Archivio per 10 novembre 2008

La filosofia tace sul male   Leave a comment

 

 

 

IL SILENZIO DELLA FILOSOFIA

SUL MALE

 

Parte dell’ intervento di Sergio Givone ad UmbriaLibri 
sul  Tema 
 "In fondo al male"
 
 
 

 

Un articolo interessante… un piccolo excursus sul
   concetto di male…  attraverso i secoli
che porto all’attenzione di chi… come me…  ama anche questi temi…
e che propongo alla vostra lettura…
 
 
 

 

 

La filosofia tace sul male

 

Diceva David Foster Wallace, lo scrittore americano da poco scomparso: anche l’ aragosta "sa" il male, quanto meno lo sente. Basta prestare orecchio al rumore sordo delle chele che sbattono contro i bordi della pentola in cui è stata gettata viva. E non si dica che il suo è un sentire elementare, rozzo. Se l’ aragosta non ha le parole per dire la sofferenza che prova e il tormento che le viene inflitto, forse noi le abbiamo? Si pensi alla filosofia. Di fronte al male è stata reticente, ha balbettato. Vero è che tutte le tradizioni da cui proveniamo traboccano di riferimenti al più inquietante dei molti misteri che ci circondano. Non c’ è male che sia stato risparmiato a Giobbe. «Appena temo un male, questo mi colpisce». Inutile chiedere perché, avverte Qohélet. Tutto è inutile. Tutto è vano. E questo forse è anche peggio del male. «Sarebbe opportuno che noi ci radunassimo a piangere la casa nella quale qualcuno sia venuto alla luce, pensando ai molti mali della vita umana, ma a chi con la morte ha posto fine a gravi sofferenze, gli amici con lode e con gioia dovrebbero dare sepoltura», aveva scritto Euripide, rievocando l’ antica sentenza del Sileno (…) per cui la cosa migliore sarebbe non nascere, e in subordine morire al più presto. Ma siamo sicuri che in quei testi si stia parlando del male e non di qualche cos’ altro? Qualcosa che ha bensì a che fare col male, ma che nulla dice circa la sua natura? Certamente le sciagure che senza tregua colpiscono gli uomini, con il loro corteo di sofferenze afflizioni pene e tormenti vari, per non parlare della morte e del nulla, sono dei mali. Ma non lo sono necessariamente. Tant’ è che hanno potuto presentarsi talvolta come forme di liberazione o di sollievo. Il male sfugge alla presa. E si rifugia in una dimensione dov’ è difficilissimo stanarlo. E’ la dimensione in cui il male appare strettamente legato alla colpa. Anzi, non appare se non come colpa. Ossia come qualcosa di cui l’ individuo deve rispondere. Non importa a chi: se a Dio, alla propria coscienza, agli altri uomini. Né importa se ciò di cui deve rispondere è un che di fatale, addirittura un destino. C’ è autentico male dove c’ è assunzione (o rifiuto) di responsabilità per una colpa. Ma quale colpa? A questo proposito i greci hanno parlato di amartia. I cristiani invece di peccato. Si coglie qui la differenza nel modo in cui gli antichi e i moderni hanno concepito il male. Per gli antichi la colpa appartiene all’ ordine delle cose. E’ una specie di marchio, è il retaggio della nostra finitezza, come sostenne Anassimandro. Siamo mortali; lo siamo poiché ci siamo separati dall’ uno-tutto e siamo precipitati nel mondo della vita e del divenire. Questa separazione è la nostra colpa. Da espiare con la morte. Come se ci dicessero: sei venuto al mondo, hai goduto della luce del sole, e allora paga. Anche per il cristianesimo la colpa è tutt’ uno con la nascita. L’ uomo nasce portatore di un peccato d’ origine. Però questo peccato non appartiene all’ ordine delle cose, come nel mondo classico, ma a quel principio spirituale che è l’ anima. Donde la questione come possa essere imputabile all’ anima un peccato non commesso. Il cristianesimo introduce allora l’ idea della solidarietà nella colpa. Ricevendo la vita, ciascuno è tenuto a farsi carico di tutto ciò che la vita comporta, non solo nel bene ma anche nel male. Un po’ come quando si riceve un’ eredità. Se la si accetta, i debiti connessi devono essere onorati. C’ è dunque differenza, ma anche profonda affinità fra la nozione di colpa tragica e quella di peccato originale. (…) Ma che cosa accade nel momento in cui, come oggi, la colpa perde credibilità filosofica? Chiaro che se la colpa è sempre e soltanto della società, o non è che senso di colpa, di cui è bene disfarsi per igiene mentale, allora tanto vale rinunciare ad essa. Salvo che, tolta la colpa, è tolto anche il male. Non è certo un caso se la filosofia contemporanea, tranne pochissime eccezioni, sul male ha taciuto. –
 

