L'INVERNO… IN POESIA… IN MUSICA…
E NON SOLO… (2011)
a cura di Tony Kospan
L’inverno… “ufficiale”… è proprio alle porte…
ma già lo sentiamo nell’aria… (e nelle ossa)…
forte e chiaro…
insieme ai profumi ed ai sapori del Natale…
Tralasciando per un attimo
gli aspetti religiosi o augurali
che imperversano in questi giorni penso sia giusto
anche salutare il prossimo arrivo della fredda stagione.
Certo è la stagione più difficile climaticamente
e molti non l'amano soprattutto per le gelide temperature
ma senza di esso non potremmo apprezzare poi…
la dolcezza della primavera ed il calore dell'estate…
Anch'esso poi ha un suo indubbio grande fascino…
per i suoi colori dalle tonalità tenui e raffinate
come il bianco della neve,
il grigio rarefatto delle nebbie
o i delicati chiarori
che le brine donano ai rami degli alberi.
Ma veniamo alle poesie sperando che quelle
che seguono possano scaldare i vostri cuori…
IL GATTO INVERNO
Gianni Rodari
Ai vetri della scuola stamattina
l'inverno strofina
la sua schiena nuvolosa
come un vecchio gatto grigio:
con la nebbia fa i giochi di prestigio,
le case fa sparire
e ricomparire;
con le zampe di neve imbianca il suolo
e per coda ha un ghiacciuolo…
Sì, signora maestra,
mi sono un po' distratto:
ma per forza, con quel gatto,
con l'inverno alla finestra
che mi ruba i pensieri
e se li porta in slitta
per allegri sentieri.
Invano io li richiamo:
si saranno impigliati
in qualche ramo spoglio;
o per dolce imbroglio,
chiotti, chiotti,
fingon d'esser merli e passerotti
LA DANZA DELLA NEVE
Ada Negri
Sui campi e sulle strade
silenziosa e lieva
volteggiando,la neve
Cade.
Danza la falda bianca
nell'ampio ciel scherzosa,
Poi sul terren si posa
Stanca.
In mille immote forme
sui tetti e sui camini,
sui cippi e sui giardini
Dorme.
Tutto d'intorno è pace;
chiuso in oblio profondo,
indifferente il mondo
tace.
ANTICO INVERNO
Salvatore Quasimodo
Desiderio delle tue mani chiare
nella penombra della fiamma:
sapevano di rovere e di rose;
di morte. Antico inverno.
cercavano il miglio di uccelli
ed erano subito di neve;
così le parole:
un po' di sole, una raggera d'angelo,
e poi la nebbia; e gli alberi,
e noi fatti d'aria al mattino.
INVERNO
Antonia Pozzi
Fili di pioppi
fili neri di nubi
sul cielo rosso
e questa prima erba
libera dalla neve
chiara
che fa pensare alla primavera
e guardare
se ad una svolta
nascano le primule.
Ma il ghiaccio inazzurra i sentieri
la nebbia addormenta i fossati
Un lento pallore devasta
i colori del cielo.
Scende la notte
nessun fiore è nato
è inverno,anima,
è inverno.
SOGNATO PER L'INVERNO – A LEI
Arthur Rimbaud
Andremo, d’inverno, in un vagoncino rosa
con tanti cuscini blu.
Sarà dolce. Un nido di baci folli
posa nei cantucci molli.
Tu chiuderai gli occhi,
per non vedere dai vetri
smorfiare l’ombre delle sere,
la plebaglia di demoni e di lupi tetri,
mostruosità arcigne e nere.
Poi la tua guancia graffiare si sentirà…
un piccolo bacio, un ragno matto,
ti correrà sul collo…
Intanto tu mi dirai:
“Cerca!”, chinando a me la testa
prenderemo tempo a scovare quella bestia
che viaggia così tanto…
Ciao dall'Orso… invernale…
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LA FOTOGRAFIA AL SERVIZIO DI UN PROGETTO:
DOCUMENTARE DAL VERO USI COSTUMI E TRADIZIONI
DEGLI INDIANI D'AMERICA

