Archivio per 4 settembre 2013

Felice notte con l’originale minipoesia… Mi hai dato 2 incarichi di Viktor šklovskij…   1 comment

 
 
 
 
Marcello Casamirra – Il mimo innamorato
 
 
 
 
 
MI HAI DATO…
– Viktor šklovskij –
 
Mi hai dato due incarichi:
non telefonarti… non vederti….
C’è anche un terzo incarico:
non pensare a te…
Ma tu,questo…
non me l’hai affidato…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
DA TONY KOSPAN
 
 
 
 
 
 
 
Funny Pics Photo Sharing View PhotosFunny Pics Photo Sharing View Photos
PER LE NOVITA'
SE IL BLOG TI PIACE
ISCRIVITI

 
 

Pubblicato 4 settembre 2013 da tonykospan21 in Senza categoria

Taggato con ,

Breve brano sulla felicità d’amore di H. Hesse – Cosa ne pensate?   1 comment


Il breve passo che segue ci mostra il pensiero del grande Hesse
riguardo alla felicità… in amore
e mi appare davvero molto interessante.







A mio parere, pur nella sua brevità e leggerezza,
il brano ci aiuta a… volare.






FELICITA’ D’AMORE


Ma la cosa migliore non furono quei baci e neppure le passeggiate serali, o i nostri segreti.

La cosa migliore era la forza che quell’amore mi dava, la forza lieta di vivere e di lottare per lei, di camminare sull’acqua e sul fuoco.

Potersi buttare, per un istante, poter sacrificare degli anni per il sorriso di una donna: questa sì che è felicità, e io non l’ho perduta.

Hermann Hesse








Cosa ne pensate? Parliamone…

Ciao da Tony Kospan




SE AMI LA POESIA.. LA PROSA POETICA
E LA CULTURA IN GENERE
ECCO IL TUO GRUPPO DI FACEBOOK
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.

Pubblicato 4 settembre 2013 da tonykospan21 in AMORE AMICIZIA

Taggato con , , ,

Ovunque proteggi – V. Capossela – Quando la musica sposa la poesia   3 comments


 
 
 




La musica e la poesia… amiche o nemiche?

Secondo Montale una volta erano insieme…
anzi… erano un’unica cosa… ma poi si separarono
e presero strade diverse.

A mio parere… però… ogni tanto si rincontrano
e… si “sposano”
come in questo famoso e classico brano
di Vinicio Capossela…
di cui possiamo ora legger il testo e veder il video.
 
.
.
.
 
 
 
 
 


MUSICA E POESIA…


OVUNQUE PROTEGGI


UN CLASSICO DI VINICIO CAPOSSELA








ENTRIAMO NEL SUO SIGNIFICATO PIU' PROFONDO



Chi è che deve proteggere il protagonista della canzone 
che è alle prese con la fine di un amore?

E' l'Amore stesso (in senso sublime) con la sua capacità 
di curare, addolcire e donare una nuova speranza!








 
 
Ovunque Proteggi
Vinicio Capossela –
 

Non dormo ho gli occhi aperti per te,
guardo fuori, guardo intorno,
come è gonfia la strada di polvere e vento,
nel viale del ritorno.
Quando arrivi,quando verrai per me,
guarda l’angolo del cielo,
dove è scritto il tuo nome,
ed è scritto nel ferro del cerchio di un anello.

E ancora mi innamora e mi fa sospirare così,
adesso e per quando tornerà l’incanto…

E se mi trovi stanco,e se mi trovi spento,
se il meglio è già venuto
e non ho saputo tenerlo dentro me.
I vecchi già lo sanno il perchè,
e anche gli alberghi tristi,
che troppo per poco e non basta ancora
ed è una volta sola.

E ancora proteggi, la grazia del mio cuore,
adesso e per quando tornerà l’incanto,
l’incanto di te,di te vicino a me.

