Un grandissimo universale discorso di Charlie Chaplin non come attore… ma in veste di uomo che auspica la fratellanza universale.
Il grande dittatore (The Great Dictator) è un film del 1940 tutto opera di Charlie Chaplin.
E' una parodia del nazismo ed ironizza su Adolf Hitler.
Il film per diversi aspetti è considerato un'opera cult e ricevette diversi riconoscimenti.
In esso Chaplin, che in realtà è stato molto.. ma molto.. di più di un semplice comico, espone la sua profonda e sognante visione del mondo e dell'Umanità.
Chaplin con Einstein
Il sogno di Chaplin è che tutta l'Umanità riesca a liberarsi da ogni forma di sudditanza e sfruttamento e dunque che tutti possano vivere in un mondo migliore.
Consiglio di legger il testo mentre ascoltiamo il discorso di Chaplin in questo brano del mitico film… per coglierne le profonde verità… che certo ci colpiranno mente e cuore…
IL TESTO DEL MONOLOGO FINALE DA
“IL GRANDE DITTATORE”
“Mi dispiace, ma io non voglio fare l’imperatore, non è il mio mestiere. Non voglio governare, né conquistare nessuno, vorrei aiutare tutti se possibile: ebrei, ariani, uomini neri e bianchi. Tutti noi esseri umani dovremmo aiutarci sempre, dovremmo godere soltanto della felicità del prossimo, non odiarci e disprezzarci l’un l’altro.
In questo mondo c’è posto per tutti: la natura è ricca, è sufficiente per tutti noi. La vita può essere felice e magnifica, ma noi lo abbiamo dimenticato. L’avidità ha avvelenato i nostri cuori, ha precipitato il mondo nell’odio, ci ha condotti a passo d’oca fra le cose più abbiette.
Abbiamo i mezzi per spaziare, ma ci siamo chiusi in noi stessi. La macchina dell’abbondanza ci ha dato povertà, la scienza ci ha trasformati in cinici, l’abilità ci ha resi duri e cattivi. Pensiamo troppo e sentiamo poco. Più che macchinari, ci serve umanità, più che abilità, ci serve bontà e gentilezza. Senza queste qualità la vita è violenza, e tutto è perduto.
L’aviazione e la radio hanno riavvicinato le genti, la natura stessa di queste invenzioni reclama la bontà nell’uomo, reclama la fratellanza universale, l’unione dell’umanità. Perfino ora la mia voce raggiunge milioni di persone nel mondo, milioni di uomini donne e bambini disperati, vittime di un sistema che impone agli uomini di torturare e imprigionare gente innocente.
A coloro che mi odono io dico: non disperate! L’avidità che ci comanda è solamente un male passeggiero, l’amarezza di uomini che temono le vie del progresso umano.
L’odio degli uomini scompare insieme ai dittatori. E il potere che hanno tolto al popolo, ritornerà al popolo. E qualsiasi mezzo usino, la libertà non può essere soppressa.
Soldati! Non cedete a dei bruti, uomini che vi disprezzano e vi sfruttano, che vi dicono come vivere, cosa fare, cosa dire, cosa pensare! Che vi irreggimentano, vi condizionano, vi trattano come bestie! Non vi consegnate a questa gente senza un’anima! Uomini macchina, con macchine al posto del cervello e del cuore! Voi non siete macchine, non siete bestie, siete uomini! Voi avete l’amore dell’umanità nel cuore! Voi non odiate, coloro che odiano sono quelli che non hanno l’amore altrui!
Soldati! Non difendete la schiavitù, ma la libertà! Ricordate nel vangelo di San Luca è scritto: “il Regno di Dio è nel cuore dell’uomo”, non di un solo uomo, o di un gruppo di uomini, ma di tutti gli uomini! Voi, il popolo, avete la forza di creare le macchine, la forza di creare la felicità. Voi il popolo avete la forza di fare che la vita sia bella e libera, di fare di questa vita una splendida avventura. Quindi, in nome della democrazia, usiamo questa forza. Uniamoci tutti! Combattiamo per un mondo nuovo che sia migliore, che dia a tutti gli uomini lavoro, ai giovani un futuro, ai vecchi la sicurezza.
