Archivio per 4 novembre 2010

FOGLIE GIALLE – TRILUSSA – MINI DELLA BUONANOTTE   2 comments

 
 
 
 

 
FOGLIE GIALLE
Trilussa
 
Ma dove ve ne andate,
povere foglie gialle
come farfalle
spensierate?
 
Venite da lontano o da vicino
da un bosco o da un giardino?

E non sentite la malinconia
del vento stesso che vi porta via?.
 
 
 
 
 
 
da Tony Kospan
 
 
 
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DISCUTERNE  INSIEME ED IN AMICIZIA? 
VIENI ANCHE TU… NEL… 
  
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Pubblicato 4 novembre 2010 da tonykospan21 in BUONANOTTE IN MINIPOESIA, Senza categoria

IL GREGGE – MIRIAM BALLERINI – RACCONTO SUBLIME   4 comments

 
 
Non ricordo più dove trovai, parecchio tempo fa, questo racconto.
 
L’autrice che frequenta il sito dell’amica Grazia – Maktea, “Casatea”,  
l’ho poi conosciuta un pò… (virtualmente)
confermandomi che si tratta di persona davvero in gamba.
 
 
 
 
Grande dunque è stata la mia sorpresa nel leggere il suo nome
quando m’è tornato tra le mani…,
(una volta forse si poteva dir così ma oggi…. nel web… non saprei),
rovistando nei miei archivi virtuali,
 questo fantastico racconto.
 
Racconto che unisce eleganza di prosa,
intrisa di realismo, emozione,  dolcezza… 
e grande tensione verso una visione positiva della vita.
 
Vi consiglio di tutto cuore di leggerlo… 
 
Tony Kospan
 
 
 
 
IL GREGGE
Miriam Ballerini
 
 