L'UNICO BIANCO CHE DAVVERO INQUADRO'
GLI INDIANI D'AMERICA
I PARTE
a cura di Tony Kospan
Edward Sheriff Curtis (1868 – 1952)
esploratore, etnologo e fotografo
E' solo grazie a lui che abbiamo una vera e precisa
documentazione della reale vita degli Indiani d'America
prima che fosse contaminata dagli usi dei bianchi.
Tra la fine dell'ottocento e l'inizio del Novecento ritrasse in mirabili immagini gli appartenenti alle varie tribù degli Indiani d'America ancora nei loro tradizionali costumi, gli oggetti del loro artigianato e i grandi spazi del paesaggio americano dove vivevano.
E' stato uno dei più grandi fotografi americani, fotografò i suoi soggetti muovendo dai deserti del South West per spingersi sino ai banchi di ghiaccio dell'Artico, registrando così, attraverso le immagini e la parola scritta i costumi e la cultura di oltre ottanta tribù.
Oggi questo ci appare quasi normale… ma se ci caliamo… nel periodo storico in cui Curtis operò… vicinissimo alle guerre tra bianchi e pellerossa… e se pensiamo quale fosse all'epoca (ahimé) la considerazione di cui godevano i Nativi americani… ci possiamo rendere conto della straordinaria importanza della sua opera.
Si tratta per me di immagini davvero molto affascinanti…
che hanno dentro… il senso e l'anima della realtà storica delle cose…
Ma non si tratta solo di documentazione storica per quanto utilissima…
Egli grazie alla grande padronanza tecnica ed alla sua arte fotografica…
riesce a penetrare il cuore degli Indiani d'America ed a donarci anche la vera atmosfera in cui essi vivevano.

Ciao da Tony Kospan…
continua…
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LA SPADA NELLA ROCCIA
– II PARTE –
L’ABBAZIA DI SAN GALGANO
(a cura di Giovanna Coleschi)

Per raggiungere l’abbazia detta di San Galgano si percorre da Siena la statale 73, una strada stretta e tortuosa in mezzo al bosco che sembra nascondere, a ogni curva, l’agguato di un gruppo di briganti. Giunti sul pianoro, ecco la famosissima abbazia di San Galgano, la celeberrima chiesa senza tetto, in stile gotico classicheggiante, dalle pareti con le tipiche volte a sesto acuto e il prato verde come pavimento. La spada, però, non è qui; è custodita nella minuscola chiesetta di Monte Siepi che sorge sulla collinetta lì accanto.
La storia di questi luoghi risale al XII secolo. Galgano era un giovane di una nobile famiglia del luogo, non certo timoroso di Dio e amante dell’avventura e della vita senza regole. Ma come vuole la leggenda, fu visitato in sogno dall’arcangelo Michele, che lo convertì. Come segno di rinuncia alla vita trascorsa fino a quel momento, Galgano conficcò la spada in una roccia, per poterne adorare l’elsa come croce di Cristo. Si racconta anche che il diavolo, tentando di smantellare quella fede divenuta così salda, inviò tre uomini per distruggere la roccia; non riuscendovi, spezzarono la spada in tre pezzi. Galgano, addolorato, si mise a pregare tentando di ricomporre l’arma che, miracolosamente, si rinsaldò. Poco tempo dopo, nel dicembre del 1181, Galgano morì.
La fama di questo cavaliere eremita, che divenne monaco cistercense crebbe tanto rapidamente che fu edificata una chiesetta intorno alla roccia con la spada. L’edificio, costruito intorno al 1185, è già di per sé una piccola meraviglia: esempio unico nell’architettura romanica senese, è a pianta circolare. Le pareti e il tetto, a forma di cupola, sono stati edificati in cerchi concentrici bianchi e rossi (cotto e travertino sono i materiali usati). Nell’oratorio adiacente si possono ammirare dei pregevoli affreschi di Ambrogio Lorenzetti, purtroppo non molto ben conservati.