Sassi nelle scarpe e polvere sul cuore,
freddo nel sole,e non bastan le parole.
Mi spiace se ho peccato,
mi spiace se ho sbagliato,
se non ci sono stato,se non sono tornato.

Ma ancora proteggi la grazia del mio cuore,
adesso e per quando tornerà nel tempo,
il tempo per partir,il tempo di restare,
il tempo di lasciare,il tempo di abbracciare,
ricchezza e fortuna in pene e in povertà
nella gioia e nel clamore,nel lutto e nel dolore,
nel freddo e nel sole,nel sonno e nel rumore,
ovunque proteggi la grazia del mio cuore,
ovunque proteggi la grazia del tuo cuore..

Ovunque proteggi,proteggimi nel male,
ovunque proteggi la grazia del tuo cuore..


 

 

 

 

Ma veniamo ora al… video…

 

 


OVUNQUE PROTEGGI

 

 

 

Ciaooooooooooo

 Tony Kospan



 

UN MODO DIVERSO DI VIVER

LA POESIA E LA CULTURA

NELLA PAGINA FB



.

 
 


 .

Pubblicato 4 settembre 2013 da tonykospan21 in CANZONI POESIE

Taggato con , ,

Anche i freddi numeri hanno una loro fantastica… storia…   4 comments

 

 

 


Sono accanto a noi tutta la vita…
come amici o nemici…
ed in ogni caso… non possiamo farne a meno…
ma… ne conosciamo la storia?
 
 
Sì anche loro hanno una lunga storia
e forse, leggendola, avremo qualche sorpresa…
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
LA FANTASTICA STORIA DEI NUMERI

 

 

1. NOI ED… I NUMERI…

 
 
Dio creò i numeri interi, tutto il resto è opera dell’uomo”: questa è l’opinione di Leopold Kronecker, un matematico tedesco vissuto nell’Ottocento.

L’affermazione è perentoria e sembra quasi invitarci a non indagare troppo sulla natura dei numeri. Noi invece vogliamo confutare il pensiero di Kronecker perché siamo convinti che il Padreterno può aver creato tutt’al più le pecore e tutte le altre cose del mondo ma non i numeri, i quali invece sono stati inventati dall’uomo proprio perché si possano contare le pecore e tutte le altre cose create da Dio.
 
Cominciamo allora con l’osservare che il sistema di numerazione che usiamo abitualmente è quello decimale, cioè contiamo e scriviamo i numeri per decine; ciò potrebbe non essere casuale.
L’uomo primitivo, per contare, potrebbe essersi servito di parti del proprio corpo, per esempio delle mani e delle relative dita.
Tutti abbiamo sperimentato che il modo più naturale di contare è quello di chiudere le mani (o anche una sola mano) a pugno e quindi sollevare un dito per volta in corrispondenza di ogni oggetto dell’insieme che si vuol contare.
Se l’evoluzione avesse sviluppato solo quattro dita per mano, l’uomo avrebbe probabilmente elaborato un sistema di numerazione «quaternario» o «ottale», cioè a base quattro o a base otto.

Questo convincimento poggia anche sul fatto che sono esistiti in passato ed esistono anche attualmente, presso alcune popolazioni, conteggi e registrazioni dei numeri basati sulle dita di una sola mano (sistema di numerazione «quinario»), o sulle venti dita complessive delle mani e dei piedi (sistema di numerazione «vigesimale»).

La numerazione celtica, ad esempio, era una numerazione a base venti e i francesi, nella loro lingua, conservano il ricordo del modo di indicare i numeri di quell’antica popolazione: per dire ad esempio ottanta, i francesi dicono quatre-vings, cioè quattro volte venti.

Esistono anche delle basi di numerazione che non derivano dall’anatomia del nostro corpo, ma dall’astronomia, come le numerazioni per dozzine o per sessantine, che si usano ad esempio quando si conteggia il tempo, dove, come tutti sanno, sessanta secondi sono un minuto e sessanta minuti sono un’ora e dove un giorno consta di ventiquattro ore ed un anno di dodici mesi.

