Un bellissimo saggio raccontino zen…
ERCHE' LA GENTE GRIDA? ![]()
Un maestro domanda ai suoi discepoli:
“Perché la gente grida quando è arrabbiata?”
I discepoli pensano per un attimo e poi rispondono: “Perché perdono la calma maestro!”
Il maestro aggiunge:
”Ma, perché gridare se l’altra persona è proprio davanti a te? Non sarebbe possibile parlare a bassa voce?? Perché gridare proprio quando si è arrabbiati?” . . .
. . . I discepoli davano delle risposte ma purtroppo non soddisfacevano il maestro.
.. . . . Quando discutiamo, facciamo in modo che i nostri cuori non si allontanino. Non diciamo parole che ci possano distanziare ancora di più, . .
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CIAO… A BASSA VOCE…
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Archivio per 4 settembre 2012
ECCO PERCHE’ GRIDIAMO… – RACCONTINO DI SAGGEZZA Leave a comment
LA FANTASTICA E SORPRENDENTE STORIA DEI NUMERI Leave a comment
1. NOI ED… I NUMERI…
Questo convincimento poggia anche sul fatto che sono esistiti in passato ed esistono anche attualmente, presso alcune popolazioni, conteggi e registrazioni dei numeri basati sulle dita di una sola mano (sistema di numerazione «quinario»), o sulle venti dita complessive delle mani e dei piedi (sistema di numerazione «vigesimale»).
La numerazione celtica, ad esempio, era una numerazione a base venti e i francesi, nella loro lingua, conservano il ricordo del modo di indicare i numeri di quell’antica popolazione: per dire ad esempio ottanta, i francesi dicono quatre-vings, cioè quattro volte venti.
Esistono anche delle basi di numerazione che non derivano dall’anatomia del nostro corpo, ma dall’astronomia, come le numerazioni per dozzine o per sessantine, che si usano ad esempio quando si conteggia il tempo, dove, come tutti sanno, sessanta secondi sono un minuto e sessanta minuti sono un’ora e dove un giorno consta di ventiquattro ore ed un anno di dodici mesi.
3. COME FU RISOLTO IL PROBLEMA
DEL”FAR DI CONTO”
Le numerazioni dell’antichità non erano molto adatte per fare calcoli, e specialmente non lo era quella romana. Immaginiamo di dover sommare il numero XVI al numero IV o peggio ancora di dover moltiplicare il primo per il secondo senza trasformarli prima nel sistema decimale. L’operazione, come è facile comprendere, risulta tecnicamente pressoché impossibile.
Gli antichi, in verità, per fare i calcoli usavano i cosiddetti «abachi», cioè tavolette divise in scomparti nei quali venivano sistemati dei sassolini che corrispondevano alle cifre di cui erano composti i numeri; essi funzionavano un poco come funzionano i pallottolieri. In ciascuno scomparto veniva sistemata una serie di sassolini a seconda delle unità, delle decine, delle centinaia e così via, di cui era composto il numero. Negli stessi scomparti, in modo coerente, venivano aggiunti i sassolini corrispondenti al numero che doveva essere sommato. Si contavano quindi tutti i sassolini presenti nel comparto delle unità e, se superavano il dieci, si lasciavano solo quelli eccedenti tale numero, mentre, nel secondo scomparto, quello delle decine, si aggiungeva un sassolino che valeva pertanto quanto dieci del primo scomparto. Si raggruppavano quindi i sassolini dello scomparto delle decine e, come nel caso precedente, se superavano il dieci, se ne toglieva appunto tale numero lasciandone il resto e si aggiungeva quindi un sassolino nello scomparto delle centinaia e così di seguito.
Successivamente, vennero introdotti dei simboli speciali per ciascun numero da 1 a 9. Con l’introduzione dei nuovi simboli che probabilmente arrivarono dall’India, e furono chiamati «numeri d’abaco», invece che sistemare negli scomparti i sassolini corrispondenti al numero che si voleva rappresentare, si piazzava direttamente il simbolo equivalente a quella cifra. In questo modo si arrivò praticamente all’introduzione del sistema moderno di numerazione.
Questo è detto posizionale perché ogni cifra di un numero ha un certo significato a seconda della posizione che occupa all’interno del numero stesso. L’adozione del sistema posizionale riduce la quantità dei simboli necessari per rappresentare i numeri. Senza questo artifizio la registrazione di un numero non sarebbe niente di più di una specie di stenografia, cioè una sequenza di simboli senza senso logico che certamente non avrebbe consentito alla matematica alcun progresso.
4. LA NASCITA DELLO… ZERO
Lo guardi e non lo vedi
lo ascolti e non lo senti
ma se lo adoperi è inesauribile
Mancava, tuttavia, per arrivare alla scrittura moderna dei numeri, un perfezionamento di non secondaria importanza: l’introduzione dello zero, una cifra alla quale nessuno, fino a quel tempo, aveva ancora pensato.
Lo zero venne introdotto, come simbolo della numerazione, dai mercanti indiani del IX secolo dopo Cristo, poiché essi si erano accorti che lasciando degli spazi vuoti, nella scrittura dei numeri, c’era il rischio di incorrere in equivoci molto seri. Due cifre, per esempio l’uno e il due, potrebbero indicare nella numerazione decimale numeri diversi, a seconda della posizione assunta dai simboli stessi. Essi potrebbero indicare, ad esempio, il numero 12, ma anche il numero 102 se rimanesse vuoto uno spazio fra le due cifre. Il pericolo maggiore di errore si sarebbe verificato tuttavia se gli spazi vuoti fossero stati quelli finali, quindi ad esempio per i numeri 120 o 1200. I mercanti indiani, che erano gente pratica che non andava troppo per il sottile, al contrario di quanto avveniva per i filosofi greci per i quali la scienza era un raffinato gioco intellettuale, introdussero, senza farsi troppi scrupoli, un simbolo specifico per indicare il vuoto. Del nuovo modo di scrivere i numeri vennero a conoscenza gli Arabi, i quali, essendo anch’essi dei mercanti, assimilarono immediatamente l’innovazione indiana, e successivamente la diffusero anche in Europa.
Come mai ci volle tanto tempo per capire che lo zero rappresentava una cifra fondamentale per la scrittura dei numeri? Il fatto è che i numeri vennero introdotti per contare gli elementi di una collezione e lo zero, all’interno di questa operazione, rappresenta il nulla, il vuoto. Era quindi difficile pensare allo zero come a qualche cosa di concreto.
Prima dell’invenzione dello zero fu introdotto, in verità, il punto per indicare lo spazio vuoto. Il punto è il simbolo visibile di più piccole dimensioni che si possa utilizzare per mostrare qualche cosa di immateriale e quindi era ciò che più si avvicinava al concetto di niente. Il punto però non rappresentava un numero, e quindi non poteva dare una risposta concreta ad un’operazione matematica del tipo, ad esempio, di due meno due.
Per la verità… molto probabilmente i primi ad adottare lo zero come numero, da un punto di vista storico-cronologico, furono invece i Maya, con il loro sistema vigesimale, cioè in base venti… ma la loro storia rimase nel chiuso delle Americhe… N.T.K.
F I N E
DA VARI SITI WEB – IMPAGINAZIONE T.K.
CIAO DA TONY KOSPAN
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LE QUATTRO STREGHE – RACCONTO NAVAJO 2 comments
LE QUATTRO STREGHE
Racconto Navajo