Promettendovi queste cose, dei bruti sono andati al potere. Mentivano! Non hanno mantenuto quelle promesse e mai lo faranno. I dittatori forse sono liberi, perché rendono schiavo il popolo. Allora combattiamo per mantenere quelle promesse. Combattiamo per liberare il mondo eliminando confini e barriere, eliminando l’avidità, l’odio e l’intolleranza! Combattiamo per un mondo ragionevole, un mondo in cui la scienza e il progresso diano a tutti gli uomini il benessere.
Soldati! In nome della democrazia, siate tutti uniti!
Hannah, puoi sentirmi? Dovunque tu sia abbi fiducia.
Guarda in alto, Hannah! Le nuvole si diradano, comincia a splendere il sole. Prima o poi usciremo dall’oscurità verso la luce e vivremo in un mondo nuovo, un mondo più buono, in cui gli uomini si solleveranno al di sopra della loro avidità, del loro odio della loro brutalità.
Guarda in alto, Hannah! L’animo umano troverà le sue ali e finalmente comincerà a volare, a volare sull’arcobaleno verso la luce della speranza, verso il futuro, il glorioso futuro che appartiene a te, a me, a tutti noi.
Chi sente questa vicinanza… dirò di più… fratellanza…
con tutte le creature dell'Universo…
non potrà non provare delle grandi emozioni nel leggerlo.
L’ALBERO ED IL BAMBINO
Shel Silverstein
C’era una volta un albero che amava un bambino.
Il bambino veniva a visitarlo tutti i giorni.
Raccoglieva le sue foglie con le quali intrecciava delle corone per giocare al re della foresta.
Si arrampicava sul suo tronco e dondolava attaccato ai suoi rami.
Mangiava i suoi frutti e poi, insieme, giocavano a nascondino.
Quando era stanco, il bambino si addormentava all’ombra dell’albero, mentre le fronde gli cantavano la ninna-nanna.
Il bambino amava l’albero con tutto il suo piccolo cuore.
L’albero era felice.
Ma il tempo passò e il bambino crebbe.
Ora che il bambino era grande, l’albero rimaneva spesso solo.
Un giorno il bambino venne a vedere l’albero e l’albero gli disse:
“Avvicinati, bambino mio, arrampicati sul mio tronco e fai l’altalena con i miei rami, mangia i miei frutti, gioca alla mia ombra e sii felice”.
“Voglio dei soldi. Sono troppo grande per arrampicarmi sugli alberi e per giocare“ disse il bambino.
“Io voglio comprarmi delle cose e divertirmi. Voglio dei soldi. Puoi darmi dei soldi?”
“Mi dispiace”, rispose l’albero, “ma io non ho dei soldi. Ho solo foglie e frutti. Prendi i miei frutti, bambino mio, vai a venderli in città. Così avrai dei soldi e sarai felice”.
Allora il bambino si arrampicò sull’albero, raccolse tutti i frutti e li portò via.
E l’albero fu felice.
Ma il bambino rimase molto tempo senza ritornare….
E l’albero divenne triste.
Poi un giorno il bambino tornò; l’albero tremò di gioia e disse:
“Avvicinati bambino mio, arrampicati sul mio tronco e fai l’altalena con i miei rami e sii felice”.
“Ho troppo da fare e non ho tempo di arrampicarmi sugli alberi”, rispose il bambino, “Voglio una casa che mi ripari” continuò “Voglio una moglie e voglio dei bambini, ho dunque bisogno di una casa. Puoi darmi una casa?”.
“Io non ho una casa”, disse l’albero: “La mia casa è il bosco, ma tu puoi tagliare i miei rami e costruirti una casa. Allora sarai felice”.
Il bambino tagliò tutti i rami e li portò via per costruirsi una casa.
E l’albero fu felice.
Per molto tempo il bambino non venne.
Quando tornò, l’albero era così felice che riusciva a mala pena a parlare.
“Avvicinati, bambino mio” mormorò “vieni a giocare”.
“Sono troppo vecchio e troppo triste per giocare” disse il bambino.
“Voglio una barca per fuggire lontano di qui. Tu puoi darmi una barca?”.
