
Emily Dickinson
A uno di muta meraviglia
È come l’ansia di un bimbo
La cui visuale è una collina,
Oltre la collina è magia
E ogni cosa sconosciuta,
Ma il segreto compenserà
La scalata solitaria?







SCRIVERLA… LEGGERLA… ASCOLTARLA…
E…
VIENI ANCHE TU…

IV
|
Martedì (24 marzo 1908)
Perché mi fate piangere, Guido, perché mi fate rimpiangere quel poco che v’ho dato di me?
Non dovevo venire con Voi quel giorno per soffrirne dopo, così,
per vedermi tolta anche la piccola dolcezza di sentirvi qualche volta vicino.
E così poca cosa la vita e così breve per negarci qualche poco della sua bellezza
per tormentarci volontariamente anche quella piccola parte di bene che ci concede?
Voi vi dite corazzato anzi insensibile ad ogni ferita. Io no, mio dolce Amico,
o vi voglio bene e soffro crudelmente di sentirvi tanto lontano.
Mi pare di trovarmi più sola in quest’ombra grigia di banalità che ci circonda,
sento d’aver smarrito qualche cosa di più leggero, di più chiaro, di più elevato,
l’amico che mi comprende, il fratello che sogna i miei sogni e gioisce della mia gioia,
la tenerezza che blandisce e riscalda il cuore.
Io ti saprei baciare la fronte con un sorriso sereno come si bacia un bambino.
No, noi non abbiamo ancora sepolto nulla di noi stessi.
Io sono per te come il primo giorno che ti vidi,
non sazia, né stanca, né oppressa dalla più piccola parte di te.
Sei nuovo e fresco al mio spirito come allora che m’eri ignoto.
Ogni tua parola è come una piccola luce che ti rischiara un momento
e ch’io guardo risplendere con gioia nuova ogni volta che tu parli.
E un senso strano ch’io non so dire, ma che non ho mai sentito per altri,
una malia, quasi, che è credo, una occulta profonda fraternità, un oscuro legame spirituale
che ci unisce anche nostro malgrado. Ma tu non provi questo fascino, lo so,
poiché mi respingi dopo alcune ore di comune vita, mi allontani con un gesto
che mi pare un urto di disdegno.
Forse io non sono stata con te, quel giorno, quella della tua attesa.
Il vero attributo dell’anima ![]() RIOTTOSA AD OGNI TIPO D’AMORE
Alda Merini Riottosa a ogni tipo di amore
sei entrato tu a invadere il mio silenzio e non so dove tu abbia visto le mie carni per desiderarle tanto. E non so perché tu abbia avuto il mio corpo per poi andartene con il grido dell’ultima morte. Se mi avessi strappato il cuore o tolto l’unico arto che mi fa male o scollato le mie giunture non avrei sofferto tanto
![]() ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() By Orso Tony
|
– I RIMORSI DEL GRANDE ARTISTA –
Grazie all’opera di Melania Mazzucco – LA LUNGA ATTESA DELL’ANGELO –
svelato il segreto di Marietta insieme ad un profilo inedito dell’artista
Il nuovo romanzo di Melania Mazzucco, dopo i successi di Vita e di Un giorno perfetto, si può definire a tutti gli effetti un romanzo storico: un genere che la scrittrice ha già ampiamente frequentato.
I moltissimi personaggi che vi compaiono hanno una loro attendibilità verificata sui documenti, così come gli ambienti interni e gli scenari aperti in cui essi si muovono.
La lunga attesa dell’angelo racconta la vita di Jacomo Robusti, detto il Tintoretto: una vita, che percorre buona parte del Cinquecento, narrata da lui stesso, immobile a letto nei suoi ultimi quindici giorni di febbre e di insonnia (tra il 17 e il 31 maggio 1594), con una visionarietà spesso allucinata che prende la forma di una lunga confessione al Signore («Signore» è invocazione ricorrente).
«Ho lavorato a questa storia per cinque anni, dice Melania Mazzucco, e anche l’ultimo barcaiolo di cui parlo è esistito davvero». La folla dei personaggi è sterminata: nobili, cortigiane, gioiellieri, medici, gondolieri, monache e frati, camerlenghi, attori, girovaghi, venditori ambulanti, ambasciatori, nani, ladri, pittori geniali e imbrattatele. Anonime comparse e protagonisti celebrati dalla storia. Come il duca di Mantova, Michelangelo e Tiziano, il grande rivale di Tintoretto. Prima di essere un romanzo storico, La lunga attesa dell’angelo è però un romanzo sulla paternità, perché la dorsale della narrazione è il rapporto d’amore tra un padre e una figlia (illegittima): tra l’artista e Marietta (che diverrà artista a sua volta), concepita con la giovane tedesca Cornelia, una passione segreta e infelice.
Anzi, si tratta di un romanzo su tante paternità quanti sono i figli del protagonista: quattro femmine (oltre a Marietta) e quattro maschi. Rispetto ai quali Tintoretto stabilisce una rete di relazioni diverse come sono diversissime le loro personalità e i loro caratteri.
«Una ventina d’anni fa mi sono imbattuta nella Presentazione della Vergine al Tempio, che si trova alla Madonna dell’Orto di Venezia.
La più amata è lei, fino a suscitare nel lettore un lieve sospetto di sensualità incestuosa: «Anima mia, tu sei il mio capolavoro», le dirà Tintoretto.