 

 

 

 

2. GLI ANTICHI ED I NUMERI…
 
 
I Caldei, gli antichi abitanti della Mesopotamia, avevano osservato che il Sole sorgeva nei vari periodi dell’anno in punti del cielo via via diversi e che dopo un anno, cioè dopo circa 360 giorni, il ciclo ricominciava. Essi notarono anche che la Luna riduceva le sue dimensioni giorno dopo giorno per poi ritornare a crescere ed assumere nuovamente l’aspetto di “Luna piena” dopo 30 giorni circa. Ora, 360 diviso 30 fa 12 e 12 erano appunto le costellazioni dello zodiaco, ossia i settori del cielo occupati da stelle che la fantasia degli antichi assimilava prevalentemente ad animali, entro i quali trovava sistemazione il Sole nei dodici periodi nei quali era stato diviso l’anno. L’anno in realtà non dura 360 giorni, ma 365 e 6 ore circa, né vi sono 12 “lune”, cioè 12 mesi di trenta giorni in un anno, e quindi la divisione dell’anno suggerita dai Caldei dovette essere successiva­mente corretta, ma rimase inalterata la suddivisione della circonferenza in 360 parti, chiamate «gradi». La ripartizione della circonferenza in gradi è legata quindi alla divisione della linea dell’orizzonte in 360 parti, e pertanto ha origine astronomica. Trecentosessanta però è un numero troppo grande perché esso serva come unità di misura e i Caldei preferirono, come base per una numerazione, la sua sesta parte, cioè il numero sessanta.
Una volta risolto il problema di come contare rimaneva quello di registrare i numeri, cioè di scrivere ciò che si era contato.
 
 
 
 

 

 

 
I primi simboli utilizzati per scrivere i numeri erano delle raffigurazioni schematiche dette cuneiformi, perché venivano ottenute affondando, su tavolette d’argilla, la punta di uno stilo metallico.
Essi furono introdotti dai Babilonesi circa tremila anni prima di Cristo.
 
Successivamente vennero utilizzati anche dagli Egizi, che per scrivere i numeri adottarono un sistema a base decimale.
Vi era un simbolo speciale per ogni potenza del dieci e per scrivere gli altri numeri si ricorreva ad una legge additiva che consisteva nel ripetere più volte lo stesso simbolo (al massimo però fino a nove volte, perché poi c’era un apposito simbolo per scrivere il numero superiore).
 
I Greci furono pessimi matematici, pur essendo stati ottimi geometri, tanto che la geometria che si studia oggi nelle scuole è la cosiddetta geometria euclidea, formulata dal greco Euclide circa 300 anni prima di Cristo. I greci per scrivere i numeri si avvalsero di diversi sistemi, tutti molto approssimativi e di difficile impiego. Il più diffuso utilizzava le lettere dell’alfabeto che, a quel tempo, era costituito di ventisette simboli. Il motivo per il quale i greci erano piuttosto arretrati nella scrittura dei numeri e conseguentemente nella pratica del conteggio risiede nel fatto che nella loro cultura le arti pratiche, cioè le attività di cui si occupavano i commercianti e gli artigiani, erano considerate attività di minor valore rispetto a quelle prive di fini utilitaristici come la filosofia e la poesia alle quali si dedicava la classe di­rigente. Questa specie di indifferenza o addirittura di disprezzo verso il “far di conto” si protrarrà nei Paesi d’Europa per tutto il Medioevo e, secondo alcuni, dura tutt’oggi.
 