“Taglia il mio tronco e fatti una barca”, disse l’albero: “Così potrai andartene ed essere felice”.
Allora il bambino tagliò il tronco e si fece una barca per fuggire.
E l’albero fu felice… ma non del tutto.
Molto tempo dopo, il bambino tornò ancora.
“Mi dispiace, bambino mio”, disse l’albero “ma non mi resta più niente da donarti… Non ho più frutti”.
“I miei denti sono troppo deboli per dei frutti” disse il bambino.
“Non ho più rami”, continuò l’albero “non puoi più dondolarti”.
“Sono troppo vecchio per dondolarmi sui rami” disse il bambino.
“Non ho più tronco”, disse l’albero. “Non puoi più arrampicarti”.
“Sono troppo stanco per arrampicarmi” disse il bambino.
“Sono desolato” sospirò l’albero. “Vorrei tanto donarti qualcosa….ma non ho più niente. Sono solo un vecchio ceppo. Mi rincresce tanto….”.
“Non ho più bisogno di molto, ormai”, disse il bambino. “Solo un posticino tranquillo per sedermi e riposarmi. Mi sento molto stanco”.
“Ebbene”, disse l’albero, raddrizzandosi quanto poteva “ebbene, un vecchio ceppo è quel che ci vuole per sedersi e riposarsi. Avvicinati, bambino mio, siediti. Siediti e riposati”.
James Douglas “Jim” Morrison (Melbourne, Florida, 8 dicembre 1943 – Parigi, 3 luglio 1971)
JIM MORRISON – LA LEGGENDA
Avrà sbagliato molto, in vita sua, Jim Morrison, ma non a immaginare cosa sarebbe stato del suo ricordo.
Il cantante e leader dei Doors, quando era ancora in vita, era più di un musicista rock in un’epoca in cui rock era ancora vivo.
Poeta, appassionato di letteratura (dalla beat generation ai poeti maledetti francesi,) cinefilo e film maker (alla scuola di cinema dell’Ucla aveva conosciuto l’altro fondatore dei Doors, Ray Manzarek), Morrison al momento della sua fine era già un’icona per una generazione che nel «maledetto» fuggito dalla Florida in California identificava il proprio lato oscuro e inquieto.
Il corpo di Jim Morrison ha cominciato a diventare cenere il 3 luglio di 38 anni fa, in un albergo di Parigi.
La sua morte, con cause rimaste oscure, coincide con l’inizio della leggenda.
Anzi, delle leggende, compresa quella che lo vuole ancora vivo, sotto falso nome, dopo aver organizzato la macabra messinscena per sottrarsi alla pressione della popolarità e ritirarsi a scrivere poesie.
La tomba di Morrison al Père Lachaise ( da Internet)
E’ una vecchia storia: non ci si rassegna facilmente a perdere certi simboli universali.
Del resto, se «Elvis è vivo» (e qualcuno che giura di averlo visto si troverà sempre), perchè Morrison non dovrebbe esserlo? Jacques Rochard, un grafico francese che dice di averlo incontrato a Parigi nel 1980, ha scritto addirittura un libro per farlo sapere al mondo.
Lumini, candele e fiori: una cornice che forse non si sarebbe attesa un artista sempre inquieto e insoddisfatto, per il quale la trasgressione era una forma di espressione contro la cultura dominante
(gli pesò il processo per i fatti di Miami, quando si spogliò in concerto).
Quanto agli stupefacenti, non sarebbe nemmeno un particolare da citare,
tanto era diffuso in quel periodo tra tutti i musicisti e gli artisti, in particolare nell’area californiana.
A Parigi Morrison cercava una nuova vita.
Era arrivato il 12 marzo del ’71, appena terminata l’incisione di LA WOMAN, l’ultimo album dei Doors.
E mentre la mente musicale del gruppo, Ray Manzarek, era ancora impegnato nei missaggi, Jim e Pamela (la sua “compagna cosmica” cominciava la loro ricerca di nuove contaminazioni europee.
Via la barba, una vita da turista colto, frequentazioni con intellettuali come l’amica regista Agnès Varda, giornate ai cafè e ai musei, serate di cinema e conversazioni.