 SERGIO GIVONE

 

 

Repubblica — 07 novembre 2008    sezione: CULTURA
IMPAGINAZIONE TONY KOSPAN
 

Pubblicato 10 novembre 2008 da tonykospan21 in RIFLESSIONI AFORISMI FILOSOFIE

LA FAVOLA DI AMORE E PSICHE   Leave a comment

 

LA FAVOLA DI AMORE E PSICHE

Psiche era una bellissima principessa, così bella da causare l’invidia di Venere. La dea inviò suo figlio Eros perché la facesse innamorare dell’uomo più brutto e avaro della terra, in modo che Psiche poteva esser ricoperta dalla vergogna di una simile relazione.

Ma il dio, Eros, si innamorò della bella mortale, e con l’aiuto di Zefiro (il dio del vento), la trasportò al suo palazzo, dove, imponendo che gli incontri avvenissero al buio per non incorrere nelle ire della madre Venere, la fece sua. Ogni notte dunque Eros andava alla ricerca di Psiche ed ogni notte i due bruciavano la loro passione in un amore che mai nessun mortale aveva conosciuto.

Psiche era dunque prigioniera nel castello di Eros, legata da una passione che le travolgeva i sensi. Una notte Psiche, istigata dalle sorelle, decise di vedere il volto del suo amante, pronta a tutto, anche all’uomo più orripilante, pur di conoscerlo. Fu questa bramosia di conoscenza ad esserle fatale: una goccia cadde dalla lampada e ustionò il suo amante. Allora Eros volò via e Venere scagliò la sua punizione sottoponendola a diverse prove.

Nella prima, dovette suddividere un mucchio di granaglie con diverse dimensioni in tanti mucchietti uguali e Psiche disperata, non provò nemmeno ad assolvere il compito che le era stato assegnato, ma ricevette un aiuto inaspettato da un gruppo di formiche, che intendevano ingraziarsi il suo innamorato. L’ultima e più difficile prova consistette nel discendere negli inferi e chiedere alla dea Proserpina (dea del regno dei morti) un po’ della sua bellezza. Psiche meditò allora addirittura il suicidio arrivando molto vicino a gettarsi dalla cima di una torre. Improvvisamente, però, la torre si animò e le indicò come assolvere la sua missione. Durante il ritorno, però Psiche mossa dalla solita curiosità a lei tanto cara, aprì l’ampolla (data da Venere) contenente il dono di Proserpina,. Ma il dono in realtà conteneva il sonno più profondo.

 

Ancora una volta però venne in suo aiuto Eros (Amore) che la risvegliò dopo aver rimesso a posto la nuvola del sonno  che era uscita dall’ampolla. Solo alla fine, lacerata nel corpo e nella mente, Psiche ricevette l’aiuto di Giove. Mosso da compassione il padre degli dei fece in modo che gli amanti si riunissero. Psiche divienne anche lei una dea e sposò Amore.

La favola termina con un grande banchetto al quale parteciparono tutti gli dei, alcuni anche in funzioni inusuali: per esempio, Bacco fece da coppiere, le tre Grazie suonarono e il dio Vulcano si occupò di cucinare il ricco pranzo.
Al termine del banchetto i due giovani bruciarono per tutta la notte la loro incontenibile passione e da questa unione nacque un figlio, Piacere, identificato dai latini con il termine Voluttà (Voluptas).

FINE

(DAL WEB – RIELABORAZIONE ED IMPAGINAZIONE BY ORSO TONY)

 

Pubblicato 10 novembre 2008 da tonykospan21 in FAVOLE LEGGENDE RACCONTI DI SAGGEZZA

CHE FOLLIA!   2 comments

 

    

CHE FOLLIA!
Tony Kospan
 
Che follia
cercar in limpido salato mare
azzurro e dolce un lago.
 
Lago di trame lucenti
solar sorriso… ardente voce..
 
Chi sei tu lago?
 
Sei come sei…
cuore, natura, cascata di malie..
 
Che follia
cercar in verde conosciuto mare
l’azzurro d’un ignoto lago…
 
Chi sei tu lago?
 
Melodia sorgente
d’armonico fluir di batter d’ali…
ribollir di vivaci sogni…
 
Che follia!
 
Ma che emozioni!
 
 
                           
  

 
 

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