Tobia subì l’ennesimo strepito di urla della madre. Nascosto, seduto in cima alle scale, sull’ultimo gradino di legno, quello che scricchiolava meno degli altri; assisteva a un nuovo litigio dei genitori. O, forse, era sempre lo stesso che veniva ripresentato in una nuova versione.
“Non ne posso più della tua gelosia!”, gridò suo padre.
La sua voce salì per la scala a chiocciola, fino a scontrarsi coi suoi piedi imbacuccati in un paio di pantofole a forma di cane.
“E io sono stanca delle tue bugie!” Sua madre, se possibile, urlò più forte di prima.
Il bambino provò a coprirsi le orecchie con le mani, stringendo forte gli occhi, sperando in un qualche rifugio interiore, dove rintanarsi.
“Basta! Me ne vado!”
“No, caro! Non sei tu che te ne vai, sono io che ti caccio via!”
Tobia scalciò l’aria nel tentativo di rialzarsi velocemente. Rinculò fino alla sua camera, dove indossò le scarpe da ginnastica e il giubbetto che da poco si era tolto, tornando da scuola.
Dall’alto delle scale vide l’ombra di suo padre stagliata sul muro: un lungo braccio nero che si allungò per aprire la porta, poi, solo il rumore dei suoi passi sul vialetto e l’accendersi del motore dell’auto.
Tobia discese qualche gradino; sua madre piangeva in cucina, sentiva i suoi singhiozzi, nonostante cercasse di coprirne il suono lavando i piatti, sbattendoli fra loro nell’acqua saponata.
Percorse il corridoio piano; delicatamente aprì la porta e la richiuse adagio.
Aveva otto anni e il pensiero che gli si era presentato alla mente, era semplice e lineare: sottrarsi con la fuga ai litigi dei suoi genitori. Si sentiva svigorito, a furia di passare sempre più giornate ad ascoltare le loro urla, inerpicarsi sui gradini fino a raggiungerlo. Aveva paura, di un timore semplice che solo una parola sapeva racchiudere interamente: divorzio.
A scuola sentiva i discorsi degli altri bambini, figli di divorziati: prima erano le urla, poi il silenzio della divisione. E loro, i bambini, rimanevano in quella terra di mezzo – una terra di nessuno – sbatacchiati ora da un genitore, ora dall’altro. E questo quando ti andava bene: a volte, venivi affidato a mamma e, papà, non si faceva più vivo.
Senza accorgersene, Tobia camminò per le strade del paese, con le lacrime che a forza di pungergli gli occhi, avevano finito per trovare la loro via d’uscita.
Si avviò verso la campagna, passando da un sentiero che a volte percorreva con papà, quando uscivano a raccogliere more; con i guanti per non pungersi le mani e i cestini di vimini che finivano per tingersi di blu.
Superata una modesta altura, venne accolto dal latrare di alcuni cani e si ritrovò circondato da pecore, agnellini e un paio d’asini! Due pastori sedevano su dei massi, intenti a mangiarsi un panino, mentre custodivano il loro gregge. Quando i loro animali avessero ripulito a dovere quel campo, si sarebbero spostati in cerca di una nuova pastura.
Tobia si soffermò ai margini di quell’insieme bianco sporco, belante, ad osservare gli agnellini che trotterellavano intorno alle zampe degli adulti.
Trascorse così  alcune ore, divertendosi ad accarezzare la lana sporca delle pecore e quella più candida dei loro cuccioli. I quali si avvicinavano giusto il tempo per farsi accarezzare il muso rosa, e poi scappare via.
I suoi genitori, nel frattempo, si erano riconciliati, come sempre accadeva dopo le loro liti. Per il bene di Tobia, perché non c’erano davvero questi grandi motivi di contrasto. Erano la tensione, i malumori raccolti sul lavoro che andavano sfogati in qualche futile scontro; per liberarsi da quel catarro vischioso prodotto dallo stress. E poi, ancora si guardavano con negli occhi il velo dell’amore. Forse era un po’ rattoppato, logoro, ma pur sempre lì, a fungere da mantello per ripararsi l’un l’altro.
La donna scese le scale di corsa, allarmata: “Tobia non c’è!”
“Non c’è?”
“Era in camera sua a fare i compiti. Non ci sono nemmeno più le sue scarpe!”
Si guardarono, lei con le guance arrossate per la corsa, lui pallido, sbiancato dall’ angoscia.
Uscirono di casa, scordandosi di coprirsi.
Il freddo di dicembre li avvinghiò appena li ebbe fra le sue braccia.
Cominciarono a cercarlo dai vicini, nei negozi, nei bar. Fra le vie del paese agghindate con file di luci colorate e alberi di Natale, a recitare auguri con le scritte a intermittenza.
Infine, udirono dei belati giungere dalla campagna, e le voci di alcuni uomini che chiedevano aiuto. I due coniugi di precipitarono verso quei suoni, davanti ai loro occhi si presentò una scena tremenda: le pecore erano discese tutte insieme da una collina che era franata sotto al loro peso, fra rovi e alberelli. Le bestie che erano scese per prime, stavano distese a terra, schiacciate dalle altre. I pastori tentavano di allontanare il resto del gregge, per impedirgli di finire anch’essi soffocati.
Tobia corse loro incontro: “Mamma! Papà! Dobbiamo aiutarli!”
La madre lo afferrò per le spalle: “Io e te stiamo qui, è pericoloso”.
Il padre si gettò fra le ressa di animali spaventati, sbattendo le mani e urlando, per far allontanare le altre pecore.
Nonostante gli sforzi di tutte le persone accorse, e i pastori che provarono a rianimare le pecore praticando loro la respirazione bocca a bocca, per venti animali non ci fu nulla da fare.
Tobia, stretto fra i genitori, rimase lì a guardare gli agnellini che richiamavano le loro madri defunte, distese in mezzo all’erba con le zampe levate in aria.
La madre lo abbracciò stretto: “Vieni, torniamo a casa”.
“E adesso?”
Il padre si incamminò con loro, esausto, sporco. “Adesso ci penseranno i pastori. Ai piccoli rimasti orfani daranno loro il latte”.
Entrarono in casa e il padre sedette con Tobia sul primo gradino della scala. “Tesoro, perché sei scappato?”
“Litigavate”.
Il bambino volse verso di lui due occhioni pieni di lacrime: “Litigate sempre! Io non voglio che divorziate”.
La madre gli si inginocchiò accanto: “Tobia, papà e io ci vogliamo bene. Siamo un po’ nervosi, è vero, ma non abbiamo nessuna intenzione di lasciarci”.
“E di lasciare me?” pensò alle zampe di quelle povere bestie, coi piccoli zoccoli appuntiti a indicare un posto lontano del campo.
“Ma cosa dici?” Suo padre gli accarezzò i capelli. “Non pensarlo nemmeno”.
“Io e papà siamo un po’ come quei pastori che hai conosciuto oggi: per la nostra famiglia faremmo di tutto. Hai visto come hanno tentato di salvare il loro gregge? Noi faremmo lo stesso per te. Tu sei il nostro agnellino!” Sua madre lo baciò sulla fronte. “Il più bell’agnellino che abbia mai visto!”
Tobia rise fra le lacrime, tirando su col naso gli ultimi singhiozzi che ancora aveva in gola. “E tu e papà siete due pecore?”
“Bhè…io un bell’ariete, e mamma una pecora con tanta lana!”
Risero, abbracciandosi, ritrovandosi in quell’amara esperienza.