Poi vengono gli altri, che incarnano aspetti vari di Tintoretto, emanazioni ed enfasi di singoli aspetti del suo carattere inafferrabile, burbero, canagliesco, orgoglioso, ribelle e fedele insieme, furbo e ingenuo, dolce e amaro, impetuoso e calcolatore, eccessivo e temperato, contemplativo e materialista, ambizioso e monomaniaco (pittura, nient’altro che pittura, oltre a Marietta, certo…).
Il figlio perfetto, o quasi, è Dominico, ubbidiente fino all’autofrustrazione. Sarà lui, talentuoso quanto basta, l’erede di Tintoretto, sarà lui a dirigere lo studio, ormai avviato alla grande e centro di commissioni prestigiose.
Il figlio odiato e recuperato in extremis è Marco, fannullone, arrogante, oppiomane, incapace.
Poi ci sono le donne avviate alla vita monastica, c’è Giovanni che farà una brutta fine, eccetera: figli lasciati per lo più alle cure, più affidabili, della moglie Faustina.
Quella di Tintoretto è una paternità modernissima, venata di ambiguità e corrosa dai sensi di colpa e dalla consapevolezza postuma di essere stato un genitore assente, troppo proiettato sulla carriera e sulle curiosità di un’esistenza piena di (poche) gioie e di (molti) tormenti (bellissime le pagine strazianti che rievocano la morte dell’unico nipote).
Ma leggiamo di Marietta cosa scrive Bartolomeo Gamba in
Alcuni ritratti di donne illustri delle province veneziane
(Nota di Tony Kospan)
|
«Mi sono innamorata di questa storia», dice Melania Mazzucco. Al punto che mentre lavorava al romanzo, si è dedicata in parallelo a un «libro gemello», una biografia familiare, la cui uscita è prevista in primavera: «Spesso le opere di Tintoretto sono doppie: per esempio, accanto a un quadro esposto esternamente sulle portelle di un organo c’è un secondo quadro segreto nascosto all’interno.
Diciamo che il romanzo è lo sportello visibile della storia di Tintoretto, la monografia sarà l’altra faccia del dittico: da un lato c’è la visione e l’interpretazione libera dei fatti, dall’altra la ricerca di una verità storica». La verità storica attraversa un secolo nel romanzo, quasi due secoli nella biografia familiare, dove vengono seguite anche le vite dei discendenti.
Intanto, però, già qui appare la ricostruzione, a volte grandiosa, di ampi squarci storici saldamente tenuti sotto controllo nella narrazione: Melania Mazzucco è molto brava nel narrare le scene di massa, come il Carnevale o la Festa dei Tori a San Felice, dove Tintoretto incontra Cornelia, tra scoppi di petardi, clamore di tamburi, palchi rovesciati e boati di paura.
Il che dà il senso della visione ampia di un’epoca e di un contesto fisico e mentale: la Venezia postridentina, diffidente e violenta, centro cosmopolita del commercio e dell’arte, intrico di canali, con le sue fondamenta nebbiose, le piogge puzzolenti, le sagome di palazzi nobiliari e fatiscenti, la ragnatela delle calli.
A proposito di arte, va detto che nel romanzo corre il filo tenace dell’autoriflessione estetica, perché Tintoretto ci racconta il farsi delle sue opere, in modo tale che il lettore le possa osservare appena abbozzate e poi via via portate a compimento. «Ho voluto raccontare il rapporto con ciò che si crea. Leggendo le teorie estetiche del tempo, ho tratto parecchi insegnamenti: invenzione è dare una luce, «destacare», separare gli oggetti dallo sfondo, decidere da che distanza guardarli.
Tintoretto è un maestro dell’inquadratura, ha un modo folgorante di guardare da molto vicino. Infatti qualcuno gli rimprovera che guardando da troppo vicino i personaggi importanti che ritrae finisce per mettere a nudo i loro difetti: sono questioni che toccano anche la letteratura». Dunque, La lunga attesa dell’angelo è un romanzo che intreccia a una delicata storia intima (d’amore, si direbbe) e familiare, motivi storici e sociali (le cruente zuffe da taverna, la piaga della peste che invade la città, la prostituzione…), pensieri sull’ossessivo e mai risolto rapporto con Dio, teorie sull’arte: il tutto dosando puntualissime nozioni di vita materiale (esemplare la precisione con cui viene reso il lavoro negli studi pittorici del tempo) e impennate metaforiche, sentenziose o filosofico-edificanti. Senza dimenticare che i molteplici piani narrativi, nel riflettere a regola d’arte l’alternarsi di delirio e lucidità nella mente del narratore, producono un continuo e vertiginoso slittamento del passato nel presente e viceversa. Il che mette quasi il lettore nelle stesse condizioni febbricitanti di chi narra. Resta da dire qualcosa sullo stile, molto sostenuto (per via di metafore) nella cornice (Exitus) e nei capitoli iniziali, e poi via via più fluido con la sobria immissione di parole locali o gergali, e anche qua e là icasticamente cruento nelle zone più aspre (e molto efficaci) del racconto. È il linguaggio ondeggiante dell’animo, troppo libero e insieme troppo disperato, di un uomo che spegnendosi, dopo aver compiuto a ritroso un percorso forzato nella memoria, trova il suo angelo. Quale che sia.
Paolo Di Stefano per il Corriere della Sera – Impaginazione e ricerche Tony Kospan
Ciao da Tony Kospan
|