Presi le briglie, andai in giro a cavallo dell’alba; penetrai, candido, nella vita. Come mi guardavano, folli, i fiori del mio sogno, tendendo le braccia alla luna!
In una sperduta isba della steppa russa viveva un’abbastanza numerosa famiglia: il vecchio padre, due figli sposati con le relative spose, un terzo figlio, scapolo.
Tanto erano intelligenti i due figli maggiori, quanto sciocco e fannullone il terzo.
Infatti se ne stava tutto il giorno seduto in cima alla grande stufa di terracotta, occupato a sgranocchiar nocciole. Faceva spallucce se gli chiedevano aiuto per qualche lavoro in casa o fuori. – Va’ a prendere acqua al fiume – gli ordinarono un giorno le cognate, seccate di dover sempre far tutto loro. – I tuoi fratelli sono andati al mercato a far compere, chissà che non abbiano qualche regalino per te se ti comporti bene. Emelja – questo il nome del pigro ragazzo – scese a malincuore dalla stufa e andò al fiume. Non faceva molto freddo, ma l’acqua era già ghiacciata. Emelja praticò una buca nel ghiaccio ed ecco affacciarsi all’apertura un bel luccio, grosso pesce voracissimo. Svelto, come non mai, il giovane l’afferrò, pensando alla buona zuppa di pesce che le cognate avrebbero preparato. Ma il luccio parlò con voce umana: – Ti prego, lasciami andare, in compenso esaudirò qualche tuo desiderio. – Temo che tu abbia a ingannarmi – rispose Emelja. – Dammi una prova del tuo potere. Ora riempio i miei secchi di acqua, fammi vedere se gli stessi vanno a casa da soli.. . D’accordo, riempi i secchi e poi ripeti con me: “Per volontà del luccio e per mio desiderio andate a casa a portare l’acqua”. Emelja non aveva finito di pronunciare queste parole che già i due secchi si erano avviati. L’indomani, visto che Emelja pareva ben disposto, le donne lo pregarono di andar nel bosco a spaccare legna. Il giovane non fece una piega, si limitò a comandare: “Accetta, per volontà del luccio e per mio desiderio, và nel bosco e spacca legna”. L’accetta sgusciò di sotto la panca, prese la porta e si avviò. Non passò molto tempo e la legna arrivò in casa da sola, qualche pezzo saltò addiritturta nella stufa. Qualche tempo dopo le cognate dissero che sarebbe stata buona cosa preparare in casa una buona scorta di legna. Presto sarebbe arrivato il grande freddo ed era meglio esser previdenti. Emelja si accomodò sulla slitta senza bisogno di cavalli, per volere del luccio e suo, lanciò la slitta a corsa pazza nel bosco, attraversò il paese mandando a gambe levate gli incauti passanti che non si scansavano in tempo. Nel bosco l’accetta lavorò a tagliare dagli alberi i rami secchi, che, da soli, si radunavano sulla slitta, già raccolti in fascine. Quando la slitta fu carica, Emelja ordinò all’accetta di tagliargli un bel bastone. Sulla via del ritorno, Emelja era atteso dai compaesani inferociti, desiderosi di punirlo per quei ruzzoloni indesiderati. Ma purtroppo il bastone attaccò una danza selvaggia sui gropponi dei malcapitati. La notizia di tante prodezze arrivò alla reggia.
Lo zar ordinò a un ufficiale delle Guardie di andare a prendere Emelja e di portarglielo dinanzi. Ma il giovane rifiutò di recarsi a corte, disse che stava meglio a casa sua, seduto al calduccio della stufa. Lo zar mandò allora un cortigiano. Questo, esperto uomo di mondo, si presentò a casa di Emelja con un vassoio di dolci: parlò prima con le cognate e poi col giovane: – Il nostro sovrano vuole donarti un abito rosso, un cappello e un paio di stivali. Allora Emelja ordinò alla stufa di recarsi alla reggia.