*********
Il giorno dopo degli uomini caricarono su di un camion le carcasse degli animali morti, per portarli all’inceneritore.
Il gregge, nonostante la tremenda sciagura, proseguì nel suo viaggio.
Tobia, divenuto adulto, non scordò mai quelle povere bestie morte schiacciate e l’impegno messo dai pastori per salvarle.
Divenne padre di famiglia e, un giorno, si ritrovò a raccontare questa storia ai suoi figli.
“… i miei genitori mi consolarono facendo questo esempio, da allora, ho sempre pensato alla famiglia come a un gregge: unita”.

 
 
 

Ciao da Tony Kospan

 

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TONY KOSPAN

Pubblicato 4 novembre 2010 da tonykospan21 in RACCONTI E TESTI SUBLIMI, Senza categoria

SERENA – GILDA GIULIANI – CANZONE QUASI POESIA   1 comment

 
UNA BELLA CANZONE…
QUASI… POESIA…
 
 
 
di GILDA GIULIANI
 
 
 
 
 
 
Serena, brano scritto dal maestro Gino Mescoli (Musikus),
insieme a Vito Pallavicini,  
si classifica al quinto posto della classifica finale
del Festival di sanremo del 1973.
 
Inoltre sempre al Festival riceve il premio speciale
della giuria Giorgio Berti
quale migliore interprete e cantante.
 

 
Gilda è più conosciuta ed apprezzata come cantante
molto più all’estero che in Italia…
dove sembra vogliano dimenticarla…
 
Ma lei continua a cantare… perché cantare è la sua vita.
 
Ma ora ascoltiamo questa bella canzone…
 
 
    
 
 
 
S E R E N A
  Mescoli – Pallavicini
 

La pigione della stanza da pagare,
la foschia dell’autunno sopra il mare
il saluto del mattino
era il grido di un gabbiano
troppo in alto o troppo solo, chi lo sa!

Pane e sogni tutti dentro un caffelatte,
i pudori e le paure ormai disfatte,
i tuoi inni all’amore
eran grida di dolore
ma io stavo tanto bene insieme a te

Serena, io ero serena
Serena come un cielo blu
Un fiore dentro a un bicchiere
Bastava, e poi c’eri tu

Serena, io ero serena
Poeti io e te
E il resto non contava niente,
non c’importava più

Una stanza con le tende di velluto
Il tuo sogno di riuscire si è compiuto;
il saluto del mattino
è il telefono vicino,
la tua voce che mi dice “come stai?”

