



![]() Stavolta parleremo di un’altra classicissima e notissima
canzone napoletana scritta nel 1954/55
da Bonagura (testo) e da Carosone (musica)
MARUZZELLA
ATMOSFERE E NOTE… D’UN TEMPO…
a cura di Tony Kospan
![]() Iniziamo a parlare del titolo che ha sempre incuriosito tanti…
ed in molti pensavamo al diminutiva di Maria o Mara…
In realtà Maruzzella è un diminutivo di Marisa…
ma in napoletano significa anche piccola lumaca di mare e piccola treccia di capelli.
Maruzzella però è anche il modo con cui Renato Carosone chiamava la moglie Marisa…
e sembra che la canzone sia stata dedicata proprio a lei…
![]()
grazie al quale sembra di sentire anche l’odore del mare… e lo sciabordio delle onde…
![]() «Maruzzella Maruzzè,
t’e’ miso dint’a ll’uocchie
‘o mare e m’e’ miso
mpietto a mé nu dispiacere.
Stu core mme faje sbattere
cchiù forte ‘e ll’onne
quanno ‘o cielo è scuro:
primma mme dice sì,
po’ doce doce mme faje murí»
(Maruzzella, Maruzzella ti sei messa negli occhi il mare
ed hai messo nel mio petto un dispiacere.
Mi fai battere il cuore più forte delle onde:
prima mi dici sì, poi dolce dolce mi fai morire)
![]()
Il successo della canzone fu clamoroso al punto che ne nacquero 2 film… e più recentemente, nel 1973, è stata inclusa nella colonna sonora di “Main Streeet“ di Martin Scorsese. Prima di ascoltarla in 2 versioni… diamo un’occhiata fugace a quanto accadeva quell’anno…
1 9 5 6
![]() La rivoluzione ungherese è soffocata nel sangue…
![]() La televisone entra nelle abitudini degli Italiani
![]() la 2° guerra arabo israeliana
![]() La tragedia di Marcinelle (BELGIO)
in cui morirono oltre 600 minatori italiani
![]() Matrimonio di Grace Kelly
con il Principe Ranieri di Monaco
Ma torniamo a Maruzzella…
Ascoltiamola, in questa delicata versione di Sergio Bruni,
potendo leggere il testo originale… ed in italiano
e poi, se ci va, anche in questo video
che riprende una scena del film omonimo
in cui è cantata proprio dall'autore…
Qui possiamo anche respirare in pieno l'atmosfera di quell'anno
Ciao da Tony Kospan
![]() ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() |
NEW YORK Gli uomini primitivi avrebbero indossate le prime rudimentali scarpe tra 40.000 e 26.000 anni fa.
Lo ha stabilito uno studio pubblicato sulla rivista «Journal Archaelogical Science» dallo scienziato americano Erik Trinkaus, professore della Washington University a St Louis, che ha studiato le ossa di alcuni nostri antenati.
SCARPE
Secondo Trinkaus la presenza di scanalature nelle ossa dei piedi dei nostri antenati testimonia l’invenzioni delle prime scarpe, che con il tempo resero le osse meno forti e resistenti.
I primi uomini che comparvero sulla terra, circa 500 mila anni fa, sentirono presto il bisogno di coprire i loro piedi a causa per difenderli dal caldo e dal freddo.
Ma solo molti anni dopo, furono create vere e proprie calzature protettive comparabili alle moderne scarpe.
Lo scienziato afferma che non è possibile stabilire l’epoca esatta nella quale gli uomini non andarono più scalzi,
e costruirono le prime scarpe perché il materiale animale e vegetale allora usato… adesso non è più reperibile.
«Oggi le più antiche scarpe nel mondo sono di 9.000 anni fa, e sono state trovate in California»
dice il professor Trinkaus.
ESAME DELLE OSSA DEI PRIMITIVI
Esaminando le ossa dei piedi dei primi uomini primitivi (Homo neanderthalensis) e di quelli successivi (Homo sapiens) vissuti rispettivamente 100.000 e 10.000 anni fa, lo scienziato ha stabilito che i primitivi vissuti nel periodo intermedio del Paleolitico (tra i 100.000 e 40.000 anni fa) avevano ossa più pesanti e più forti, mentre coloro che trascorsero la loro esistenza 26.000 anni fa, nell’epoca del Paleolitico superiore, avevano osse messo spesse e meno resistenti.
Per testare questa teoria lo scienziato ha preso come riferimento anche i primi nativi americani che andavano scalzi e i contemporanei Inuiti, popolazione che vive in Alaska e che invece indossavano stivali di foca. |
Lo ha dimostrato uno studio scientifico,
che spiega i meccanismi con cui il cervello
risponde agli stimoli emotivi provocati da sorrisi e risate.
La ricerca pubblicata un pò di tempo fa, da un gruppo di scienziati della “University College e dell’Imperial College di Londra”, su “The Journal of Neuroscience” , sostiene che quando qualcuno ride o scoppia in un sussulto di gioia, nel cervello di chi ascolta si attivano le stesse aree che si “accendono” quando siamo noi stessi a ridere.
In pratica, quando vediamo qualcuno che ride il nostro cervello istintivamente lo imita, mettendo in moto i muscoli facciali che permettono il sorriso.
E’ un meccanismo di “specchio” , spiegano.
Ridere è contagioso!
Quando qualcuno inizia, non si può resistere.
Scatta un automatismo in tutti i presenti, ma nessuno era ancora riuscito a capire da che cosa era motivato.
Quelli che si attivano sono i centri neurali formati dai “neuroni specchio”, quelli che ci permettono di osservare le azioni degli altri e di imitarle, che svolgono un ruolo chiave nella socializzazione.
SOLO I SUONI “positivi” fanno scattare il meccanismo di imitazione.
E solo la risata, produce nel nostro cervello un effetto così marcato, come se in quel momento fossimo noi in prima persona a ridere.
E’ possibile che questa risposta automatica si sia creata per favorire l’interazione sociale, consentendoci così di capire ed empatizzare con la felicità altrui, quando questa si esprime con una risata.
CIAOOOOOOOO DA TONY KOSPAN
CON UN… SORRISO…
A forza di guardare il cielo
e di respirare a pieni polmoni l’aria fresca della notte,
mi sembrava di riempirmi di stelle.
Tiziano Terzani
IL VENTO NELL'ISOLA
Pablo Neruda
Il vento è un cavallo:
senti come corre
per il mare, per il cielo.
Vuol portarmi via: senti
come percorre il mondo
per portarmi lontano.
Nascondimi tra le tue braccia
per questa notte sola,
mentre la pioggia rompe
contro il mare e la terra
la sua bocca innumerevole.
Senti come il vento
mi chiama galoppando
per portarmi lontano.
Con la tua fronte sulla mia fronte,
con la tua bocca sulla mia bocca,
legati i nostri corpi,
all’amore che che brucia,
lascia che il vento passi
senza che possa portarmi via.
Lascia che il vento corra
coronato di spuma,
che mi chiami e mi cerchi
galoppando nell’ombra,
mentre, sommerso,
sotto i tuoi grandi occhi,
per questa notte sola
riposerò, amor mio.