Tutto potrebbe andare al meglio: la sua raccolta di poesie “The Lords And The New Creatures” è un successo, “La Woman”, appena uscito, pure.
Ma quando arriva l’estate a Parigi, il suo umore è cambiato e l’entusiasmo ha lasciato il posto alla depressione e all’isolamento.
Muore a 27 anni il 3 luglio del 1971.
Pochi mesi prima, tra settembre e ottobre del 1970, se ne erano giù andati altri compagni di viaggio:
Jimi Hendrix e, subito dopo, Janis Joplin.
Circostanze simili e vite, anche le loro, all’estremo.
Poche persone per l’addio di Morrison: la notizia non fa immediatamente il giro del mondo come sarebbe successo poi per Elvis e come accadrà, nove anni dopo, per Lennon.
Ma i fan, in fondo, sapevano già, fin dall’inizio.
Riascoltano “The Doors”, uscito nel 1967, già premonitore di una non bella fine… nella sua canzone: This is the end, beautiful friend. This is the end, my only friend…
Il referto parla di un edema polmonare nella notte, probabilmente causato dall’effetto combinato di eroina e alcol.
Pamela morirà di overdose tre anni dopo.
This is the end, my only friend, the end….
Questa è la fine,mio unico amico, la fine…
TESTO CON QUALCHE MODIFICA… DAL WEB – IMPAGINAZ. TONY KOSPAN
I fatti (reali) si svolgono nel mondo (virtuale) di Maple Story, un gioco di ruolo molto diffuso in Giappone.
Una donna di 43 anni conosce (virtualmente), un uomo (reale), se ne innamora (virtualmente) e nel gioco si sposano. Quando lui (reale) la lascia, lei gli uccide il personaggio (virtuale).
Arrestata, rischia l’equivalente di 5000 mila euro di multa e fino a 5 anni di prigione per “accesso non autorizzato a un computer” (per uccidere l’avatar è entrata nel gioco usando il login dell’ex-marito).
E’ stata fortunata che in Giappone non è in vigore la pena capitale per i… mouse.
(Fonte: Zeus News)
II
Un efferato delitto…
Mi aveva imposto il divorzio senza neanche una parola di avvertimento”: è ancora arrabbiata la maestra di piano di 43 anni, giapponese, mentre racconta alla polizia come sono andate le cose.
E cioè che la improvvisa separazione decisa dal suo marito online
– badate bene, il matrimonio era valido solo nel mondo virtuale di Maple Story –
l’ha fatta andare fuori di testa.
Al punto che ha aspettato che l’ex compagno, un impiegato di 33 anni, facesse logout dal gioco di massa coreano che sta facendo impazzire, letteralmente, il Giappone
(ma non solo: dal 2003 anche migliaia di italiani ci hanno o ci stanno giocando).
Allora è subito è entrata nel mondo 2D fatto di mostri ed entra in contatto virtuale con l’uomo.
E lì ha compiuto l’”orrendo delitto”:
nei panni dell’avatar dell’ex marito ha compiuto nientemeno che un suicidio.
Virtuale.
Che però ora le può costare nel mondo reale fino a 5 anni di galera e una multa da 5 mila dollari per il furto di identità virtuale.
(Fonte: WEB)
Storie davvero incredibili ma il rischio che cose del genere accadano sempre più di frequente… è reale… realissimo e vicino… vicinissimo… in questa ed in tante altre forme…
Sono storie capaci di farci riflettere… sul nostro mondo web… mondo che ci può assorbire al punto anche di farci perder di vista la realtà…
Bisogna somigliarsi per comprendersi, ma bisogna essere diversi per amarsi. Paul Bourget
Pan e Psiche – Edward Burnes-Jones – 1872-74
RIOTTOSA AD OGNI TIPO D'AMORE Alda Merini
Riottosa a ogni tipo di amore sei entrato tu a invadere il mio silenzio e non so dove tu abbia visto le mie carni per desiderarle tanto. E non so perché tu abbia avuto il mio corpo per poi andartene con il grido dell'ultima morte. Se mi avessi strappato il cuore o tolto l'unico arto che mi fa male o scollato le mie giunture non avrei sofferto tanto