L’abbazia a cielo aperto
Nel giro di pochi anni l’eremo acquistò un’enorme importanza, diventando troppo piccolo sia per i monaci sia per i moltissimi fedeli che vi affluivano. Sul pianoro sottostante, perciò, tra il 1224 e il 1228, fu costruita la grande chiesa, lunga 72 metri e larga 21, in stile gotico cistercense, con accanto il monastero. Tra il XIII e il XIV secolo l’abbazia godette di grande potenza e di splendore, poi iniziò la decadenza. Già a metà del ’500 i monaci che vi risiedevano erano solo cinque e a metà del secolo successivo ne era rimasto solo uno. La struttura restò in completo abbandono fino a che, nel 1786, crollò il campanile, travolgendo anche parte del tetto. Il luogo diventò cava di pietre e di colonne per la costruzione delle abitazioni della zona, poi, all’inizio del XX secolo, opere di manutenzione e di restauro l’hanno resa come la possiamo ammirare ancora oggi.

Celti e Cavalieri Templari
L’abbazia di San Galgano, dunque, è magica per la natura che si fonde mirabilmente con l’opera dell’uomo, ma anche per i fatti che vi sono accaduti. La storia del giovane cavaliere eremita, infatti, sembra una storia di santi come tante, ma non lo è.
Il nome del luogo dove fu costruito il primo eremo, Monte Siepi, sembra un toponimo antico, che stava a indicare un luogo elevato e chiuso, dedicato a riti pagani. I cerchi concentrici del tetto della chiesetta richiamano alla mente addirittura una simbologia celtica, utilizzata, tra l’altro anche dai cavalieri Templari che si dedicarono alla ricerca del Santo Graal.

E a questo punto, come ignorare che, nelle storie di Galgano, si narra anche che in un sogno lui avesse visto Gesù, con i dodici apostoli (anche i cavalieri della Tavola Rotonda di Artù erano dodici) intorno a una tavola rotonda? E Galgano, come nome, non somiglia forse a Galvano, cavaliere di re Artù?
Le coincidenze sembrano troppe, ma la storia di san Galgano precede solo di qualche decennio gli anni in cui sono state scritte le prime vicende del ciclo del Santo Graal. Se sia stato Galgano a ispirare il ciclo bretone di Artù o se quest’ultimo e i Templari abbiano dato la spinta inversa per creare in terra di Toscana un punto importante per la ricerca del Graal, ancora non si sa. Il luogo dove sta infissa la spada nella roccia ed il terreno della chiesetta forse nascondono ancora dei segreti.
DAL WEB – IMPAGINAZIONE T.K.
CIAO DA TONY KOSPAN
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Albayde – Alexandre Cabanel




Due sono le grandi gioie nella vita di un uomo:
la prima quando per la prima volta può dire “amo,
l'altra, ancora maggiore, quando può dire “sono amato.
C. Dossi
BELLEZZA
Antonia Pozzi
Ti do me stessa
le mie notti insonni,
i lunghi sorsi
di cielo e stelle – bevuti
sulle montagne,
la brezza dei mari percorsi
verso albe remote.
Ti do me stessa,
il sole vergine dei miei mattini
su favolose rive
tra superstiti colonne
e ulivi e spighe.
Ti do me stessa,
i meriggi
sul ciglio delle cascate,
i tramonti
ai piedi delle statue, sulle colline,
fra tronchi di cipressi animati
di nidi –
E tu accogli la mia meraviglia
di creatura,
il mio tremito di stelo
vivo nel cerchio
degli orizzonti,
piegato al vento
limpido – della bellezza:
e tu lascia ch’io guardi questi occhi
che Dio ti ha dati,
così densi di cielo
profondi come secoli di luce
inabissati al di là
delle vette.
POESIE…
UN MODO DIVERSO DI VIVERLE…
TONY KOSPAN
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