 
dice il professor Trinkaus.





 
 

 
 

ESAME DELLE OSSA DEI PRIMITIVI

 

Ossa di un piede primitivo (Bbc on line)

 

 

Esaminando le ossa dei piedi dei primi uomini primitivi (Homo neanderthalensis) e di quelli successivi (Homo sapiens) vissuti rispettivamente 100.000 e 10.000 anni fa, lo scienziato ha stabilito che i primitivi vissuti nel periodo intermedio del Paleolitico (tra i 100.000 e 40.000 anni fa) avevano ossa più pesanti e più forti, mentre coloro che trascorsero la loro esistenza 26.000 anni fa, nell’epoca del Paleolitico superiore, avevano osse messo spesse e meno resistenti.

 

Per testare questa teoria lo scienziato ha preso come riferimento anche i primi nativi americani che andavano scalzi e i contemporanei Inuiti, popolazione che vive in Alaska e che invece indossavano stivali di foca.

 

 
 
EVOLUZIONE E… SCARPE 
 
 
 
 
 
 
 
L’apparizione delle prime scarpe coincide con un periodo storico ricco di progressi per il genere umano.
 
Secondo il profesore Paul Mellas, ordinario di storia primitiva all’Univeristà di Cambridge in quest’epoca ci furono «drammatici cambiamenti» nella vita dei nostri antenati.

«Circa 35.000 anni fa e via di seguito gli uomini producono le prime forme d’arte, i primi arnesi in pietra, le prime decorazioni personali e i primi gioielli.

Non sarebbe una sorpresa scoprire che la comparsa delle prime scarpe sia avvenuta proprio in queste epoca».
 
 
 
 
F I N E
 
 
testo dal Corriere della Sera con mini modifiche – Immagini dal web – Impaginazione t.k.
 
 
 
 
 
 
 

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Bertoldt Brecht con questo brano.. “L’analfabeto politico”… ci dà una mini-maxi lezione di democrazia   Leave a comment

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Una riflessione quasi filosofica che sembra scritta oggi…
e che ci fa comprendere quanto sia importante
non trascurare il nostro impegno civile..
nell'interesse di tutta la società…

E' troppo facile infatti…
tirarci fuori dalla realtà sociale in cui viviamo
e, con la scusa di criticare tutto e tutti,
disinteressarcene completamente…







Il grande scrittore vuol rimarcare il fatto
che così facendo non solo si viene meno
ad un impegno civile ma addirittura
si danneggia la Società perché la si priva
di un nostro consapevole contributo…









Una poesia, dunque, dall'alto valore sociale…
che combatte un male presente in molte nazioni
ma che ultimamente dilaga in Italia…









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Nel riproporre questo noto brano
non intendo affrontare in questa sede “culturale
nessun discorso relativo alla politica degli schieramenti
(ciascuno ovviamente avrà le sue idee)
ma solo quello della necessità, per il bene comune,
di difendere i nostri ideali
e di dare un vero e sincero contributo
nel tentativo (difficile) di migliorare la società…

Ma ora leggiamolo…















L'ANALFABETA POLITICO
Bertoldt Brecht *

Il peggior analfabeta è l'analfabeta politico.

Egli non ascolta, non parla nè partecipa agli avvenimenti politici.

Non sa che il costo della vita, il prezzo dei fagioli, del pesce, della farina, dell' affitto, delle scarpe e delle medicine dipendono dalle decisioni politiche.

Un analfabeta politico è tanto animale che si inorgoglisce e gonfia il petto nel dire che odia la politica.

Non sa l'imbecille che dalla sua ignoranza politica proviene la prostituta, il minore abbandonato, il rapinatore ed il peggiore di tutti i banditi, che è il politico disonesto, ingannatore e corrotto, leccapiedi delle imprese nazionali e multinazionali.



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*Bertoldt Brecht
– Augusta, 10 febbraio 1898 – Berlino, 14 agosto 1956
è considerato il più influente drammaturgo,
poeta e regista teatrale tedesco del XX secolo.




TONY KOSPAN



La forchetta – Raccontino morale che apre il cuore alla speranza   6 comments



UN SEMPLICISSIMO…
MA SIMPATICISSIMO RACCONTO MORALE…
 
 
 
 

 

 

 

LA FORCHETTA

 

Una giovane donna ha appena saputo di avere una malattia terribile e che le restano solo tre mesi di vita.
Chiama il parroco per le sue ultime volontà.
Sceglie gli abiti che indosserà, la musica, le parole e le canzoni.
 Quando il parroco sta  per andarsene lo trattiene per un braccio.
– “C’è un’altra cosa …”
– “Dica”
– “Questo è importante. Voglio che mi si sotterrino con una forchetta nella mano destra!”

 Il parroco è molto sorpreso …
– “La cosa la meraviglia, vero?”
– “Per essere sincero sono piuttosto perplesso dalla sua richiesta”
– “Dunque! Mia nonna mi ha raccontato questa storia ed io ho sempre provato a trasmettere questo messaggio a tutti quelli che amo ed hanno bisogno di incoraggiamento. 
” In tutti i miei anni di partecipazione ad eventi sociali e pranzi ricordo che sempre c’era qualcuno che piegandosi verso di me diceva – tenga la sua forchetta! – ed era il momento che preferivo perché sapevo che qualcosa di meglio sarebbe arrivato, come una torta, una mousse al cioccolato od una torta di mele.