” Come stai?”, che vuoi che dica che va bene
Dir che ho tutto e non ho niente non conviene
E quest’ansia di aspettare
Mi fa male, fa pensare a
Quanto stavo tanto bene insieme a te.

Serena, io ero serena
Serena come un cielo blu
Un fiore dentro a un bicchiere
Bastava, e poi c’eri tu

Serena, io ero serena
Poeti io e te
E il resto non contava niente,
non c’importava più

Serena, io ero serena…..

 

 

Ciao da Orso Tony

 

 
PSICHE E SOGNO
 il salotto culturale di fcb
arte, cinema, musica class. e moderna…
poesia racconti riflessioni… etc…
Accomodati… è casa tua…

Pubblicato 4 novembre 2010 da tonykospan21 in CANZONI POESIE, Senza categoria

IL TEMPO – UNA GRANDE POESIA ED UNA GRANDE CANZONE   2 comments

 
 
 
 
 
IL TEMPO
 
UNA GRANDE POESIA ED UNA GRANDE CANZONE
 
 

 

 

 
A proposito dello scorrere del tempo
e del rischio di sprecarlo…
ecco quella che è forse la più bella
 poesia/preghiera che esista
per il suo buon uso…  
 
La poesia è di uno scrittore
e filosofo francese del secolo scorso

 
 

 

 

 
 
 
INSEGNAMI AD USARE BENE IL TEMPO

Jean Guitton

 

Dio mio,

insegnami ad usare bene il tempo che tu mi dai

e ad impiegarlo bene, senza sciuparne.

 

Insegnami a prevedere senza tormentarmi,

insegnami a trarre profitto dagli errori passati,

senza lasciarmi prendere dagli scrupoli.

 

Insegnami ad immaginare l’avvenire

senza disperarmi che non possa essere

quale io l’immagino.

 

Insegnami a piangere sulle mie colpe

senza cadere nell’inquietudine.

 

Insegnami ad agire senza fretta,

e ad affrettarmi senza precipitazione.

 

Insegnami ad unire la fretta alla lentezza,

la serenita’ al fervore, lo zelo alla pace.

 

Aiutami quando comincio,

perche’ e’ proprio allora che io sono debole.

 

Veglia sulla mia attenzione quando lavoro,

e soprattutto riempi Tu i vuoti delle mie opere.

 

Fa’ che io ami il tempo

che tanto assomiglia alla Tua grazia

perche’ esso porta tutte le opere alla loro fine

e alla loro perfezione

senza che noi abbiamo l’impressione

di parteciparvi in qualche modo.

 

Sempre in materia di Tempo
e sempre francese è la famosissima canzone-poesia
 che segue e di cui possiamo leggere il testo originale 
di Léo Ferré
 
 Nota

 

 

CIAO DA TONY KOSPAN

 

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Se ami l’arte, il buonumore, la musica classica e moderna,
 la poesia, i racconti, la psicologia, i racconti, la storia etc…
in armonia ed amicizia… visita la pagina di
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TONY KOSPAN

Pubblicato 4 novembre 2010 da tonykospan21 in CANZONI POESIE, POESIE SUBLIMI, Senza categoria

PER NOI – MAJAKOVSKIJ – FELICE GIOVEDI’ IN POESIA E MUSICA…   Leave a comment

 

 

 

   

 

Come ti vidi mi innamorai.
E tu sorridi perché lo sai.
Arrigo Boito

 

 

     

 

PER NOI
Vladimir Majakovskij

L’amore
non è paradiso terrestre,
a noi
l’amore
annunzia ronzando
che di nuovo
è stato messo in marcia
il motore
raffreddato del cuore.

Trattenendo
me stesso,
come a un convegno,
sino all’ultimo battito del petto,
tendo l’orecchio:
l’amore riprende a ronzare,
umano,
semplice.
Fuoco,
uragano
ed acqua
s’avanzano con un sordo brontolìo.
Chi saprebbe dominarsi?
Potete?
Provateci … 
 
 
 
     
 
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TONY KOSPAN

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