 
 
 
 

 
 
 
 
I Romani adottarono un sistema di numerazione a base decimale i cui simboli, i cosiddetti «numeri romani», erano una modificazione dei simboli adoperati dagli Etruschi, gli antichi abitanti dell’Italia centrale, i quali si ispirarono, per la loro rappresentazione, alla forma delle mani e delle dita.
I primi tre simboli della numerazione romana rappresentano una (I), due (II) o tre (III) dita distese della mano, il cinque (V) ravvisa il disegno schematico della mano aperta e il dieci (X) potrebbe essere la rappresentazione approssimativa di due mani a­perte e congiunte, attraverso i polsi, in senso opposto.
I Romani per scrivere i numeri riuscirono ad utilizzare meno simboli dei loro predecessori in quanto si avvalsero sia dell’addizione che della sottrazione. Quando i simboli si susseguivano da sinistra a destra in ordine di valore crescente si sommavano, se invece una cifra di minor valore precedeva una di maggior valore veniva sottratta. Così, ad esempio, “XVI” significava dieci più cinque più uno, cioè sedici, mentre “IV” significava cinque meno uno, cioè quattro.
 
 
 

 

 

 

3. COME FU RISOLTO IL PROBLEMA

DEL”FAR DI CONTO”

 


Le numerazioni dell’antichità non erano molto adatte per fare calcoli, e specialmente non lo era quella romana. Immaginiamo di dover sommare il numero XVI al numero IV o peggio ancora di dover moltiplicare il primo per il secondo senza trasformarli prima nel sistema decimale. L’operazione, come è facile comprendere, risulta tecnicamente pressoché impossibile.

Gli antichi, in verità, per fare i calcoli usavano i cosiddetti «abachi», cioè tavolette divise in scomparti nei quali venivano sistemati dei sassolini che corrispondevano alle cifre di cui erano composti i numeri; essi funzionavano un poco come funzionano i pallottolieri. In ciascuno scomparto veniva sistemata una serie di sassolini a seconda delle unità, delle decine, delle centinaia e così via, di cui era composto il numero. Negli stessi scomparti, in modo coerente, venivano aggiunti i sassolini corrispondenti al numero che doveva essere sommato. Si contavano quindi tutti i sassolini presenti nel comparto delle unità e, se superavano il dieci, si lasciavano solo quelli eccedenti tale numero, mentre, nel secondo scomparto, quello delle decine, si aggiungeva un sassolino che valeva pertanto quanto dieci del primo scomparto. Si raggruppavano quindi i sassolini dello scomparto delle decine e, come nel caso precedente, se superavano il dieci, se ne toglieva appunto tale numero lasciandone il resto e si aggiungeva quindi un sassolino nello scomparto delle centinaia e così di seguito.

Successivamente, vennero introdotti dei simboli speciali per ciascun numero da 1 a 9. Con l’introduzione dei nuovi simboli che probabilmente arrivarono dall’India, e furono chiamati «numeri d’abaco», invece che sistemare negli scomparti i sassolini corrispondenti al numero che si voleva rappresentare, si piazzava direttamente il simbolo equivalente a quella cifra. In questo modo si arrivò praticamente all’introduzione del sistema moderno di numerazione.

Questo è detto posizionale perché ogni cifra di un numero ha un certo significato a seconda della posizione che occupa all’interno del numero stesso. L’adozione del sistema posizionale riduce la quantità dei simboli necessari per rappresentare i numeri. Senza questo artifizio la registrazione di un numero non sarebbe niente di più di una specie di stenografia, cioè una sequenza di simboli senza senso logico che certamente non avrebbe consentito alla matematica alcun progresso.

 

 

 

 

 

 

4. LA NASCITA DELLO… ZERO

 

Lo guardi e non lo vedi
lo ascolti e non lo senti
ma se lo adoperi è inesauribile


 

Mancava, tuttavia, per arrivare alla scrittura moderna dei numeri, un perfezionamento di non secondaria importanza: l’introduzione dello zero, una cifra alla quale nessuno, fino a quel tempo, aveva ancora pensato.