 

 

 

 

Qualcosa di meraviglioso e di sostanza. “
Quando la gente mi vedrà nella cassa da morto con una forchetta nella mano, voglio che si chiedano:
– Perché quella forchetta? – ed allora lei potrà rispondere:
– Tenete sempre la vostra forchetta perché il meglio deve ancora arrivare! -”
Il parroco, con le lacrime agli occhi, stringe forte la giovane donna per darle l’arrivederci.
Sa che non la rivedrà mai più viva. E sa che quella donna aveva un’idea del paradiso molto migliore sia della sua che di tanta altra gente.

Lei SAPEVA che qualcosa di meglio sarebbe successo.
Ai funerali la gente sfilava davanti alla cassa della giovane donna e vedevano sia il suo bel vestito che la forchetta nella mano destra.
Tutt’a un tratto il parroco sentì l’attesa domanda:
– “Perché la forchetta?” e sorrise.

Durante la predica, il parroco raccontò la conversazione avuta con la giovane donna alla vigilia della sua morte e raccontò loro la storia della forchetta dicendo che non riusciva a smettere di pensarci e che da allora in poi anche loro, ogni volta che avessero avuto nella mano una forchetta, avrebbero dovuto permetterle di ricordar loro che il meglio doveva ancora avvenire.
 

 

 

DAL WEB – IMPAG. T.K.

 

 

SPERIAMO CHE DAVVERO…
IL MEGLIO CI E’ RISERVATO DOPO LA NOSTRA…
DIPARTITA…
 

CIAO DA TONY KOSPAN

 

 

 



LA TUA PAGINA DI… SOGNO?

 

LA FORCHETTA

Una giovane donna ha appena saputo di avere una malattia terribile e che le restano solo tre mesi di vita.
Chiama il parroco per le sue ultime volontà. Sceglie gli abiti che indosserà, la musica, le parole e le canzoni.
Quando il parroco sta per andarsene lo trattiene per un braccio.
– “C’è un’altra cosa …”
– “Dica”
– “Questo è importante. Voglio che mi si sotterrino con una forchetta nella mano destra!”

Il parroco è molto sorpreso …
– “La cosa la meraviglia, vero?”
– “Per essere sincero sono piuttosto perplesso dalla sua richiesta”
– “Dunque! Mia nonna mi ha raccontato questa storia ed io ho sempre provato a trasmettere questo messaggio a tutti quelli che amo ed hanno bisogno di incoraggiamento.
” In tutti i miei anni di partecipazione ad eventi sociali e pranzi ricordo che sempre c’era qualcuno che piegandosi verso di me diceva – tenga la sua forchetta! – ed era il momento che preferivo perché sapevo che qualcosa di meglio sarebbe arrivato, come una torta, una mousse al cioccolato od una torta di mele.

Qualcosa di meraviglioso e di sostanza. ”
Quando la gente mi vedrà nella cassa da morto con una forchetta nella mano, voglio che si chiedano:
– Perché quella forchetta? – ed allora lei potrà rispondere:
– Tenete sempre la vostra forchetta perché il meglio deve ancora arrivare! -”
Il parroco, con le lacrime agli occhi, stringe forte la giovane donna per darle l’arrivederci.
Sa che non la rivedrà mai più viva. E sa che quella donna aveva un’idea del paradiso molto migliore sia della sua che di tanta altra gente.

Lei SAPEVA che qualcosa di meglio sarebbe successo.
Ai funerali la gente sfilava davanti alla cassa della giovane donna e vedevano sia il suo bel vestito che la forchetta nella mano destra.
Tutt’a un tratto il parroco sentì l’attesa domanda:
– “Perché la forchetta?” e sorrise.

Durante la predica, il parroco raccontò la conversazione avuta con la giovane donna alla vigilia della sua morte e raccontò loro la storia della forchetta dicendo che non riusciva a smettere di pensarci e che da allora in poi anche loro, ogni volta che avessero avuto nella mano una forchetta, avrebbero dovuto permetterle di ricordar loro che il meglio doveva ancora avvenire.

DAL WEB – IMPAG. T.K.

SPERIAMO CHE DAVVERO…

IL MEGLIO CI E’ RISERVATO DOPO LA NOSTRA…

DIPARTITA…

CIAO DA TONY KOSPAN

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Buona settimana in poesia – Non t’amo come fossi rosa.. di Neruda – arte.. A. Stevens – canzone.. Sappi amore mio   4 comments

 

 

Alfred Stevens

 

 

 

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Il linguaggio dell'amore è un linguaggio segreto

e la sua espressione più alta è un abbraccio silenzioso.

Roberto Musil 

 

 

Alfred Stevens 

 

 

 

 

Alfred Stevens 

 

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NON T’AMO COME FOSSI ROSA DI SALE

Pablo Neruda

 

Non t’amo come se fossi rosa di sale, topazio

o freccia di garofani che propagano il fuoco:

t’amo come si amano certe cose oscure,

segretamente, tra l’ombra e l’anima.

 

T’amo come la pianta che non fiorisce e reca

dentro di sé, nascosta, la luce di quei fiori;

grazie al tuo amore vive oscuro nel mio corpo

il concentrato aroma che ascese dalla terra.
 

T’amo senza sapere come, né quando, né da dove,

t’amo direttamente senza problemi né orgoglio:

così ti amo perché non so amare altrimenti

che così, in questo modo in cui non sono e non sei,

 

così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,

così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.


 

 
Alfred Stevens – Giovane donna con fiori




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à tout le monde par 

Ours Antoine






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