LE QUATTRO STREGHE
Il Distruttore, figlio del dio Sole, si mise in cerca un giorno di quattro streghe, perché voleva ucciderle.
La prima che incontrò tremava e si torceva al suo cospetto, però non di paura. Freddo era il suo nome. “Se tu mi uccidi” disse “il caldo regnerà e il grano non potrà crescere senz’acqua che lo bagni.”
Il Distruttore disse: “Vecchia hai ragione, io non ti ucciderò”.
Fame era la seconda, ella così parlò: “Se tu mi uccidi il cibo verrà a noia alla tua gente”. Ed egli disse: “E vero, la gioia di ogni festa sparirebbe con te. Io non ti ucciderò”.
La terza era Povertà. “Uccidimi” ella disse sono così infelice! Però sappi che morta io mai più i vestiti potranno consumarsi e la tua gente non avrà più il sapore delle cose nuove.
Ed egli disse: “è vero, la mia gente gode degli abiti nuovi. Non ti ucciderò”.
L’ultima strega, la più vecchia e curva, disse: “Se tu mi uccidi, la Gente non morirà mai più, né nuovi bambini nasceranno, al mondo sarà un popolo di vecchi.
Lasciami andare e la Gente crescerà, giovani forti prenderanno il posto dei vecchi che prenderò per mano.Sono la Morte, amica non compresa della Gente.”
“Nemmeno te posso uccidere” concluse il Distruttore.
E’ così che Morte, Miseria, Fame e Freddo, vivono tra di noi.
Il figlio del Sole, tornato dal suo viaggio, spiegò a tutti quanti queste cose.
tratto da: “49 canti degli Indiani d’America” Ed. Mondadori
LE QUATTRO STREGHE racconto Navajo
– Impaginazione T. K. –
CIAO DA TONY KOSPAN

IN PENA PER UN CIELO INFRANTO – P. ELUARD – FELICE MARTEDI’ IN POESIA ARTE E… 2 comments

c’è un luogo.
Incontriamoci là..
Rumi



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Pierre Carrier-Belleuse – Alla finestra
IN PENA PER UN CIELO INFRANTO
Paul Eluard
In pena per un cielo infranto
per la pioggia che ci bagnerà
vado pensando alla gioia grande
che se vorremo ci prenderà.
Tra dovere ed inquietudine
esita questa vita rude.
(è una pena molto grande confessarlo, ora)
Qui ogni cosa odora d’erba.
Su tutto il cielo, in cielo,
il volo delle rondini
ci distrae, ci fa pensare…
Io penso una speranza quieta.