Lo zero venne introdotto, come simbolo della numerazione, dai mercanti indiani del IX secolo dopo Cristo, poiché essi si erano accorti che lasciando degli spazi vuoti, nella scrittura dei numeri, c’era il rischio di incorrere in equivoci molto seri. Due cifre, per esempio l’uno e il due, potrebbero indicare nella numerazione decimale numeri diversi, a seconda della posizione assunta dai simboli stessi. Essi potrebbero indicare, ad esempio, il numero 12, ma anche il numero 102 se rimanesse vuoto uno spazio fra le due cifre. Il pericolo maggiore di errore si sarebbe verificato tuttavia se gli spazi vuoti fossero stati quelli finali, quindi ad esempio per i numeri 120 o 1200. I mercanti indiani, che erano gente pratica che non andava troppo per il sottile, al contrario di quanto avveniva per i filosofi greci per i quali la scienza era un raffinato gioco intellettuale, introdussero, senza farsi troppi scrupoli, un simbolo specifico per indicare il vuoto. Del nuovo modo di scrivere i numeri vennero a conoscenza gli Arabi, i quali, essendo anch’essi dei mercanti, assimilarono immediatamente l’innovazione indiana, e successivamente la diffusero anche in Europa.

Come mai ci volle tanto tempo per capire che lo zero rappresentava una cifra fondamentale per la scrittura dei numeri? Il fatto è che i numeri vennero introdotti per contare gli elementi di una collezione e lo zero, all’interno di questa operazione, rappresenta il nulla, il vuoto. Era quindi difficile pensare allo zero come a qualche cosa di concreto.

Prima dell’invenzione dello zero fu introdotto, in verità, il punto per indicare lo spazio vuoto. Il punto è il simbolo visibile di più piccole dimensioni che si possa utilizzare per mostrare qualche cosa di immateriale e quindi era ciò che più si avvicinava al concetto di niente. Il punto però non rappresentava un numero, e quindi non poteva dare una risposta concreta ad un’operazione matematica del tipo, ad esempio, di due meno due.

 

 

 

Numeri Maya

 

 

 

Per la verità… molto probabilmente i primi ad adottare lo zero come numero, da un punto di vista storico-cronologico, furono invece i Maya, con il loro sistema vigesimale, cioè in base venti… ma la loro storia rimase nel chiuso delle Americhe… N.T.K.

 

 

 

 

 

F I N E

 

 

DA VARI SITI WEB – IMPAGINAZIONE T.K.

 

 

 

CIAO DA TONY KOSPAN

 

 

 

 

PER LE NOVITA'




SE IL BLOG TI PIACE


ISCRIVITI
 

L’ultima lettera di Alberto Bevilacqua ad una signora…   2 comments

 
 
 
 
 
 
 
 
Un simpatico sorridente brano…
tanto delicato nella forma quanto duro nella sostanza…
 
 
Le parole appaiono quasi sospese nell'aria…
ma insieme pungono… eccome…
 
 
 
 

 

 

 

Il noto scrittore in questo breve… etereo…

ma sarcastico ed insieme divertente brano…

ci dà un saggio del suo stile…

 

 

 

 

 

 

SCRIVENDO L'ULTIMA LETTERA


Alberto Bevilacqua
 
 
 
 


 
 
 
 
E adesso ti lascio e vorrei mettere la data,
ma non ricordo che giorno sia,
non mi ricordo più il tempo


– sapessi –


non riesco
più a vedermelo alle spalle il tempo
… perdona questa inerzia,
l'importante è che io ti abbia amata,
vero?


O almeno conosciuta,
spero,


una volta:


rispondimi al riguardo,


rassicurami.
 
 
 
 


 
 
 
 
Ciao da Tony Kospan
 
 
 
 
 

coração azulcoração azulcoração azulcoração azul
POESIE?
 INSIEME ED IN AMICIZIA?
FANTMONDOPOESIA.jpg picture by orsotony21

Perché gridiamo quando siamo arrabbiati?   Leave a comment

 

  

 

 

 

 

Un bellissimo saggio raccontino zen…

 

 

uccelli 307uccelli 307uccelli 307uccelli 307uccelli 307uccelli 307uccelli 307

 

 

PERCHE' LA GENTE GRIDA?