Per poco lo zar non svenne quando lo strano veicolo entrò nella sala del trono. In quel momento s’affacciò alla porta la figlia dello zar ed Emelja, folgorato dalla bellezza della fanciulla – cadde in ginocchio dinanzi a lei. Giurò a se stesso che l’avrebbe sposata.
Ma la principessa gli voltò le spalle senza degnarlo di un saluto. Emelja ricorse al potere del suo amico luccio: desiderò che la bella principessa si innamorasse di lui. Cosa che puntualmente avvenne: la giovane si sentò ardere d’amore per Emelja e chiese al padre il permesso di sposarlo. Mai più lo zar avrebbe acconsentito! Aver per genero uno zoticone simile!
Ordinò al suo astuto cortigiano: – Riportami qui vivo o morto quel fannullone, lo farò sparire. Il cortigiano si recò alla casa di Emelja portando in dono un orcio di vino dolce e tanto ne fece bere al giovane che alla fine quello cadde in un sonno profondo, così poté farlo portare alla reggia dalle sue guardie. Alla reggia era già stata preparata una grande botte ed Emelja vi fu chiuso dentro, solo che la principessa, venuta per caso a conoscenza del progetto paterno, volle condividere la sorte riservata al giovane di cui era innamorata. Entrò anche lei nella botte, senza che alcuno se ne accorgesse. A notte fonda la botte venne sigillata e gettata in mare. Quando Emelja si svegliò, la principessa gli spiegò ciò che era avvenuto.
E allora bastarono le poche arcinote parole magiche perché la botte approdasse a riva. Ma quel tratto di spiaggia era deserto: – Dove abiteremo, Emelja? Costruisci almeno una capanna. Emelja borbottò le solite parole e non una capanna apparve, bensì un bellissimo palazzo. – Ora non hai proprio più niente da chiedere al tuo luccio – sorrise la principessa. – Cioè, sì, un’ultima cosa: un’oncia di bellezza e due di intelligenza, per te, amore mio. E così fu che Emelja divenne un bel giovane e quel che più conta intelligente. Qualche tempo dopo lo zar, inconsolabile per la misteriosa sparizione di sua figlia, andando a caccia, passò da quelle parti e si meravigliò nel vedere il palazzo mai esistito prima. Emelja lo accolse con grande signorilità. – Ma chi siete, bel giovane? – domandò lo zar, incuriosito. – Sono Emelja, non ricordate, Maestà? In quel momento comparve la principessa: – Padre mio! – e i due furono l’uno nelle braccia dell’altra. Le nozze furono celebrate qualche giorno dopo con grande solennità.
Come è noto questa è la festa più controversa di tutte e ci sono accanite schiere di favorevoli e contrari…
Esaminerò i lati positivi e negativi… secondo le opposte visioni… cercando il massimo di obiettività… ma alla fine esprimerò comunque il mio pensiero.
PRO
– Ci sarebbero vaghe… lontane origini contadine europee
– Piace ai bambini
– Aiuta l’economia… consentendo alle aziende di produrre e vendere di più
– Aiuta a superare la paura della morte
– Bisogna viverla solo come un gioco… ed è una festa come tante altre
CONTRO
– Festa solo di importazione.. nata in piccole zone nordamericane.
– E’ caratterizzata soprattutto dall’esaltazione di un horror più o meno finto anche se edulcorato da giocose modalità infantili… tipo “Dolcetto scherzetto etc…”
– Festa lontanissima dalle nostre tradizioni.
– Festa senza alcun significato reale… e solo consumistica.
– Alcuni fanatici di Halloween vanno a caccia dei gatti neri per sacrificarli perché amici delle streghe… (Quando venivano bruciate le streghe si bruciavano anche i gatti neri).
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– Con la scusa di Halloween poi molti si abbandonano a comportamenti folli… pericolosi… vietati… vandalici… come ci dice la cronaca… al punto che alcuni comuni vietano i mascheramenti… ed ogni anno la cronaca nera ci racconta di spiacevoli episodi.
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– Il culto dei morti viene trasformato in una carnevalata…
– Per i cattolici infine con i giochi ed i riti finto-satanici (ma ahimé alcuni gruppi li fanno davvero) si aprirebbe la porta al Demonio
Infine ecco la definizione di Wikipedia:
“Halloween è una festività di origine celtica celebrata la notte del 31 ottobre che nel secolo XX ha assunto negli Stati Unitile forme accentuatamente macabre e commerciali con cui è divenuta nota”
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IL MIO PENSIERO
Certo è una festa dalle modalità molto lontane dalle nostre idee e dalle nostre tradizioni… (ma che la globalizzazione ha portato in giro per il mondo) e le sue origini appaiono consistere in una deformazione celtica della nostra festa del 1° Novembre (Ognissanti).
Però chi vuole festeggiare lo faccia pure… ma auspicabilmente solo in modo giocoso… e sereno… e si diverta pure… ed anche alla grande… con pipistrelli… zucche vuote… (ce ne sono tante in giro in tutti i settori) e streghe varie… ma senza darle stupidissimi significati satanici e stia lontano da comportamenti pericolosi per sé e per gli altri… (e lasci in pace i gatti)..
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E VOI COSA NE PENSATE?
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Concludo dunque augurando… buona festa (a chi festeggia)
e buona e serena serata-notte del 31 ottobre… a tutti gli altri.
La pianta “Bella di notte” è un cespuglio erbaceo con
fiori che non hanno calice ma sono costituiti da una corolla,
che può essere di vari colori (giallo, rosso, rosa, bianco).
E' famosa per una sua originale caratteristica.
Spesso al sole i fiori si chiudono in tutto o in parte
per poi ritornare aperti e vigorosi al tramonto
e durante la notte.
Da ciò il suo nome.
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LA BELLA DI NOTTE
LA PIANTA… UNA POESIA ED UNA LEGGENDA
BELLA DI NOTTE
Arousal
Al calar dell’imbrunire
guardati intorno
ogni fiore va a dormire
ma per te inizia il giorno.
Sei nata dalla Luna
per realizzare un sogno
il popolo della notte
di te ha bisogno.
Con i tuoi teneri profumi
allieti le notti di veglia
richiamando quei piccoli lumi
al tocco di una ciglia.
(poesia dal sito – Fiori di pensiero)
LA LEGGENDA DELLE BELLE DI NOTTE
Monica Eleonora Lapenta
Si perde nella notte dei tempi la leggenda del fiore più bello.
Il fiore che allieta le notti di tutti gli uomini insonni perché li attende sveglio d’estate quando non riescono a prendere sonno: le belle di notte.
Una notte, tanto tempo fa, un pianto lungo e sommesso si aggiungeva ai rumori dell’oscurità. Questo pianto si ripeté a lungo, finché la Luna decise di trovarne la fonte. A lungo girò intorno a tutto il pianeta e, quando aveva ormai perso del tutto le speranze, lo scorse. Un piccolo punto luminoso: era da lì che proveniva il pianto. La Luna scese dal suo cocchio e si avvicinò. Accanto ad un pozzo, ai margini del bosco, era seduta una lucciola. “Chi sei tu? E perché rattristi con il tuo pianto tutte le mie stelle? “ chiese la Luna. La lucciola spaventata alzò gli occhi e rimase stupita nel vedere il suo interlocutore. Allora disse: “Deve scusarmi, signora Luna, non volevo mettere tristezza alle sue stelle!” “Io sono Lumil, il principe delle lucciole!” “Perché piangi principe Lumil?” chiese la luna. “Si avvicina la primavera e il mio popolo comincerà a vagare per i prati e i giardini, per illuminare le calde notti” disse Lumil “Ma noi non troveremo nessuna corolla dischiusa ad attenderci. Solo tanto verde!” “E qual è il problema? “ chiese la Luna. “Il tuo popolo, da quando è stato creato, è sempre stato il popolo della notte! Voi avete un ruolo importante: dovete illuminare, come me e le stelle, le notti degli alberi”. “E questo compito ci onora !” rispose Lumil. “Ma, vede signora Luna, c’è un sogno che ogni lucciola ha da quando nasce: io questo sogno lo faccio da sempre!” “E qual è questo sogno?” chiese la Luna. “Uscire dalla nostra casa, volare in un prato e trovare, almeno per una volta, un fiore che ci attenda e poterci posare sui suoi petali!” esclamò Lumil. “Ma è un sogno, e solo un sogno rimarrà. Buona notte signora Luna e mi perdoni se l’ho disturbata”. E così dicendo Lumil volò via. La Luna ritornò in cielo, ma non riusciva a smettere di pensare a Lumil e al sogno delle lucciole. Le notti passavano e il pianto di Lumil le riempiva, ma all’improvviso il pianto cessò. Sirio, una delle stelle, andò dalla luna e le disse: “Mamma ascolta!”e la invitò a tendere l’orecchio. “Cosa devo ascoltare?”chiese la Luna. “Il principe triste! Questa notte il suo pianto non si sente.” rispose Sirio. “E’ vero ! esclamò la Luna . Non odo il suo lamento!” “E se gli fosse accaduto qualcosa?” aggiunse Sirio molto preoccupata. “Ti prego mamma va a vedere!” E cosi fu. La Luna salì sul suo cocchio e andò in cerca del pozzo presso il quale aveva incontrato Lumil per la prima volta. Quando lo ebbe trovato, si fermò e si avvicinò. Ferme, vicino al pozzo, trovò tante lucciole e ad una di loro chiese: “Cosa accade?”la risposta la rattristò. “Il nostro principe si è ammalato. Era molto triste perché sapeva che i suoi giorni stavano finendo, e che non sarebbe mai riuscito a realizzare il sogno del suo popolo. E il dispiacere lo ha consumato.” La Luna rimase lì ferma ad attendere di poter vedere il principe Lumil. Quando la vide il principe disse: “Signora Luna, come mai è ritornata? Io non ho pianto questa notte!” “Ero preoccupata per te, ragazzo mio e volevo assicurarmi che tu stessi bene!” rispose la Luna dolcemente. “Non deve preoccuparsi per me. Il mio tempo ormai è finito. Raggiungerò i miei antenati con un unico rimpianto: non aver potuto realizzare il sogno del mio popolo. Spero che il prossimo principe ci riesca!” Le forze stavano abbandonando il principe delle lucciole. Tutto il suo popolo era preso da grande tristezza. L’amore che le lucciole dimostravano al loro principe e la dolcezza di Lumil colpirono al cuore la Luna. “Lumil la tua luce si spegnerà presto, questo io non posso evitarlo, ma – disse la Luna – andrai via sapendo di aver realizzato il sogno del tuo popolo. Guarda……..” La Luna si strappò una ciglia, la prese tra le mani e la posò in terra di fianco a Lumil. Come d’incanto dalla terra cominciarono a spuntare foglie. Le foglie presero a germogliare, d’improvviso una gemma si schiuse e fece capolino un bel fiore giallo e fucsia. “Ecco Lumil!Questo sarà il fiore delle lucciole, per sempre, e si chiamerà come te: Lumil, che nella lingua delle lucciole significa colui che rende bella la notte!” Lumil pianse di gioia e disse: “Grazie o luminosa Luna, sarà bella di notte per il mio popolo!” E con tutta la forza che gli rimaneva, accese la sua lucina e volò sul suo fiore. E lì si spense felice. Da quella notte, tante volte la Luna si è levata in cielo, ma ancora oggi quando, nelle notti d’estate guarda i prati, sorride. Ogni notte le lucciole raggiungono le belle di notte che si schiudono solo per loro e c’è soltanto una pianta, la più bella, che non permette a nessuna lucciola di sedersi sui suoi petali e illuminarla: è la pianta nata vicino al pozzo ed è la sola che non ha bisogno di luce perché nei suoi fiori vive Lumil.