     

 

 

 

 

Un maestro domanda ai suoi discepoli:

“Perchè la gente grida quando è  arrabbiata?”

 

 

I discepoli pensano per un attimo e poi rispondono:


“Perché perdono la calma maestro!”

 

 

Il maestro aggiunge:

”Ma, perchè gridare se l’altra persona è proprio davanti a te?

Non sarebbe possibile parlare a bassa voce??

Perchè gridare proprio quando si è arrabbiati?”

 

 

 

I discepoli davano delle risposte

ma purtroppo non soddisfacevano il maestro.

 

Il maestro allora rispose:

“Quando due persone si arrabbiano, i loro cuori si allontanano troppo.

Per coprire questa distanza debbono gridare e così poter ascoltarsi.

Quindi… più arrabbiati si è, più si deve alzare la voce per ascoltarsi.”


 

 

 

 

Dopo il maestro fa un’altra domanda:

“Cosa succede quando 2 si innamorano??

Essi si parlano sottovoce, perchè?

Perché i loro cuori sono molto vicini
e la distanza fra di loro è piccola.

E quando si innamorano di più, cosa succede? 

Non parlano, sussurrano
e si sente ancor più vicino il loro amore.

Infine non hanno più bisogno di sussurrare,
si guardano solo negli  occhi e basta.

 

 

 

 

 

Quando discutiamo,
non permettiamo che i nostri cuori si allontanino.

 

Non diciamo parole che ci possano distanziare ancora di più,
perché un giorno la distanza sará cosí grande
che non riusciremo a trovare il cammino del ritorno…
il cammino del dialogo sereno…

 

 

 
 
 

         

 

 

CIAO… A BASSA VOCE…

 DA TONY KOSPAN 

 

 

image image image

– Dal web – impaginaz. dell’Orso per il Blog-

 
 

Felice mercoledì in poesia – Il sorriso di Neruda – arte di R. de Madrazo – canzone… e….   3 comments

 
 
 
 
 
 

Raimundo de Madrazo – La lettera
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
L'amore è la più saggia delle follie,
un'amarezza capace di soffocare,
una dolcezza capace di guarire
William Shakespeare
 
 

 
 

Raimundo de Madrazo – L'altalena
 
 
 
 
IL TUO SORRISO
Pablo Neruda
 
Toglimi il pane, se vuoi,
toglimi l'aria, ma
non togliermi il tuo sorriso.
Non togliermi la rosa,
la lancia che sgrani,
l'acqua che d'improvviso
scoppia nella tua gioia,
la repentina onda
d'argento che ti nasce.
Dura è la mia lotta e torno
con gli occhi stanchi
a volte, d'aver visto
la terra che non cambia,
ma entrando il tuo riso
sale al cielo cercandomi
ed apre per me tutte
le porte della vita.
Amor mio, nell'ora
più oscura sgrana
il tuo riso, e se d'improvviso
vedi che il mio sangue macchia
le pietre della strada,
ridi perchè il tuo riso
sarà per le mie mani
come una spada fresca.
Vicino al mare, d'autunno,
il tuo riso deve innalzare
la sua cascata di spuma,
e in primavera, amore
voglio il tuo sorriso come
il fiore che attendevo,
il fiore azzurro, la rosa
della mia patria sonora.
Riditela della notte,
del giorno, della luna,
riditela delle strade
contorte dell'isola,
riditela di questo rozzo
ragazzo che ti ama,
ma quando apro gli occhi
e quando li richiudo,
quando i miei passi vanno,
quando tornano i miei passi,
negami il pane, l'aria,
la luce, la primavera,
ma il tuo sorriso mai,
perchè io ne morirei.
 
 
 

Raimundo de Madrazo – Album dei ricordi

 
 
 

 

 

 

A TUTTI

DA ORSO TONY

 

 

 
 
 
 
 

PER LE NOVITA' DEL BLOG

SE IL BLOG TI PIACE
I S C R I V I T I

 
 

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: